Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

martedì 30 settembre 2014

L’ERETICO CARDINALE WALTER KASPER di Don Lugi Villa Questo articolo del compianto Don Luigi è stato pubblicato sulla rivista mensile Chiesa Viva, n° 433 - dicembre 2010




Impaginazione e sottolineature sono nostre


Certo, è un fatto grave! Di sua propria confessione ha rotto la comunione di fede, indispensabile per l’unità cattolica.

A riguardo della necessità di appartenere alla Chiesa per essere salvi, il card. Walter Kasper ha scritto: «Con le sue Dichiarazioni, il Concilio [Vaticano II] ha rigettato l'antica teoria esclusiva e la pratica secondo la quale, dal fatto che Gesù Cristo è il solo e unico Mediatore della salvezza, non cè salvezza fuori della fede in Cristo, “Extra ecclesiam nulla salus” [Fuori della Chiesa non cè salvezza], secondo il famoso assioma del vescovo Cipriano di Cartagine[morto nel 258] [...]. Questa teologia esclusiva fu rimpiazzata da una teoria inclusiva (...). In Gesù Cristo la salvezza è venuta a tutti i popoli in maniera universale che include tutto ciò che è buono e vero nelle altre religioni».

Da parte mia, io credo che la Chiesa cattolica romana è la Chiesa di Cristo, fuori della quale non può esservi salvezza. È uno dei dogmi cattolici che nessuno può salvarsi fuori della Chiesa cattolica (Pio IX: “Quanti conficiamur maerore”, Dez. 2867).
Da questa divergenza di fede, scende una profonda divergenza di concezione nella pratica ecumenica, quale descritta dallo stesso Walter Kasper: «Prima del Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica intendeva il ristabilimento dellʼunità dei cristiani unicamente in termini di ritorno dei nostri fratelli separati alla vera Chiesa di Cristo... da cui si erano disgraziatamente separati. Questa fu l’espressione che usò Pio XI nella sua enciclica “Mortalium animos” del 1928. Il Concilio Vaticano II ne fece un cambiamento radicale (...). il vecchio concetto dell’ecumenismo del ritorno è stato rimpiazzato, oggi, da quello di “itinerario comune”, che dirige i cristiani verso il fine della comunione ecclesiale, compresa come unità nella “diversità riconciliata».

Immagini eloquenti: I 200 peccati del vescovo Livieres





Le immagini eloquenti: questi "peccati" del vescovo Livieres, destituito d'autorità e non secondo il diritto, ricordano molto i Francescani dell'Immacolata. Anche in questo caso un tanto generico quanto incomprensibile "non sentire cum Ecclesia", che non si capisce con quale chiesa sia... La fonte sopra riportata lo definisce peccato di lesa religione, ovviamente da parte dei cinici esecutori. 
La vicenda è illustrata qui.

Per completare il parallelo: un'altra realtà di Chiesa viva e fiorente inesorabilmente distrutta? E sanz'appello...



articolo preso da chiesa e post concilio

In che consista la perfezione cristiana. Per acquistarla bisogna combattere. Quattro cose necessarie per questa battaglia( III-V capitoli)

CAPITOLO III

La confidenza in Dio


Benché in questa battaglia, come abbiamo detto, sia tanto necessaria la diffidenza di sé, tuttavia, se l'avremo sola, o ci daremo alla fuga o resteremo vinti e superati dai nemici; e perciò oltre a questa ti occorre ancora la totale confidenza in Dio, da lui solo sperando e aspettando qualunque bene, aiuto e vittoria. Perché siccome da noi, che siamo niente, non ci è lecito prometterci altro che cadute, onde dobbiamo diffidare del tutto di noi medesimi, così grazie a nostro Signore conseguiremo sicuramente ogni gran vittoria purché, per ottenere il suo aiuto, armiamo il nostro cuore di una viva confidenza in lui. E questa parimenti in quattro modi si può conseguire.
Primo: col domandarla a Dio.
Secondo: col considerare e vedere con l'occhio della fede l'onnipotenza e la sapienza infinita di Dio, al quale niente è impossibile (cfr. Lc 1,37) né difficile; e che essendo la sua bontà senza misura, con indicibile amore sta pronto e preparato a dare di ora in ora e di momento in momento tutto quello che ci occorre per la vita spirituale e la totale vittoria su noi stessi, se ci gettiamo con confidenza nelle sue braccia. E come sarà possibile che il nostro Pastore divino, il quale trentatré anni ha corso dietro alla pecorella smarrita con grida tanto forti da diventarne rauco e per via tanto faticosa e spinosa da spargervi tutto il sangue e lasciarvi la vita, ora che questa pecorella va dietro a lui con l'obbedienza ai suoi comandamenti oppure con il desiderio benché alle volte fiacco di obbedirgli, chiamandolo e pregandolo, come sarà possibile che egli non volga ad essa quei suoi occhi vivificanti, non l'oda e non se la metta sulle divine spalle facendone festa con tutti i suoi vicini e con gli angeli del cielo? Che se nostro Signore non lascia di cercare con grande diligenza e amore e di trovare nella dramma evangelica il cieco e muto peccatore, come sarà possibile che abbandoni colui che come smarrita pecorella grida e chiama a suo Pastore? E chi crederà mai che Dio, il quale batte di continuo al cuore dell'uomo per il desiderio di entrarvi e cenarvi comunicandogli i suoi doni, faccia egli davvero il sordo e non vi voglia entrare qualora l'uomo apra il cuore e lo inviti (cfr. Ap 3,20)?

lunedì 29 settembre 2014

In che consista la perfezione cristiana. Per acquistarla bisogna combattere. Quattro cose necessarie per questa battaglia (I e II capitolo)


CAPITOLO I 

Volendo tu, figliuola in Cristo amatissima, conseguire l'altezza della perfezione e, accostandoti al tuo Dio, diventare uno stesso spirito con lui (cfr. 1Cor 6,17), dal momento che questa è la maggiore e la più nobile impresa che si possa dire o immaginare, devi prima conoscere in che cosa consista la vera e perfetta vita spirituale.
Molti infatti, senza troppo riflettere, l'hanno posta nel rigore della vita, nella macerazione della carne, nei cilizi, nei flagelli, nelle lunghe veglie, nei digiuni e in altre simili asprezze e fatiche corporali.
Altri, e particolarmente le donne, credono di aver fatto molto cammino se dicono molte preghiere vocali; se partecipano a parecchie messe e a lunghe salmodie; se frequentemente vanno in chiesa e si ritemprano al banchetto eucaristico.

IL MONACO ORTODOSSO: «CATTOLICI, SU DIVORZIATI E RISPOSATI STATE ALLA LARGA DALLA PRATICA ORTODOSSA»


Questa è la testimonianza lasciata sul blog di padre John Zhulsdorf da un suo lettore speciale:

«Sono un monaco della Chiesa ortodossa, sulla via della conversione al cattolicesimo. Ho deciso percorrere questa strada per numerosi motivi, quasi tutti di tipo dottrinale. Benché la mia presa di consapevolezza della verità del cattolicesimo sia stata un processo graduale, ci sono state comunque cose che subito mi hanno fatto capire che il cattolicesimo era da prendere sul serio.

