Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

sabato 30 maggio 2015

Caro Socci, l'analisi è apprezzabile, ma la diagnosi è pessima



di don Luigi Moncalero

Spero che Socci non prenda queste mie considerazioni come “fuoco amico nella schiena”. L’articolo di Libero di domenica 24 maggio u.s. è interessante, sin dal suo titolo piuttosto intrigante: «Mezzo secolo senza latino e la Chiesa è da rottamare» (cf. QUI il testo integrale dal blog di A. Socci).

Interessante. Spigolo qua e là: «…Si avverte un cupo rumore di frana, come se una montagna - effetto Bergoglio? - stesse venendo giù. […]. Della Chiesa Cattolica conosciuta finora è minacciata perfino la sopravvivenza. C’è posto solo per una sua ridicola parodia laicizzata […]. [Una Chiesa] che rinuncia al proselitismo e al Dio cattolico […], che si scioglie nell’ecumenismo massonizzato delle tante religioni, che si occupa del clima e della spazzatura differenziata […]. La Chiesa che ha illuminato e vinto il tenebroso mondo degli dèi e ha ribaltato la storia pagana e antiumana […] dei grandi santi, dei martiri, dei missionari […]».

Fin qui ci siamo.

Ma lo spirito umano non si accontenta di constatare dei fatti: è già qualcosa constatare, e questo Socci lo fa a differenza di tanti altri che si foderano gli occhi con spesse fette di prosciutto, e gliene diamo volentieri atto. Però poi deve arrivare una diagnosi, o perlomeno un tentativo di dare un ragionevole “perché” alla catastrofe constatata.

Invece Socci “toppa” clamorosamente: «Però a liquidare la Chiesa non sono le persecuzioni, né l’odio laicista, ma - come disse Paolo VI - è “l’autodemolizione” dall’interno. La via del baratro fu imboccata non con il Concilio - come credono certi lefebvriani - ma alla sua fine, esattamente 50 anni fa, con il post-concilio».

E qui cadono le braccia, perché Socci vorrebbe dire che dall’8 dicembre 1965 in poi è successo qualcosa che non avrebbe nessun rapporto con i 16 documenti appena sfornati da quegli uomini di Chiesa che hanno fatto il Concilio. Ma proprio niente. Come dire post hoc, hoc; sed non propter hoc. Che tradotto in soldoni significa: io metto la caffettiera sul fuoco e dopo 5 minuti c’è il caffè; ma sia chiaro, non c’è nessun rapporto col fatto di aver acceso il fuoco: solo dei lefebvriani ottusi e ancorati ad arcaiche filosofie potrebbero pensare una cosa del genere. Succede così e basta: si chiude il Concilio e poi avviene il finimondo. Tutto qui.

Caro Socci, me lo lasci dire: il problema non è Bergoglio. O meglio - diciamocelo - Bergoglio è un problema, ma non è lui la causa. Egli sta semplicemente tirando le fila di quella rete che i suoi predecessori (sì, caro Socci, anche Benedetto XVI) hanno intessuto non dall’8 dicembre 1965 in poi, ma dall’11 ottobre 1962, quando Giovanni XXIII esordì nell’allocuzione di apertura del Vaticano II dicendo che oramai non era più tempo di anatemi e di condanne e che la dottrina cattolica è talmente bella ed amabile che si sarebbe imposta da sola; da quando si buttò letteralmente nel cestino tutto il lavoro preparatorio della Commissione che aveva elaborato gli schemi dei documenti conciliari (fu l’inizio della “rivoluzione di ottobre” della Chiesa) e tutto quello che venne dopo non fu che il dipanarsi logico di quel colpo di mano, passando per il discorso di Paolo VI alla chiusura del Concilio (7 dicembre 1965): «… La religione del Dio che si fa uomo si è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa dio. Che cosa è avvenuto? Uno scontro? Una lotta? Un anatema? Poteva essere, ma non è avvenuto […] Una simpatia immensa […]. Noi più di tutti siamo i cultori dell’uomo»; passando per la riunione di Assisi del 27 ottobre 1986 voluta da Giovanni Paolo II (già, anche lui, Papa del Concilio), quando in nome «dell’ecumenismo massonizzato delle tante religioni» (riconosce la citazione, Socci?) e della libertà religiosa si permisero dei culti idolatrici nelle chiese di Assisi. Allora si videro - e si fotografarono - statue di Budda sul tabernacolo e frati francescani ricevere compunti la benedizione da uno sciamano Pellerossa (è così che si ripara la barca della Chiesa? Siamo sicuri che è così che si fa ritrovare la bussola della fede ai giovani, caro Socci?). Ed infine - lo metto alla fine, ma è stato il primo effetto bomba del primo documento conciliare - la demolizione della liturgia della Chiesa introdotta dalla Sacrosantum Concilium, che dice che la redenzione si sarebbe realizzata praecipue (eminentemente) «nel mistero pasquale della passione, resurrezione e ascensione” di Cristo (Sacrosantum Concilium n° 5) e quindi non prevalentemente dalla sua crocifissione, dal valore che essa ha di sacrificio espiatorio (parola brutta, che dispiace tanto ai Fratelli separati). Allora, basta altari rialzati, basta crocifissi sanguinolenti, basta preti che parlano una lingua incomprensibile e danno le spalle al popolo: d’ora in avanti il popolo di Dio si riunisce «… in assemblea per ascoltare la parola di Dio e partecipare alla eucaristia e così far memoria della Passione, della Risurrezione e della Gloria del Signore Gesù e render grazie a Dio» (Sacrosantum Concilium 106). Date quelle premesse, non c’è da stupirsi se nel famigerato art. 7 dell’Institutio novi Messalis Romani - che sarebbe la prefazione ufficiale del nuovo messale di Paolo VI del 1969, tuttora vigente - si legge: «La cena del Signore o Messa è la santa assemblea o riunione del popolo di Dio che si raduna sotto la presidenza del sacerdote per celebrare il memoriale del Signore». Martino, che di cognome fa Lutero, sottoscriverebbe.

Se tanto mi dà tanto - direbbe qualcuno - il risultato del referendum irlandese è la prova che il popolo di Dio ha manifestato chiaramente di non essere più cattolico. E dicendo questo non mi faccio la minima illusione che il popolo di Dio italiano lo sia ancora. Anzi: proprio come quello irlandese, il popolo di Dio italiano è quello che ha seguito più fedelmente le indicazioni dei suoi pastori.

Chi è che parlava di «autodemolizione»?

Ha ragione da vendere mons. Galantino: «Quando la Chiesa era cattolica la Messa era in latino» (cf. articolo in questione). Parole sante, eccellenza.

"L'Occidente è ripiegato sulle sue illusioni. Coraggio è andare controcorrente". Parola di cardinale (di Matteo Matzuzzi )



Il cardinale Robert Sarah è prefetto della congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti


“Se si considera l’eucarestia come un pasto da condividere, da cui nessuno può essere escluso, allora si perde il senso del Mistero”. Così ha detto il cardinale Robert Sarah, da pochi mesi prefetto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti, intervenuto al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia in occasione della presentazione della collana “Famiglia, lavori in corso”, una raccolta di saggi editi dalla casa editrice Cantagalli, in vista del prossimo Sinodo ordinario di ottobre. Una collana che ha l’obiettivo di stimolare il confronto e di toccare tutti i temi “caldi”: omosessualità, sessualità, divorzio, procreazione assistita, eutanasia, celibato. Tre volumi hanno aperto la collana, due dei quali scritti da docenti presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia: “Eucaristia e divorzio: cambia la dottrina?” di José Granados (che è anche stato nominato consultore del Sinodo dei vescovi) e “Famiglie diverse: espressioni imperfette dello stesso ideale?” di Stephan Kampowski. Il terzo, “Cosa ne pensa Gesù dei divorziati risposati?” è opera di Luis Sanchez Navarro, ordinario di Nuovo Testamento alla Università San Damaso di Madrid. Il Foglio aveva anticipato ampi estratti dei libri dei professori Granados e Sanchez il 15 aprile scorso.

