di L. P.
Sabato, 22 febbraio 2014, nella Basilica di San Pietro, papa Bergoglio ha tenuto il concistoro ordinario pubblico durante il quale ha conferito la dignità e la berretta cardinalizia, a 19 nuovi prìncipi della Chiesa. Seppure da sempre il concistoro è, giustamente, una cerimonia solenne e fastosa, esso tuttavia si veste di sacralità e, come rito della Chiesa, segue regole canoniche che dànno pieno senso a un titolo che, al di là della magniloquenza del termine, esprime il concetto di servizio e di dedizione alla Chiesa.
Poiché da quando felicemente regna papa Bergoglio, ogni cerimonia è stata, se non stravolta almeno variata nelle forme e nei contenuti, anche questo concistoro, sia pur nelle linee della normativa emanata da Benedetto XVI il 18 /02/2012, ha offerto motivo, a noi così come a tanti altri osservatori, di commentarlo secondo prospettive personali di consenso e di critica. E per come il rito è stato officiato, con la testimonianza delle testate giornalistiche e televisive, numerosi sono i punti su cui può indirizzarsi la nostra ricognizione con cui vorremmo mettere in evidenza talune distonie ed alcuni aspetti non correttamente canonici. Non temiamo di eccedere nel nostro dire se, in premessa, definiamo il concistoro, questo concistoro, uno spettacolo in cui parte assai grande è stato lo stravolgimento canonico, l’esteriorità, la mondanità e poca – quanto basta - la spiritualità.
La presenza, anticanonica, inimmaginabile ed unica nella storia della Chiesa, di due papi – uno in carica, Francesco I, l’altro in pensionamento “emerito”, l’ex Benedetto XVI - è il primo aspetto negativo con cui apriamo questa nostra ricognizione. Le cronache e le immagini ci narrano di un reciproco abbraccio “caloroso, segno di un rapporto di profonda stima, affetto e rispetto tra i due pontefici” (Il Giornale, 23 febbraio 2014 pag. 20).
A noi non sembra che stima, affetto e rispetto siano le cifre impresse ed espresse da questo abbraccio perché se così fosse, gli addetti ai lavori e coloro che sono addentro le segrete cose vaticane ci dovrebbero spiegare perché mai papa Bergoglio avrebbe commissariato i Frati Francescani dell’Immacolata vietando loro l’applicazione del decreto di Benedetto XVI, il Summorum Pontificum con cui, sia pur con gesto politico astuto, subdolo e del tutto superfluo era stato “liberalizzato” il rito della Santa Messa secondo il Vetus Ordo. Ma la presenza del papa emerito, cardinal Ratzinger, provoca altre riflessioni e disegna altri scenarii.
Intanto ha violato l’impegno che egli si assunse, al momento della biasimevole e irrituale rinuncia alla cattedra di Pietro, di vivere lontano dai rumori della vita vaticana, lontano dai massmediatici scenarii, nello studio e nella preghiera. Che cosa significano, allora, la sua presenza, gli abbracci e le ovazioni del sacro collegio? Proviamo a formulare un “ragionamento” – se così possiamo definire – che al momento è un’ipotesi azzardata al limite massimo dell’impossibile, del virtuale, ma che va esposto in quanto contiene elementi non del tutto alogici.
Qualche giorno prima del Concistoro è apparsa, su molte testate giornalistiche – naturalmente ad arte fatta trapelare dagli uffici delegati, perché si sapesse - la notizia del rinnovo del passaporto intestato al cittadino argentino Jorge Mario Bergoglio.
In molti si son chiesti quale significato avesse questa operazione burocratica, del tutto fuori schema per il Papa quale capo di Stato e, soprattutto, quale Vicario di Cristo, Padre, Pastore della Chiesa Cattolica che, proprio per tale qualifica, non ha più una “sua” patria.
C’è chi la valuta come ulteriore dimostrazione della volontà del pontefice di qualificarsi, sulla scia delle numerose esternazioni date in tal senso, come uomo qualunque;
chi la segnala come attestato di affetto per la sua terra natale;
chi addirittura come indizio della sua volontà di trasferire la sede apostolica – come di fatto ha trasferito la sua residenza dai palazzi apostolici all’albergo di Santa Marta – in Argentina, replicando la cattività di Avignone (1305 – 1377);
chi come latente intenzione di un suo prossimo “congedo”, così come tempo fa si vociferava, a riforma conciliare conclusa.