Avendo letto i Padri della Chiesa e ciò che hanno scritto su come discernere una vocazione matrimoniale da una alla vita religiosa, mi era chiaro che gli stessi Padri avevano una idea ben definita del matrimonio e della sessualità; questa lucidità li spingeva a raccomandare la vita celibataria a tutti coloro che potevano abbracciarla e a insistere sul fatto che se un cristiano voleva tenere un piede nel mondo, la sua sessualità doveva essere indirizzata esclusivamente al matrimonio e a un matrimonio con un fine preciso: l’educazione della prole, dono di Dio, in una unità che è alla base della società e riflette l’indissolubile legame tra Cristo e la Chiesa. Nella loro visione del matrimonio e della sessualità, due cose erano certe e ineludibili: la prima, la contraccezione è inconcepibile in un matrimonio cristiano, dal momento che è un bene in sé, benché inferiore a quello della vita religiosa, il cui senso è la generazione e l’educazione dei figli nella fede. La seconda cosa, il matrimonio è di necessità permanente, deve durare fintanto che gli sposi vivono, sia per i doveri e gli obblighi dettati dalla legge naturale, sia per il suo carattere sacramentale. Gli ortodossi possono provare a vantarsi della loro maggiore fedeltà alla tradizione apostolica in certi usi e costumi (antichi calendari, digiuni, periodi in cui pregare in piedi o inginocchiati, ecc.), ma ad un certo punto ho capito che si sono allontanati dalla dottrina cristiana originaria sul matrimonio e la sessualità. È una questione di dottrina, non solo di prassi, il che dovrebbe far riflettere molti ortodossi come ha fatto riflettere me. Mi sono detto: “Se il cattolicesimo è falso e l’ortodossia è vera, come mai il cattolicesimo insegna ancora la verità su matrimonio e contraccezione mentre noi l’abbiamo abbandonata?”. Le disquisizioni dottrinali sul Filioque e l’infallibilità papale possono andare avanti all’infinito; non così per il cristallino insegnamento patristico e apostolico (cioè scritturistico), secondo cui il matrimonio è per sempre ed esclude la contraccezione (cosa che non può essere messa in dubbio da persone intellettualmente oneste). Penso quindi che sarebbe una tragedia se anche solo il cattolicesimo flirtasse con l’idea ortodossa di “oikonomia”, quando la sua fedeltà dottrinale è stata per me una prova chiara della sua rivendicazione di essere la vera Chiesa.

domenica 28 settembre 2014

Pregi e vantaggi della devozione a San Giuseppe





Per capire quale ricca fonte di ogni sorta di grazie sia la devozione al glorioso Patriarca San Giuseppe, basteranno le seguenti parole di S. Teresa, che trovandosi nella sua vita: 


« Io non mi ricordo, scrive la Santa, di aver sino ad oggi domandato una grazia a S. Giuseppe, che non me l’abbia accordata. Che bel quadro io metterei sotto gli occhi, se mi fosse dato di esporre le grazie segnalate, colle quali sono stata ricolma da Dio, e i pericoli di anima e di corpo, da cui sono stata liberata, mediante l’intercessione di questo grande Santo! Agli altri Santi Dio concede soltanto la grazia di soccorrerci in questo e tal altro bisogno, ma il glorioso S. Giuseppe, ed io so per esperienza stende il suo potere a tutto. Ed hanno ciò sperimentato al pari di me altre persone, alle quali io avevo consigliato di raccomandarsi a questo incomparabile Protettore… Se io avessi autorità di scrivere, proverei un santo piacere nel raccontare particolarmente le grazie di cui tante persone sono, come me, debitrici a questo grande Santo. Mi contento però di scongiurare per amor di Dio, quelli che forse non mi crederanno, a farne la prova e vedranno per esperienza quanto vantaggio ne venga dal raccomandarsi a questo glorioso Patriarca, ed onorarlo con speciale culto».

sabato 27 settembre 2014

Lettera Enciclica di PAPA BENEDETTO XV Proclamazione di San Giuseppe a patrono della Chiesa universale



Fu buona e salutare cosa per il popolo cristiano che il Nostro antecessore d'immortale memoria Pio IX decretasse solennemente al castissimo sposo di Maria Vergine e custode del Verbo Incarnato, S. Giuseppe, il titolo dl Patrono Universale della Chiesa; e poiché di questo fausto avvenimento nel prossimo dicembre ricorrerà il cinquantesimo, stimiamo assai utile ed opportuno che esso venga degnamente celebrato da tutto l'orbe cattolico.


I. - Naturalismo dall'età moderna.

Se noi diamo uno sguardo a questi ultimi 50 anni, ci si para innanzi un mirabile rifiorimento di pie istituzioni, le quali attestano come il culto del Patriarca santissimo sia venuto a mano a mano sviluppandosi fra i fedeli: che se poi consideriamo le odierne calamità, ond'è afflitto il genere umano, appare ancor più evidente l'opportunità d'intensificare un tal culto e di diffonderlo maggiormente in mezzo al popolo cristiano. Infatti, in seguito all'immane guerra, nella nostra Enciclica «intorno alla riconciliazione della pace cristiana», abbiamo indicato che cosa mancasse per ristabilire dovunque la tranquillità dell'ordine, considerando particolarmente le relazioni, che intercedono tra popolo e popolo e tra individuo e individuo nel campo civile. Ora fa d'uopo considerare un'altra causa di perturbazione, e molto più profonda, come quella che si annida proprio nelle intime viscere della umana società. poiché allora s'abbattè sulle umane genti il flagello della guerra, quando esse già erano profondamente infette di naturalismo, cioè di quella gran peste del secolo, che, dove attecchisce, attenua il desiderio dei beni celesti, spegne la fiamma della divina carità e sottrae l'uomo alla grazia sanante ed elevante di Cristo; finché, toltogli il lume della fede e lasciategli le sole e corrotte forze della natura, lo abbandona in balia delle più insane passioni. E così avvenne che moltissimi si diedero soltanto alla conquista dei beni terreni; e, mentre già s'era acuita la contesa tra proletari e padroni, quest'odio di classe si accrebbe ancor più con la durata ed atrocità della guerra; la quale, se da un lato cagionò fra le masse un disagio economico intollerabile, dall'altro fece affluire nella mano di pochissimi favolose fortune.


II. - Scompagine della famiglia.

S'aggiunga che la santità della fede coniugale e il rispetto della paterna autorità sono stati da molti non poco vulnerate per causa della guerra; sia perché la lontananza di uno dei coniugi ha rallentato nell'altro il vincolo del dovere, sia perché l'assenza di un occhio vigile ha dato ansa alla inconsideratezza, specialmente femminile, di vivere a proprio talento e troppo liberamente. Perciò dobbiamo constatare con vero dolore che ora i pubblici costumi sono assai più depravati e corrotti di prima, e che quindi la così detta «questione sociale» si è andata aggravando a tal punto di ingenerare la minaccia di irreparabili rovine. S'è infatti maturato nei voti e nell'aspettazione di tutti i sediziosi l'avvento di una certa repubblica universale, la quale sia fondata sull'eguaglianza assoluta degli uomini e sulla comunanza dei beni, e nella quale non vi sia più distinzione alcuna di nazionalità, né più s'abbia a riconoscere l'autorità del padre sui figli, né dei potere pubblico sui cittadini, né di Dio sugli uomini riuniti in civile consorzio. Cose tutte, che, se per sventura fossero attuate, darebbero luogo a tremende convulsioni sociali, come quella che ora sta desolando non piccola parte di Europa. E si è appunto per creare anche tra gli altri popoli una simile condizione di cose, che noi vediamo concitarsi le plebi dal furore audace di pochi e verificarsi qua e là ininterrotte e gravi sommosse.