“L’Occidente – ha detto Sarah rispondendo a braccio ad alcune domande che gli sono state poste dall'uditorio – si sta adeguando sulle proprie illusioni”. Il problema di tutto, ha rimarcato più volte il porporato di cui Il Foglio ha anticipato per l’Italia lo scorso 13 marzo un lungo estratto del libro “Dieu ou rien” uscito in Francia presso Fayard, è nella fede. “Se si pensa che anche nel rito del Battesimo non si menziona più la parola ‘fede’, quando ai genitori viene domandato cosa si chiede per il bambino alla Chiesa di Dio, si comprende l’entità del problema”, ha aggiunto il cardinale guineano, che ha anche biasimato il senso che viene dato oggi al Catechismo: "I bambini fanno disegni e non imparano nulla, non vanno a messa". Quanto al Sinodo prossimo venturo, l’invito è a non farsi illusioni su cambiamenti epocali: “La gente crede che ci sarà una rivoluzione, ma non potrà essere così. Perché la dottrina non appartiene a qualcuno, ma è di Cristo”. Dopo l'appuntamento dello scorso ottobre, ha osservato Sarah presentando i tre volumi, "fu chiaro che il vero fulcro non era e non è solo la questione dei divorziati risposati", bensì "se la dottrina della Chiesa sia da considerare un ideale irraggiungibile, irrealizzabile e necessitante quindi di un adattamento al ribasso per essere proposta alla società odierna. Se così stanno le cose, si impone necessariamente una chiarificazione se il Vangelo sia una buona notizia per l'uomo o un fardello inutile e non più proponibile". La ricchezza del cattolicesimo – ha aggiunto – "non può essere svelata da considerazioni dettate da un certo pragmatismo e dal sentire comune. La Rivelazione indica all'umanità la via della pienezza e la felicità. Disconoscere questo dato significherebbe affermare la necessità di ripensare i fondamenti stessi dell'azione salvifica della Chiesa che si attua attraverso i sacramenti".

Il problema è anche di quei “sacerdoti e vescovi” che contribuiscono con le loro parole a “contraddire la parola di Cristo”. E questo, ha detto Sarah, “è gravissimo”. Permettere a livello di diocesi particolari quel che ancora non è stato autorizzato dal Sinodo (il riferimento era alla prassi seguita in molte realtà dell’Europa centro-settentrionale) significa “profanare Cristo”. Poco vale invocare la misericordia: “Inganniamo la gente parlando di misericordia senza sapere quel che vuol dire la parola. Il Signore perdona i peccati, ma se ci pentiamo”. Le divisioni che si sono viste lo scorso ottobre, “sono tutte occidentali. In Africa siamo fermi, perché in quel continente c’è tanta gente che per la fede ha perso la vita”. Un appello, il cardinale, l’ha anche lanciato contro chi – membro del clero – usa un linguaggio non corretto: “E’ sbagliato per la Chiesa usare il vocabolario delle Nazioni Unite. Noi abbiamo un nostro vocabolario”. Una puntualizzazione, poi, l’ha voluta fare su una delle massime che vanno per la maggiore dal 2013, e cioè l’uscita in periferia. Proposito corretto, naturalmente, ma a una condizione: “E’ facile andare nelle periferie, ma dipende se lì portiamo Cristo. Oggi è più coraggioso stare con Cristo sulla croce, il martirio. Il nostro dovere è quello di andare controcorrente” rispetto alle mode del tempo, a “quel che dice il mondo”. E poi, "se la Chiesa smette di dire il Vangelo, essa è finita. Può farlo con i modi d'oggi, ma con fermezza". Infine, un appunto sul calo delle vocazioni sacerdotali nel mondo: "Il problema non è che ci sono pochi preti, quanto capire se quei preti sono davvero sacerdoti di Cristo".
fonte il Foglio

venerdì 29 maggio 2015

SETTE SUPPLICHE A SAN GIUSEPPE per domandare la sua intercessione




1. Amabilissimo san Giuseppe, per l'onore che ti concesse l'eterno Padre, innalzandoti a fare le sue veci in Terra col suo Figlio Gesù, ed esserne padre putativo, ottienimi Dio la grazia che da te desidero.


Gloria al Padre.

2 Amabilissimo san Giuseppe, per l’amore che ti portò Gesù, riconoscendoti qual tenero padre ed obbedendoti qual rispettoso figlio, implorami da Dio la grazia che ti domando.

Gloria al Padre.

3. Purissimo san Giuseppe, per la grazia specialissima che ricevesti dallo Spirito Santo, quando ti diede in Sposa la stessa sua Sposa, Madre nostra carissima, implorami da Dio la grazia tanto desiderata.

Gloria al Padre.

4. Tenerissimo san Giuseppe, per l'amore purissimo con cui amasti Gesù come tuo Figlio e Dio, e Maria come tua diletta Sposa, prega l'altissimo Iddio, che mi conceda la grazia per cui ti supplico

Gloria al Padre.

5. Dolcissimo san Giuseppe, per il godimento grandissimo che sentiva il tuo cuore conversando con Gesù e Maria e loro servendo, mi conceda il misericordiosissimo Iddio la grazia che tanto bramo.

Gloria al Padre

6. Fortunatissimo san Giuseppe, per la bella sorte che avesti di morire fra le braccia di Gesù e di Maria, e di essere confortato nella tua agonia e morte, mi ottenga la potente tua intercessione da Dio la grazia per cui ti prego.

Gloria al Padre.

7. Gloriosissimo san Giuseppe, per la riverenza che ha per Te tutta la Corte celeste, come Padre putativo di Gesù e Sposo verginale di Maria, esaudisci le suppliche che con viva fede ti faccio, ottenendomi la grazia che tanto desidero. Così sia.

Gloria al Padre.

– Prega per noi, o beato Giuseppe.
– Affinché siamo fatti degni delle promesse di Cristo.

Preghiamo: 
Dio onnipotente, che nel tuo disegno di amore hai voluto affidare gli inizi della nostra Redenzione alla custodia premurosa di san Giuseppe, per sua intercessione, concedi alla Chiesa la stessa fedeltà nel condurre a compimento l’opera di salvezza. 
Per Cristo, nostro Signore. Amen.

DIO PERDONA, SE... di J .A.






«Dio ci perdona sempre, non si stanca di perdonare. E noi non dobbiamo stancarci di andare a chiedere perdono». La Chiesa ci ricorda questa verità essenziale della nostra fede. La Chiesa,in quanto Madre e maestra , deve essere innanzitutto casa della misericordia. Proprio per dare il maggior risalto possibile a questo aspetto fondamentale della vita cristiana, i romani Pontefici, hanno sempre incoraggiato i fedeli arricchendole di indulgenze l'esercizio delle quaranta ore per celebrare la misericordia del Signore.

Una opportunità per riflettere sul sacramento della Riconciliazione prepararci così a celebrare il dono della misericordia del Signore.Eppure il sacramento della penitenza è quello più necessario all’uomo, dopo il Battesimo proprio per la fragilità della condizione umana.

Penso tuttavia che questo sacramento sia disatteso ed evitato per il fatto che i nostri fedeli non lo capiscono. Eppure qui si incontrano l’infinita misericordia di Dio e l’infinita miseria dell’uomo. Agostino lo chiama il sacramento dove, si incontrano miseria e misericordia! In un ineffabile mistero d’amore, Gesù stesso rimette i peccati attraverso il sacerdote, ridona la grazia santificante che era stata perduta con il peccato mortale.La Confessione frequente rafforza la vita cristiana, sostiene la volontà di compiere il bene e di evitare il male. La finalità tipica della penitenza-sacramento è la riconciliazione dell'uomo con Dio."Costituito da Dio in uno stato di giustizia, l'uomo, tentato dal Maligno, fin dagli inizi della storia, abusò della libertà sua, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire Il suo fine al di fuori di Dio" (GS 2).

Sono molti i cristiani che oggi si riconoscono peccatori, ma spesso non sanno che cosa sia il peccato, o ne hanno un senso vago e impreciso. Altri, non amano soffermarsi per una introspezione sulle azioni compiute, preferendo piuttosto guardare al loro avvenire e a quello del mondo. Per tutti sembra essersi perso il senso del peccato. Lo denunciò con coraggiosa lungimiranza Pio XII. "Il grande peccato dell'uomo d'oggi e che l'uomo ha perso il senso del peccato".