Sicché, tornando a Ratzinger papa emerito, la sua presenza al Concistoro sarebbe il segno di una “rioccupazione” del seggio di Pietro, di un rientro nelle sacre stanze. Fantasie, certamente anche perché il gioco sarebbe dei più dissacranti e perché l’età dell’emerito non lo consentirebbe. Ma chi avrebbe definito fantasìa le dimissioni di Benedetto XVI, annunciate l’11 febbraio 2013 anniversario di Lourdes, per supposti motivi clinici e per “ingravescente aetate” che, stando al Concistoro e alle dichiarazioni dei medici, si son dimostrati non ancora così gravi? Nessuno: e tuttavia dimissioni furono. Un fulmine a ciel sereno, commentò il cardinale Angelo Scola.
Eppure, nonostante le molte domande che la presenza in contemporanea di due papi necessariamente pone, ci sono normalisti che la ritengono “testimonianza di unità profonda, di sintonia esplicita utile a smorzare certe tendenze emergenti a contrapporre il magistero di Benedetto XVI a quello di Francesco” (Maurizio Caverzan: Il Giornale, 24 febbraio 2014 pag. 14). Poiché l’articolista è di coloro che se ne intendono e di storia ecclesiastica e di Diritto Canonico, da lui ci aspettiamo la risposta a quanto sopra, in forma generica, abbiamo chiesto: è segno di rispetto, di unità profonda e di sintonìa la cancellazione del “Summorum Pontificum”?
Restiamo in attesa.
Quanto a questa duplice “papalità”, non possiamo non riportare, tanto per dare un fondamento al nostro commento, il famoso passo delle profezie della beata Anna Katharina Emmerich, laddove la mistica sembra averne previsto la sconvolgente anomalìa quando narra di una
“Messa breve. Il Vangelo di San Giovanni non veniva letto alla fine. Vidi anche il rapporto tra due papi… Vidi quanto sarebbero state nefaste le conseguenze di questa falsa chiesa. L’ho veduta aumentare di dimensioni: eretici di ogni tipo venivano nella città [Roma] Il clero locale diventava tiepido, e vidi una grande oscurità” (13 maggio 1820).
Il lettore che volesse approfondire questa prospettiva, consulti “Visioni – Anna Katharina Emmerich”, ottimo libro delle Edizioni Cantagalli – 1995/2012.
Il cerimoniale che regola lo svolgimento del rito prevede che, nel momento di ricevere la berretta cardinalizia, il candidato si avvicini al Papa e gli si inginocchi davanti. Il Pontefice, a questo punto, gli impone la berretta cardinalizia “rossa, come segno della dignità del cardinalato, a significare che dovete essere pronti a comportarvi con fortezza sino all’effusione del sangue, per l’incremento della fede cristiana, per la pace e la tranquillità del popolo di Dio e per la libertà e la diffusione della santa Romana Chiesa” (ex decreto 18/02/2012).
Non abbiamo niente da eccepire – anzi - in quanto, nella Chiesa e nella sua santa liturgìa – lo dicemmo molte volte in questi nostri interventi – ogni gesto, ogni aspetto, ogni colore anche, diventano “segni” dotati di profonda e spirituale connotazione. Berretta rossa, che accosta il servizio del neocardinale all’evento possibile del martirio, al sangue da spargere per la fede così come lo sparse Gesù. Eccepiamo, invece, riguardo a quella trovata anticonformista, pubblicitaria, populista e contraddittoria che papa Bergoglio tirò fuori dal cilindro quando, ad elezione avvenuta, rifiutandosi di calzare le “pantofole rosse”, si presentò alla platea mondiale con un paio di proletarie scarpe nere dai lacci penzoloni. Si levarono cori di osanna e di evviva a lui che, con simile atto, fece intendere esser conclusa l’èra del divismo, dell’eleganza, della sartorìa di classe, del rosso Valentino, inopportuni orpelli, nell’attuale clima di crisi, per chi si sentiva uno dei tanti, fosse anche il Papa. Ma non rammentò, o non volle rammentare che, analogamente alla berretta, le pantofole rosse rivestivano un altissimo significato, ma di più alta e trascendente connotazione. Il Papa, che le calzava, ricordava a sé stesso e ai cristiani cattolici i santi piedi di Cristo, forati e roridi di sangue, che avrebbero camminato sul sentiero mai intermesso della Chiesa martire.
