Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

venerdì 28 marzo 2014

Cento anni fa l’enciclica di Pio X contro il modernismo

I veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né novatori, ma tradizionalisti. (San Pio X, Lettera Apostolica “Notre charge apostolique”)





Cento anni fa Pio X emanava l’encliclica “Pascendi Dominaci Gregis”, ma l’anniversario è passato sotto silenzio nella stampa e nel mondo mediatico legato al cattolicesimo. Il motivo? Molti ormai non si riconoscono più nelle parole del papa, che nel suo documento ufficiale aveva tuonato contro il modernismo. Diversi ancora ritengono sostanzialmente corrette le idee ispiratrici del documento vaticano, ma hanno ripiegato su altre strategie che non siano l’attacco frontale.


Giovanni Maria Vian, nuovo direttore dell’Osservatore Romano, ha dichiarato: "Pio X fu un grande papa riformatore, che sulla questione modernista capì benissimo quale era la posta in gioco e i pericoli per la fede della Chiesa. Purtroppo la sua fama è ora legata per lo più ai modi con cui il modernismo venne combattuto, spesso con metodi indegni della causa che si intendeva difendere". Sostanzialmente si dissociano anche i gesuiti, con padre Sale, che su “Civiltà Cattolica smentisce la collaborazione del suo ordine alla stesura dell’enciclica, giudicata dagli schemi troppo “dottrinari”, e dai toni “duri e censori”, ma le critiche si rivolgono anche ll’applicazione che ne derivò, valutata "eccessivamente integralista e intransigente". Vian è professore di filologia patristica e specialista della storia del papato contemporaneo. Suo nonno, era molto amico di Pio X, cosa che però non gli ha impedito di esplicitare la sua posizione di dissenso.




Ascesa e caduta dei «cattolici adulti». A cento anni dalla lettera di san Pio X Notre charge apostolique
di Massimo Introvigne




Introduzione

Il 28 agosto 2010 celebriamo il centenario della lettera apostolica di Papa san Pio X (1903-1914) all’episcopato francese – non un’enciclica, ma equivalente a un’enciclica per importanza – Notre charge apostolique, del 28 agosto 1910. La lettera condanna il movimento del Sillon («Solco»), fondato in Francia nel 1902 – sulla scia di una precedente associazione, la Crypte, nata nel 1894 – da Marc Sangnier (1873-1950), all’epoca la principale organizzazione della scuola detta cattolico-democratica. La Notre charge apostolique costituisce il vertice dell’insegnamento sociale di san Pio X, ed è pure una delle descrizioni più complete dell’ideologia cattolica-democratica. Insieme, il documento mostra i riflessi politico-sociali del modernismo, che rappresenta il sistematico cedimento dei cattolici al relativismo filosofico e morale, e costituisce quindi un complemento indispensabile alla grande enciclica Pascendi del 1907 in cui san Pio X descrive e condanna l’eresia modernista. A san Pio X spetta infatti il merito – come affermerà, celebrando il suo santo predecessore, il venerabile Giovanni Paolo II (1978-2005) nel 1985 – di avere denunciato le «pieghe subdole del sistema teologico del modernismo» per «salvare la Chiesa dal rischio di dottrine alienanti per l’integrità del Vangelo (…) affinché la rivelazione non venisse sfigurata nel suo contenuto essenziale» (Giovanni Paolo II, «Omelia nella Solenne concelebrazione liturgica a Treviso», del 16-6-1985, disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/328kstq).

