Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

martedì 28 marzo 2023

Rimosso mons. Daniel Fernández Torres nella Chiesa della misericordia! "Troppo cattolico"

 mons. Daniel Fernández Torres 


Il 9 marzo 2022 papa Francesco lo ha sollevato dalla cura pastorale della diocesi di Arecibo, di “Porto Rico”mons.Daniel Fernández Torres, (uno Stato di fatto associato agli Stati Uniti, una sorta di protettorato). La decisione di Bergoglio di rimuoverlo improvvisamente dalla guida della sua diocesi sarebbe stata dovuta in gran parte alla difesa da parte del vescovo delle obiezioni di coscienza nei confronti dei vaccini. Il delegato apostolico di Porto Rico ne ha chiesto le dimissioni dopo che il vescovo Fernández Torres si è rifiutato di firmare una lettera emessa dalla conferenza episcopale dell’isola che annunciava un severo obbligo di vaccinazione per sacerdoti e dipendenti delle diocesi. La lettera imponeva anche che all’interno delle chiese ci fosse, durante le Messe, una divisione tra fedeli vaccinati e non vaccinati, una vera e propria segregazione di questi ultimi. Questa lettera era nelle intenzioni dell’episcopato portoricano una decisa e pronta risposta alla sollecitazione venuta dal Vaticano, secondo la quale vaccinarsi sarebbe un “dovere morale”, il celebre “atto d’amore” di cui ha parlato Bergoglio.
Giorni prima il vescovo Fernández Torres aveva rilasciato una dichiarazione in cui difendeva il diritto di rifiutare la vaccinazione sulla base della coscienza e insisteva sul fatto che “è possibile per un fedele cattolico fare obiezione di coscienza alla presunta natura obbligatoria del vaccino Covid-19”.La sua lettera rifletteva le posizioni di numerosi altri presuli e la stessa nota dottrinale del Vaticano sui vaccini Covid, in cui si afferma che “la vaccinazione non è, di regola, un obbligo morale e che, quindi, deve essere volontaria”. Il suo sostegno ai diritti di coscienza trovava fondamento anche nel fatto che tutti i vaccini Covid approvati per l’uso negli Stati Uniti erano stati sviluppati o testati con linee cellulari derivate da bambini abortiti.

sabato 25 marzo 2023

“Tempo di Passione”.


"Con la quinta domenica di Quaresima si entra nel “Tempo di Passione“, caratterizzato da una marcata attenzione al mistero della Passione e Morte del Signore Gesù.

Con la Domenica di passione secondo il calendario liturgico del Messale Romano del 1962 e secondo le edizioni precedenti.

È detta anche domenica Iudica dalla prima parola dell'introito nella messa di questo giorno: Iudica me, Deus (Salmo 43,1).Altre particolarità liturgiche prevedono l'omissione della dossologia minore (Gloria Patri) al termine dei salmi che si recitano durante la messa.

Nella revisione di papa Giovanni XXIII del rito romano (1960) a tale domenica fu dato il nome di "prima domenica di passione", mentre alla Domenica delle palme è stato dato il nome di "seconda domenica di passione oppure della palme".In tale revisione, con la I domenica di passione si inizia quindi il Tempo di Passione, distinto dal Tempo di Quaresima in senso stretto.

Si prevede in questa domenica l'inizio, di velare la croce e le statue dei santi. Questo rito, che prevede la “velatura” dei Crocifissi nelle due settimane che precedono la Pasqua, è regolamentata fin dai tempi del Concilio di Trento. Per quanto non più diffusa come un tempo, è ancora praticata in diverse parrocchie e in varie parti del mondo. La Congregazione per il Culto Divino, difende l’opportunità di conservare e recuperare questa usanza, per il forte significato simbolico che racchiude.La pratica, che un tempo era molto diffusa, ora è molto meno frequente, ma alcuni parroci ancora la praticano, rinnovando un’antichissima tradizione. È la tradizione della Velatio, ovvero la “velatura” del Cristo nel Tempo di Passione, dal Vespro del Sabato che precede la prima  Domenica di Passione fino al Venerdì Santo. Come i crocifissi, così anche le immagini e le statue dei Santi e di Maria santissima vengono velate o incappucciate, né gli si possono accendere lumini e candele, mentre restano scoperte le sole tavole della Via Crucis.

Celare i simulacri dei Santi e di Cristo, mettendone in risalto la loro “assenza”, è un incentivo ad alimentare l’attesa del giorno di Pasqua, giorno in cui i loro volti tornano ad offrirsi allo sguardo dei fedeli. La Velatio delle croci, sottolinea dunque la privazione fisica di Cristo: la sera del Giovedì Santo, Gesù veniva rapito dalle guardie del tempio, privando della sua luce i suoi discepoli e l’umanità intera, lasciata in balia delle tenebre.
Il Venerdì Santo, il Crocifisso dell’altare viene nuovamente svelato ai fedeli, mentre per la svelatura delle immagini dei Santi e di Maria santissima, occorre attendere il “Gloria” del Sabato Santo.