Particolare: i tanti sacerdoti e i molti fedeli, compresi i catechisti a cui chiediamo il significato delle pantofole rosse, rispondono di non conoscerlo almanaccando, tutt’al più, un elemento estetico. E allora, stiano certi, i cardinali, che non passerà tempo che papa Bergoglio, tornandoci sopra, nel solco della sua riforma ecclesiale, decreterà la fine anche del galero episcopale, dello zucchetto, della berretta cardinalizia e della mitria papale come ha decretato la fine delle pantofole rosse e del pettorale d’oro.
Si prevede probabile copricapo un qualsiasi berretto, anche quello sportivo che già papa Bergoglio ha indossato più e più volte in piazza San Pietro scambiandolo col suo zucchetto bianco. Ma resta in forte quotazione la qippah ebraica e l’adozione dell’ephod al posto del pettorale.
E sulla scia della riforma, iniziata con Paolo VI quando il 13 novembre 1964 depose la tiara – il triregno - ritenuta espressione e simbolo di potere, i pontefici hanno via via indossato le più svariate, eccentriche e banali fogge di copricapi.
Dobbiamo, per la tiara, ripetere quando detto per le pantofole rosse: sacerdoti, catechisti e fedeli da noi interrogati sul significato di questa, nella totalità hanno concordato su un superficiale concetto di potere politico, ma nessuno ha saputo ravvisarvi i tre poteri di Cristo: sacerdotale, regale, magisteriale, i quali basterebbero da soli a giustificarne l’adozione e a darne una spiegazione di facile e solare comprensione.
Ma a questa significanza, peraltro assai densa, si premette altra maggiormente alta, quella che, secondo San Paolo, si ravvisa nel dominio di Cristo sul mondo ultraumano, umano ed infraumano, laddove egli scrive: “Per questo Dio lo ha sovranamente esaltato e gli ha dato un nome che è sopra ogni altro nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio in cielo, in terra e negli inferi” (Fil. 2,9/11), ribadendo questa verità con ulteriore annuncio in cui evidenzia “la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità della carità di Cristo”. (Ef. 3, 18).
Questa era, questa è la tiara che Paolo VI ha deposto e vilipeso, obbedendo al suggerimento, o meglio, al comando del mondo.
Questa crassa e colpevole ignoranza sui significati e sui segni cristiani è la causa per cui si favorisce e si avvantaggia lo sgretolamento delle istituzioni sotto i colpi del neomodernismo liberale e massonico che avanza su un fronte indifeso. Quello dell’ignoranza, appunto.
Ma torniamo al tema.
A conferire, a questo Concistoro, l’alone di spettacolo ci ha pensato il siparietto intrattenuto dal Papa con la presidente del Brasile, Dilma Rousseff - intervenuta per festeggiare l’arcivescovo di Rio mons. Orani Tempesta neocardinale - la quale, con il marchio di una cultura laica e superficiale, ha sentito l’urgenza di donare al Papa la “maglia sportiva” autografata del calciatore brasiliano Edson Arantes do Nascimiento, alias Pelè, da conservare con cura in qualche teca pontificia al pari d’una reliquia, considerato con quanto entusiasmo Francesco I segue le vicende del calcio sudamericano, e in misura particolare, la squadra argentina del San Lorenzo della cui maglia è già fortunato possessore.
Noi possediamo, tra i tanti libri di vario contenuto e forma, il catalogo dei doni che pervennero, nel 1888, al grande pontefice Leone XIII in occasione del decimo anniversario della sua elezione al soglio di san Pietro. Consiste, il volume, “Esposizione vaticana illustrata”, in un elegante in-folio di 320 pagine, ricco di pregevoli incisioni che riproducono i doni fatti affluire, da tutto il mondo, alla mostra allestita per l’occasione in Vaticano, stampato a cura di “Gustavo Bianchi e C. Editori – Roma MDCCCLXXXVIII”. Vi figurano: piviali, amitti, pianete, mozzette, camici, stole, cotte, pallii, tunicelle, veli omerali, mantelli papali, dalmatiche, mitrie riccamente decorate, e poi: calici, ostensorii, ciborii in oro e ceramica, porcellane, bronzi, libri, quadri, statue. Ma non vi si trova una qual che sia traccia di effimero: maglie sportive, scarpette, palloni, gagliardetti, berretti, bandierine, pifferi, tamburelli, nasi a pomodoro, lattine di aranciata.
Taluno dirà: i tempi sono cambiati.
Vero, ma disgraziatamente con essi e per essi è cambiato anche il volto della Chiesa.
A completamento della notizia, facciamo noto che una grande massa di questi doni, è esposta nei Musei vaticani, nei pressi della Biblioteca.