III. - Esempi efficaci di S. Giuseppe.

Noi pertanto, più di tutti preoccupati da questa piega degli avvenimenti, non abbiamo tralasciato, quando se n'è offerta l'occasione, di ricordare ai figli della Chiesa il loro dovere... Ed ora per lo stesso motivo, per ricordare cioè il dovere a quelli di parte nostra, quanti essi sono dovunque, che si guadagnano il pane col lavoro, e per conservarli immuni dal contagio del socialismo, il nemico più acerrimo dei principi cristiani, Noi, con grande sollecitudine, proponiamo loro in modo particolare S. Giuseppe, perché lo seguano come guida e lo onorino qual celeste Patrono. Egli infatti visse una vita simile alla loro, tanto è vero che Gesù benedetto, mentre era l'Unigenito dell'Eterno Padre, volle essere chiamato «il Figliolo del Padre». Ma quella umile e povera sua condizione di quali e quante eccelse virtù Egli seppe adornare! Di quelle virtù cioè, che dovevano risplendere nello sposo di Maria Immacolata e nel padre putativo di Gesù Cristo. Per cui, alla scuola di Giuseppe, imparino tutti a considerare le cose presenti, che passano, alla luce dalle future, che durano eterne; e, consolando gli inevitabili disagi della condizione umana con la speranza dei beni celesti, a questi aspirino con tutte le forze, rassegnati al divino volere, sobriamente vivendo, secondo i dettami della pietà e della giustizia. Per quello che riguarda specialmente gli operai, Ci piace qui riportare le parole, che proclamo in analoga circo stanza il predecessore Nostro di f. m. Leone XIII, poiché esse son tali che, a parer Nostro, più a proposito non potrebbero esser dette: «Alla considerazione di queste cose, i poveri, e quanti vivono col frutto del lavoro, devono sentirsi animati da un sentimento superiore di equità; che se la giustizia permette loro di sollevarsi dall'indigenza e di conseguire un maggior benessere, è pero proibito dalla giustizia e dalla stessa ragione di sconvolgere quell'ordine, che è stato costituito dalla divina Provvidenza. Che anzi è stolto consiglio il trascendere alla violenza e cercar miglioramento attraverso rivolte e tumulti, i quali, il più delle volte, non fanno che inasprire vieppiù quei disagi, che si volevano mitigare. Se i poveri pertanto vorranno agire saggiamente, non confideranno nelle vane promesse dei demagoghi, ma piuttosto nell'esemplo e nel patrocinio di S. Giuseppe e nella carità materna della Chiesa, la quale di giorno in giorno si prende di loro una premura sempre maggiore» (Lettera Enciclica «Quamquam pluries»).


IV. - Devozione alla Sacra Famiglia.

Col fiorire così della devozione dei fedeli verso S. Giuseppe, aumenterà insieme, per necessaria conseguenza, il loro culto verso la Sacra Famiglia di Nazareth, di cui egli fu l'augusto Capo, sgorgando queste due devozioni l'una dall'altra spontaneamente. Poiché per S. Giuseppe noi andiamo direttamente a Maria, e per Maria al fonte di ogni santità, Gesù Cristo, il quale consacrò le virtù domestiche colla sua obbedienza verso S. Giuseppe e Maria. A questi meravigliosi esemplari di virtù Noi quindi desideriamo che le cristiane famiglie si ispirino e completamente si rinnovellino. In tal modo, poiché la famiglia è il fulcro e la base dell'umano consorzio, rafforzando la società domestica col presidio della santa purezza, della fedeltà e della concordia, con ciò stesso un novello vigore; e diremo quasi, un nuovo sangue circolerà per le vene della società umana, che viene così ad essere vivificata dalla virtù restauratrice di Gesù Cristo; e ne seguirà un lieto rifiorimento, non solo dei privati costumi, ma anche delle istituzioni pubbliche e civili.


V. - Esortazioni e prescrizioni.

Noi pertanto, pieni di confidenza nel patrocinio di Colui, alla cui provvida vigilanza si compiacque Iddio di affidare la custodia dell'incarnato suo Unigenito e della Vergine Santissima, vivamente esortiamo tutti i Vescovi dell'orbe cattolico, affinché, in tempi si burrascosi per la Chiesa, inducano i fedeli a implorare con maggior impegno il valido aiuto di San Giuseppe. E poiché parecchi sono i modi approvati da questa Sede Apostolica, con cui si può venerare il santo Patriarca, specialmente in tutti i mercoledì dell'anno e nell'intero mese a Lui consacrato, Noi vogliamo che, ad istanza di ciascun Vescovo, tutte queste devozioni, per quanto si può, siano in ogni diocesi praticate. Ma in modo particolare, poiché egli è meritamente ritenuto come il più efficace protettore dei moribondi, essendo spirato con l'assistenza di Gesù e di Maria, sarà cura dei sacri Pastori di inculcare e favorire con tutto il prestigio della loro autorità quei pii sodalizi, che sono stati istituiti per supplicare S. Giuseppe in pro dei moribondi, come quello «della buona morte», del «Transito di S. Giuseppe per gli agonizzantl di ogni giorno».

Per commemorare poi il suddetto Decreto Pontificio, ordiniamo ed ingiungiamo che dentro un anno, a datare dall'8 dicembre p. v., in tutto il mondo cattolico, si celebri, in onore di S. Giuseppe Patrono della Chiesa Universale, una solenne funzione, come e quando crederà opportuno ciascun Vescovo; e a tutti quelli che vi assisteranno, Noi concediamo fin d'ora, alle consuete condizioni, l'Indulgenza Plenaria.

Dato a Roma, presso S. Pietro, il 25 luglio, festa di S. Giacomo Apostolo, 1920, nell'anno sesto del Nostro Pontificato.

BENEDICTUS PP. XV.

venerdì 26 settembre 2014

Il vescovo Rogello di Ciudad Del Este non ci sta

Un vescovo accusa il Papa

Il vescovo Rogello di Ciudad Del Este, vittima della singolarmente brutale e improvvisa "decapitazione", non ci sta, e scrive al cardinale prefetto della Congregazione per i Vescovi, il canadese Ouellet, una lettera pepata. E' a Roma da vari giorni, per parlare con il Papa, che però non gli da udienza..."A dispetto di tanti discorsi sul dialogo, la misericordia, l’apertura, la decentralizzazione e rispetto per l’autorità delle Chiese locali, non ho avuto neanche l’opportunità di parlare con il Papa Francesco".
MARCO TOSATTI


Il vescovo Rogello di Ciudad Del Este, vittima della singolarmente brutale, dura e improvvisa decapitazione, non ci sta, e scrive al cardinale prefetto della Congregazione per i Vescovi, il canadese Ouellet, una lettera pepata. 

Nel frattempo sul sito della diocesi appare una risposta in cui si ribatte punto per punto alle accuse avanzate dalla rapida visita apostolica di Santos Abril Y Castello, uno dei personaggi di fiducia di papa Bergoglio a Roma. 

Mette in rilievo le irregolarità – anche formali – di un’operazione che ha profumo ideologico. “Come figlio obbediente della Chiesa accetto senza dubbio questa decisione anche se la considero infondata e arbitraria, e di cui il Papa dovrà rendere conto a Dio, più che a me”, scrive il vescovo, ribadendo che “a parte i molti errori umani che posso avere commesso, e per i quali sin da ora chiedo perdono a Dio e quanti possano aver sofferto, affermo una volta di più a coloro che mi vogliono ascoltare che la sostanza del caso è stata un’opposizione e una persecuzione ideologica”. Rogello era l'unico vescovo "conservatore" del Paraguay, e la sua diocesi aveva più seminaristi di tutte le altre messe insieme. 

