Ricordiamo oggi 25 marzo morte di Mons. Lefebvre , 23 anni fa, con due dei suoi appuntamenti con tutta la sua forza. Mons. Lefebvre, Requiescat in pace .
Monsignor Marcel Lefebvre (1905-1991), un nome che fa quasi sempre sobbalzare, impronunciabile, se non in alcuni ambienti ristretti, dove è molto amato e molto venerato. Buona parte dell’opinione pubblica cattolica e non l’ha dipinto come un «eretico», come uno «scismatico», uno che desiderava farsi una Chiesa tutta sua... Quanti errori, quante affabulazioni si costruiscono attorno alle persone che pensano, che ragionano, che avanzano verità scomode e perciò divengono loro stesse scomode. scomode come Lefebvre. Conosciuto per lo più come il Vescovo ribelle, monsignor Lefebvre è stato, finora, posto sotto un cono di luce diffamante, non per il suo comportamento di vita, peraltro ineccepibile e altamente virtuoso, da tutti verificabile, ma per la sua forte presa di posizione contro un Concilio pastorale, il Vaticano II, nei cui dettami vedeva e denunciava le conseguenze scristianizzanti e relativistiche che ne sarebbero sorte. Oggi, a distanza di quasi venti tre anni dalla sua scomparsa e a cinquanta dalla chiusura del Concilio stesso, possiamo storicamente avvicinarci a lui con maggiore serenità e senza acrimonia, considerando quest’uomo, meglio, questo Vescovo missionario, non come il nemico di qualcuno, bensì come un impavido e lungimirante soldato di Cristo, paladino dell’integrità della Fede e di Santa Romana Chiesa, del Primato Petrino e dell’Eucaristia. Monsignor Lefebvre, grazie anche ai suoi figli che ha lasciato, i sacerdoti della Fraternità san Pio X, è ancora lì a indicare che nella tradizione, nella dottrina cattolica, nella celebrazione del Santo Sacrificio della Messa di sempre, nella santità sacerdotale stanno le risposte ai problemi di un mondo che si è perso nel suo orgoglio e nella sua vanagloria, detronizzando Cristo Re. La riforma liturgica di Paolo VI, senza precedenti nella storia della Chiesa per il tenore delle innovazioni e per lo spazio lasciato all’iniziativa personale del celebrante, fu promulgata nel 1969. Immediatamente suscitò reazioni negative e resistenze da parte delle più alte sfere della Chiesa – il “Breve esame critico” dei Cardinali Ottaviani e Bacci fu fatto pervenire a Paolo VI qualche settimana prima dell’entrata in vigore del nuovo messale – come anche dai semplici fedeli. Provocò inoltre la reazione di numerose personalità del mondo delle arti, delle lettere e della scienza, che si preoccupavano del declino culturale che essa rappresentava, nel famoso appello pubblicato sul Times il 6 luglio 1971 e all’origine dell’indulto detto “Agatha Christie”.
Infatti, dalla morte di Paolo VI, appena dieci anni più tardi, era già chiaro, persino ai suoi promotori, che questa riforma non aveva raggiunto i suoi obbiettivi e che le chiese cominciavano a svuotarsi.
All’inizio degli anni ’80 una reazione di buon senso si manifestò in modo via via più chiaro: perché non lasciare le forme liturgiche antiche a disposizione di coloro che vi trovavano il proprio nutrimento sacramentale e spirituale? E visto che all’epoca tutto sembrava ormai libero e permesso, perché non permettere anche ciò che si faceva prima? Paolo VI stesso, prima di morire, non aveva forse dato un segno forte relegando Monsignor Annibale Bugnini, l’autore della riforma, ad una sorta di esilio a Teheran? Il papa non aveva capito che la messa che porterà per sempre il suo nome, voluta come la radiosa manifestazione della “primavera” conciliare, si rivelava in effetti un nuovo strumento di divisione in una Chiesa che si stava indebolendo?
La questione della libertà della messa preconciliare emerse da subito nel pontificato aperto nel 1978 da Giovanni Paolo II, anche se poi ci sono voluti trent’anni perché trovasse una risposta con il Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI. All’epoca, in effetti, era stata già annunciata dai due personaggi che rimarranno per la storia – quali che siano le opinioni che si abbiano su l’uno e sull’altro – le figure chiave della soluzione della frattura liturgica: Joseph Ratzinger e Marcel Lefebvre.
I – MONSIGNOR LEFEBVRE : LA « PROFEZIA » SULLA LIBERTA’ DELLA MESSA NEL 1979
L’11 marzo 1979, davanti ai suoi seminaristi di Écône, Monsignor Lefebvre dichiarava:
“Se veramente il Papa rimettesse la messa tradizionale al suo posto nella Chiesa, credo che potremmo dire che l’essenziale per la nostra vittoria sarebbe fatto. Il giorno in cui davvero la messa diverrà nuovamente la messa della Chiesa, la messa delle parrocchie, la messa delle chiese, certo ci saranno ancora delle difficoltà, ci saranno ancora discussioni, ancora opposizioni, e tutto quello che volete, ma alla fine, la messa di sempre, la messa che è il cuore della Chiesa, la messa che è l’essenziale della Chiesa, quella messa riprenderà il suo posto, il posto che forse non sarà ancora abbastanza, e bisognerà evidentemente dargliene uno ancora più grande, ma alla fine comunque, il solo fatto che tutti i sacerdoti che lo desiderano potranno dire quella messa io credo già questo avrà delle conseguenze enormi sulla Chiesa.
Credo che il nostro apporto sarà stato utile per arrivare a quel momento, se veramente arriverà… Ecco, io credo che la Tradizione sarà salva. Il giorno in cui verrà salvata la messa, la Tradizione della Chiesa sarà salva, perché con la messa ci sono i sacramenti, con la messa c’è il Credo, con la messa c’è il catechismo, con la messa c’è la Bibbia, e tutto, tutto… ci sono i seminari… e c’è la Tradizione che si salva. si può dire che si vedrà la luce di un’aurora nella Chiesa, che avremo attraversato una tempesta formidabile, saremo stati nell’oscurità più completa, sferzati da tutti i venti e che alla fine all’orizzonte si rivelerà di nuovo la messa, la messa che è il sole della Chiesa, che è il sole della nostra vita, il sole della vita cristiana…”
“Il solo fatto che tutti i sacerdoti che lo desiderano potranno dire quella messa io credo già questo avrà delle conseguenze enormi sulla Chiesa”: non è forse esattamente questo il contributo fondamentale del Motu Proprio del 2007? La Fraternità San Pio X si è fortemente felicitata di questo testo liberatore attraverso le parole di Monsignor Fellay. E questo non è stato che un atto di giustizia visto che proprio il fondatore della Fraternità l’aveva annunciato come “un’aurora nella Chiesa”.
"Ho combattuto la buona Battaglia ho conservato la Fede"
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