Svelare, cioè rivelare nuovamente l’immagine del Cristo, richiama la lacerazione del velo del Tempio, che si squarciò nel momento preciso in cui Gesù morì. Quel velo delimitava dal resto del Tempio il Sancta Sanctorum, ovvero la parte più sacra dell’edificio religioso, alla quale si poteva accedere una sola volta nel corso dell’anno. La lacerazione del velo rappresenta la ritrovata unione tra terra e Cielo, che rende quest’ultimo accessibile ad ogni uomo. Allo stesso modo, lo svelarsi della Croce, il Venerdì Santo, è il modo in cui Cristo si porge solennemente ai fedeli, nel suo trionfo sulla Morte.
E dopo di lui, a partire dal Sabato Santo e all’annuncio della Risurrezione di Cristo, si sveleranno e si riveleranno anche i Santi, al canto del “Gloria in excelsis”, perché “in Lui risorto, tutta la vita risorge”, come recita il Prefazio pasquale. I veli che coprivano Gesù e i Santi, raccolti alla svelta sotto le croci e sotto le statue o i dipinti, ci ricordano la realtà “fisica” della Risurrezione: guardando quei veli, noi riviviamo l’emozione di Giovanni Apostolo, che per primo “vide i teli per terra”, ed entrato nel Sepolcro, “vide e credette” (Gv 20,13).

sabato 4 marzo 2023

Quaresima un tempo di grazia



Il pentimento come ben sappiamo, è l’inizio e la condizione di un’autentica vita Cristiana. La prima di Cristo, quando cominciò a predicare, fu “ Pentitevi “ (MT. 4,17). Ma che cos’è il pentimento?

Nell’agitazione della nostra vita quotidiana non abbiamo il tempo e arriviamo tranquillamente alla conclusione che tutto ciò che siamo tenuti a fare durante la Quaresima consiste dall’astenerci da certi alimenti, nel limitare i divertimenti, sull’andare a confessarci sul ricevere l’assoluzione dal Sacerdote, nell’accostarci alla Santa Comunione, ritenerci così perfettamente in regola fino all’anno successivo.

Eppure una ragione ci deve essere se la Chiesa ha fissato nella quaresima un tempo speciale riservato alla penitenza e se ci invita ad uno sforzo spirituale lungo e sostenuto: tutto questo certamente deve riguardare me, la mia fede, la mia vita, la mia appartenenza stessa alla Chiesa.

Il mio primo dovere non è allora quello di cercare di comprendere l’insegnamento della Chiesa sulla Quaresima, di sforzarmi di essere un Cristiano cattolico non soltanto di nome ma anche nella vita?

Alle domande: che cos’è il pentimento? Perché ne abbiamo bisogno? Come praticarlo? La quaresima!

Il periodo di Quaresima durante l’anno  Liturgico ci da una risposta.

La Quaresima, costituisce davvero una scuola di pentimento cui ogni cristiano deve andare ogni anno per approfondire la propria fede, riconsiderare la propria vita e, per quanto possibile, cambiarla.

E’ un meraviglioso Pellegrinaggio alla sorgente stessa della fede cristiana, una riscoperta del modo di vivere dei cattolici.

Proprio attraverso le forme e lo spirito della sua liturgia Quaresimale la Chiesa ci trasmette il senso di questa stagione unica.

Questa breve spiegazione del senso della Quaresima si basa quindi principalmente, anche se non esclusivamente, sugli uffici Divini Quaresimali.
La Chiesa ci chiede di vivere la Quaresima dedicando particolare attenzione queste cose:"Austerità e vigilanza, Ascolto e preghiera, Digiuno penitenza e conversione, Memoria del Battesimo, Carità e condivisione".

Ci auguriamo che ognuno possa scoprire se stesso che niente al mondo è così bello e profondo, così ispirato e ispirante quanto ciò che la Chiesa, nostra Madre, ci rivela e ci dona con libertà quando entriamo nella stagione benedetta della  "Quaresima “.