E continua: “Il vero problema della Chiesa in Uruguay è la crisi della fede e di vita e morale che una cattiva formazione del clero ha continuato a perpetuare, insieme alla negligenza dei Pastori”. Al vescovo Rogello non è mai stato fatto vedere il testo nato dalla Visita apostolica; ma dice, se “si pensa che il problema della Chiesa in Paraguay è un problema di sacrestia che si risolva cambiando il sacrestano, ci si sbaglierebbe profondamente e tragicamente”. 

La mancanza di una comunicazione sui risultati dellla Visita apostolica ha fatto sì che il vescovo non abbi potuto rispondere debitamente. “A dispetto di tanti discorsi sul dialogo, la misericordia, l’apertura, la decentralizzazione e rispetto per l’autorità delle Chiese locali, non ho avuto neanche l’opportunità di parlare con il Papa Francesco, né il modo di chiarirgli dubbi o preoccupazioni. Di conseguenza non ho potuto ricevere nessuna correzionepaterna – o fraterna, come si vuole – da parte sua”. E conclude: “Un tal modo di procedere senza formalità, in maniera indefinita e improvvisa, non sembra molto giusta, non da luogo a una legittima difesa né alla correzione adeguata di possibili errori. Ho solo ricevuto pressioni affinché rinunciassi”. Il vescovo Rogello è a Roma da vari giorni, chiedendo, inutilmente, di poter parlare con il Papa.

Lettera Enciclica "QUAMQUAM PLURIES" Di Leone XIII


Roma, 15 agosto 1889

(...) Le ragioni per cui il beato Giuseppe deve essere patrono speciale della Chiesa, e la Chiesa ripromettersi moltissimo dalla tutela e dal patrocinio di lui, nascono principalmente dal fatto che egli fu sposo di Maria e padre putativo di Gesù Cristo. Da qui derivarono tutta la sua grandezza, la grazia, la santità e la gloria. Certamente la dignità di Madre di Dio è tanto in alto che nulla vi può essere di più sublime. Ma poiché tra Giuseppe e la beatissima Vergine esistette un nodo coniugale, non c'è dubbio che a quell'altissima dignità, per cui la Madre di Dio sovrasta di gran lunga tutte le creature, egli si avvicinò quanto nessun altro mai. Infatti il matrimonio costituisce la società, il vincolo superiore ad ogni altro: per sua natura prevede la comunione dei beni dell'uno con l'altro. Pertanto se Dio ha dato alla Vergine in sposo Giuseppe, glielo ha dato pure a compagno della vita, testimone della verginità, tutore dell'onestà, ma anche perché partecipasse, mercé il patto coniugale, all'eccelsa grandezza di lei.

giovedì 25 settembre 2014

La Santità il dolore e la morte di San Giuseppe


Giuseppe conosceva perfettamente la santità di Maria e il proposito di verginità perpetua.

Perciò, quando si avvide della gravidanza di Lei, non la ritenne peccatrice-adultera, né la espose alla lapidazione prescritta (Levitico 20, lO; Deuteronomio 22, 22-24). Lui che credeva alla virtù di Maria, avrebbe cessato di essere giusto (Matteo 1, 19) se l'avesse fatta lapidare.
Ma Giuseppe, prima dell'apparizione angelica (Matteo 1, 20-23) non conosce la causa per la quale la sua sposa è incinta e non ne sa spiegare il fatto. 
E' Dio che, per mezzo di un Angelo, in sogno ammonisce Giuseppe di astenersi anche semplicemente dal rimandare la sua sposa, e lo esorta invece a prenderla tranquillamente con sé, perché la maternità di Lei a nessuno era da attribuirsi se non a Dio stesso.
La santità di Giuseppe, cioè del giusto che se incorre in qualche imperfezione subito risorge (Proverbi 24, 16), risplende immediatamente di più viva luce:
per aver subito ubbidito all'Angelo (Matteo 1, 24);
per aver subito deciso di compiere in tutto la volontà di Dio (Matteo 1, 24) 
La santità di Maria rifulge di specialissima luce in questa terribile circostanza:
per ubbidire a Dio, che voleva riservarsi di manifestare a Giuseppe l'inspiegabile mistero, nulla disse al suo sposo, pur soffrendo acutamente per la prolungata e cocente ambascia del suo sposo e per il pericolo «che un giusto mancasse, egli che non mancava mai...»
Veramente, Maria e Giuseppe, anche in questa dolorosa circostanza e prova, appaiono «...due santi che più grandi il mondo non ha»

mercoledì 24 settembre 2014

Benedetto XVI Discorso su Famiglia, sessualità e castità ai Vescovi Americani

Cari Fratelli Vescovi,
Saluto tutti voi con affetto fraterno in occasione della vostra visita ad limina Apostolorum. Come
sapete, quest’anno desidero riflettere con voi su alcuni aspetti dell’evangelizzazione della cultura
americana alla luce delle sfide intellettuali ed etiche del momento presente.
Negli incontri precedenti ho riconosciuto la nostra preoccupazione per le minacce alla libertà di
coscienza, di religione e di culto che devono essere affrontate con urgenza, affinché tutti gli uomini
e le donne di fede, e le istituzioni che essi ispirano, possano agire in conformità alle loro
convinzioni morali più profonde. In questa occasione vorrei parlare di un’altra questione grave che
mi avete esposto durante la mia visita pastorale in America, vale a dire la crisi attuale del
matrimonio e della famiglia, e più in generale della visione cristiana della sessualità umana. Di
fatto, è sempre più evidente che un minor apprezzamento dell’indissolubilità del contratto
matrimoniale e il diffuso rifiuto di un’etica sessuale responsabile e matura, fondata nella pratica
della castità, hanno portato a gravi problemi sociali che comportano un costo umano ed economico
immenso.
Tuttavia, come ha osservato il beato Giovanni Paolo II, il futuro dell’umanità passa per la famiglia
(cfr. Familiaris consortio n. 85). Di fatto, «troppo grande è il bene che la Chiesa e l’intera società
s’attendono dal matrimonio e dalla famiglia su di esso fondata per non impegnarsi a fondo in questo
specifico ambito pastorale. Matrimonio e famiglia sono istituzioni che devono essere promosse e
difese da ogni possibile equivoco sulla loro verità, perché ogni danno arrecato ad esse è di fatto una
ferita che si arreca alla convivenza umana come tale» (Sacramentum caritatis n. 29).

GIUSEPPE PADRE TERRENO

La Santa Famiglia


Giuseppe fu il padre terreno di Gesù e come tale dovette provvedere alle necessità della famiglia, tutelare e allevare il suo figliolo adottivo, sempre pronto a soddisfare i desideri di Dio conoscendo, in parte, alcuni suoi disegni.

Si prodigò oltre l'umano per non far mancare nulla alla famiglia e, come padre, per insegnare le cose della vita a suo figlio, perché egli doveva, come un fanciullo qualunque, essere sottomesso alla volontà paterna. Iddio non assegnò un padre qualsiasi, ma un'anima pura, perché fosse di sostegno ad una candida sposa e ad un Dio incarnato.

Tanti sottovalutano quello che fu il suo compito: non discusse mai gli ordini impartiti nel sonno, o attraverso i messaggeri di Dio, ma eseguì fedelmente, anche se questo comportava dover abbandonare tutto quello che aveva realizzato in quel momento; le amicizie, gli averi e la sicurezza sociale per affrontare l'ignoto.

La sua fede era tale che non ebbe dubbi o incertezze, andò dove Dio l'inviava col suo fardello, con i suoi tesori costituiti da un'esile madre e da un pargoletto prima, e da un fanciullo poi. Dopo come padre non s'oppose, ma preventivamente assecondò, essendone a conoscenza, i Divini voleri e nel suo animo ardente benedì questo suo figlio, affinché annunciasse con la parola; e nel mondo si compissero i disegni del Padre.