Era facile, in una società permeata di sacralità, di religiosità, di pietà popolare vivere in riferimento a Dio. Il divino si rivelava operante nelle leggi della natura, nel misteri della fecondità e nello sviluppo della vita, nell'organizzazione sociale e comunitaria, nell'arte e nella cultura. Tutte le tappe dell'esistenza umana erano sorrette e quasi incorniciate da una sacralità per la quale l'uomo si trovava in modo quasi connaturale in contatto con il divino. In questa atmosfera il peccato veniva sperimentato come un mancare alle leggi statiche e immutabili della natura, della vita, dell'organizzazione sociale; mancanza che era vista prevalentemente come un andare-contro il volere di Dio.


Il peccato era visto come limite oggettivo nei confronti di una legge che, in ogni caso, occorreva riparare e di cui ci si doveva purificare compiendo certi riti espiatori. In una società secolarizzata, invece, e pregna di progressivo secolarismo, in un mondo in cui l'umano sembra cedere il posto al tecnicismo e l'antropologismo assunto a sistema assoluto, il riferimento al sacro e al trascendente tende a smorzarsi. La scienza, la tecnica moderna hanno demitizzato la natura e i misteri della vita, dello sviluppo psico-sociale dell'uomo. I fenomeni e le forze che in essi si manifestano non sono più sentiti come espressione della volontà e dell'azione provvidente di Dio, ma come strumenti con i quali l'uomo conoscendo e dominando tali forze e leggi va costruendo responsabilmente il suo futuro senza Dio. Questa nuova esperienza e concezione dell'uomo e del mondo mette in crisi il senso del peccato e misconosce i valori sottolineati da questo diverso contesto socio-culturale. Ma la reazione è equivoca in sé. Si reagisce, ad esempio, contro quella concezione che riduce il peccato a ribellione contro una legge, dimenticando che peccato è anche la inat­tività e la mancanza di critica nel confronti di leggi che non aiutano l'uomo ad essere più uomo. Come pure peccato è non assumere le proprie responsabilità di fronte a scelte fondamentali.


I MISTERI DELLA FEDE,DELLA MISERICORDIA E DELLA SALVEZZA

Se vuoi che la tua vita non sia vuota, riempila di Dio.Dio vuol inserirsi nella tua vita,ma egli non lo fa senza il tuo consenso.Sii fedele alla corrispondenza della grazia perché la vita divina investa tutto il tuo essere.Non potrai scoprire Dio nella tua vita senza la contemplazione.Essa sarà giunta al sommo grado di perfezione quando,più che parlare con Dio, lo amerai.Non preoccuparti di quello che devi fare per il bene degli altri, solo non lasciarti sfuggire giorno per giorno con generosità le occasioni che il Signore ti manda.Non cercare la tua felicità nel ricevere, ma nel donare. la tua felicità é risposta del bene che farai, nella gioia che diffonderai attorno a te, nel sorriso che farai fiorire, nelle lacrime che avrai asciugato.Sarai veramente felice per quello che avrai potuto dare. Non hai diritto di essere felice da solo.Sia la tua vita spesa per gli altri, un cuore aperto a tutti e proverai quanto é sublime la poesia del donare; quanto sia vero il detto di Gesù: c'é più gioia nel dare che nel ricevere.Il tuo volto, i tuoi pensieri siano rivolti a Gesù. I Santi hanno donato tutto se stessi al prossimo vedendo in ognuno il volto di Gesù.Capirai che la vera felicità di questo mondo è solo in lui.Maria santissima vi prenderà per mano e vi accompagnerà in questo viaggio di amore verso di lui. Vi sono delle prove nella vita che ti pongono di fronte a un vuoto senza fondo, mentre il tuo cuore è tanto bisognoso e assetato di pienezza. In simili prove non allontanarti ma avvicinati a Dio poichè lui solo può colmare il tuo cuore che egli a fatto per sè .Anche Gesù si è sottoposto liberamente alle strette del dolore perchè in esso tu potessi configurarti a lui, portando ovunque e sempre le sofferenze della sua morte perchè in te si manifesti la sua vita e la sua gloria. Figliuolo, se veramente vuoi essere beato, occorre che Dio solo sia il tuo fine supremo ed ultimo. Questa intenzione purificherà i tuoi affetti, che purtroppo spesso s'inclinano viziosamente verso te stesso e verso le creature.

venerdì 15 maggio 2015

Come criticare il Papa senza essere eretici"di Tommaso Scandroglio"

Il Papa, qualsiasi Papa non solo l’attuale, deve essere sempre ascoltato senza batter ciglio oppure può essere criticato? Proviamo a verificare cosa dice sul punto la chiesa. La congregazione per la Dottrina della fede nel 1998 elaborò una “Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della Professio fidei”, a firma dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, che delimitava i campi e le modalità attraverso cui l’infallibilità petrina si esprime. Solo in alcuni ambiti e unicamente nell’osservanza di precise condizioni è impegnata l’infallibilità del Sommo Pontefice e dunque i relativi asserti sono assolutamente vincolanti per tutti i cattolici e non criticabili perché in tali assunti non ci può essere nascosto nessun errore dottrinale. Va da sé che al di fuori di queste materie e condizioni il Papa non è infallibile e dunque può sbagliare. Ad esempio ciò che dice un Papa in un’intervista non impegna la sua infallibilità. Ciò naturalmente non significa che tutto quello che ha detto sia opinabile.

mercoledì 13 maggio 2015

Il 13 maggio 1917, 98 anni fa, le apparizioni della Madonna a Fatima ai tre pastorelli Francisco, Giacinta e Lucia






Le apparizioni dell’angelo del Portogallo

I protagonisti degli avvenimenti di Fatima sono tre pastorelli: Lucia dos Santos di dieci anni e i suoi cugini Giacinta Marto di sette anni e Francesco Marto di nove anni.

Qualche tempo prima dell’apparizione della Madonna i tre bambini erano stati visitati per tre volte da un angelo del Signore. Nella primavera del 1916, mentre giocavano, una improvvisa luce li avvolse mentre un forte vento scuoteva gli alberi. Nel mezzo di quella luce apparve la figura di un giovane che si presentò dicendo:

"Non temete, sono l'Angelo della pace. Pregate con me".

In una successiva apparizione l'angelo chiese ai bambini di offrire costantemente delle preghiere e dei sacrifici a Dio. I bambini chiesero:

"Come dobbiamo sacrificarci?"

L'Angelo rispose: "Di tutto ciò che potete, offrite un sacrificio al Signore come atto di riparazione per i peccati con cui è offeso e di supplica per la conversione dei peccatori. Attirerete così la pace sulla vostra patria. Io sono il Suo angelo custode, l'angelo del Portogallo. Soprattutto accettate e sopportate con umiltà le sofferenze che il Signore vi manderà". Da questo momento i pastorelli cominciarono ad offrire al Signore tutte le loro sofferenze morali e fisiche.

Nella terza apparizione avvenuta nell' autunno dello stesso anno l'angelo li invitò a rivolgere a Dio una nuova preghiera: "Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, vi adoro profondamente e vi offro il preziosissimo corpo, sangue, anima, divinità di Gesù Cristo presente in tutti i tabernacoli della terra, in riparazione degli oltraggi, dei sacrilegi e delle indifferenze con cui Egli stesso è offeso, e per i meriti infiniti del Suo Santissimo Cuore e del Cuore Immacolato di Maria vi chiedo la conversione dei poveri peccatori". Ed offrendo loro il calice e l’Ostia disse: "Prendete e bevete il corpo e il sangue di Gesù Cristo, orribilmente oltraggiato dagli uomini ingrati. Fate riparazione per i loro crimini e consolate il vostro Dio".

martedì 12 maggio 2015

BENEDETTO XVI «SONO LA FINE DEL VECCHIO E L'INIZIO DEL NUOVO»