Disciplina del digiuno e dell’astinenza


Poichè la Costituzione “Poenitemini” del 1966 di Paolo VI e il “Nuovo Diritto Canonico” del 1983 di Giovanni Paolo II hanno modificato la legge del digiuno e dell'astinenza "annacquandola", con solo due giornate il Mercoledì delle ceneri e il Venerdì Santo, per i fedeli di rito latino che desiderosi di osservare la vecchia norma non più in vigore osservata sotto il pontificato di Pio XII (secondo i Canoni 1250-1254 del Diritto Canonico piano-benedettino del 1917, modificati dal Decreto dalla S. Congregazione dei Riti del 16 settembre 1955 e dalla S. Congregazione Concilio del 25 luglio 1957).
La disciplina del digiuno e dell'astinenza è la seguente.

– LA LEGGE DEL DIGIUNO obbliga tutti i fedeli che hanno compiuto i 21 anni e non hanno ancora iniziato il 60° anno.

– LA LEGGE DELL’ASTINENZA dalla carne obbliga tutti i fedeli a partire dai 7 anni compiuti.

IL DIGIUNO consiste nel fare un solo pasto al giorno e due piccole refezioni nel corso della giornata (i moralisti quantificano in 60 grammi al mattino e 250 grammi alla sera; la refezione serale è sempre di magro).

L’ASTINENZA vieta l’uso della carne, di estratto o brodo di carne, ma non quello delle uova, dei latticini e di qualsiasi condimento di grasso animale.

GIORNI DI ASTINENZA DALLE CARNI:

– tutti i Venerdì dell’anno (tranne se vi cade una festa di precetto, ma questo vale solo al di fuori della quaresima).

GIORNI DI ASTINENZA E DI DIGIUNO:

– Mercoledì delle Ceneri;

– ogni Venerdì e Sabato di Quaresima;

– il Mercoledì, il Venerdì e il Sabato delle Quattro Tempora;

– le Vigilie di Natale (24 Dicembre), di Pentecoste, dell’Immacolata (7 dicembre),

d’Ognissanti (31 Ottobre).

GIORNI DI SOLO DIGIUNO SENZA ASTINENZA:

– tutti gli altri giorni feriali di Quaresima (le Domeniche non c’è digiuno).

POSSONO NON PRATICARE L’ASTINENZA:

– i poveri che ricevono carne in elemosina e non hanno altro da mangiare;

– gli infermi, i convalescenti, i deboli di stomaco, le donne che allattano, le donne incinte se deboli;

– gli operai che fanno lavori più pesanti quotidianamente;

– mogli, figli, servi, tutti coloro che esercitano in servizio essendovi costretti, e che non possono avere altro cibo sufficientemente nutriente.

POSSONO NON PRATICARE IL DIGIUNO:

– coloro che digiunerebbero con grave incomodo: ammalati, convalescenti, deboli di nervi, donne che allattano o incinte;

– poveri che hanno già poco cibo a disposizione;

– coloro che esercitano un lavoro che è moralmente e ordinariamente incompatibile con il digiuno (es: lavori pesanti);

– coloro che fanno un lavoro intellettuale molto faticoso (es. studenti sotto esami);

– chi deve fare un lungo e faticoso viaggio; per un maggiore bene o per un’opera di pietà più grande, se questa è moralmente incompatibile con il digiuno (es.: assistenza ai malati).

giovedì 2 marzo 2023

"Non posso obbedire": la lettera di un sacerdote al suo vescovo

Carissimi amici e lettori,
offriamo alla vostra attenzione, nella nostra traduzione, questo articolo Scritto da Michael J. Matt
e pubblicato su The Remnant, la toccante lettera al suo vescovo di un sacerdote costretto a disobbedire a un ordine ingiusto.


Nota dell'editore: Quanto segue potrebbe fungere anche da lettera formale per quei sacerdoti che saranno costretti a disobbedire a un ordine ingiusto in un futuro molto prossimo. Sarà ordinato loro di smettere di offrire la Messa tradizionale in latino e molti di loro disobbediranno. Ma questo non deve essere un atto di sfida contro i loro vescovi. Il cattivo qui è papa Francesco. È lui che ha emanato ordini che hanno messo in difficoltà i vescovi. E nemmeno questa disobbedienza dovrebbe essere vista come permanente. La situazione sotto Francesco è del tutto insostenibile e, al momento opportuno di Dio, la Messa in latino sarà ripristinata, proprio come fu dopo gli anni '70, quando la Messa in latino fu "abrogata", "messa al bando" e "non tornerà mai più". Nessuna forza al mondo può distruggere la Messa in latino, nemmeno un bulldozer gesuita come Francesco. Per favore, condividete questa lettera con i vostri sacerdoti in modo che tutti insieme possiamo prepararci all'inevitabile. E, ricordate, tutto questo è già successo. Dio è al comando. MJM