Potremmo chiederci se ha ancora interesse per noi una lettera apostolica di cento anni fa. Per comprendere perché questa lettera ha un’importanza cruciale, ed è tuttora attualissima, dobbiamo rifarci al grande quadro descritto dalla scuola contro-rivoluzionaria, cui Alleanza Cattolica s’ispira, e ripreso ripetutamente dal Magistero, che descrive la scristianizzazione dell’Europa e dell’Occidente come un processo le cui tappe salienti sono la Riforma protestante, la Rivoluzione francese, la Rivoluzione comunista e la rivolta contro la morale che ha il suo momento vessillare nel 1968. Come ha ricordato da ultimo Benedetto XVI nel corso del suo viaggio in Portogallo, ciascun momento di questo processo muove da «istanze» non sempre irragionevoli, ma quando passa dalle domande alle risposte cade in «errori e vicoli senza uscita» (Benedetto XVI, «Incontro con il mondo della cultura nel Centro Cultural de Belém», Lisbona, 12-5-2010, disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/37wsv92). E ognuno dei momenti in cui si articola quel processo di secolarizzazione e di scristianizzazione che la scuola contro-rivoluzionaria chiama Rivoluzione non è sostenuto solo da nemici aperti della Chiesa e del cristianesimo ma anche, per usare ancora le parole di Benedetto XVI in Portogallo, da «credenti che si vergognano e che danno una mano al secolarismo» (Benedetto XVI, «Incontro con i Vescovi del Portogallo nel Salone delle Conferenze della Casa Nossa Senhora do Carmo», Fatima, 13-5-2010, disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/3xotheh).

L’azione dei «credenti che si vergognano» non è semplicemente individuale, ma si organizza in correnti e movimenti. Così, c’è anzitutto un’importazione di principi e temi del protestantesimo all’interno della Chiesa, il giansenismo. Le teorie dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese sono fatte proprie da diverse correnti cattoliche, dal cattolicesimo liberale al modernismo. Il comunismo trova un corrispondente all’interno della Chiesa nella teologia della liberazione, che il 5 dicembre 2009 Benedetto XVI, ricordando il venticinquesimo anniversario dell’istruzione Libertatis nuntius da lui stesso firmata nel 1984 come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, definiva l’«assunzione acritica fatta da alcuni teologi di tesi e metodologie provenienti dal marxismo», affermando che «le sue conseguenze più o meno visibili fatte di ribellione, divisione, dissenso, offesa, anarchia si fanno sentire ancora oggi creando […] grande sofferenza» (Benedetto XVI, «Discorso ai Vescovi della Conferenza Episcopale del Brasile [Regione SUL 3 e SUL 4] in visita “ad Limina Apostolorum”», del 5-12-2009, disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviatohttp://tinyurl.com/ydrb4fq). Lo stesso «rapidissimo cambiamento sociale» e contestazione di ogni forma di morale iniziati negli anni 1960 hanno avuto come controparte ecclesiastica «la tendenza, anche da parte di sacerdoti e religiosi, di adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo», per non parlare dei cedimenti sui temi della vita e della famiglia di tanti laici cattolici impegnati in politica. Se sarebbe del tutto improprio concluderne che ogni contestatore della morale cattolica tradizionale è diventato un pedofilo, Benedetto XVI commenta però che «è in questo contesto generale» di «perdita del rispetto per la Chiesa e per i suoi insegnamenti» «che dobbiamo cercare di comprendere lo sconcertante problema dell’abuso sessuale dei ragazzi» (Benedetto XVI, Lettera ai cattolici dell’Irlanda, del 19-3-2010, disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/yhgjq2q).

La posizione di chi importa la Rivoluzione nella Chiesa, pretendendo di restare cattolico, è spesso rivendicata come atteggiamento coraggioso di «cattolici adulti». L’inganno di questa espressione, resa popolare dall’ex-primo ministro italiano Romano Prodi, è stato denunciato da Benedetto XVI quando ha chiuso nel 2009 l’anno dedicato a san Paolo. «La parola “fede adulta” – ha detto in quell’occasione il Pontefice – negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso. Ma lo s’intende spesso nel senso dell’atteggiamento di chi non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi Pastori, ma sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non credere – una fede “fai da te”, quindi. E lo si presenta come “coraggio” di esprimersi contro il Magistero della Chiesa. In realtà, tuttavia, non ci vuole per questo del coraggio, perché si può sempre essere sicuri del pubblico applauso. Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla fede della Chiesa, anche se questa contraddice lo “schema” del mondo contemporaneo. È questo non-conformismo della fede che Paolo chiama una “fede adulta”. È la fede che egli vuole. Qualifica invece come infantile il correre dietro ai venti e alle correnti del tempo. Così fa parte della fede adulta, ad esempio, impegnarsi per l’inviolabilità della vita umana fin dal primo momento, opponendosi con ciò radicalmente al principio della violenza, proprio anche nella difesa delle creature umane più inermi. Fa parte della fede adulta riconoscere il matrimonio tra un uomo e una donna per tutta la vita come ordinamento del Creatore, ristabilito nuovamente da Cristo. La fede adulta non si lascia trasportare qua e là da qualsiasi corrente. Essa s’oppone ai venti della moda. Sa che questi venti non sono il soffio dello Spirito Santo; sa che lo Spirito di Dio s’esprime e si manifesta nella comunione con Gesù Cristo» (Benedetto XVI, «Primi Vespri in occasione della chiusura dell’Anno Paolino», Basilica di San Paolo fuori le Mura, 28-6-2009, disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/ygzekkz).