Fu un lavoratore esemplare, un esempio mirabile, portò la famiglia su una nave sicura e seppe guidarla su lidi e porti riparati, anche quando all'esterno v'erano acque tumultuose. Seppe essere un degno compagno per la sua sposa e s'amarono con sentimenti così puri da incantare gli Angeli del cielo.

martedì 23 settembre 2014

Vita di San Giuseppe



Giuseppe nacque probabilmente a Betlemme, il padre si chiamava Giacobbe (Mt 1,16) e pare che fosse il terzo di sei fratelli. La tradizione ci tramanda la figura del giovane Giuseppe come un ragazzo di molto talento e un temperamento umile, mite e devoto.

Giuseppe era un falegname che abitava a Nazareth. All’età di circa trenta anni fu convocato dai sacerdoti al tempio, con altri scapoli della tribù di Davide, per prendere moglie. Giunti al tempio, i sacerdoti porsero a ciascuno dei pretendenti un ramo e comunicarono che la Vergine Maria di Nazareth avrebbe sposato colui il cui ramo avrebbe sviluppato un germoglio. "Ed uscirà un ramo dalla radice di Jesse, ed un fiore spunterà dalla sua radice" (Isaia). Solamente il ramo di Giuseppe fiorì e in tal modo fu riconosciuto come sposo destinato dal Signore alla Santa Vergine.

lunedì 22 settembre 2014

Un Papa “orribile” e una dottrina inalterata/ due Papi “santi” e una dottrina stravolta


Abbiamo avuto, nel passato, stando a quanto affermano certi scrittori, dei Papi “orribili”. 
Stando al Guicciardini, ripreso abbondantemente dalla interessata pubblicistica anticattolica, Roderigo Borgia ovvero Alessandro VI è stato uno di questi “orribili” Papi. E, allora, viene da chiedersi: perché, pur passando per Alessandro VI, nonché per la sua corte, il Vangelo ci è giunto inalterato e intatto? E perché, invece, passando per due Papi “buoni”, che ora sono stati fatti santi, la dottrina ci è giunta così stravolta da negare le parole stesse di Nostro Signore: “Io sono la via, la verità, la vita; nessuno sale al Padre se non per mezzo di me”?

Illogicità dei modernisti

L’esempio di don Vannutelli è molto istruttivo per comprendere lo stravolgimento in atto ormai da cinquant’anni. Questo prete modernista, vissuto nel XX secolo, ostentò esteriormente la fede cattolica fino alla morte. Ma, dopo la sua morte, vennero alla luce i suoi diari, nei quali è scritto che Gesù è il migliore degli uomini, ma non il Figlio di Dio. La domanda a questo punto è ineludibile: perché don Vannutelli continuò a fare il prete?

Sinodo: Il cardinale Baldisseri, spiegare bene cos’è il matrimonio cristiano


di Angela Ambrogetti
Il Sinodo si rinnova, ma resta lo stesso. Il cardinale segretario del Sinodo Lorenzo Baldisseri, nominato da Papa Francesco un anno fa a questa carica, ha preso in mano la preparazione dell’Assemblea straordinaria che ha per tema la famiglia e che per le prime due settimane di ottobre sarà al centro dell’interesse dei media.

“ In effetti- spiega Baldisseri a Korazym- si tratta della seconda tappa di un percorso che è iniziato con il concistoro del febbraio scorso”. Un incontro tra cardinali che ha tenuto le prime pagine dei giornali per parecchio tempo riportando in vita l’annosa questione dei divorziati risposati civilmente e il loro posto nella comunione della Chiesa cattolica.

Il 9 settembre scorso sono stati resi noti i nomi dei 253 partecipanti alla Assemblea, la terza straordinaria nella storia dello strumento della collegialità voluto dal Concilio Vaticano II.

Il cardinale ha tenuto a spiegare, in una nota sull’Osservatore Romano, che “si applicherà una nuova metodologia interna dei lavori, che renderà lo svolgimento più dinamico e partecipativo, con interventi e testimonianze, e il cui percorso terrà presente la continuità verso la seconda tappa, dopo la quale sarà pubblicato il documento sinodale.”

Oriana Fallaci e l'Islam: "Diventeremo l'Eurabia. Il nemico è in casa nostra e non vuole dialogare"


Questo può apparir demagogico, semplicistico, e perfino superficiale: lo so. Ma se analizzate i fatti vedrete che la mia è pura e semplice verità. La verità del bambino che nella fiaba dei Grimm, quando i cortigiani lodano le vesti del re, grida con innocenza: Il re è nudo. Pensateci ragionando sull'attuale tragedia che ci opprime. Perbacco, nessuno può negare che l'invasione islamica dell'Europa sia stata assecondata e sia assecondata dalla Sinistra. E nessuno può negare che tale invasione non avrebbe mai raggiunto il culmine che ha raggiunto se la Destra non avesse fornito alla Sinistra la sua complicità, se la Destra non le avesse dato il imprimatur. 

Diciamolo una volta per sempre: la Destra non ha mai mosso un dito per impedire o almeno trattenere la crescita dell’invasione islamica. Un solo esempio? Come in molti altri paesi europei, in Italia è il leader della Destra ufficiale che imita la Sinistra nella sua impazienza di concedere il voto agli immigrati senza cittadinanza. E questo in barba al fatto che la nostra Costituzione conceda il voto ai cittadini e basta. Non agli stranieri, agli usurpatori, ai turisti col biglietto di andata senza ritorno. Di conseguenza, non posso essere associata né con la Destra né con la Sinistra. Non posso essere arruolata né dalla Destra né dalla Sinistra. Non posso essere strumentalizzata né della Destra né della Sinistra. (E guai a chi ci prova). E sono profondamente irritata con entrambe. Qualunque sia la loro locazione e nazionalità. 

Attualmente, per esempio, sono irritata con la Destra americana che spinge i leader europei ad accettare la Turchia come membro dell’Unione Europea. Esattamente ciò che la Sinistra europea vuole da sempre. Ma le vittime dell’invasione islamica, i cittadini europei, non vogliono la Turchia a casa loro. La gente come me non vuole la Turchia a casa sua. E Condoleezza Rice farebbe bene a smetterla di esercitare la sua Realpolitik a nostre spese. Condoleezza è una donna intelligente: nessuno ne dubita. Certo, più intelligente della maggioranza dei suoi colleghi maschi e femmine, sia qui in America che al di là dell’Atlantico. Ma sul paese che per secoli fu l’Impero Ottomano, sulla non-europea Turchia, sulla islamica-Turchia, sa o finge di sapere assai poco. E sulla mostruosa calamità che rappresenterebbe l’entrata della Turchia nell’Unione Europea conosce o finge di conoscere ancora meno. Così dico: Ms. Rice, Mr. Bush, signori e signore della Destra americana, se credete tanto in un paese dove le donne hanno spontaneamente rimesso il velo e dove i Diritti Umani vengono quotidianamente ridicolizzati, prendetevelo voi. Chiedete al Congresso di annetterlo agli stati Uniti come Cinquantunesimo Stato e godetevelo voi. Poi concentratevi sull’Iran. Sulla sua lasciva nucleare, sul suo ottuso ex-sequestratore di ostaggi cioè sul suo presidente, e concentratevi sulla sua nazista promessa di cancellare Israele dalle carte geografiche.

domenica 21 settembre 2014

La necessità della Fede



Quando si parla della fede si tende oggi a pensare a una sorta di sentimento religioso, che ci fa star meglio, che ci permette di guardare al di là dei nostri orizzonti umani, ma tuttavia sempre in una prospettiva intimistica, come una fiducia in un Altro che ci fa sentir bene.