Il nostro ultimo incontro risale a ben dieci settimane prima della storica rinuncia. Il Papa mi aveva accolto nel Palazzo Apostolico per proseguire i nostri colloqui finalizzati al lavoro sulla sua biografia. L’udito era calato; l’occhio sinistro non vedeva più; il corpo smagrito, tanto che i sarti facevano fatica a tenere il passo con nuovi abiti. È diventato molto delicato, ancora più amabile e umile, del tutto riservato. Non appare malato, ma la stanchezza che si era impossessata di tutta la sua persona, corpo e anima, non si poteva più ignorare.
Abbiamo parlato di quando ha disertato dall’esercito di Hitler; del suo rapporto con i genitori; dei dischi su cui imparava le lingue; degli anni fondamentali sul «Mons doctus», il monte dei dotti di Freising dove da 1.000 anni l’élite spirituale del Paese viene introdotta ai misteri della fede. Qui aveva tenuto le sue primissime prediche davanti a un pubblico di scolari, da parroco aveva assistito gli studenti e nel freddo confessionale del Duomo aveva dato ascolto alle pene della gente. Ad agosto, durante un colloquio a Castel Gandolfo, durato un’ora e mezzo, gli avevo chiesto quanto lo avesse colpito l’affare Vatileaks. «Non mi lascio andare a una sorta di disperazione o di dolore universale – mi ha risposto – semplicemente mi appare incomprensibile. Anche considerando la persona (Paolo Gabriele, ndr ), non capisco cosa ci si possa aspettare. Non riesco a penetrare la sua psicologia». Sosteneva tuttavia che l’evento non gli aveva fatto perdere la bussola né gli aveva fatto sentire la stanchezza del suo ruolo, «perché può sempre accadere». L’importante per lui era che nell’elaborazione del caso «in Vaticano sia garantita l’indipendenza della giustizia, che il monarca non dica: adesso me ne occupo io!».
Mai lo avevo visto così esausto, così prostrato. Con le ultime forze rimaste aveva portato a termine il terzo volume della sua opera su Gesù, «il mio ultimo libro», come mi ha detto con sguardo triste al momento dei saluti. Joseph Ratzinger è un uomo incrollabile, una persona capace sempre di riprendersi rapidamente. Mentre due anni addietro, malgrado i primi disturbi dell’età, appariva ancora agile, quasi giovanile, ora percepiva ogni nuovo raccoglitore che approdava sulla sua scrivania da parte della Segreteria di Stato come un colpo.

MARIA SS. del ROSARIO OMELIA


Cari fratelli, è con grande gioia del cuore che l’ordine domenicano e la Chiesa tutta celebra i trionfi della benedetta e gloriosa Vergine Maria onorandola con il titolo particolare di Regina sacratissimi rosarii, regina del santissimo rosario. 

Perché questa denominazione, cari fratelli, perché questo "santissimo", al superlativo? Non è forse santissimo solo Iddio, la Trinità delle persone divine, Iddio increato, l’unico vero buono? Ebbene, cari fratelli, il santo rosario è una preghiera eminentemente teocentrica, è la preghiera per eccellenza. Gli antichi giustamente definivano la preghiera un elevarsi, un’ascensione veramente dell’uomo, di tutta l’anima spirituale a Dio. Ecco, cari fratelli, a che cosa noi siamo chiamati, a congiungere le anime nostre, le nostre menti a Dio; questa è la destinazione dell’uomo, questa è la vita eterna. Che sfida eterna, che conoscano te, unico vero Dio e il figlio tuo Gesù! 

Vedete, cari fratelli, la beatitudine nostra, la gioia nostra, l’amicizia che abbiamo con Dio ben al di sopra dei nostri poveri meriti, quell’amicizia che Dio stringe con noi in Gesù suo Figlio unigenito, nato per noi, morto per noi, risorto ed asceso al cielo per noi, ebbene questa amicizia è fondata nella rivelazione del mistero del Dio uno e trino, di Dio buono e salvatore dell’uomo. Ecco, miei cari fratelli, come è importante notare questa esortazione del libro della Sapienza, applicabile misticamente alla persona della beata Vergine Maria. Maria ci dice: estote sapientes! Ecco, figlioli miei, siate sapienti, parliamo, dice Paolo, della sapienza dei perfetti, non di una sapienza di questo mondo secondo gli elementi materiali che si distruggono, ma una sapienza perfetta, spirituale, una sapienza divina. Ecco, cari fratelli, dice S. Tommaso: sapienthia est scienthia per altissima […], la sapienza è una scienza che illumina intellettivamente ciò che si ricerca alla luce dei primi e più alti principi. 

Così, miei cari fratelli, come la filosofia è tutta pervasa dalla luce sapienziale della metafisica e considera tutte le sfumature dell’ente alla luce unica dell’ente in quanto ente, così la teologia, la sapienza teologica, considera tutte le cose alla luce di quella pienezza di essere, di quell’essere increato, di quell’essere impartecipato, di quell’atto essente che si identifica con l’essenza e che è Dio uno e trino, Dio nel mistero della sua trinità, Dio in quel mistero che dai secoli eterni è nascosto nella sua essenza divina. 

Ecco allora, cari fratelli, quanto è importante la preghiera del santo Rosario. L’ordine domenicano — scusate questo, quando ci si glori della gloria dei fondatori, le famiglie religiose sono ben consapevoli e della grandezza del fondatore e della grandezza di Dio soprattutto che diede un così elevato carisma al fondatore; si è anche consapevoli delle proprie mancanze ed inadempienze ma si è soprattutto consapevoli del dovere di carità. Ogni famiglia religiosa ha beni spirituali, scusate se mi scaldo un pochino spiritualmente ed anche in quanto alla voce elevata, perché cari fratelli, si tratta di cose talmente preziose, si tratta di cose che dovrebbero stare a cuore ad ogni buon cristiano, di cose che se si perdono non si possono più recuperare, vedete, cari fratelli, è così facile distruggere, esiste la gloria di certi signori che distruggono tutto, ma è la gloria di quell’uomo che incendiò il tempio di Efeso proprio per farsi la gloria del più grande distruttore, c’è anche la gloria dei devastatori, ma è una gloria molto effimera, cari fratelli, ma soprattutto è una gloria che sarà esecrata dalle generazioni future. La nostra carità non deve limitarsi né allo spazio ristretto della nostra città, della nostra nazione, ma neppure temporalmente deve restringersi al nostro tempo. Noi abbiamo un’eredità immensa, cerchiamo di tramandarla alle venerazioni future viva, non depauperata, non sperperata. Ci sarebbe molto da parlare di questo, è meglio evitare l’argomento per restare gli eccessi dell’irascibilità. Comunque la cosa più importante è questa — vedete, l’ordine domenicano si gloria non per una gloria sua, perché siamo dei poveri uomini, diceva anche Dante che in questa famiglia ben si impingua se non si vaneggia, qui non si tratta di vaneggiare ma di lodare il Signore, di chinare la testa davanti a Lui in umiltà e riconoscenza per queste due armi potentissime che l’ordine domenicano possiede, che ahimè sono così poco tenute in considerazione, persino in questo grande ordine chiamato ad operare la gloria più grande di Dio, salus animarum, la salvezza delle anime tramite la predicazione dottrinale. 

Ecco, cari fratelli, per ottenere questo scopo, questo fine di eminente carità di condurre a Dio le anime lavate dal Sangue prezioso del Crocifisso, condurre a Dio le anime, in questo compito così bello, così stupendo, così perfettamente caritatevole S. Domenico ricevette dalla gloriosa Vergine, nostra madre fondatrice, due grandi armi: l’arma della sacra teologia per sconfiggere le eresie e l’arma della preghiera così stupenda e così teologale, così che le due armi non sono che un tutt’uno, ovvero la preghiera del S. Rosario. Si dice appunto di san Domenico che non era l’inventore del S. Rosario a quanto pare, c’erano già dei fermenti della pietà mariana rosariana già prima di san Domenico, ma era il propagatore per eccellenza del rosario. Proprio là nella difficile ed ardua predicazione contro l’eresia degli albigesi e dei valdesi san Domenico ebbe la netta percezione ispirategli dall’alto, dallo Spirito Santo del Signore, che potrà riuscire in questo suo compito solo se si appellerà alla beata Vergine Maria, solo se avrà in bocca continuamente quel saluto angelico che è la gioia del Paradiso perché gli angeli e i beati in cielo, cari fratelli, applaudono la Vergine per tutta l’eternità con le parole dell’arcangelo Gabriele "Ave, o Maria piena di grazia, il Signore è con te, benedetta sei tu fra tutte le donne". 