Nello schema che ho cercato di tratteggiare, un passaggio decisivo per la formazione della mentalità dei «cattolici adulti», che con Benedetto XVI possiamo chiamare anche «credenti che si vergognano e che danno una mano al secolarismo», è l’affermarsi della scuola cattolico-democratica. Un «cattolico democratico» non è semplicemente un cattolico che esprime la sua preferenza, fra le varie forme politiche, per la democrazia. Questo è ovviamente lecito. Ma il cattolico democratico commette due errori. Il primo è quello di considerare la democrazia un metodo di per sé infallibile e una fonte di verità, così che una scelta avallata dal metodo democratico non potrebbe mai essere intrinsecamente cattiva o ingiusta. Se il cinquanta per cento più uno dei cittadini di un Paese in un referendum, o il cinquanta per cento più uno dei parlamentari legittimamente eletti, si pronunciano per l’aborto o per l’eutanasia il cattolico democratico dirà che si sente ancora privatamente vincolato dalla morale cattolica ma dal punto di vista pubblico e politico deve «accettare la scelta democratica». Il secondo errore è quello di non distinguere fra diverse forme di democrazia, e di prendere per buona specificamente quella forma di democrazia che è nata dalla Rivoluzione francese, che – proprio perché afferma l’infallibilità politica e morale del metodo democratico – rischia una deriva verso il totalitarismo, il quale – come ha rilevato tra i primi lo storico israeliano Jacob Talmon (1916-1980) sulla base del suo studio del pensiero di Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) – non è affatto incompatibile con la democrazia (cfr. Jacob Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, trad. it., il Mulino, Bologna 1967).

Di qui l’importanza della lettera Notre charge apostolique di san Pio X, che descrive in modo mirabile e condanna gli errori dei cattolici democratici, con una serie di osservazioni che valgono per tutti i «cattolici adulti», fino ai giorni nostri. Tanto più che, seguendo il metodo inaugurato nell’enciclica Pascendi e parzialmente nuovo rispetto al Magistero precedente, san Pio X non si limita a enunciare la condanna del sistema del Sillon, ma ne propone dapprima una ricostruzione e una sintesi, cui fa seguire la confutazione e la critica. Nella terza parte della lettera mostra i riflessi pratici sul piano educativo e politico delle dottrine del movimento, e nella quarta parte enuncia e motiva la condanna.



1. Esposizione delle teorie del Sillon

La prima caratteristica del Sillon che san Pio X prende in esame attiene al metodo: si tratta della «pretesa di sfuggire alle direttive dell’autorità ecclesiastica» con il pretesto che il terreno su cui ci si muove «non è quello della Chiesa». Potrebbe sembrare che il Sillon si opponga giustamente al clericalismo affermando l’autonomia dei laici nella vita politica. Ma si tratta, secondo san Pio X, di distinguere, applicando le regole già enunciate nell’enciclica Il fermo proposito pubblicata dallo stesso Pontefice nel 1905. Dal punto di vista tecnico i laici del Sillon, impegnati sul terreno politico e sociale, godono certamente di autonomia. Non godono, invece, di alcuna autonomia dal punto di vista dottrinale, tanto più che propongono le loro dottrine in nome e come conseguenza del Vangelo. Se sono autonomi nelle loro scelte tecniche, non possono quindi essere autonomi rispetto alla dottrina e ai principi, e l’autorità ecclesiastica ha il diritto di denunciare le loro deviazioni dottrinali, senza che questo implichi alcun clericalismo né alcuna indebita ingerenza. La rivendicazione di un’autonomia rispetto ai principi è sbagliata, e «anche se le loro dottrine fossero esenti da errore sarebbe già stata una gravissima mancanza alla disciplina cattolica». Ma «il male è più profondo»: sbagliando metodo, anche dal punto di vista dei contenuti il Sillon «è scivolato nell’errore».

