Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

lunedì 27 febbraio 2023

ROCHE E GLI ALTRI La cricca di Sant'Anselmo che fa la guerra al rito antico



 
di Luisella Scrosati
Dal segretario Viola ai sottosegretari García Macías e Marcjanowicz, fino a Ravelli e Midili che guidano le celebrazioni pontificie: provengono tutti dall'Ateneo Sant’Anselmo e si muovono animati soltanto da un accecamento ideologico e cieco di fronte alla realtà. Ecco chi fa la guerra alla Messa antica.

Qualsiasi persona, anche se intellettualmente poco dotata, è in grado di comprendere che la crociata intrapresa contro il rito antico, a partire da Traditionis Custodes fino al recente Rescriptum, altro non è che un desiderio di vendetta, un accanimento cieco e pieno di livore. E’ questione di semplice osservazione: la Chiesa cattolica si ritrova quasi esangue, con vescovi che osannano all’omosessualità, preti “coccolati” che abusano di suore e vengono protetti dalle più alte sfere, conventi chiusi a forza, chiese e seminari sempre più vuoti, cattolici che fuggono dalla Chiesa.

Se si esclude la Polonia, nei Paesi occidentali la frequenza almeno settimanale alla Messa è abbondantemente al di sotto del 50%: l’Italia è vergognosamente al 34%, ma pare persino fare una bella figura in confronto alla Spagna (27%), all’Austria (17%), alla Germania (14%), e ai due fanalini di coda, Francia e Paesi Bassi, dove nemmeno un cattolico su dieci va alla Messa domenicale.

Con questo scenario, il Dicastero del Culto Divino pensa bene di sprecare tempo e risorse per martellare quelli che alla Messa ci vanno, ma secondo un rito che a loro non è congeniale. In una qualsiasi azienda, il Prefetto del suddetto Dicastero, Mons. Arthur Roche, sarebbe stato licenziato in tronco: non solo incapace di rivitalizzare il mercato, ma anche sufficientemente incompetente da sterilizzare le poche filiali sane.

A ben vedere, l’unico problema di Roche è di essere l’uomo sbagliato al posto sbagliato, il che non è cosa da poco. Non è un mistero la sua radicale impreparazione liturgica; ma all’epoca, l’unico posto libero per collocare le proprie consacrate membra era il Culto Divino, lasciato libero dal cardinale Sarah; e così Roche si è dovuto accomodare lì, come un barcaiolo a presiedere l’unione delle guide alpine.

Il risultato è che al Culto Divino comando altri; e questi altri hanno tutti una caratteristica comune: provengono dal Pontificio Ateneo Sant’Anselmo. A partire dal Segretario, Mons. Vittorio Viola, che dal 2000 insegna vi insegna Liturgia e mantiene tutt’ora la docenza in qualità di Professore Lettore di Liturgia Sacramentale. Viola, in quanto Professore Lettore, ha il diritto di partecipare al Consiglio di Istituto, diritto che solleva un problema di conflitto di interessi. Poi i due sottosegretari, Mons. Aurelio García Macías e Mons. Krzysztof Marcjanowicz, entrambi con dottorato in Liturgia conseguito proprio a Sant’Anselmo; Macías risulta tra l’altro ancora docente. Una situazione decisamente insolita in un Dicastero della Curia Romana, dove dovrebbero trovare rappresentanza le diverse scuole teologiche, filosofiche e liturgiche e che si trova invece blindato al vertice dalla cricca di Sant’Anselmo. Attraverso i suoi ex alunni e professori in posizione apicale al Culto Divino, Sant’Anselmo esercita un’influenza unilaterale sulla liturgia a livello mondiale e tesse legami decisamente troppo stretti con la Curia, terreno assai fertile per le scalate personali in nome dei “servizi” resi alla Santa Chiesa.