Da un punto di vista cattolico, niente è più lontano dalla Fede di una tale definizione.

Seppure la Fede del cattolico può avere come conseguenza un sentimento positivo, non si identifica in nulla con esso. La Fede del cattolico è anzitutto un dono di Dio che opera sulla nostra intelligenza, non sui sentimenti. Sì, proprio su quella facoltà così fredda e impopolare: la Fede illumina l’intelletto dell’uomo, e gli permette di conoscere e di accettare come reali degli oggetti esterni che altrimenti gli resterebbero ignoti.

sabato 20 settembre 2014

Firenze. Il Cardinale Betori, il divieto alla celebrazione in Vetus Ordo e la degiuridicizzazione della Chiesa – di Carlo Manetti


 articolo  
di Carlo Manettii su Riscossa Cristiana



Sua Eminenza Reverendissima, il Cardinale Giuseppe Betori, ha negato a Padre Serafino Lanzetta la possibilità di celebrare pubblicamente la Santa Messa di sempre in diocesi di Firenze, dove, il 25 settembre prossimo venturo, sarà presentato il suo libro «Il Vaticano II, un Concilio pastorale. Ermeneutica delle dottrine conciliari» (clicca qui per il programma dell’incontro): in quella circostanza, gli organizzatori, vale a dire l’Associazione Comunione Tradizionale, avrebbero voluto far precedere l’evento da un Santo Sacrificio della Messa, celebrato dallo stesso padre Serafino.

CLICCA QUI per leggere il testo della richiesta inoltrata da Comunione Tradizionale. CLICCA QUI per leggere la risposta dell’Arcivescovo

A tale «cortese richiesta»[1] l’Arcivescovo di Firenze ha risposto che «il contesto in cui si dovrebbe svolgere la Santa Messa nella forma straordinaria del Rito Romano […] è con tutta evidenza atteso a proporre un’iniziativa, più volte ripetuta in questa città, tesa a svilire il significato della portata dottrinale del Concilio Vaticano II, come si evidenzia dal titolo del libro di p. Serafino Lanzetta che si vuole presentare. Tale iniziativa, inoltre, dovrebbe poter registrare una presenza ufficiale a Firenze di p. Serafino Lanzetta, che i suoi Superiori, legittimamente costituiti dal Sommo Pontefice, hanno ritenuto di far risiedere altrove e dai quali non mi è giunta comunicazione di aver concesso un regolare permesso.

In questo contesto, il permesso per una celebrazione liturgica pubblica ad esso collegata costituirebbe un concreto sostegno dell’autorità religiosa fiorentina a posizioni che, come Pastore cattolico, non posso assolutamente condividere.

““Padre Candido e quel segreto sull’inferno””





Don Gabriele Amorth

Oggi si è aperta la causa di beatificazione e canonizzazione di Padre Candido Amantini, sacerdote passionista e per 36 anni esorcista di Roma, alla Scala Santa. Il suo allievo più celebre (considerato anche il successore) è Don Gabriele Amorth, 87 anni, che oggi ha voluto partecipare alla cerimonia di apertura del processo. Il sacerdote paolino, che di recente ha pubblicato il volume “L’ultimo Esorcista”, ha voluto ricordare il padre passionista e ci ha raccontato di quella volta che il diavolo si mise a discutere con il suo maestro dell’inferno.

venerdì 19 settembre 2014

L'araldo del gran re Omelia di Joseph Ratzinger in occasione della prima messa di un amico sacerdote (1955)



L'araldo del gran re
di Joseph Ratzinger

Era l'aprile del 1207, nell'Italia piena di sole. Era il mese in cui san Francesco d'Assisi era stato diseredato e ripudiato da suo padre. Non aveva più niente, non era suo nemmeno l'abito che portava addosso; e tuttavia possedeva qualcosa che nessuno poteva sottrargli, vale a dire l'amore di Dio al quale ora poteva dire «Padre» in un modo del tutto nuovo. 
E sapeva che questo era molto di più che possedere il mondo intero. Così il suo cuore era ricolmo di una grande gioia e cantando camminava attraversando i boschi dell'Umbria. Ma d'improvviso, vicino a Gubbio, dalla boscaglia balzano due briganti pronti ad assalirlo; e stupiti dal suo aspetto così curioso gli chiedono: «E tu chi sei?». E lui risponde: «Sono l'araldo del gran re».
Francesco d'Assisi non era un sacerdote, bensì rimase tutta la vita diacono; ma quello che disse in quel momento è parimenti una descrizione profonda di cosa sia e debba essere un sacerdote: è l'araldo del gran re, di Dio, è annunciatore e predicatore della signoria di Dio che si deve estendere nel cuore dei singoli uomini e in tutto il mondo. 
Non sempre l'araldo percorrerà la sua strada cantando; a volte sì, certamente, perché il buon Dio a ogni sacerdote dona sempre di nuovo momenti nei quali, con stupore e letizia, riconosce quale grande compito Dio gli ha dato. Ma contro questo araldo si levano sempre anche i briganti, per così dire, ai quali quell'annuncio non piace: sono in primo luogo gli indifferenti, che per Dio non hanno mai tempo, quelli ai quali -- proprio nel momento in cui Dio li chiamasse -- verrebbe in mente che in realtà hanno qualcos'altro da fare, che hanno tanto di quel lavoro da sbrigare; poi ci sono quelli che dicono che non bisognerebbe costruire le chiese, ma anzitutto le case, e ai quali poi però sta bene che spuntino cinema e luoghi di divertimento di ogni tipo.
A loro il sacerdote deve sempre di nuovo annunciare il fatto, spesso scomodo, che l'uomo non vive di solo pane ma che nella stessa misura, anzi di più, egli vive della Parola di Dio. E che l'uomo non viva di solo pane ma di qualcosa di più, penso che oggi possiamo addirittura vederlo. Sempre di più ci sono persone che hanno tutto quello che desiderano, che hanno abbastanza soldi per vestirsi e per mangiare come vogliono e che tuttavia un certo giorno la fanno finita: «non riesco più a vivere», dicono, «non ce la faccio più, non ha più senso». È qui che si vede che l'uomo ha bisogno di qualcosa di più del pane, che c'è in lui una fame più profonda, la fame di Dio che può essere saziata dalla Parola di Dio.
Ritengo che, coll'occasione di questa predica e della celebrazione di questa prima messa, potremmo tutti un po' riflettere oggi se non siamo anche noi, in una forma o in un'altra, tra quegli indifferenti che con il loro criticare, con il loro arrivare in ritardo o non venire affatto, rendono più difficile o fanno perdere al sacerdote il gusto per il suo lavoro. 
Poi c'è anche chi è ostile, quelli che dietro a ogni sacerdote scorgono il rappresentante del clericalismo, di un potere contro il quale dovrebbero difendersi; e non c'è bisogno che vi dica gli slogan e i pensieri che oggi circolano al riguardo, perché li conoscete tanto quanto me; e tutti noi -- credo -- vediamo non solo il sudore che costa il lavoro di mietitura ma anche quanto sudore esige il raccolto del Regno di Dio da parte di chi il Signore ha inviato come operaio nel suo campo, sul quale certo crescono anche i cardi e le spine, non diversamente dal campo di questo mondo.
E nonostante tutte le opposizioni, il sacerdote dovrà sempre di nuovo portare l'annuncio della signoria di Dio che si vuole estendere in questo mondo, poiché lui è l'araldo del gran re, di Dio, uno che grida nel deserto del tempo; ovvero per dirla con i teologi, in modo più semplice e asciutto: egli non ha solo parte alla funzione pastorale di Gesù Cristo ma anche alla sua funzione magisteriale; egli non è solo mandato per amministrare i Sacramenti ma anche per annunciare la Parola di Dio.
Cari cristiani! Quello che ho potuto dire in questa predica sono solo pochi, insignificanti e piccoli dettagli dell'immagine complessiva dell'esistenza sacerdotale. Ma di fronte alla grande realtà di Dio in fondo ogni uomo è come un bambino che balbetta, e anche l'uomo più grande non riesce a dire più di qualche insignificante dettaglio. In conclusione, vorrei ripetere ancora una volta la preghiera che vi ho rivolto in precedenza; prima di mettersi a servizio, nella preghiera eucaristica, del miracolo della santa consacrazione, il sacerdote novello si volterà ancora una volta verso di voi dicendovi: «Orate fratres: pregate fratelli, perché il mio e vostro sacrifico sia gradito a Dio, il Signore!». 
Allora vi prego di non considerare queste parole come una frase fatta che il Messale riporta, come una formula che il sacerdote deve pronunciare perché quello è il momento in cui va fatto; consideratela invece come una preghiera vera e propria che egli rivolge a voi tutti. Perché forse oggi quello di cui ha più bisogno il sacerdote è che si preghi tanto per lui; per lui è infinitamente consolante sapere che le persone si prendono cura di lui di fronte a Dio, che pregano per lui. È come se una mano buona lo tenesse in una ripida salita tanto da avere questa certezza: «Posso andare avanti tranquillo, perché sono sostenuto dalla bontà di coloro che sono con me».
E ogni volta che in futuro andrete a messa e sentirete questa formula, Orate fratres (pregate fratelli!), consideratela come un'esortazione, come una vera preghiera rivolta a voi dal vivo: pregate fratelli, perché l'offerta della vita di questo sacerdote e di tutti i sacerdoti sia gradita a Dio, il Signore.