I soliti cronisti mondaioli hanno, per l’occasione, avuto agio e argomento per tirar giù servizi sul papa “tifoso” tra melensaggini e idiozie, sottolineando come, con questo pontefice, anche il “tifo calcistico” è consacrato quale vera e propria fede tal che, nella fattispecie dei prossimi campionati mondiali, “il papa – annota lo spiritoso articolista -non pregherà per il Brasile”.
E tutti a battere le mani.
Premessa al cerimoniale è stato l’intervento del cardinale Walter Kasper il quale non ha fatto mistero di una revisione della dottrina sui divorziati, pronunciando sì, a mo’ di cautela, l’impegno a non derogare dalla posizione secolare ma, “tuttavia”, operando secondo un cristianesimo “inclusivo”, con approccio “oltre il rigorismo e il lassismo”. Che cosa, nonostante la farragine concettuale, voglia dire lo si capisce:affermiamo pure l’immutabilità della dottrina di Cristo, ma nello stesso tempo, diamoci delle “altre regole” e il resto verrà automaticamente. Cioè:divorziati risposati, coppie di fatto, coppie omosessuali, abbiate pazienza, tempo verrà che tutto si appiana. Chi siamo noi per giudicarvi?
Il solito parlare subdolo e circiteristico: no/però, sì/ma, certamente/tuttavia, vero “cavillo di Troia” con il quale lo scasso della fede, della dottrina e della liturgia s’è fatto profondo ed irreversibile.
Il “Si si no no” (Mt. 5, 37) appartiene, per questo eversore, a una Chiesa che si credeva unico strumento di salvezza, ma fortunatamente il Concilio, con “Lumen Gentium” e “Nostra aetate”, ha superato i rigorosi limiti di una dottrina buona per la Chiesa primitiva ma obsoleti per l’umanità contemporanea che trova e colloca Dio in qualunque manifestazione confessionale perfino nell’arte blasfema (pensiero e parola del cardinal G. F. Ravasi).
Una riflessione, questa di Kasper che, come si vede, è preparatoria al Sinodo dal quale, stiamone certi, scaturirà qualcosa di abnorme e rivoluzionario, “sicut est in votis” e dal quale, intanto si annuncia quale appendice, la diffusione di una lettera papale indirizzata alle famiglie del mondo il cui contenuto sarà rivelato a breve. Temi scontati: l’accoglienza ai divorziati e ai conviventi.
Nel corso del suo intervento, papa Bergoglio ha raccomandato ai neocardinali di astenersi dai giochi di potere, da intrighi, da chiacchiere e da banalità salottiere, di sentirsi in servizio e nella carità, di parlare secondo la norma evangelica del “si si no no”. Regole quanto mai opportune e necessarie che sottoscriviamo con intera la nostra adesione. Ma non ci esimiamo dal chiedere, con rispetto, che sia egli il primo ad astenersi: da giochi di potere e da intrighi di corte, col restituire libertà e dignità ai Frati Francescani dell’Immacolata; da banalità sconvenienti quali i siparietti carnevaleschi e le mascherate in piazza San Pietro; da chiacchiere e da imprudenti discorsi a braccio, quale l’intervista a Scalfari cancellata, poi, dal sito del Vaticano; dal repertorio salottiero – buon pranzo, arrivederci - con cui è uso salutare i fedeli in udienza, ripristinando il “Sia lodato Gesù Cristo”, l’unico saluto a lui spettante; dal cercare il consenso del mondo e una sovraesposizione mediatica come attestato dalla copertina di “Time”; dal sentirsi uno come tanti e soltanto “vescovo di Roma” perché egli è “per Christum, in Christo, cum Christo”, suo Vicario in terra - il potere più alto da Dio conferito all’uomo -, che non si deve inchinare nemmeno davanti alle regine mimando il baciamano. Infatti:
“Quis major papa in terris? Quae celsior auctoritas? Quae sublimior dignitas? Quae potestas altior quam Jesu Christi Vicariatus?” (Pio II –Commentarii vol. I pag. 1028 – Ed. Adelphi 2008).
Chi, sulla terra, maggiore del papa? Quale più eccelsa autorità? Quale più sublime dignità? Quale potere più alto di quello del Vicario di Cristo?
Domande perentorie, dall’ovvia risposta e vere “sfide” dottrinali che confermavano il pensiero del Poeta/teologo quando scrisse: “L’alma Roma… u’ siede il successor del maggior Piero” (Inf. II, 24) e “di quella Roma onde Cristo è romano” (Purg. XXXII, 101).
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