Ma l’invasione di Sant’Anselmo è ancora più ampia. A sostituire Mons. Guido Marini, ordinato vescovo e nominato alla guida della diocesi di Tortona, troviamo il brianzolo Mons. Diego Giovanni Ravelli, anche lui con licenza e dottorato a Sant’Anselmo. E poi non poteva mancare l’Ufficio liturgico del Vicariato di Roma. A ricoprire l’incarico di direttore, dal 2011, e di responsabile delle celebrazioni liturgiche della diocesi (dal 2019), è il carmelitano P. Giuseppe Midili, grande amico di P. Marko Ivan Rupnik, anch’egli licenza e dottorato presso l’Ateneo, dove è Professore Ordinario di Pastorale liturgica.

Il caso di Midili solleva domande anche sull’osservanza degli Statuti stessi di Sant’Anselmo, i quali, seguendo Veritatis Gaudium, 29, dispongono che, «per essere “stabili” […] i docenti devono essere liberi da incombenze incompatibili con i loro compiti di ricerca e di insegnamento». Vi sono, a dire il vero, anche altri personaggi che difficilmente si può dire che rispettino questo principio: P. Francesco De Feo, che è Abate del Monastero di Grottaferrata, P. Stefano Visentin, Abate di Praglia e S.E. Mons. Manuel Nin, Esarca apostolico di Grecia e vescovo di Carcabia.

Per questi signori di Sant’Anselmo la liturgia dev’essere stata qualcosa di molto teorico, dal momento che non riescono a guardare in faccia alla realtà che affligge le nostre chiese; ed anche di molto ideologico, dato l’accecato accanimento contro giovani, bambini, famiglie, che nella loro testa finiscono tutti sotto l’etichetta di “avversari del Concilio”, solo perché amano il Rito antico.

Christophe Dickès, storico e giornalista francese, fratello del poeta Damien, tenta di far tornare alla realtà questi liturgisti da scrivania, con uno splendido articolo comparso nientemeno che sulle colonne di Le Figaro. Dickès fa notare che il problema di questo pontificato pare essere il piccolo mondo tradizionalista, che in Francia, dove è particolarmente diffuso, rappresenta circa il 4% dei cattolici; dunque, «una minoranza nella minoranza». Una minoranza evidentemente ritenuta sovversiva, dal momento che pericolosamente chi vi fa parte insegna «il catechismo ai loro bambini, facendogli imparare i dieci comandamenti e le preghiere che i cattolici devono conoscere», e con notevoli sacrifici cerca di preservare i propri figli dalla “cancel culture”, mandandoli in scuole private o parentali, che si devono autofinanziare.

Queste famiglie amano andare alla Messa antica. Tutti snob? Tutti anti-conciliari? Tutti lefebvriani? In verità, dopo le ordinazioni sacerdotali del 1988, queste persone «hanno voluto mostrate la propria fedeltà alla Santa Sede, manifestando i loro bisogni spirituali, come permesso dal diritto canonico (can. 212 § 2)». Fedeltà che oggi viene ripagata con sonori schiaffi.

Ma cosa trovano nella Messa in rito antico? Lì, riconosce Dickès, c’è «una verticalità ed una sacralità» che è meno evidente nel rito approvato da Paolo VI. Inoltre è decisamente un «un rito meno clericale», un rito nel quale è bandito ogni «personalismo: i fedeli pregano in un a tu per tu con Dio», senza che il sacerdote pretenda di fare il loro interfaccia.

E’ in effetti curioso che proprio durante il pontificato che ha fatto della sinodalità il suo chiodo fisso - all’insegna del motto “Allargare lo spazio della tua tenda”! - e dell’anticlericalismo la sua divisa, siano proprio loro ad essere colpiti. E senza alcuna pietà. Nessuno ha pensato di riceverne una delegazione, per poter ascoltare le loro richieste, venire incontro alle loro necessità, come è preciso dovere dei pastori fare. Nulla. Solo due rappresentanti della Fraternità San Pietro sono stati ricevuti. «Quanto ai laici, le madri dei sacerdoti, dai 50 ai 65 anni d’età, che hanno fatto 1500 km a piedi, da Parigi a Roma, per deporre ai piedi del Vicario di Cristo una supplica, sono state ricevute per appena 3 minuti. 1500 chilometri per un pugno di secondi».

