Sancte Joseph ora pro nobis |
Omelia per la solennità di S. Giuseppe
Il Vangelo (Mt 1, 16.18-21.24a), che vi sta dinnanzi e al quale dovrò tra poco fare riferimento, vi presenta S. Giuseppe, definito “uomo giusto” (Mt 1, 19). Ve lo presenta nel momento della sua ansia, quando non sa spiegarsi ancora quello che succede. Ve lo presenta nel momento della sua accettazione, quando attraverso l’Angelo sa quello che succede e in questa accettazione silenziosa, obbediente, eroica, santissima, s’inquadra tutta la sua figura.
Ma oggi c’è un punto che attrae la vostra e la mia attenzione, che è doveroso ricordare e che bisogna spiegare. Sono trascorsi più di cento anni da quando dal Papa Pio IX S. Giuseppe è stato proclamato patrono della Chiesa Universale. Che cosa significa questo? Significa che la Chiesa, per disposizione del Vicario di Dio in terra, del suo capo, il Sommo Pontefice, affida le sue sorti in modo speciale all’intercessione di S. Giuseppe.
Il patronato consiste in questo. Da che si onorano i Santi, e cioè da sempre, il concetto del loro patronato generico è sempre stato accettato e vissuto, ma la costumanza di affidare qualche settore, qualche cosa, qualche territorio, qualche impresa, qualche iniziativa alla speciale intercessione di uno di loro, è piuttosto recente. Tuttavia non è che uno sviluppo della consuetudine antica. Il Codice piano-benedettino stabilisce che solo la Sede Apostolica può costituire i patroni, e si capisce il perché: nessuno può dire: “Io rappresento la Chiesa e metto la Chiesa o questo o quello nelle mani di questo Santo”. Con efficienza vera, cioè impegnando la forza, la capacità decisoria che Gesù Cristo ha dato alla Sua Chiesa, questo non lo può fare altro che o il Sommo Pontefice o il Concilio Ecumenico unito e subordinato al Sommo Pontefice. Questo per spiegare come è stato che Pio IX ha fatto questa dichiarazione.
Ma a me interessa dell’altro, e cioè: qual’è la ragione teologica per cui Pio IX giustamente ha potuto affidare allo Sposo di Maria Santissima le sorti della Chiesa?
Dunque la ragione teologica. La ragione teologica che voi dovete sapere è questa: è piaciuto alla Divina Provvidenza che tutto quello che è stato di Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, diventasse anche nostro. Ecco perché non solo la Sua divina filiazione dall’Eterno Padre è stata partecipata a noi con la Grazia Santificante; noi col Battesimo e, in esso, per la Grazia Santificante diventiamo figli come l’Eterno Figlio, il Verbo, figli adottivi; questo è chiaro, perché noi siamo di una natura diversa e che non ha le caratteristiche, il crisma dell’eternità, della perfezione assoluta dell’infinito.
È per questo motivo che Nostro Signore ha voluto che la Madre Sua Santissima, la Vergine, facesse per tutto il genere umano quello che ha fatto per Lui, quanto era possibile fare, e cioè che Essa facesse l’ufficio materno anche per tutti gli uomini. La interpretazione data a un testo del capitolo 19° di S. Giovanni (vv. 26-27) è stata sempre sufficientemente concorde su questo punto: quella che è stata Madre Sua doveva diventare anche Madre nostra. Quello che è stato Suo, è anche nostro.
C’era il padre putativo. Nel testo che abbiamo letto oggi, a differenza degli altri anni, ci sono premessi alcuni versetti dello stesso Vangelo di Matteo, in cui si ricorda che legalmente di fronte al mondo egli, Giuseppe, fungeva da padre di Nostro Signore Gesù Cristo, pur non essendolo. E allora la custodia che quest’uomo ha avuto di Gesù Cristo è passata alla Chiesa, che non si distingue in sostanza da Nostro Signore. È passata alla nostra storia, alla nostra vita, è passata e resta al di dei nostri dolori, delle nostre debolezze, delle nostre speranze.
Vediamo come ha esercitato lui per Gesù quest’ufficio di essere il padre putativo, vediamo come lo ha fatto. Lo ha fatto così, cari: quest’uomo ha taciuto, perché niente fosse svelato prima che il tempo venisse. Egli scompare dalla scena evangelica prima che Gesù cominci la Sua missione di Redenzione e di evangelizzazione. Egli non solo tace, ma egli si comporta come un padre. È lui che ha mantenuto il Figlio di Dio per tanti anni; ha lavorato silenziosamente, umilmente, come e molto più di quello che fanno quanti non hanno presunzione nel loro lavoro. Ha salvato Gesù Cristo lui, perché al momento stava scatenandosi per l’invidia acre la persecuzione di Erode, che venne smaltita con la strage degli Innocenti, fu lui che, avvertito dall’Angelo, andò in Egitto. Quest’opera di salvezza non è piccola, perché allora andare in Egitto non era affatto come oggi - fortuna che c’era l’oro portato dai Magi per poter affrontare la vita in terra straniera -, ma l’ha affronta. Non solo, ma egli - e lo sappiamo dal testo stesso del Vangelo che dalle labbra di Dio prende la definizione di Giuseppe “uomo giusto” - si è diportato in modo degno e della Vergine Madre del Signore e dell’Unigenito Figlio di Dio, di cui era custode e padre putativo. Questa parola lascia intravedere che cosa di perfezione si è attuata nell’anima sua, il grado di dedizione, il grado di fedeltà.
Ecco come ha fatto il patrono a Cristo. Cari, ecco come fa e farà sempre, per la ragione che ho detta, il patrono alla Chiesa. Noi dobbiamo raccomandarci, oggi, a S. Giuseppe, perché siamo in un’epoca nella quale qualche cosa di simile a quando Erode minacciò la vita di Gesù, e la Sacra Famiglia, condotta, portata, sostenuta da Giuseppe, dovette emigrare in Egitto. Noi ci rivolgiamo a lui, a tutto quello che è suo, alla sua grandezza, alla sua gloria, ma con particolare connotazione a questo episodio importantissimo, nel quale lui divenne il salvatore del Salvatore del mondo, perché egli ci ascolta. Vedete, a lui non occorre che spieghiamo quello che abbiamo nel cuore. Così sia!
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