Eccellenza:
Sia lode a Gesù Cristo ora e per sempre. Come uno dei vostri sacerdoti più leali – che ha sempre cercato di onorare la sua Chiesa, obbedire al suo vescovo e adorare il suo Dio – non ho mai previsto di dover fare quello che sto per fare, e sono veramente dispiaciuto per la delusione che potrebbe causarle.
Dopo molta preghiera, studio e considerazione, mi trovo obbligato in coscienza a dichiarare la mia intenzione di disobbedire al suo ordine di smettere di celebrare la Messa antica.
Mi rendo conto che Sua Eccellenza si trova in una posizione difficile, e che anche lei sta seguendo i dettami della sua coscienza per quanto riguarda il motu proprio Traditionis Custodes del Santo Padre. Ma ho soppesato il mio dovere davanti a Dio rispetto alla mia promessa di obbedire, e Dio ha vinto. Per come la vedo io, obbedire a un ordine così ingiusto potrebbe benissimo essere un affronto allo stesso Dio Onnipotente.
Non posso accettare che Dio desideri che noi cooperiamo con una persecuzione così crudele di tali fedeli cattolici. E anche se ciò significa la perdita temporanea della mia posizione e del mio sostentamento, almeno non avrò le anime dei loro figli sulla coscienza.
Ma sia chiaro, non intendo mancarle di rispetto, tanto meno mettere in discussione la sua legittima autorità su di me come semplice prete. Questa per me è una questione di coscienza, e il motivo per cui non posso obbedire ha tutto a che fare con la crisi della Chiesa e niente a che vedere con una personale mancanza di rispetto nei suoi confronti.


Davanti a Dio, non ho scelta. Vedo tanti fedeli cattolici perdersi d'animo a causa di scandali sessuali, finanziari e dottrinali che percorrono l'intera gerarchia. I pochi che rimangono resistono a malapena. Molti se ne sarebbero già andati se non fosse stato per la Forma Straordinaria, che in qualche modo per grazia di Dio parla ai loro cuori spezzati e lenisce le loro anime martoriate.


Come possiamo toglierglielo? Non hanno sofferto abbastanza? Questa è l'unica Messa che i giovani della mia parrocchia abbiano mai conosciuto. Li unisce, non solo ai cattolici di tutto il mondo, ma anche ai loro antenati. Li sostiene. Li solleva, li ispira, li aiuta ad avvicinarsi a Dio.
Cosa accadrà loro quando togliamo la messa a cui partecipano certamente ogni domenica ma anche la maggior parte dei giorni feriali? Sappiamo entrambi che la stragrande maggioranza dei cattolici nella nostra diocesi non partecipa più alla messa domenicale.La nostra Chiesa è basata su Fede e Ragione, ma in che modo non si risolve in un danno per la Fede? E in che modo non è del tutto irragionevole? Non posso accettare che Dio desideri che noi cooperiamo con una persecuzione così crudele di tali fedeli cattolici. E anche se questo significa la perdita temporanea della mia posizione e del mio sostentamento, almeno non avrò le anime dei loro figli sulla coscienza. Li conosco. Vedo quanto amano Dio e la Chiesa e gli angeli e i santi. Non farò loro questo. Non posso tradirli.
Inoltre, cosa accadrà loro se togliamo la messa che frequentano certamente ogni domenica ma anche la maggior parte dei giorni feriali? Sappiamo entrambi che la stragrande maggioranza dei cattolici nella nostra diocesi non partecipa più alla messa domenicale. No, non posso avere parte in questo scandalo.
Prego che lei comprenda la mia crisi di coscienza, anche se non concorda con la mia decisione di continuare a celebrare la Messa antica. Lei è il mio vescovo, Francesco è il mio papa, e pregherò per entrambi a ogni Messa che offro, anche se Prego che il nostro Dio misericordioso possa abbreviare questo tempo di tribolazione per tutti noi.

Con grande dolore e sincero affetto,
Padre X

La scala di San Giuseppe a Santa Fe, nel New Messico (Usa).



La costruzione della scala di San Giuseppe, detta “miracolosa”, ha una storia che parte da molto lontano. Ebbe inizio quando alcune Suore decisero di partire da Loreto, per giungere a Santa Fe, nel New Messico (Usa).

Era il Settembre del 1852 e quel viaggio fu molto insidioso, tanto che la Superiora, Madre Mathilde, si ammalò di colera e morì.
Le sue Consorelle, che riuscirono a raggiungere la destinazione, erano Suor Madeleine (chiamata, in seguito, a sostituire la Superiora, da Monsignor Jean Baptist Lamy, loro referente), Suor Catherine, Suor Hilaire, Suor Robert.