Il Sillon è un movimento politico-sociale che si propone anzitutto il miglioramento della condizione delle classi operaie. Questo scopo sembra a prima vista corrispondere al grande programma tracciato da Leone XIII (1878-1903) nell’enciclica Rerum novarum (1891). Lontanissima dagli insegnamenti di Leone XIII è però la dottrina del Sillon quando, contro gli espliciti ammonimenti di quel Pontefice, ritiene che l’elevazione sociale del popolo non possa compiersi se non enunciando come principio la tesi secondo cui appunto nel popolo risiede l’origine dell’autorità, e indicando come programma la realizzazione di un ideale di egualitarismo forzato e di «livellamento delle classi» attraverso l’opera dello Stato. Il principio e il programma del Sillon partono da un giudizio nuovo sulla storia dell’Europa, diverso da quello enunciato nel Magistero dei Pontefici. Il Sillon sogna una società del tutto nuova e disprezza il passato europeo, dimenticando che nel passato – pur con i limiti e le imperfezioni di ogni realizzazione umana – non tutto è da buttare via, e anzi una civiltà cristiana è già esistita.

Rivolgendosi ai vescovi francesi, in una delle pagine più significative della lettera, san Pio X esclama: «No, venerabili fratelli, occorre ricordarlo energicamente in questi tempi di anarchia sociale e intellettuale, in cui ciascuno si pone quale dottore e legislatore; non si edificherà la società diversamente da come Dio l’ha edificata; non si edificherà la società se la Chiesa non ne pone le basi e non ne dirige i lavori; non si deve inventare la civiltà, né si deve costruire la nuova società tra le nuvole. Essa è esistita ed esiste; è la civiltà cristiana, è la società cattolica. Non si tratta che di instaurarla, ristabilirla incessantemente sulle sue naturali e divine fondamenta contro i rinascenti attacchi della malsana utopia, della rivolta e della empietà: Omnia instaurare in Christo».

San Pio X prosegue nell’esposizione della dottrina del Sillon attraverso l’analisi di tre parole chiave: dignità umana, emancipazione, partecipazione. Il Sillon si propone anzitutto come scopo «la cura della dignità umana»: ma il suo concetto di dignità, intesa come autonomia delle coscienze da ogni regola esterna, ha radici filosofiche molto dubbie. Lo strumento per promuovere la dignità umana consiste in una triplice emancipazione del popolo: emancipazione politica, da ogni autorità estranea al popolo; emancipazione economica, dai «padroni» che opprimono chi lavora; emancipazione intellettuale, da una «casta dirigente» che ingiustamente pretenderebbe d’imporre un predominio culturale. Il popolo, secondo il Sillon, dev’essere libero; ma la vera libertà è l’uguaglianza, intesa come «livellamento delle condizioni», appiattimento della società perché tutti siano uguali.

Nel sistema del Sillon la promozione della dignità umana tramite l’emancipazione è il momento negativo, che dovrebbe aprire la strada a un momento positivo, «la partecipazione, più grande possibile, di ciascuno al pubblico governo». Anche la partecipazione, come l’emancipazione, si articola in tre livelli: politico, attraverso la proclamazione del principio che l’autorità risiede nel popolo e solo temporaneamente è delegata con le elezioni ai governanti, «in modo tale che ogni cittadino divenga in un certo modo re»; economico, attraverso – afferma il Sillon – non il socialismo ma il lento affermarsi di un sistema cooperativo che a poco a poco sostituisca l’impresa a conduzione privata e padronale, in modo che «ogni operaio diventerà in un certo senso padrone»; morale, tramite la crescita nel popolo dell’«amore per l’interesse professionale e per l’interesse pubblico» che trasformerà ogni cittadino in autorità, abolendo l’odiosa e umiliante distinzione fra chi esercita l’autorità e chi vi è sottomesso. L’«educazione democratica del popolo» che il Sillon si propone realizzerà secondo il movimento francese la fraternità e completerà, con la libertà e l’uguaglianza assicurate dall’emancipazione, la versione sillonista dell’ideale della Rivoluzione francese: liberté, égalité, fraternité.