Vedete, cari fratelli, gli Angeli hanno più pazienza degli uomini perché hanno un’anima, la loro essenza intellettuale, tutta aperta a Dio, tutta pervasa dalla luce beatifica di Dio, vedete, cari fratelli, quello che noi dobbiamo cercare di ottenere nella preghiera ed è lì che la Madonna ci conduce per le vie del suo rosario, ci conduce ad amare Dio, a godere di Dio, a gustare la soavità e la dolcezza del nostro Redentore. Noi vediamo quelli che si annoiano, che sono stufi di questo cibo spirituale come i prevaricatori nel deserto, che dicevano: noi ne abbiamo abbastanza della manna, noi vogliamo mangiare cibi succulenti, cibi più grassi ed il Signore si adirò contro il popolo e ne sterminò una moltitudine. 

Vedete, miei cari fratelli, come Dio ce lo dona per il nostro bene, per il nostro progresso spirituale, per la nostra santificazione. Ecco come è santa la scuola del santo rosario, come con il santo rosario le anime vengono elevate a Dio, vengono purificate dagli errori e soprattutto in questa preghiera che assieme a Maria contempla i misteri di Cristo della nostra redenzione, è soprattutto in questa preghiera che Maria Santissima appare per quello che è, cioè la liberatrice da tutte le eresie. Beata est Virgo Maria quae sola interemisti cunctas haereses in universo mundo. 

Come è grande la gloria dell’ordine domenicano che davvero non vaneggia bensì impingua in quei pascoli ai quali il Signore manda le anime nostre. Ebbene, cari fratelli, l’ordine domenicano ha il compito di opporsi alla gravità dell’eresia. L’amore è ciò che ci salva, ma l’amore di Dio ci dà per sua ultima permissione la conoscenza di Dio, la verità di Dio e solo la verità ci potrà liberare. Perciò non c’è vero amore per il Signore senza la verità della fede e così il primo e fondamentale dovere della carità è quello anzitutto di condurre le anime alla fede. Ma non alla fede umana, all’opinione degli uomini, no, alla fede vera, alla fede rivelata, alla fede che non nasce su questa terra da una rivoluzione più o meno dogmatica come la sognano i modernisti, ma una fede che discende dal Cielo perché è parola del Dio vivente, quella parola che con la sua forza intensa sostiene l’universo. 

Miei cari fratelli, vorrei proprio meditare su un’omelia bellissima, che mi piacque tanto, di san Bernardo abate, quel grande devoto di Maria. Proprio la liturgia ci presenta questa omelia che è presentata nel breviario nel giorno festoso del rosario di Maria. Ebbene, san Bernardo parte anzitutto da queste parole che abbiamo sentito nel S. Vangelo e cioè: ciò che nascerà da Te Santo, sarà chiamato Figlio dell’altissimo. Ebbene, dice S. Bernardo, il Verbo dell’Eterno Padre, il fonte della sapienza, che è eternamente presso il Padre e che è eternamente Dio consustanziale al Padre, ebbene il Verbo, quel SS. Verbo del Padre per mezzo di Maria e solo per Maria è destinato ad assumere la carne umana. Ecco vedete perché si dice non sanctus, ma sanctum quod accepit, perché la persona divina è la persona del Verbo ma la cosa santa che non è persona, ma solo natura anche se individua è l’umanità verace del Salvatore. Vedete come anche solo nel modo di parlare l’Angelo allude già al mistero dell’incarnazione. Due nature, divina ed umana nell’unità dell’unica persona nell’unità dell’ipostasi del Verbo. Però vedete, cari fratelli, che cosa vuole sottolineare san Bernardo e che cosa ci interessa soprattutto per vedere il senso profondo della pietà mariana e del S. rosario, san Bernardo vuole dire questo: solo tramite Maria noi abbiamo in mezzo a noi il vero Dio e il vero Uomo, Gesù Cristo nostro Salvatore. Iddio che salva, cari fratelli, è il Dio che si riveste della carne umana e quella carne umana per opera dello Spirito Santo di Dio egli l’assunse nel grembo verginale di Maria. Ecco vedete, cari fratelli, non si può fare a meno della mediazione di Maria. 

Scusate se sono proprio ripetitivo su questo argomento, però non mi stancherò mai di dirvelo abbastanza: non si può non si può fare a meno della mediazione di Maria, la pietà mariana non è un’opzione facoltativa, oggi si vuole che tutto sia democratico pluralistico e facoltativo, persino Iddio, cari fratelli, notate la stoltezza umana, nel nostro democraticissimo parlamento diventa un’opzione facoltativa per i ragazzi, diventa facoltativo andare in Paradiso, se ne accorgeranno questi assassini delle anime quando si presenteranno davanti a Dio, allora vedranno se è facoltativa l’opzione per Dio o contro Dio, se salva la democrazia o la Chiesa teocratica istituita dal Re dei re, Cristo Signore e Salvatore. 

Notate bene questo, non è facoltativa l’opzione, poi dà più o meno fastidio nei dialoghi ecumenici, non è facoltativa l’opzione per Maria, non si può ricevere Gesù se non dalle mani materne, dalle mani benedette e benedicenti di Maria. Guardate al centro della cupola di S. Domenico c’è la beata Vergine, e chi porta in braccio? Il figlio suo, suo, imprescindibilmente suo, Gesù Cristo. Nessuno può ricevere il Figlio se non dalla madre, perché solo la madre ha il diritto sul Figlio dell’Altissimo. 

Ecco, miei cari fratelli, come noi dobbiamo pensare sempre a questo Figlio che abita nei cieli, come dice S. Bernardo, però ha voluto assumere la carne umana tramite la Vergine, per te, o beata Virgo, tramite te, o beata Vergine il Verbo si è fatto carne. 

Seconda considerazione di S. Bernardo è questa. Quindi la prima cosa è la mediazione di Maria, nel s. rosario la mediazione è triplice: nel s. rosario Maria prega con noi, assieme a noi, Maria prega per noi, Maria aiuta la nostra preghiera insegnandoci a pregare. Questo è estremamente importante. Maria prega con noi perché si associa anche lei alla nostra preghiera, presenta la nostra preghiera a Dio, prega per noi perché con la sua intercessione ci aiuta ed infine illumina la nostra mente perché possiamo pregare come Dio vuole, lei che è la sposa dello Spirito Santo, noi non sappiamo chiedere, ma è lo Spirito Santo che si esprime dentro di noi con gemiti ineffabili. 

Ecco allora che il s. rosario esprime la nostra volontà di pregare meglio, con la nostra orazione la sublime preghiera così gradita a Dio della beata Vergine. Si dice che la sua intercessione sia onnipotente presso Dio, pensate, lei è onnipotente non come Dio è onnipotente, ma è onnipotente tramite la sua intercessione. Nulla rifiuta Dio alla gloriosa Vergine. Seconda cosa, il Verbo di Dio che abita in excelsis, come dice S. Bernardo, è la fonte della sapienza e dall’eternità. Il Verbo era presso Dio ed il Verbo era Dio, dall’eternità, dice S. Bernardo; il fonte dell’eterna sapienza già zampillava, vedete come è bella questa idea del Verbo eternamente procedente, questo fonte dell’eterna sapienza che da tutta l’eternità scaturisce da Dio. Però questo fonte, dice S. Bernardo, zampillava da tutta l’eternità, ma zampillava per sé stesso, non per l’uomo e per la sua salvezza, abitava nella luce inaccessibile di Dio perché era il Verbo presso Dio non era ancora il Dio come uomo, l’Emmanuele, il Dio in mezzo a noi, e invece proprio colui che dice "il Padre è in me ed io sono nel Padre" doveva dire: "io sono stato mandato dal Padre e sono in mezzo a voi". 

Ecco, cari fratelli, quanto è importante che si raggiunga da questa miseria della valle di lagrime questa vera destinazione dell’uomo, che s’invola da questa terra di lontananza, da questa terra di esilio, che la nostra mente abbia questo bagliore di luce, questa speranza, che abbia questa capacità di intravedere la meta, cioè che abbia la possibilità di innalzarsi a Dio, al suo Creatore, al suo Salvatore e Redentore. 

Ecco allora, cari fratelli, quanto è importante pregare. La gente talora dice che pregare è semplicemente pensare a Dio, come se fosse un pensiero come gli altri. Invece la preghiera, la meditazione, non è un pensiero come gli altri, il pensiero umano soprattutto nella preghiera meditata deve scomparire. 