Así torturan y asesinan a nuestros hermanos en Irak y Siria



ADVERTENCIA: IMÁGENES IMPACTANTES DE LA VIOLENCIA PERPETRADA CONTRA LOS CRISTIANOS EN IRAK Y SIRIA.







En los últimos meses, mayorías musulmanas simpatizantes del Estado Islámico hanperpetuado horrorosos crímenes contra los cristianos en medio oriente. Comoadvirtió el cardenal Filoni, “ahora estamos en la tercera mayor persecución” (perpetuada por los musulmanes a los cristianos en el último siglo). El enviado especial del Papa a Irak dejaba claro que esta no era la primera persecución en los últimos cien años, y según sus propias palabras, ni siquiera era la peor.


Difícil es imaginarnos algo peor que lo que actualmente sucede en Irak y Siria. Las imágenes que llegan hasta nosotros no pueden sino aterrarnos. A pesar de ello, continuamente van aumentando las atrocidades captadas a través de las cámaras, y que son difundidas por los propios criminales en Internet y las redes sociales con el fin de captar la simpatía de aquellos fieles musulmanes, que siguiendo las directrices del Corán, ven la obligación de “cortar el cuello” a quienes no siguen el islam (Corán 8:12). La crueldad y la barbarie de los islamistas no tiene paragón, y desde Infovaticana sentimos la obligación de comunicar a nuestros lectores la realidad que nuestros hermanos en la Fe están viviendo en medio oriente.

Non si scherza con i sacramenti, nuovi non possumus porporati


Scola, Ouellet e numerosi grandi teologi rigettano i facilismi dei tedeschi sulla comunione ai risposati

di Matteo Matzuzzi


Cardinali riuniti nella loggia delle benedizioni

Roma. C’è anche un lungo saggio del cardinale Angelo Scola, nel numero speciale presinodale di Communio, la rivista fondata da Hans Urs von Balthasar, Henri de Lubac e Joseph Ratzinger, interamente dedicato al matrimonio. Il tema che più d’ogni altro divide è quello del riaccostamento dei divorziati risposati all’eucaristia, auspicato da chi come il cardinale Walter Kasper ritiene inimmaginabile che chi è andato incontro a un fallimento matrimoniale “cada in un buco senza via d’uscita” e rifiutato da quanti considerano tale via libera una sorta di dispensa dai comandamenti di Dio e dalle istruzioni della chiesa. Spesso, scrive Scola, la chiesa è accusata di essere poco sensibile e assai poco comprensiva quando ha a che fare con i divorziati risposati. Andrebbero però indagate in profondità le ragioni di una posizione non improvvisata, ma “fondata sulla divina rivelazione”. E poi, qui non si sta parlando di “una azione arbitraria del magistero della chiesa”, quanto della consapevolezza del legame che unisce da sempre il sacramento dell’eucaristia al sacramento del matrimonio. A rendere impossibile l’accesso alla comunione non è dunque la volontà di disattendere quelle attese dei fedeli cattolici che a giudizio di Kasper non possono essere disattese dal Sinodo prossimo venturo, tantomeno lo è il piacere d’arroccarsi su posizioni considerate superate dal moltiplicarsi di tutte le “situazioni inedite fino a pochi anni fa” (dal gender alle famiglie cosiddette patchwork, fino alle unioni tra persone dello stesso sesso) che non furono affrontate in modo approfondito durante il Sinodo del 1980: a impedire l’accostamento all’eucaristia è solo “lo stato nel quale si trovano coloro che hanno stabilito un nuovo legame”. “Uno stato – scrive Scola – che contraddice ciò che è significato dal legame tra l’eucaristia e il matrimonio”.

“Il divorzio nella chiesa antica? Falso”

Anche i riferimenti fatti dal cardinale Kasper alla prassi della chiesa dei primi secoli – ritenuta più permissiva e flessibile circa i fedeli divorziati e risposati – nella lunga relazione teologica dinanzi al collegio cardinalizio riunito in concistoro lo scorso inverno, lasciano il tempo che trovano: si tratta di “interpretazioni che ancora non sembrano fornire la prova di comportamenti sostanzialmente differenti da quelli di oggi”, aggiunge l’arcivescovo di Milano. E a conferma di ciò, la rivista ripubblica un ampio testo del padre gesuita Henri Crouzel, scomparso nel 2003 e già professore di Patristica all’Istituto cattolico di Tolosa e all’Università Gregoriana di Roma, in cui si bollano come “false” le teorie sulla flessibilità rispetto al divorzio e al secondo matrimonio nella chiesa dei primi tempi: “Non si può deformare la ricerca storica”, e poi è abbastanza “inutile falsare la storia dei primi secoli con l’obiettivo di adattarla alle riforme che qualcuno potrebbe desiderare per il secolo Ventesimo”, sottolineava padre Crouzel. Tra i contributi presenti nel volume, c’è anche quello del cardinale Marc Ouellet, prefetto della congregazione dei Vescovi scelto da Benedetto XVI nel 2010 e confermato da Francesco. Il porporato canadese si sofferma in modo particolare sulla questione riguardante la comunione ai divorziati risposati e ricorda che “le nuove aperture per un approccio pastorale basato sulla misericordia devono concretizzarsi nella continuità della tradizione dottrinale della chiesa, che è essa stessa un’espressione della divina misericordia”.Ouellet, di cui Communio ripubblica l’intervento tenuto in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario del Tribunale ecclesiastico di Valencia, non chiude alla riflessione su “alcune iniziative innovative che rispondano alle nuove sfide dell’evangelizzazione”. Il punto chiave, però, è che l’aiuto che si deve concedere ai divorziati risposati ha un limite ben chiaro: “Quello imposto dalla verità dei sacramenti della chiesa”. Quel che bisogna fare, semmai, è “ricordare il patrimonio” lasciato da “Giovanni Paolo II, il Papa della famiglia”. Certo, il limite imposto è doloroso, ma “non impedisce alla misericordia di raggiungere il cuore e l’anima delle persone in una situazione irregolare”. E poi – precisa il prefetto della fabbrica dei vescovi – “mantenere questo limite non equivale a dire che queste coppie vivono in peccato mortale o che viene loro negata la Santa Comunione per questa ragione morale”. Queste persone “possono sinceramente pentirsi e ottenere il perdono, ma rimangono impossibilitate a godere della consolazione del segno sacramentale”. La ragione di questa limitazione – prosegue Ouellet – “non è morale, bensì sacramentale. Il secondo matrimonio rimane un ostacolo oggettivo che non permette di partecipare alla sacramentalità di Cristo e della chiesa”.