A Santa Fe, le Suore cercarono e trovarono il modo di far costruire una cappella e un posto dove potessero stare tranquille, ossia un Convento.
La prima costruzione a loro affidata fu il Collegio di Lorette, poi, il 25 Luglio del 1873, Monsignor Jean Baptist Lamy permise che si iniziasse la costruzione di una cappella.
Il progetto fu assegnato all’architetto Antoine Mouly (che si fece aiutare dal figlio Projectus), che aveva già realizzato la Cattedrale della città di Santa Fe.
Monsignor Jean Baptist Lamy, che era francese, volle che si ispirasse alla Saint-Chapelle di Parigi!

La scala di San Giuseppe non era prevista nel progetto

Il progetto, dunque, si basò su uno stile gotico, che aveva circa le seguenti misure: 8 metri di larghezza, 23 metri di lunghezza, 26 metri di altezza.
Ci vollero 5 anni per costruire la cappella. Alla sua realizzazione, il 25 Aprile del 1878, fu posta sotto la protezione di San Giuseppe, ma presentava una gravissima dimenticanza: non era stata pensata una scala che arrivasse al coro, cosicché nessuno avrebbe potuto mai accedervi!

Intanto, l’architetto P. Mouly era morto e il padre, troppo anziano, non poteva portare avanti i lavori. Perciò, vennero convocati molti possibili candidati, per decidere in che modo costruire la scala.
Per come era stata realizzata la struttura, non si trovò nessuno che si assumesse la responsabilità di modificare il progetto dell’architetto P. Mouly, se non previa distruzione di ciò che era stato, sino ad allora, costruito.

Le Suore pensarono, allora, di risolvere il problema nell’unico modo che conoscevano: iniziarono un Novenario a San Giuseppe -protettore del luogo e falegname/carpentiere per eccellenza- certe che la Divina Provvidenza sarebbe corsa in loro aiuto.
E così accadde -effettivamente- poiché, al nono giorno di Novena, un uomo bussò alla loro porta, dicendo di essere un falegname. Aveva un asino, su cui trasportava i suoi attrezzi: una sega, un martello, una squadra e null’altro.

Chi era l’uomo che bussò al Convento?

Quell’uomo si offrì di costruire la scala e le Suore accettarono di fare un tentativo.
Lavorò sempre da solo e in solitudine e, in pochi mesi, finì il lavoro. Poi, svanì nel nulla!
Non vedendolo tornare, neppure a prendere il suo compenso, le Suore lo cercarono, nei posti in cui pensavano potessero conoscerlo, ma nessuno aveva mai sentito parlare di lui; nessuno aveva nemmeno saputo che del legname era arrivato in città, per la costruzione della scala della cappella.
Ma la scala era li, sotto gli occhi di tutti.
Nessuno avrebbe mai saputo chi l’aveva costruita, ma sembrava (e sembra tutt’oggi, a distanza di oltre 100 anni) un opera d’arte.

E’ una scala a chiocciola, che gira due volte su se stessa, con una precisione estrema e senza avere nessun pilastro centrale a sorreggerla. Lascia cadere così, architettonicamente parlando, tutto il suo peso sul primo gradino.
Ecco come è descritta da Suor Florian OSF, sulla rivista Saint-Joseph, dell’Aprile del 1960: “Parecchi architetti hanno affermato che questa scala avrebbe dovuto crollare al suolo, nel momento stesso in cui la prima persona si fosse azzardata sul primo scalino. E tuttavia essa è stata utilizzata quotidianamente per oltre cento anni”.

“Ho parlato della scala con Urban C. Weidner, architetto della regione di Santa Fe e perito di rivestimenti in legno. Mi ha detto che non aveva visto mai una scala a chiocciola su 360°, che non fosse sostenuta da un pilastro centrale”. “Egli mi ha spiegato che il legno è raccordato (nel gergo della falegnameria si dice “innestato”) sui lati dei montanti da nove spacchi di innesto sull’esterno, e da sette sull’interno. La curvatura di ogni pezzo è perfetta. Come può essere stata realizzata una scala simile nel 1870, da un uomo che ha lavorato da solo, in un luogo isolato, con degli attrezzi più che rudimentali? Questo fatto non è mai stato spiegato”.

La scala è tenuta insieme da incastri, che non prevedono chiodi, ed è realizzata con del legno che non è rintracciabile nel New Messico. In alcuni punti strategici, il legno è stato mescolato con gesso e crine di cavallo.

Per gli abitanti del posto (di allora, come di oggi) e per ogni fedele che va a visitarla, quella scala fu costruita da San Giuseppe in persona, che rispose alla preghiere delle Sorelle.
Nessuno ha mai saputo dire di più, se non ciò che lascia tutti senza spiegazione alcuna.
La scala rimane misteriosa nella sua natura e perciò miracolosa; essa ha 33 gradini, come gli anni di Gesù Cristo!