S. Giovanni della Croce, un grande mistico, dice che il suo gran dolore è che purtroppo il pensiero umano non si può eliminare in questa vita. L’ideale sarebbe eliminare il pensiero umano, così che l’uomo riuscisse a pensare… a quale pensiero? Il pensiero di Dio, il fonte della sapienza che zampilla già nella vita eterna. Questo sarebbe l’ideale. Vedete come pregare significa rinunciare ai nostri pensieri e rivestirsi del pensiero dell’Eterno Padre, che è il pensiero di Cristo, non è il pensiero che fa Cristo, ma il pensiero è Cristo, sostanzialmente: il Verbo. Allora pregare significa sostanzialmente immergersi in quell’oceano di beatitudine, di pace, di gioia che è la preghiera. 

Ecco perché è un segno estremamente preoccupante questa ricerca delle novità. Voi sapete come è pericoloso, pernicioso per le anime la ricerca della novità nella santa liturgia. Adesso è divenuta di moda la creatività, ci si deve divertire nella liturgia. Sono stati distrutti tanti tesori di arte, tanti tesori della preghiera cresciuta tramite la tradizione di intere generazioni. Anche la liturgia — dirò così, ma non si può dire altrimenti — è deturpata perché abbandonata al giudizio del singolo, bisogna che si sia creativi, quindi ad ogni circostanza, ed inopportuna, sempre ci sono delle interferenze, "Noi siamo persone adulte", si dice, "noi abbiamo della inventiva". Badate bene che questa creatività, questa inventività nella preghiera non è secondo Dio: è la superbia ancora che fa capolino, la superbia che dice: "Tu sei una creatura perbene, non devi lasciarti prescrivere quello che Dio vuole da te, sii tu stesso ad inventarti le tue vie per andare verso il Signore". Ma cari fratelli il Signore non si raggiunge che per una sola via ed è quella che non l’uomo, ma Dio ha tracciato, solo la via di Dio. Allora chi è quell’anima che dice: "io sono annoiato della ripetizione". Oggi si ha quasi paura a dire ai giovani: "prega il rosario, prendi la corona benedetta e dì cento volte, centocinquanta volte: Ave o Maria, piena di grazia e medita il mistero di Cristo". No, non si può proporre questo ai giovani, perché i giovani sono creativi, hanno inventiva, sono autonomi… Come è perniciosa l’autonomia, noi conosciamo diverse di quelle autonomie ed alcune sono demenziali. 

Ebbene questi giovani sono autonomi, sono inventivi, sono pluralisti, quindi cercano le loro vie, quindi è lecito che si annoino di Dio! No, cari fratelli, un’anima che si annoia di Dio, non è questione di metodo di preghiera, ma l’anima non pregherà mai, non è questione di dire "lascia stare, prendi qualcos’altro, leggi la scrittura", no, non riuscirà nemmeno a godere della Scrittura, nient’altro, perché Iddio nella pienezza dell’essere non vuole essere fatto a pezzettini. Questo è il mistero della sapienza. Non è complicata, è semplice la sapienza, la sapienza ha un solo oggetto, ma quell’oggetto racchiude in sé tutte le cose e guai a chi non riesce a concepire la ricchezza spirituale se non come un susseguirsi di eventi e non già come una pienezza che virtualmente tutto racchiude. 

Dice S. Bernardo che il bastone sacerdotale, si riferisce appunto alla monade, produce tutti i nuclei del mistero. S. Bernardo aveva già presente l’oggetto principale del rosario, cioè i misteri di Cristo, quel bastone sacerdotale, non solo quello di Aronne, ma anche quello della radice di Jesse, che ci diede Maria, la quale ex supernis, dalle sfere celesti superiori fortunosamente attinse alle ricchezze di Dio e ci diede il Salvatore ben visibile, Lui che all’inizio era nascosto nella luce inaccessibile, voleva poi farsi vedere dall’uomo, divenire palpabile, comprensibile, visibile. Quando lo vedi? Quando lo afferri? Lo vedo, è celato nel grembo verginale, lo vedo quando è deposto nella mangiatoia, lo vedo quando predica alla folla, lo vedo quando rimane in preghiera tutta la notte, lo vedo quando impallidisce nella morte, lo vedo appeso, lo vedo ancora dominare sugli inferi, lo vedo mostrare le sue piaghe agli apostoli nel trionfo della sua resurrezione e nella sua ascensione. 

Vedete come S. Bernardo attinge a quei nuclei del mistero dal bastone fiorito di Aronne, dal virgulto di Jesse ai misteri della nascita, della morte, della resurrezione e della redenzione compiuta per mezzo del nostro Signore e Salvatore nostro. Posso dire che questa non è solo una preghiera cristocentrica, ma è anche una preghiera teocentrica. Come vi dissi, in fondo la teologia dell’ordine è una sola, la teologia di S. Tommaso, che la Chiesa fece sua. La teologia teocentrica, che l’ordine domenicano fece sua, è tipica dell’ordine domenicano, d’altra parte una teologia non teocentrica è una depravazione della teologia. Dice appunto S. Bernardo che la teologia del S. rosario è teocentrica: nulla dei misteri della nostra salvezza si può pensare senza pietà e senza santità e in tutte queste cose contemplo Dio. Vedete come tramite Maria si accede a Cristo, ma tramite l’umanità di Cristo si accede al Verbo e tramite il Verbo al Padre. Ecco come c’è Cristo in questa stupenda preghiera che solo anime privilegiate sanno apprezzare nella sua meravigliosa dolcezza e sapienza. 

Cari fratelli, cerchiamo di far conto di questa preghiera, cerchiamo di pregare anche per coloro, e sono tanti, che non la sanno apprezzare, ma cerchiamo soprattutto con amore apostolico, con amore per le anime redente da Cristo, cerchiamo di diffondere questa preghiera facciamoci in questo anno mariano in particolare, ma in tutta la nostra vita facciamoci apostoli del S. Rosario e Maria ci benedirà nel momento della nostra morte, come giustamente disse quel suo grande apostolo S. Luigi Maria Grignion di Monfort, pregate ogni giorno la preghiera del S. Rosario e nel momento della vostra morte mi benedirete per quel consiglio che vi ho dato.