2. Confutazione e critica

Le teorie del Sillon possono sembrare attraenti e favorevoli al progresso dei più poveri. Contengono, tuttavia, errori fatali. Anzitutto il Sillon pone nel popolo la fonte ultima dell’autorità, contro l’insegnamento di tutta la dottrina sociale della Chiesa, esposto in particolare da Leone XIII nell’enciclica Diuturnum (1881), secondo cui l’autorità non è stata inventata da qualcuno, o conferita tramite un contratto sociale, ma deriva dalla natura e quindi da Dio autore della natura. Non è illecito – insegna Leone XIII, e conferma san Pio X – che sia il popolo a designare i detentori dell’autorità tramite le elezioni: purché sia chiaro che con le elezioni non s’«inventa» o si crea l’autorità, ma si stabilisce semplicemente da chi deve essere esercitata.

Potrebbe sembrare che il problema dell’origine dell’autorità sia semplicemente una questione filosofica, senza grandi conseguenze pratiche. Una volta ammessa la liceità del sistema democratico potrebbe apparire non poi così importante stabilire se le elezioni creino l’autorità o semplicemente stabiliscano chi deve esercitarla. Ma in realtà non è così, e la risposta al quesito circa l’origine ultima dell’autorità – se derivi dalla natura, e quindi da Dio, oppure dal popolo – ha conseguenze pratiche molto importanti. Chi, come il Sillon, non riconosce l’origine naturale dell’autorità finisce normalmente per considerare la gerarchia nella società come qualche cosa di sgradevole, al massimo come un male necessario, da cui ci si deve per quanto possibile liberare. È questo il significato profondo e il sentimento rivelato dalla teoria sillonista dell’emancipazione. Una teoria, nota san Pio X, che corrisponde alla concezione della Rivoluzione francese e si oppone a quella rivendicazione del valore positivo dell’autorità e della gerarchia che è invece caratteristica della dottrina sociale della Chiesa.

Se l’emancipazione politica corrisponde alla liberté in senso rivoluzionario, quella che il Sillon chiama emancipazione economica e intellettuale realizza l’égalité intesa come livellamento sociale, per cui «ogni disparità di condizione è una ingiustizia o, almeno, la minima giustizia». «Principio – nota san Pio X – sommamente contrario alla natura delle cose»: non è affatto dimostrato che la società su cui si sia fatto passare un ideale rullo compressore per livellare le differenze, cioè la società maggiormente priva di gerarchie, sia la migliore. Anzi, la dottrina sociale della Chiesa insegna – salva la condanna delle disuguaglianze così eccessive da essere ingiuste – precisamente il contrario.

In terzo luogo, accanto alla liberté e all’égalité, il Sillon accoglie dalla Rivoluzione francese anche la fraternité attribuendo a questa parola il senso rivoluzionario di relativismo e d’indifferentismo. La fraternità consisterebbe nel ritenere che le questioni dottrinali e lo stesso problema della verità non siano poi molto importanti, nel porsi «al di là di ogni filosofia e religione» e nel rinunciare a convertire gli altri alla fede cattolica, accontentandosi di condividere una comune umanità. San Pio X insisterà nella terza parte della lettera sulle conseguenze di questa tesi sul piano educativo, ma già qui enuncia il principio secondo cui ultimamente «non vi è vera fratellanza fuori della carità cristiana».

Infine, la radice stessa del pensiero del Sillon, la sua nozione di dignità umana, non appare conforme alla dottrina sociale della Chiesa. «Dignità» per il Sillon significa autonomia della coscienza da ogni autorità esterna, sostituita da una coscienza responsabile la quale «non obbedisce che a se stessa». Errore, nota il Pontefice, di natura illuminista e che porta fra l’altro non al vero amore per il «popolo» ma al disprezzo sistematico degli umili ritenuti «immaturi» in quanto non hanno ancora raggiunto una tale autonomia e, quindi, sono al di sotto della «dignità umana». Come spesso accade, l’affermazione di un concetto ideologico di «povero» finisce facilmente per portare al disprezzo dei poveri veri e concreti.