Antonella Sanicanti



mercoledì 1 marzo 2023

In onore del Patriarca San Giuseppe



Nel mese di marzo, la Chiesa ci ricorda la devozione a San Giuseppe, sposo di Maria Sempre Vergine e padre putativo di Nostro Signore Gesù Cristo.

Di lui nel Vangelo si parla poco, ma è nel silenzio delle Sacre Scritture che si esalta la figura di San Giuseppe, uomo scelto da Dio per custodire Suo Figlio e la Sposa dello Spirito Santo.
Grande devoto di questa eccelsa figura fu sicuramente Papa Leone XIII che nell’Enciclica “Quamquam pluries” ha scritto: «Certamente la dignità di Madre di Dio è tanto in alto che nulla vi può essere di più sublime.
Ma poiché tra Giuseppe e la Beatissima Vergine esistette un nodo coniugale, non c’è dubbio che a quell’altissima dignità, per cui la Madre di Dio sovrasta di gran lunga tutte le creature, Egli si avvicinò quanto nessun altro mai».

E l’esegeta Isolano ci ricorda che «Il ministero di San Giuseppe nei riguardi di Gesù fu così intimo, che tutti gli angeli assieme non servirono familiarmente Dio quanto Giuseppe da solo».

E come scrive San Bernardino da Siena «di certo Gesù non nega in Cielo a San Giuseppe quella familiarità, riverenza e sublimissima dignità, che gli ha prestato in terra come figlio e padre».

Bastano queste poche citazioni per capire come San Giuseppe, simbolo non solo di verginità, ma anche di umiltà ed obbedienza, sia stato ricoperto in Cielo di una dignità elevatissima tale da essere, dopo Maria Santissima, il Santo più degno della nostra venerazione. Pertanto egli ha tutto il potere di aiutarci e soddisfare le nostre necessità spirituali e materiali e soltanto pregandolo con fiducia potremmo testare la sua grandezza.

In questo modo, allora, si potranno capire le parole di Santa Teresa di Gesù che, riguardo alle grazie ottenute da San Giuseppe, ha affermato: “Chi non crede, ne faccia la prova, affinché si persuada”.

Basterebbe recitargli quotidianamente una semplice preghiera, oppure impegnarsi in qualche novena in suo onore, ma sicuramente il metodo più efficace e potente per ottenere grazie (specie quelle molto importanti), è recitare le orazioni in onore del Suo Sacro Manto.
Si tratta di un florilegio di preghiere tese ad onorare la sua persona e metterci sotto il Manto della sua protezione.
Quale migliore preghiera di questa?
Ogni volta che le reciteremo potremmo immaginare come lo stesso Gesù Bambino tante volte si sia coperto sotto il Manto del suo padre putativo, per cercare protezione e calore, e come San Giuseppe lo abbia amorevolmente accolto tra le sue braccia.
Allora, con la stessa fiducia di un Dio fatto uomo, anche noi chiediamo riparo sotto il suo Sacro Manto e stiamo certi che, con lo stesso amore, San Giuseppe ci proteggerà ed accoglierà.

Il Sacro Manto va recitato per trenta giorni consecutivi (in memoria dei trent’anni di vita vissuti da San Giuseppe con Gesù).

Ricordiamo, tuttavia, che – come affermava sant’Agostino – la preghiera per avere efficacia deve essere detta con fede ed umiltà e non deve chiedere grazie
contrarie alla nostra salvezza.
Pertanto il Sacro Manto deve essere considerato un mezzo per impegnare San Giuseppe ad ottenerci la grazia dalla Divina Provvidenza che sa cosa è meglio per il bene nostro e della nostra anima.

La recita del Sacro Manto ha inoltre l’efficacia di farci aumentare nella fede.
A tal proposito santa Teresa d’Avila ha scritto: «Non ho conosciuto persona che gli sia veramente devota [a san Giuseppe] e gli renda qualche particolare servizio, senza che faccia progressi nelle virtù».

Preghiamo dunque con fervore questo grande santo, prendendolo come modello di padre e lavoratore e onorandolo non solo in questo mese dedicato a lui, ma ogni giorno della nostra vita e non esitando di ricorrere a lui per ogni nostra necessità spirituale e materiale.
Il patrono universale della Santa Chiesa saprà come aiutarci.
E ricordiamoci sempre ciò che santa Teresa d’Avila scrisse: «Presi come mio avvocato e patrono il glorioso san Giuseppe e mi raccomandai a lui con fervore. Questo mio padre e protettore mi aiutò nelle necessità, in cui mi trovavo e in molte altre più gravi in cui era in gioco il mio onore, la salute dell’anima mia. Ho visto decisamente che il suo aiuto mi fu sempre più grande di quello che avrei potuto sperare. Non mi ricordo, finora, di non averlo mai pregato per una grazia senza averla subito ottenuta. Ed è cosa che fa meraviglia ricordare i grandi favori che Dio mi ha fatto».