lunedì 11 maggio 2015

Dalle «Omelie sulla Madonna» di san Bernardo, abate


 Hai udito, Vergine, che concepirai e partorirai un figlio; hai udito che questo avverrà non per opera di un uomo, ma per opera dello Spirito santo. L'angelo aspetta la risposta; deve fare ritorno a Dio che l'ha inviato. Aspettiamo, o Signora, una parola di compassione anche noi, noi oppressi miseramente da una sentenza di dannazione. Ecco che ti viene offerto il prezzo della nostra salvezza: se tu acconsenti, saremo subito liberati. Tutto il mondo è in attesa, prostrato alle tue ginocchia: dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, la redenzione dei prigionieri, la liberazione dei condannati, la salvezza di tutti i figli di Adamo, di tutto il genere umano. O Vergine, da' presto la risposta. Rispondi sollecitamente all'angelo, anzi, attraverso l'angelo, al Signore. Rispondi la tua parola e accogli la Parola divina, emetti la parola che passa e ricevi la Parola eterna. Perché tardi? perché temi? Credi all'opera del Signore, da' il tuo assenso ad essa, accoglila. Nella tua umiltà prendi audacia, nella tua verecondia prendi coraggio. In nessun modo devi ora, nella tua semplicità verginale, dimenticare la prudenza; ma in questa sola cosa, o Vergine prudente, non devi temere la presunzione. Perché, se nel silenzio è gradita la modestia, ora è piuttosto necessaria la pietà nella parola. Apri, Vergine beata, il cuore alla fede, le labbra all'assenso, il grembo al Creatore. Ecco che colui al quale è volto il desiderio di tutte le genti batte fuori alla porta. Non sia, che mentre tu sei titubante, egli passi oltre e tu debba, dolente, ricominciare a cercare colui che ami. Levati su, corri, apri! Levati con la fede, corri con la devozione, apri con il tuo assenso. "Eccomi", dice, "sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1, 38). Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate Si sono manifestate la bontà e l'umanità di Dio Salvatore nostro. Ringraziamo Dio che ci fa godere di una consolazione così grande in questo nostro pellegrinaggio di esuli, in questa nostra miseria. Prima che apparisse l'umanità, la bontà era nascosta: eppure c'era anche prima, perché la misericordia di Dio è dall'eternità. Ma come si poteva sapere che è così grande? Era promessa, ma non si faceva sentire, e quindi da molti non era creduta. Molte volte e in diversi modi il Signore parlava nei profeti. Io - diceva - nutro pensieri di pace, non di afflizione. Ma che cosa rispondeva l'uomo, sentendo l'afflizione e non conoscendo la pace? Per questo gli annunziatori di pace piangevano amaramente dicendo: Signore, chi ha creduto al nostro annunzio? Ma ora almeno gli uomini credono dopo che hanno visto, perché la testimonianza di Dio è diventata pienamente credibile. Ecco la pace: non promessa, ma inviata; non differita, ma donata; non profetata, ma presente. Dio Padre ha inviato sulla terra un sacco, per così dire, pieno della sua misericordia; un sacco che fu strappato a pezzi durante la passione perché ne uscisse il prezzo che chiudeva in sé il nostro riscatto; un sacco certo piccolo, ma pieno, se ci è stato dato un Piccolo in cui però “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità”. Quando venne la pienezza dei tempi, venne anche la pienezza della divinità. Venne Dio nella carne per rivelarsi anche agli uomini che sono di carne, e perché fosse riconosciuta la sua bontà manifestandosi nell'umanità. Nulla mostra maggiormente la sua misericordia che l'aver egli assunto la nostra stessa miseria. Da questo sappia l'uomo quanto Dio si curi di lui, e conosca che cosa pensi e senta nei suoi riguardi. Non domandare, uomo, che cosa soffri tu, ma che cosa ha sofferto lui. Grande certo è la bontà di Dio e certo una grande prova di bontà egli ha dato congiungendo la divinità con l'umanità. Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate Fratelli, celebrate come si conviene, con grande fervore di spirito l’Avvento del Signore, con viva gioia per il dono che vi viene fatto. Non meditate però solo sulla prima venuta del Signore, quando egli entrò nel mondo per cercare e salvare ciò che era perduto. Conosciamo [infatti] una triplice venuta del Signore, una venuta occulta si colloca tra le altre due che sono manifeste. Nella prima il Verbo fu visto sulla terra e si intrattenne con gli uomini, quando, come egli stesso afferma, lo videro e lo odiarono. Nell’ultima venuta ogni uomo vedrà la salvezza di Dio e vedranno colui che trafissero. Occulta è invece la venuta intermedia, in cui solo gli eletti lo vedono entro se stessi e le loro anime ne sono salvate. Nella prima venuta dunque egli venne nella debolezza della carne, in questa intermedia viene nella potenza dello Spirito, nell’ultima verrà nella maestà della gloria. Quindi questa venuta intermedia è, per così dire, una via che unisce la prima all’ultima: nella prima Cristo fu nostra redenzione, nell’ultima si manifesterà come nostra vita, in questa è nostro riposo e nostra consolazione. Ma quale sarà la sorte di coloro che rifiutano questo giudizio? Chi infatti si sottrae al giudizio presente in cui il principe di questo mondo viene cacciato fuori, aspetti, o, piuttosto, tema il Giudice futuro dal quale sarà cacciato fuori insieme al suo principe. Se invece, noi ci sottomettiamo già ora al doveroso giudizio, siamo sicuri, e aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre tuo. Il Salvatore trasfigurerà con la sua venuta il nostro misero corpo per conformarlo al suo glorioso, solo se già prima troverà rinnovato e conformato nell’umiltà al suo il nostro cuore. Poiché sono beati coloro che custodiscono la parola di Dio. Tu custodiscila in modo che scenda nel profondo della tua anima e si trasfonda nei tuoi affetti e nei tuoi costumi.

sabato 9 maggio 2015

Domenica 10 Maggio Santa Messa in Rito Romano Antiquior Santuario B.V.Maria del Divino Amore


Un invito per tutti gli amici di Roma e dintorni,a ritrovarci domenica 10 Maggio insieme per la celebrazione della Santa Messa in Rito Romano Antico, e la recita del Santo Rosario nel Santuario della Beata Vergine Maria del Divino Amore.
Cappella dello Spirito Santo

ORARI

ore 17:00 Santo Rosario 

ore 17:30 Santa Messa

possibilità di confessarsi mezz'ora prima della messa

venerdì 8 maggio 2015

Martin Lutero L’Eretico Omicida-Suicida



Testo integrale dell'articolo del sac. dott. Luigi Villa:Martin Lutero omicida e suicida, apparso sul numero 258 della Rivista Chiesa Viva. Dal sito http://www.cattolicesimo.eu/index.php?  pid=206

Quindi si potrebbe dire che Lutero è all'inferno! Ed eccone i motivi principali: egli fu "omicida", ed è per questo che Lutero dovette rifugiarsi in un convento, come vedremo più avanti; e morì "suicida", dopo una ennesima orgia serale! Ma prima tratteggiamo, in breve, la sua vita.

Lutero nacque a Eisleben, in Sassonia, il 10 novembre 1483. Era figlio di un minatore. La famiglia si trasferì a Mansfeld, la città dei minatori, sei mesi dopo la sua nascita. Qui, Martino vi trascorse i suoi primi 14 anni frequentando le scuole private locali. In seguito frequenterà, per un anno, la scuola capitolare dei canonici, in Magdeburgo e, l'anno dopo, la scuola di S. Giorgio, ad Eisenach. All'età di 18 anni entrava all'università di Erfurt per studiarvi filosofia e diritto. Era l'anno 1501. Nel 1505 era già Magister Artium, ossia Dottore in Filosofia. Nello stesso anno, a maggio, iniziava lo studio del Diritto, ma vi durò solo per sei settimane, circa! Ora passiamo a quella sua "entrata in religione", il 2 luglio 1505, che avvenne «non tanto perché attratto, quanto trascinato»! ("non tam tractus quam raptus"); e questo non per un trauma dovuto a un violentissimo uragano, vicino a Stotternheim, in cui sarebbe mancato poco che non vi perisse (1), ma perché...

Qui, ci mettiamo sulle orme del giurista Dietrich Emme che, nel 1983, pubblicò un suo libro dal titolo: Martin Luther, Seine Jugend und Studienzeit 1483-1505. Eine dokumentarische Darstelleng (= Martin Lutero: La giovinezza e gli anni di studio dal 1483 al 1505. Bonn 1983, Dm 69) (2).

giovedì 7 maggio 2015

Papa Benedetto XVI Difendere Cristo e la sua Chiesa, rinunciando ad ogni dubitante messa in discussione od "adattamento" della Verità.



"Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza": il pastore ha bisogno del bastone contro le bestie selvatiche che vogliono irrompere tra il gregge; contro i briganti che cercano il loro bottino [...] Anche la Chiesa deve usare il bastone del pastore, il bastone col quale protegge la fede contro i falsificatori, contro gli orientamenti che sono, in realtà, disorientamenti. Proprio l'uso del bastone può essere un servizio di amore. Oggi vediamo che non si tratta di amore, quando si tollerano comportamenti indegni della vita sacerdotale. Come pure non si tratta di amore se si lascia proliferare l'eresia, il travisamento e il disfacimento della fede, come se noi autonomamente inventassimo la fede. Come se non fosse più dono di Dio, la perla preziosa che non ci lasciamo strappare via. Al tempo stesso, però, il bastone deve sempre di nuovo diventare il vincastro del pastore -- vincastro che aiuti gli uomini a poter camminare su sentieri difficili e a seguire il Signore.

IL MARTIRIO DEI MONACI CERTOSINI INGLESI









 Il 4 maggio, la Chiesa cattolica celebra il ricordo dei 18 monaci certosini morti tra il 1535 ed il 1537, martirizzati durante una violenta persecuzione voluta da Enrico VIII dopo lo scisma. A seguito del distacco della Chiesa Anglicana da Roma, Enrico VIII, ed in seguito i suoi successori, si accanirono contro coloro che difendevano il loro attaccamento alla fede cattolica ed al Papa. Dal 1535 al 1681, migliaia di cattolici furono sterminati in Inghilterra, Scozia e Galles, i primi martiri furono appunto tre monaci certosini e due sacerdoti, che perirono il 4 maggio 1535, mentre l’ultima vittima di questo feroce sterminio fu l’arcivescovo di Armagh e primate d’Irlanda Oliviero Plunkett, giustiziato a Londra l’11 luglio 1681. La mia intenzione è di trattare singolarmente tutti i diciotto martiri nella data della rispettiva morte, pertanto oggi vi narrerò la sorte toccata a Giovanni Houghton, Robert Lawrence, ed Agostino Webster .