Un comportamento che svela la falsa retorica che a Roma è ormai divenuta la regola: si dice che tutti devono trovare uno spazio nella Chiesa, ma non i “tridentini”; si parla di valorizzare i laici, ma non quelli che vanno alla Messa antica; si sgomita per mostrare quanto si apprezzino e si amino le famiglie e i bambini, ma solo quelli che vanno alla “Messa nuova” o magari neppure mettono piede in chiesa. Niente accoglienza, niente misericordia, niente ascolto per quelli che ogni settimana si sentono dare dell’”indietrista”; nei confronti di quelli della Messa in latino pare esista un unico comando: «rieducarli. Con le buone o con le cattive. La sinodalità sembra essere di moda, ma “loro” non hanno che un solo diritto: quello della sofferenza in silenzio», conclude Dickès.

Sembra che in quel di Roma esista una versione singolare della parabola del figliol prodigo, dove il padre caccia via il figlio maggiore, perché stanco di averlo sempre con lui.

(fonte  la Nuova Bussola)

sabato 25 febbraio 2023

Un consiglio di San Pierre-Julien Eymard



“Ho visto iniquità e discordia in città; giorno e notte l’iniquità la circonderà sulle mura; travaglio e ingiustizia saranno nelle sue vie” 
(Sal 55,10-12).

Quando pensiamo che Gesù ci guardi, è più difficile peccare sotto il suo sguardo. "San Pierre-Julien Eymard"

Quando pecchiamo, spesso lo facciamo di notte, pensando inconsapevolmente che nessuno ci veda.

Ma Dio non ci vede forse sempre, indipendentemente dall’ora?

Possiamo però dimenticare questa verità fondamentale e convincerci che Dio ignori le nostre cattive azioni.

San Pierre-Julien Eymard ha scritto un sermone, inserito nel testo La Divina Eucaristia, su come dobbiamo fare tutto sotto lo sguardo attento di Gesù.

“Dovete compiere le vostre azioni sotto lo sguardo di Gesù nel Santissimo Sacramento per realizzarle con coraggio, santità e buonsenso.

Sappiate che l’occhio di Gesù Cristo è direttamente su di voi. Come possiamo osare offenderlo davanti ai Suoi stessi occhi, visto che Egli ci vede come Lo vedremmo noi se cadesse il velo delle Sacre Specie?

Spesso, però, come i vecchi colpevoli dell’Antico Testamento, voltiamo le spalle agli occhi di Nostro Signore per peccare. In caso contrario, non avremmo mai il coraggio di offenderlo”.

Eymard immagina poi come sarebbe se vivessimo davvero in quel modo:

Ah! Se pensassimo che Nostro Signore, che è tanto vicino a noi sull’altare e nel Suo tabernacolo, visto che ci copre uno stesso tetto, è testimone oculare di ciascuna delle nostre azioni, e che alla fine della giornata dovremo comparire alla Sua augusta Presenza per renderne conto, quanto saremmo fedeli, diligenti e santi in tutte le nostre vie!


Non dobbiamo poi pensare agli occhi di Gesù come a quelli di un “giudice arrabbiato”, che vuole vederci fallire.

Pensiamo agli occhi di Cristo come a quelli di un padre amorevole, che soffre ogni volta che vede uno dei Suoi figli cadere in disgrazia.

Provate questo esercizio oggi stesso, e capite come modellare le vostre azioni!

venerdì 24 febbraio 2023

Conferenza di S. Ecc. Mons. Marcel Lefebvre Fondatore della Fraternità San Pio X tenuta a Firenze 15 febbraio 1975 La Messa di Lutero