Ite ad Joseph «Andate da Giuseppe»,

 Ite ad Joseph

La Festa del Patrocinio di San Giuseppe, che si tiene fin dal 1880, fa parte della tradizione degli altari e delle tavole di San Giuseppe; è una manifestazione religiosa e pubblica caratterizzata dal banchetto, preparato dalle parrocchie o collegiate per onorare il Santo Patriarca, e che fino a qualche decennio fa si estendeva ai poveri delle nostre città. Nel meridione d'Italia in particolare in Sicilia: il culto è molto diffuso addirittura, viene celebrato anche nel mese di luglio e in alcune zone persino in agosto.


Pio IX è il papa dell’Immacolata, ma è anche il papa di San Giuseppe: fu lui infatti che, con decreto lo dichiarò Patrono della Chiesa Universale nel 1870, mentre la Rivoluzione entrava in Roma sulla punta delle baionette “italiane”. Questo patronato o patrocinio si celebra il mercoledì (giorno dedicato a San Giuseppe) dopo la seconda domenica di Pasqua e San Pio X volle solennizzarlo talmente che lo innalzò a rito doppio di prima classe con ottava.

Storia

Papa Pio IX in «Quemadmodum Deus» (8 dicembre 1870) e nella lettera apostolica «Inclytum Patriarcham» (7 luglio 1874) affida la Chiesa alla protezione di San Giuseppe e lo proclama «Patrono della Chiesa universale». estese a tutta la Chiesa Cattolica la festività del Patrocinio di san Giuseppe, già celebrata a Roma dal 1478: fu fissata la terza domenica dopo Pasqua e poi trasportata al terzo mercoledì dopo Pasqua.

Più tardi, nel 1956 papa Pio XII la sostituì con la festa di san Giuseppe Artigiano (1º maggio), affinché la festa del lavoro fosse condivisa anche dai lavoratori cattolici e non solo dai comunisti.

Per ottenere l'indulgenza di sette anni e sette quarantene, concessa da Papa Pio VII a coloro che offrivano da mangiare, in onore di San Giuseppe, a tre poveri, ogni mercoledì i devoti invitavano a casa un povero, vestito come San Giuseppe.

Qualche decennio fa, in Sicilia, esisteva ancora l’uso di preparare gli altari e le mense davanti alla propria casa, oppure sulla via, nei cortili o piazze.

Nella terza domenica di Pasqua, a partire del fine Ottocento,venivano preparati davanti all'edicola di San Giuseppe o della Sacra Famiglia un pranzo per i poveri. Anticamente erano i sacerdoti stessi (con dei grembiuli bianchi legati alla vita) che servivano il banchetto.



Decreto

Nella stessa maniera che Dio aveva costituito quel Giuseppe, procreato dal patriarca Giacobbe, soprintendente a tutta la terra d’Egitto, per serbare i frumenti al popolo, così, imminendo la pienezza dei tempi, essendo per mandare sulla terra il suo Figlio Unigenito Salvatore del mondo, scelse un altro Giuseppe, di cui quello era figura, e lo fece Signore e Principe della casa e possessione sua e lo elesse Custode dei precipui suoi tesori.
Di fatto, egli ebbe in sua sposa l’Immacolata Vergine Maria, dalla quale nacque di Spirito Santo il Signor Nostro Gesù Cristo che presso gli uomini degnossi di essere riputato figlio di Giuseppe, e gli fu soggetto.
E Quegli, che tanti re e profeti bramarono vedere, Giuseppe non solo Lo vide, ma con Lui ha dimorato e con paterno affetto L’ha abbracciato e baciato; e per di più ha nutrito accuratissimamente Colui che il popolo fedele avrebbe mangiato come pane disceso dal cielo, per conseguire la vita eterna.
Per questa sublime dignità, che Dio conferì a questo fedelissimo suo Servo, la Chiesa ebbe sempre in sommo onore e lodi il Beatissimo Giuseppe, dopo la Vergine Madre di Dio, sua sposa, e il suo intervento implorò nei momenti difficili.
Ora, poiché in questi tempi tristissimi la stessa Chiesa, da ogni parte attaccata da nemici, è talmente oppressa dai più gravi mali, che uomini empi pensarono avere finalmente le porte dell’inferno prevalso contro di lei, perciò i Venerabili Eccellentissimi Vescovi dell’universo Orbe Cattolico inoltrarono al Sommo Pontefice le loro suppliche e quelle dei fedeli alla loro cura commessi chiedendo che si degnasse di costituire San Giuseppe Patrono della Chiesa Cattolica. Avendo poi nel Sacro Ecumenico Concilio Vaticano più insistentemente rinnovato le loro domande e i loro voti, il Santissimo Signor Nostro Pio Papa IX, costernato per la recentissima e luttuosa condizione di cose, per affidare Sé e i fedeli tutti al potentissimo patrocinio del Santo Patriarca Giuseppe, volle soddisfare i voti degli Eccellentissimi Vescovi e solennemente lo dichiarò Patrono della Chiesa Cattolica, ingiungendo che la sua festa, cadente nel 19 di marzo, per l’avanti fosse celebrata con rito doppio di prima classe, senza ottava pero, a motivo della Quaresima.
Egli stesso inoltre ha disposto che tale dichiarazione, a mezzo del presente Decreto della Sacra Congregazione dei Riti, fosse resa di pubblica ragione in questo giorno sacro all’Immacolata Vergine Madre di Dio e Sposa del castissimo Giuseppe.