Misericordia non è compassione psicologica

Nicholas Healy, docente di Filosofia e cultura all'Istituto John Paul II presso la Catholic University of America, ricorda che il dibattito in corso non è altro che una ripresa dello scontro che s’ebbe vent’anni fa, con la lettera sull’attenzione verso i divorziati risposati scritta e firmata da tre presuli tedeschi di rango: l’allora arcivescovo di Friburgo Oskar Saier, Karl Lehmann e Walter Kasper. I vescovi proponevano di stabilire alcuni criteri che avrebbero poi condotto i singoli individui ad accostarsi all’eucaristia: pentirsi per il fallimento del primo matrimonio, dar prova che il matrimonio civile sia stabile nel tempo, accettare gli impegni assunti con il secondo matrimonio. Sotto queste condizioni, scrivevano Saier, Lehmann e Kasper, le persone risposate civilmente avrebbero potuto ricevere la comunione. Peccato che, ricorda Healy, pochi mesi più tardi la congregazione per la Dottrina della fede a guida Ratzinger, pubblicò una lettera diretta “ai vescovi della chiesa cattolica” riguardante proprio la questione dell’eucaristia per i divorziati risposati.

L’ex Sant’Uffizio citava solo due documenti, la Familiaris Consortio giovanpaolina e il Catechismo della chiesa cattolica, per ribadire in poche parole che “la dottrina e la pratica della chiesa precludono ai cattolici risposati civilmente di ricevere la comunione, dal momento che la loro condizione di vita oggettivamente contraddice l’unione d’amore tra Cristo e la chiesa”. Il fatto è, osserva sempre nel numero speciale di Communio padre Fabrizio Meroni, professore di Antropologia teologica al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II di Roma, che in molte circostanze “si riduce l’assistenza pastorale per i divorziati risposati a una compassione psicologica, a una simpatia superficiale o a una soggettiva comprensione misericordiosa che cerca di portare gli sposi di nuovo nella vita sacramentale della comunità”. Ma l’auspicio di essere riammessi all’eucaristia, aggiunge Meroni, non può essere una rivendicazione: il sacramento è semplicemente un dono.



giovedì 18 settembre 2014

Aleppo, l' addio che spezza il cuore


TO LEAVE OR NOT TO LEAVE

Aleppo, Lettera n° 19


Rimanere o partire, questo è il dilemma a cui sono di fronte oggi, più che mai, i siriani, in particolare gli Aleppini. Cosa fare? Resistere ancora? Rimanere nonostante tutto quello che sta succedendo? Nonostante tutto ciò che soffriamo da oltre tre anni? Qual è la soluzione? Qual sarà il futuro? Ma anzitutto, ce ne sarà uno? Lasciare definitivamente il Paese? Andare a cercare altrove un futuro e, soprattutto, quello dei propri figli? Ma dove? E come? Fare una croce sul proprio passato? Lasciare tutto quello che si ha e ricominciare da capo? La litania di queste domande alle quali nessuna risposta è possibile è lunga e ci tormenta tutto il giorno. Le persone che temporeggiavano, che avevano lasciato le domande e le risposte in sospeso in attesa di vederci più chiaramente, o perché speravano in una prossima soluzione della crisi o semplicemente perché non avevano il coraggio di partire, lasciano ora un numero crescente la Siria, specialmente i cristiani, per prendere la via dell'esilio definitivo verso un paese che non hanno scelto. "Non importa dove vado, la cosa importante è che io lì ci arrivi e possa vivere in pace."


La pazienza del popolo si sta esaurendo: dopo 3 anni di conflitto siriano (con i suoi 192.000 morti, i suoi milioni di sfollati e rifugiati), non vede nessuna soluzione all'orizzonte. Inoltre, la sequenza degli eventi ha fatto perdere anche ai più ottimisti le illusioni. Prima il blocco durato diverse settimane della città, seguito dal taglio totale di acqua per più di due mesi , il tutto costellato da piogge di colpi e mortai che continuano a fare il loro raccolto quotidiano di morti e feriti. …


mercoledì 17 settembre 2014

«No alla comunione ai divorziati» Cinque cardinali contro le aperture


Presa di distanza da Kasper, incaricato dal Papa di fare la relazione al Concistoro Müller (ex Sant’Uffizio): «Misericordia non è dispensa dai comandamenti»

di M. Antonietta Calabrò


«Non possumus», la celebre risposta di papa Clemente VII a Enrico VIII, all’origine dello scisma della Chiesa anglicana, quando il Pontefice non assecondò la richiesta di scioglimento di un singolo matrimonio, sia pure reale e nonostante le conseguenze, riecheggia più volte in un volume molto atteso in vista del prossimo Sinodo dei vescovi sulla famiglia. Già il titolo dice tutto: Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e comunione nella Chiesa cattolica. Il libro (esce quasi in contemporanea in Italia, il 1° ottobre, editore Cantagalli, e negli Stati Uniti) riunisce assieme gli scritti di cinque cardinali e di altri quattro studiosi, in risposta a quanto sostenuto nella relazione tenuta da un altro cardinale, Walter Kasper, su incarico di papa Francesco davanti al Concistoro straordinario del 20 e 21 febbraio. Allora, Kasper aveva lanciato un appello affinché la Chiesa armonizzasse «fedeltà e misericordia di Dio nella sua azione pastorale riguardo ai divorziati risposati con rito civile». Un punto focale del Concistoro, voluto da Bergoglio proprio in vista del Sinodo che si sta per aprire ad ottobre sulle «sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione».

Esilio a Malta per il cardinale Burke


Da impeccabile prefetto del supremo tribunale della segnatura apostolica, è sul punto d'essere declassato al ruolo puramente onorifico di "patrono" di un ordine cavalleresco. Per volontà di papa Francesco 

di Sandro Magister


CITTÀ DEL VATICANO, 17 settembre 2014 – La “rivoluzione” di Papa Francesco nel governo ecclesiastico non perde la sua spinta propulsiva. E così, come avviene in ogni rivoluzione che si rispetti, continuano a cadere teste di ecclesiastici ritenuti meritevoli di questa metaforica ghigliottina.

Nei suoi primi mesi da vescovo di Roma, papa Bergoglio provvide subito a trasferire a incarichi di minor rango tre personalità curiali di spicco: il cardinale Mauro Piacenza, l'arcivescovo Guido Pozzo e il vescovo Giuseppe Sciacca, considerati per sensibilità teologica e liturgica tra i più “ratzingeriani” della curia romana.

Sembra altrettanto segnata la sorte dell’arcivescovo spagnolo dell’Opus Dei Celso Morga Iruzubieta, segretario della congregazione per il clero, destinato a lasciare Roma per una diocesi iberica non di primissimo piano.

Ma ora sarebbe in arrivo un'ancor più eminente decapitazione.
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