Carissimi lettori,pubblichiamo il testo della conferenza tenuta il 15 febbraio 1975 da Monsignore Marcel Lefebvre, nella quale egli si serve del libro di Léon Cristiani, Dal Luteranesimo al Protestantesimo, pubblicato in Francia nel 1910, per presentare una comparazione tra la Messa di Lutero e la nuova Messa cattolica riformata dopo il concilio Vaticano II. Le considerazioni di Monsignore partono dalla situazione in cui si trovava la celebrazione della nuova Messa all'epoca, quindi appaiono poco rispondenti con la situazione attuale; e tuttavia, pur tenuto conto della scomparsa dei diffusi eccessi dell'epoca, purtroppo sostituiti nel tempo da irregolarità e licenze a volte anche più gravi, seppure meno diffuse, lo spirito che animò la cosiddetta riforma liturgica è rimasto e anzi ha acquisito elementi di maggiore gravità, arrivando a corrompere la dottrina non più in maniera velata, ma in forme palesi.
Quanto detto allora da Monsignore resta quindi valido tuttora e, per l'essenziale, può aiutare ad orientarsi per meglio cogliere la mutazione profonda che si produsse allora in forma dirompente e che oggi si mantiene, rafforzata e ormai radicata, in una Chiesa che, nella sua vita esteriore, si va sempre più trasformando in una struttura che promuove una forma di vaga religiosità, piuttosto che la vera Religione di Dio.
Allora, Monsignore era colpito dalla “protestantizzazione” della liturgia e della dottrina, chissà cosa direbbe adesso che siamo passati alla “mondializzazione” di esse; che dalla mira massonica alla distruzione della Chiesa siamo passati alla realizzazione massonica della omologazione del cattolicesimo in una sorta di “religione mondiale” propedeutica all'avvento dell'Anticristo.

Mons.Marcel Lefebvre





Signore e Signori,

Questa sera parlerò della Messa evangelica di Lutero e delle sorprendenti somiglianze tra il nuovo rito della Messa e le innovazioni rituali di Lutero.
Perché queste considerazioni? Perché l’idea dell’ecumenismo che presiede alla riforma liturgica, a detta dello stesso Presidente della Commissione, ci induce a farlo; perché è stato provato che questa filiazione del nuovo rito esiste realmente, il problema teologico e cioè il problema della fede, può essere posto solo secondo l’adagio ben noto «Lex orandi, Lex credendi».

Ora, i documenti storici della riforma liturgica di Lutero sono molto istruttivi per far luce sulla riforma attuale.
Per ben comprendere quali furono gli obiettivi di Lutero in queste riforme liturgiche, dobbiamo ricordare brevemente la dottrina della Chiesa relativa al Sacerdozio e al Santo Sacrificio della Messa.

Il Concilio di Trento, nella sua XXII sessione, ci insegna che Nostro Signore Gesù Cristo, non volendo mettere fine al Suo Sacerdozio con la Sua Morte, nell’Ultima Cena istituì un Sacrificio visibile destinato ad applicare la virtù salutare della Sua Redenzione ai peccati che noi commettiamo ogni giorno. A questo fine, Egli costituì i Suoi Apostoli Sacerdoti del Nuovo Testamento, loro e i loro successori, istituendo il Sacramento dell’Ordine, che segna con un carattere sacro e indelebile questi sacerdoti della Nuova Alleanza.
Questo Sacrificio visibile si compie sui nostri altari con un’azione sacrificale per mezzo della quale Nostro Signore, realmente presente sotto le specie del pane e del vino, si offre come Vittima a Suo Padre. Ed è con la manducazione di questa Vittima che noi siamo in comunione con la Carne e il Sangue di Nostro Signore, offrendo noi stessi in unione con Lui.

Così dunque la Chiesa ci insegna che:

Il Sacerdozio dei sacerdoti è essenzialmente diverso da quello dei fedeli, che non hanno sacerdozio, ma fanno parte di una Chiesa che richiede assolutamente un sacerdozio.
A questo Sacerdozio conviene profondamente il celibato e una distinzione esteriore con i fedeli, ossia l’abito sacerdotale.
L’atto essenziale del culto compiuto da questo Sacerdozio è il Santo Sacrificio della Messa, diverso dal Sacrificio della Croce unicamente per il fatto che quello fu cruento e questo non è cruento.
Esso si compie con un atto sacrificale realizzato con le parole della Consacrazione e non con un semplice racconto, memoriale della Passione o della Cena.
E’ per quest’atto sublime e misterioso che si applicano i benefici della Redenzione a ciascuna delle nostre anime e alle anime del Purgatorio. E questo è espresso mirabilmente nell’offertorio.
La Presenza Reale della Vittima è dunque necessaria ed essa si realizza col cambiamento della sostanza del pane e del vino nella sostanza del Corpo e del Sangue di Nostro Signore. Si deve dunque adorare l’Eucarestia ed avere per Essa un immenso rispetto: da qui la tradizione di riservare ai sacerdoti la cura dell’Eucarestia.
La Messa col solo sacerdote, dove solo lui si comunica, è dunque un atto pubblico, Sacrificio dello stesso valore di ogni Sacrificio della Messa e supremamente utile al sacerdote e a tutte le anime. La Messa privata è quindi molto raccomandata e auspicata dalla Chiesa.