Non ostante qualsivoglia cosa in contrario.

Il dì 8 dicembre 1870.

Card. PATRIZI
Prefetto della S. C. dei RR.
Vescovo di Ostia e Velletri.

DOMENICO BARTOLINI
Segretario della S. C. dei RR.

Il Crocifisso mistero d'Amore




"di don Ernesto Bellè"
Sul Calvario e sull’altare è il medesimo Sacrificio di Cristo, indispensabile alla nostra salvezza. Devo farlo mio, questo Sacrificio, devo unirmi a Gesù immolato, con la continua conversione a Lui, con l’offerta, la fedeltà e la santità della mia vita, che impegna tutto me stesso per Lui. “L’Eucaristia è il Sacramento della Passione di Cristo” (S. Tommaso, Summa Theol., III, 73, 3, 3).Il discorso si fa maestoso e affascinante. Ma per ora, ci fermiamo a contemplare estatici questa sublime Realtà con le parole di Enrico Medi (1911-1974), il grande scienziato dei nostri tempi, avviato alla gloria degli altari: “Quando il sacerdote alza l’Ostia consacrata per mostrarla ai fedeli, mostra loro il Crocifisso vivente. Il supremo Sacrificio della Croce, che continua nella sua realtà sostanziale e valore totale, è lì, sull’altare, in quel calice”.

“Gesù, credo, adoro e amo. Il tuo essere in me. Il tuo Sacrificio in me. La tua vita in me”.

“Nessuno mi toglie la vita, io la dono per amore di mio Padre e di tutti voi peccatori perché possiate sentire il suo amore e possiate convertirvi a Lui, il Padre dolcissimo e amabilissimo”. 

Purtroppo, sappiamo che, né loro – ossia i crocifissori di Gesù, i suoi accusatori – ma neanche gli uomini di tutti i tempi, come oggi, amano e accettano questo dono del Padre. Gesù dice che non c’è amore più grande di colui che dà la propria vita per la persona amata. Il Figlio ha dato la sua vita umana, sacrificata fino alla Passione e morte in croce per le persone amate che siamo tutte noi povere creature. È il Padre che lo ha mandato, allora mi chiedo: chi ci ha amati di più? Il Padre che ha mandato a noi Figlio sulla terra e lo ha immolato sulla Croce, fino al martirio, il suo unico Figlio l’Unigenito che ha dato la sua vita per noi? Qual è l’amore più grande? Tutti e due sono l’eterno sommo amore divino. Quando contempliamo il Crocifisso non possiamo dimenticarci del Padre che ce lo ha donato perché noi diventassimo figli suoi. Perché non ricordiamo questo Padre amorevolissimo, santissimo e generosissimo?

Tale è il Mistero di questo è Amore, è l’eterno Amore che genera il Figlio, e lo stringe tra le braccia del Padre nell’amore dello Spirito Santo. Quindi, sulla Croce, c’è anche lo Spirito Santo, perché questo amore che unisce il Padre e il Figlio, lì si è rivelato. Ecco quanto ci ha amato Dio! Ha dato il suo unico Figlio, la gioia eterna del suo cuore paterno e il Figlio ha dato sé stesso in quanto si è incarnato con il proprio essere umano e si è donato nella forza dello Spirito Santo, che è il loro eterno dono d’amore che li unisce in questo abbraccio infinito di comunione.
La Croce, dunque, è la massima e unica rivelazione dell’amore infinito di Dio. E nel Santo sacrificio della messa è Gesù stesso, l'Agnello immolato sulla croce per la nostra redenzione.
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