3. La vita nel Sillon

Nella terza parte della lettera san Pio X mostra gli errori del Sillon in azione nella vita quotidiana del movimento e nel suo comportamento socio-politico. La dottrina del Sillon, infatti, non rimane nei discorsi e sui libri, ma si cala nella proposta di uno stile di vita e di un metodo educativo. Anzitutto, nota il Pontefice, il Sillon cerca di vivere la sua dottrina dell’emancipazione rinunciando, per quanto possibile, alla gerarchia. Gli studi «vi si fanno senza maestro»: nelle riunioni del Sillon non c’è chi insegna e chi apprende ma si tratta piuttosto di «vere cooperative intellettuali, dove ognuno è maestro e scolaro»; «perfino il sacerdote non è più che un compagno». Questa è anche la «causa segreta delle deficienze disciplinari» del Sillon anche nei confronti del Papa e della dottrina: l’educazione del Sillon non insegna a obbedire, e – ispirata dal «soffio della rivoluzione» – critica lo spirito di gerarchia che anima la Chiesa. Come spesso accade, nella critica di tutte le autorità, l’unica vera autorità diventa il Sillon stesso, tanto che quelli fra i cattolici che non abbracciano la sua causa diventano – «diventiamo», dice san Pio X – «ai suoi occhi nemici interni del cattolicesimo, come se non comprendessimo nulla del Vangelo e di Gesù Cristo».

In verità il Sillon confonde la causa della Chiesa con quella della democrazia come forma di governo, «infeuda la sua religione a un partito politico»; mentre «l’avvento della democrazia universale non interessa l’azione della Chiesa nel mondo». Di più: il Sillon non si limita a considerare fuori della Chiesa chi non esprime una preferenza esclusiva per la democrazia, ma considera obbligatoria l’adesione «ad un genere di democrazia le cui dottrine sono errate», cioè il tipo di democrazia uscito dalla Rivoluzione francese e fondato sull’Illuminismo. La Chiesa non condanna la preferenza per la democrazia, ma distingue fra diversi possibili tipi di democrazia, alcuni dei quali – come quello propagandato dal Sillon – sono inaccettabili. Il Sillon, invece, accecato dal suo democratismo a senso unico, non si accorge neppure del carattere anticristiano della democrazia francese sua contemporanea, e di fronte alle leggi esplicitamente anticattoliche, che attaccano la famiglia e la Chiesa, i suoi membri impegnati in politica non reagiscono. Di fronte «alla Chiesa violentata» il movimento «incrocia le braccia», affermando capziosamente che «in ogni membro del Sillon vi sono due uomini: l’individuo, che è cattolico e il membro del Sillon, l’uomo d’azione, che è neutro». Si tratta di una distinzione che farà molta strada, nel secolo XX, fra quegli uomini politici che diranno per esempio: come individuo sono cattolico, e rifiuto l’aborto o l’eutanasia, come politico non posso certo mettere a rischio la mia carriera o le mie alleanze per questi problemi.

Nella sua storia il Sillon inizia con il proporre una democrazia cattolica, con la formula: «la democrazia sarà cattolica o non sarà». Ma sostituisce poi la formula con un’altra, «la democrazia non sarà anticattolica»: «non più d’altronde che antigiudaica o antibuddista», nota con spirito san Pio X. Le due formule non sono affatto equivalenti. È allora costituito un nuovo movimento, chiamato «Sillon più grande», di cui l’originario Sillon è presentato come il nucleo, che dovrebbe riunire tutti i fautori della democrazia, che si tratti di «cattolici, protestanti o liberi pensatori». Programma pericoloso, perché «la riforma della civiltà è opera innanzitutto religiosa; poiché non vi è vera civiltà senza civiltà morale, e non vi è vera civiltà morale senza vera religione: è una verità dimostrata ed è un fatto storico». E tanto più pericoloso perché il «Sillon più grande» impegna i cattolici che ne fanno parte a non fare proselitismo fra i loro compagni di movimento, anzi a «dimenticare ciò che li divide» e insistere su ciò che li unisce – un altro slogan che farà molta strada. Non ne potrà risultare, afferma san Pio X, che «una rumorosa agitazione, sterile per il fine proposto, e che tornerà a profitto di agitatori di masse meno utopisti. Veramente si può dire che il Sillon, con l’occhio fisso ad una chimera, prepara il socialismo».