Dato il prestigio dell’Ordine certosino, il re Enrico VIII , ritenne che sarebbe stato molto autorevole l’eventuale consenso ricevuto dagli stimati e dotti seguaci di San Bruno. Fu così che al portone della certosa di Londra bussarono degli emissari del re d’Inghilterra, i quali chiedevano all’intera comunità monastica certosina, l’approvazione del ripudio da parte del re, della regina Caterina d’Aragona e quindi l’accettazione come sovrana di Anna Bolena. Inizialmente sia il procuratore G. Exmew, che il priore G. Houghton della certosa londinese furono incarcerati, per aver obiettato sulla legittimità del ripudio, poi dopo circa un mese, furono liberati e dopo aver convinto anche gli altri monaci furono costretti a giurare fedeltà all’Atto di Successione il 25 maggio del 1534. Ma dopo soli pochi mesi, la quiete dell’eremo venne nuovamente turbata, poiché con un nuovo decreto Enrico VIII stabilì che tutti i suoi sudditi dovevano disconoscere l’autorità del papa al fine di riconoscere il re come capo della Chiesa Anglicana. A seguito di ciò Giovanni Houghton riunì tutta la comunità certosina di Londra per comunicare loro gli ultimi avvenimenti, ed all’unisono i monaci si dichiararono pronti a morire per garantire la propria fedeltà alla Chiesa di Roma. Presenti a questo incontro vi erano anche i priori di altre due certose britanniche, Robert Lawrence priore della certosa di Beauvale, ed Agostino Webster priore di Axholme. Costoro insieme al priore londinese, nonché visitatore della Provincia Inglese, decisero di recarsi dal vicario del re Thomas Cromwell, per convincerlo ad intercedere presso il re al fine di esentarli da questo nuovo giuramento Atto di Supremazia che loro non erano in grado di poter fare. Cromwell, dopo aver ascoltato le loro richieste decise di arrestarli e farli rinchiudere nella famigerata Torre di Londra con l’accusa di ribellione e tradimento. Trascorsa una settimana, i poveri religiosi, subirono un processo a Westminster, dove ribadendo la loro fedeltà al pontefice furono condannati a morte e nuovamente imprigionati in attesa di essere giustiziati. Il 4 maggio del 1535 padre Giovanni Houghton, padre Robert Lawrence e padre Agostino Webster insieme a padre Riccardo Reynolds dell’Ordine di Santa Brigida ed al sacerdote, parroco di Isleworth, Giovanni Hailes, furono costretti a sdraiarsi su delle griglie, alle quali furono legati per poi essere trascinati per il tragitto che da Londra conduceva a Tyburn, il luogo ove venivano giustiziati i condannati. Il priore di Londra fu il primo ad essere giustiziato, salì sul patibolo per essere impiccato, poi selvaggiamente non essendo ancora morto soffocato, il boia decise di squartarlo per estrargli il cuore che mostrò alla folla ed agli emissari del re. Prima di spirare Giovanni Houghton esclamò “Gesù mio, cosa intendi fare del mio cuore”. Successivamente gli altri quattro religiosi subirono la stessa sorte, ed anche i loro corpi furono oggetto di scempio, fatti a pezzi, bolliti ed esposti al popolo in vari angoli della città come monito. Fu disposto inoltre che alcuni brandelli dovevano essere collocati fuori le mura della certosa di Londra, per convincere gli altri certosini ad accettare di rinnegare la fedeltà al papa. Ma ciò non avvenne, poiché ad eccezione di diciotto monaci che illusi di poter salvare il convento accettarono la sottomissione, ma dopo poco furono comunque espulsi e la certosa londinese venduta a privati. Come premesso vorrò dare risalto anche agli altri martiri che hanno perso la vita tra il maggio 1535ed il settembre del 1540, pertanto vi rimando a conoscere la loro storia dettagliata in occasione della loro ricorrenza. I 18 Certosini di Londra, furono beatificati da papa Leone XIII il 9 dicembre 1886, mentre i primi sei morti nel 1535 sono stati canonizzati da papa Paolo VI il 25 ottobre 1970. Fu fissata al 4 maggio, la ricorrenza religiosa, per celebrarli tutti.

Preghiera

Tu hai consacrato, Signore, con il martirio
la fedeltà di San Giovanni Houghton e dei suoi compagni al
Romano Pontefice, e concedici, guidati

dal suo esempio, di rimanere attaccati alla

roccia della Sede di Pietro, e di servirti con
estrema tranquillità.

Amen







Lista completa dei diciotto martiri certosini inglesi, e data della loro esecuzione.




San John Houghton, priore della certosa di Londra, giustiziato a Tyburn, Londra, il 4 maggio 1535.
San Robert Lawrence, priore di certosa Beauvale, giustiziato a Tyburn, Londra, il 4 maggio 1535.
Sant’Agostino Webster, priore di certosa Axholme, giustiziato a Tyburn, Londra, il 4 maggio 1535.
Beato Humphrey Middlemore, vicario della certosa di Londra, giustiziato a Tyburn, Londra, il 19 giugno 1535.
Beato Guglielmo Exmew, procuratore della certosa di Londra, giustiziato a Tyburn, Londra, il 19 giugno 1535.
Beato Sebastiano Newdigate, monaco corista della certosa di Londra, giustiziato a Tyburn, Londra, il 19 giugno 1535.
Beato Giovanni Rochester, monaco corista della certosa di Londra, giustiziato a York l’ 11 maggio 1537.
Beato Giacomo Walworth, monaco corista della certosa di Londra, giustiziato a York l’ 11 maggio 1537
Beato Guglielmo Greenwood, converso della certosa di Londra, morto di fame a, Londra il 6 Giugno 1537
Beato Giovanni Davy, diacono, monaco corista della certosa di Londra, morto di fame a, Londra l’ 8 giugno. 1537
Beato Robert Sale, converso della certosa di Londra, morto di fame a, Londra il 9 Giugno, 1537
Beato Walter Pierson, converso della certosa di Londra, morto di fame a, Londra il 10 giugno 1537
Beato Tommaso Green monaco corista della certosa di Londra, morto di fame a, Londra il 10 Giugno 1537
Beato Tommaso Scryven, converso della certosa di Londra, mortodi fame a, Londra il 15 Giugno 1537
Beato Tommaso Redyng,converso della certosa di Londra, morto di fame a, Londra il 16 giugno 1537
Beato Richard Bere, monaco corista della certosa di Londra, morto di fame a, Londra il 9 Agosto, 1537
Beato Tommaso Johnson, monaco corista della certosa di Londra, morto di fame a, Londra il 20 Settembre 1537
Beato Guglielmo Horne, converso della certosa di Londra, giustiziato a Tyburn, Londra il 4 agosto, 1540.

BREVI CENNI BIOGRAFICI

Sant’Agostino Webster: le notizie circa la sua vita sono scarne, di lui si sa che da giovane ha studiato alla prestigiosa Università di Cambridge. Subito dopo aver indossato l’abito certosino, divenne il priore della certosa di Axholme, nel 1531. Successivamente, come abbiamo già visto fu incarcerato per ordine di Thomas Cromwell, poiché si rifiutò di giurare sull’Atto di Supremazia. Egli fu impiccato e squartato a Tyburn il 4 maggio 1535, e poi canonizzato nel 1970.

St. Robert Lawrence: di lui sappiamo che dopo esser divenuto certosino, divenne priore della certosa di Beauvale. La sua sorte è legata al rifiuto dell’Atto di Supremazia, che lo portò dapprima all’arresto e poi alla condanna. Fu giustiziato per impiccagione a Tyburn, il 4 maggio 1535, ed il suo corpo fu successivamente dilaniato. Anch’egli è stato poi canonizzato nel 1970.

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