Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

venerdì 21 marzo 2014

Sotto lo sguardo di Maria Santissima e di San Giuseppe



Sappiamo che, come il mese di maggio è dedicato a Maria Santissima, così il mese di marzo è dedicato a San Giuseppe. Il giorno più importante di esso è il 19, perchè in tale giorno la liturgia ne celebra la solennità.La Fraternità sacerdotale San Pio X celebra in un modo speciale questa festa poiché San Giuseppe ne è il Santo Patrono.

Anche i Padri della Chiesa, a mano a mano che approfondivano la loro riflessione teologica sulla Madre di Dio, non mancarono di parlare di Giuseppe e di metterne in evidenza la dignità e il valore del suo ruolo nella storia della salvezza. Tra essi, Sant’Agostino è senz’altro quello che ha scritto le pagine più interessanti sullo sposo di Maria. Anzitutto, questo titolo “sposo di Maria” non ha nulla di fittizio, anche se Giuseppe e Maria furono vergini e castamente vissero la loro unione.


Agostino prende proprio il caso dei genitori del Signore, per spiegare che cosa è il Matrimonio. Secondo il diritto romano, egli considera il Matrimonio come un contratto, un accordo frutto del consenso degli sposi. Tale patto fu all’origine dell’unione tra Maria e Giuseppe. Illuminato dal Vangelo, Agostino ravvede nella comunione dei cuori, nella carità coniugale la sostanza del Matrimonio.

Questo elemento costitutivo del Matrimonio non mancò per nulla nell’unione tra Maria e Giuseppe che, al contrario, vissero in grado elevatissimo la loro unione spirituale proprio perché corroborata dalla pratica di una castità perfetta. Ecco perché dichiara: “Nei genitori di Cristo, quindi, sono stati realizzati tutti i beni propri del matrimonio: prole, fedeltà e sacramento”.

Come furono i rapporti di coppia tra Maria e Giuseppe? Il Vangelo ci dà solo degli spunti, molto sobri per entrare nella casa di Nazareth ed ammirare la purezza e l’intensità del loro amore coniugale. I Padri della Chiesa sono capaci di sviluppare quegli spunti e di offrirci delle riflessioni pertinenti. La Madonna, dice Sant’Agostino, si scelse Giuseppe come fidanzato e sposo perché ne aveva colto l’attitudine a rispettare e proteggere la sua verginità, che il Vangelo definisce come “giustizia”. “Ella si era fidanzata perché la verginità non era ancora entrata nelle usanze degli Ebrei; ma s’era scelta un uomo giusto, che non sarebbe ricorso alla violenza per toglierle quanto aveva votato a Dio, che anzi l’avrebbe protetta contro ogni violenza”.

L’affetto di Giuseppe

Giuseppe provava un affetto misto ad ammirazione per la sua Sposa in cui contemplava la realizzazione delle promesse di salvezza da parte di Dio: “Il motivo per cui la Vergine era ancora più santamente e meravigliosamente cara a suo marito consiste nel fatto che anche senza l’intervento del marito essa divenne feconda, superiore a lui per il Figlio, pari nella fedeltà”. Agostino, del resto, è convinto che San Giuseppe sia stato sempre vergine, proprio come Maria, e questo spiega la loro affinità spirituale. In questo senso, Agostino respinge l’idea che i “fratelli e le sorelle di Gesù”, menzionati dai Vangeli, siano stati figli di un primo matrimonio di Giuseppe, poi rimasto vedovo.

Questa opinione, che trova il suo fondamento nei Vangeli apocrifi, viene giustamente rigettata. “Fratelli e sorelle di Gesù” sono i membri della sua famiglia in senso lato, i suoi cugini, diremmo noi, proprio come ora si soleva dire nel mondo giudaico, sia ai tempi di Gesù sia prima ancora, come la Bibbia attesta più volte. Proprio a motivo della sua verginità e della sua purezza, qualità che il Vangelo riassume nella parola “giustizia”, Giuseppe rimase turbato di fronte all’evento inatteso della gravidanza della sua fidanzata, oramai promessa sposa ed era pronto a ripudiare la sua promessa sposa, anche se in segreto per evitarne una condanna pubblica, come si faceva a quei tempi.

L’intervento dell’Angelo gli rivelò l’origine soprannaturale del concepimento del Figlio di Maria. Questa è l’interpretazione che Agostino dà del racconto del Vangelo di Matteo. Essa è ragionevole.

Una gara di bontà

Altri Padri della Chiesa, però, come Gerolamo, propongono un’altra spiegazione, molto suggestiva e, probabilmente, più aderente alla “giustizia” di Giuseppe: egli seppe sin dall’inizio che il frutto del grembo di Maria era opera dello Spirito Santo, si sentì perciò indegno, nella sua umiltà, di fronte a questo Mistero, e volle ritirarsi, quasi soverchiato da un timore riverenziale.

Solo le parole dell’Angelo lo incoraggiarono ed egli assunse con gratitudine ed impegno il compito affidatogli di sposo di Maria e padre di Gesù. Proprio per questo motivo, Giuseppe non parla mai nel Vangelo: custodisce nel silenzio il Mistero di cui è reso partecipe. Accanto ad uno sposo così santo ed amabile, la Vergine Maria corrispose con altrettanto amore e devozione.

Un’ammirevole gara di rispettosa bontà e di squisita delicatezza si instaurò tra Giuseppe e Maria. Il primo, come si accennava, si era ritenuto immeritevole di essere chiamato “sposo di Maria e padre di Gesù”, la Vergine, come spiega Agostino, si mostrò sempre pronta a privilegiare il marito: “Aveva meritato di dare alla luce il Figlio dell’Altissimo, eppure era umilissima; nemmeno parlando di se stessa prende il primo posto anteponendosi al marito, col dire «Io e tuo padre» ma: «Tuo padre – dice – e io». Non tiene conto della propria dignità di Madre”.

Entrambi, poi, condividono la cura educativa di Gesù. La paternità, infatti, secondo Agostino, non consiste nella genitorialità fisica ma nella responsabilità educativa. “Colui dunque che dice: «Giuseppe non doveva essere chiamato padre, perché non aveva generato il figlio», nel procreare i figli cerca la libidine, non l’affetto ispirato dalla carità. Giuseppe con l’animo compiva meglio ciò che altri desidera compiere con la carne. Giuseppe non solo doveva essere padre ma doveva esserlo in sommo grado”. Se Maria genera il Redentore, accanto a Lei, Giuseppe lo serve con docilità e riverenza.

Per questa sua dedizione, Giuseppe diventa modello per tutta la Chiesa:  “La chiesa è incapace di partorire il Redentore, però può e deve servirlo con umiltà e modestia. E questo fu precisamente il compito di Giuseppe, che si mantiene sempre in secondo piano, lasciando tutta la gloria a Gesù. Tale dev’essere il ruolo della Chiesa, se vogliamo che il mondo riscopra lo splendore della parola di Dio”.

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