Ma, aggiunge il Pontefice, «temiamo che vi sia di peggio». Gli slogan che si vanno diffondendo nel Sillon, del tipo «Non si lavora per la Chiesa, si lavora per l’umanità» e «Il Sillon è una religione», evocano il rischio non solo di un errore di educazione e di metodo, ma di dottrina: un pericoloso scivolamento dalla religione cattolica a quella vaga «religione dell’umanità» laicista preparata dalle «oscure officine» massoniche che noi, scrive san Pio X, «conosciamo anche troppo bene». I capi del Sillon, che «non temono di fare, fra Vangelo e rivoluzione, blasfemi raffronti», rischiano di ridurre la loro associazione a «misero affluente» del grande fiume della Rivoluzione, di cui san Pio X dà qui una celebre e profetica definizione: «il grande movimento di apostasia organizzato in ogni paese per stabilire ovunque una Chiesa universale che non avrà né dogmi, né gerarchia, né regole per lo spirito, né freni per le passioni e che, sotto pretesto di libertà e di dignità umana, ricondurrà nel mondo, se questo trionfo fosse possibile, il regno legale dell’inganno e della forza, l’oppressione dei deboli, di coloro che soffrono e che lavorano».



4. La condanna dei «cattolici adulti»

Il problema di fondo, nota san Pio X, non riguarda soltanto un complesso di dottrine politiche o un metodo educativo, ma coinvolge l’idea stessa del Signore, il tipo d’immagine di Gesù Cristo cui ci s’ispira. Il Sillon trascura in Gesù Cristo la divinità, l’autorità, la legge, la croce, presentando un Cristo pacifista più che pacifico, umanitario più che umano, tollerante non solo con gli erranti ma con lo stesso errore. Cristo, nota il Pontefice, non ha promesso la felicità perfetta in terra, ma ha indicato per una «felicità possibile» la strada dell’obbedienza alla Sua legge, del sacrificio, della croce. La «regale via della Croce» e il rapporto necessario con Cristo che parla nella storia attraverso l’autorità della Chiesa sono «insegnamenti che a torto si applicherebbero solo alla vita individuale in vista della salvezza eterna; sono insegnamenti eminentemente sociali che ci mostrano in Nostro Signore Gesù Cristo ben altra cosa che un umanitarismo senza consistenza e senza autorità».

Non basta condannare le deviazioni. Occorre che nasca un’azione sociale e politica dei cattolici che parta dall’autentica figura di Gesù Cristo, dalla dottrina enunciata dal Magistero, ma anche da una lettura della storia della Chiesa e della civiltà che mostri come «le questioni sociali e la scienza sociale non sono nate ieri» e hanno già trovato in passato linee per una valida soluzione: i «veri operai della restaurazione sociale, i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né innovatori, ma tradizionalisti».

Quanto al Sillon i suoi capi devono dimettersi, la sua struttura come organizzazione nazionale dev’essere sciolta, i membri devono mettersi a disposizione dei Vescovi per ricostruire – senza rinunciare alle proprie preferenze democratiche, «purificate da tutto ciò che non è conforme alla dottrina della Chiesa» – «Sillon cattolici» su scala diocesana, «per ora» indipendenti gli uni dagli altri, di cui comunque non potranno fare parte i sacerdoti.

Questi ordini di san Pio X saranno formalmente ubbiditi: almeno in foro esterno, nella grande maggioranza, i capi e i membri del Sillon daranno al Pontefice una prova di obbedienza e dimostreranno di voler rimanere cattolici. Il grande interesse che la lettera Notre charge apostolique presenta ancora oggi, e anche per i nostri tempi, non consiste tuttavia tanto nello specifico riferimento al Sillon, un movimento morto ormai da tanti anni, ma nel fatto che attraverso la vicenda del Sillon il documento fornisce una magistrale descrizione dell’ideologia dei cattolici democratici e del modernismo sociale. Questi fenomeni, a differenza del Sillon, non sono morti. Anzi, sono stati sistematicamente ripresi fino ai giorni nostri da personaggi più astuti nel mascherare le loro vere intenzioni e certamente meno disposti a sottomettersi ai Pontefici.



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