sabato 18 febbraio 2023

E NON CI INDURRE IN TENTAZIONE MA LIBERACI DAL MALE

 

(di E.R)

È la più conosciuta e diffusa delle preghiere cristiane, quella che, secondo il Vangelo di Luca (11,1), fu insegnata da Gesù stesso ai suoi discepoli che gli chiedevano come dovessero pregare.

Nella preghiera del "Padre nostro" Dio che ci induce in tentazione «non è una buona traduzione», afferma infatti papa Francesco, correggendo il testo che da 2000 anni è stato recitato a suo dire in modo errato.

Tentazione. Una parola non più di moda nella geografia dell'anima; una parola sempre più di moda nella pubblicità. E capovolta, ad indicare qualcosa di positivo, di allietante, di necessario.

Eppure se il peccato non esiste, tutto è indifferente. Se il peccato non esiste l'anima stessa, più che un enigma,è un delitto. Se tutto equivale, niente vale.

"Non ci indurre in tentazione". Queste parole sembrano quasi dare l'impressione che Dio sia implicato in qualche maniera nella tentazione, che sia Lui a preparare il trabocchetto. Ma "Dio non tenta nessuno, Dio non induce al male".

La prima riflessione è su questo verbo "indurre" che significa "entrare", "restare dentro". Questo verbo lo possiamo capire solo con il confronto di tutto il linguaggio biblico. Gesù al momento della grande tentazione usa lo stesso verbo: "Vegliate e pregate per non entrare, per non restare dentro la tentazione" (Lc. 22,40).

Entrare nella tentazione è essere complici con il male. Fa che non siamo conniventi, che aderiamo al male, fa che non entriamo nella logica della tentazione.

"Non farci entrare" è una formula al negativo che equivale al positivo: "fa che non entriamo".

E' qui sottinteso un passaggio di soggetti. Da Dio a noi.

Che cos'è la tentazione biblica? Non è solo la seduzione del male, ma è la prova, il test, la verifica della fedeltà. Questa verifica è norma per i credenti; è stata norma anche per Gesù Cristo; questa verifica si chiama tentazione.

Gesù ci invita a pregare non per essere esentati dalla prova, ma per non entrare e non restare dentro. "Indurre" è un verbo di moto che contiene la conclusione di un cammino. Il suo contrario è andare oltre. Fa che non restiamo dentro, avvinghiati alla tentazione, aderendo alla sua logica, ma aiutaci ad attraversarla.

Le tentazioni non si evitano, si attraversano. Le passioni non si spengono, si attraversano. Infatti lo Spirito che doveva proteggere Gesù dal male lo porta, invece, verso il deserto, verso la tentazione. E così inizia ogni storia personale: con la lotta e la tentazione nel profondo di se stessi. In principio c'è la tentazione.

Perché l'uomo sceglie il male? Da dove viene questo dramma del preferire le tenebre? Il male viene dall'uomo che aspira a mettersi al posto di Dio e dal suo incontro con quel personaggio misterioso che prende il volto della seduzioni culturali delle varie epoche.

Quel serpente che all'origine prova l'uomo con la tentazione assoluta: "Diventerete come Dio". Vi è dato un giardino, ma "Vi è stato negato proprio il meglio da Dio stesso, che è geloso di voi". Ed Eva ci crede. Ecco il peccato assoluto: crede a un Dio che toglie, non più a un Dio che dona.

Ed Eva si sente figlia di una sottrazione, non più di una addizione. Dio è visto come colui che ruba possibilità di vita, di piacere, di gioia, di potere: un Dio rivale dell'uomo, un idolo crudele, non più un Padre.

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