Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

martedì 28 marzo 2023

Rimosso mons. Daniel Fernández Torres nella Chiesa della misericordia! "Troppo cattolico"

 mons. Daniel Fernández Torres 


Il 9 marzo 2022 papa Francesco lo ha sollevato dalla cura pastorale della diocesi di Arecibo, di “Porto Rico”mons.Daniel Fernández Torres, (uno Stato di fatto associato agli Stati Uniti, una sorta di protettorato). La decisione di Bergoglio di rimuoverlo improvvisamente dalla guida della sua diocesi sarebbe stata dovuta in gran parte alla difesa da parte del vescovo delle obiezioni di coscienza nei confronti dei vaccini. Il delegato apostolico di Porto Rico ne ha chiesto le dimissioni dopo che il vescovo Fernández Torres si è rifiutato di firmare una lettera emessa dalla conferenza episcopale dell’isola che annunciava un severo obbligo di vaccinazione per sacerdoti e dipendenti delle diocesi. La lettera imponeva anche che all’interno delle chiese ci fosse, durante le Messe, una divisione tra fedeli vaccinati e non vaccinati, una vera e propria segregazione di questi ultimi. Questa lettera era nelle intenzioni dell’episcopato portoricano una decisa e pronta risposta alla sollecitazione venuta dal Vaticano, secondo la quale vaccinarsi sarebbe un “dovere morale”, il celebre “atto d’amore” di cui ha parlato Bergoglio.
Giorni prima il vescovo Fernández Torres aveva rilasciato una dichiarazione in cui difendeva il diritto di rifiutare la vaccinazione sulla base della coscienza e insisteva sul fatto che “è possibile per un fedele cattolico fare obiezione di coscienza alla presunta natura obbligatoria del vaccino Covid-19”.La sua lettera rifletteva le posizioni di numerosi altri presuli e la stessa nota dottrinale del Vaticano sui vaccini Covid, in cui si afferma che “la vaccinazione non è, di regola, un obbligo morale e che, quindi, deve essere volontaria”. Il suo sostegno ai diritti di coscienza trovava fondamento anche nel fatto che tutti i vaccini Covid approvati per l’uso negli Stati Uniti erano stati sviluppati o testati con linee cellulari derivate da bambini abortiti.

sabato 25 marzo 2023

“Tempo di Passione”.


"Con la quinta domenica di Quaresima si entra nel “Tempo di Passione“, caratterizzato da una marcata attenzione al mistero della Passione e Morte del Signore Gesù.

Con la Domenica di passione secondo il calendario liturgico del Messale Romano del 1962 e secondo le edizioni precedenti.

È detta anche domenica Iudica dalla prima parola dell'introito nella messa di questo giorno: Iudica me, Deus (Salmo 43,1).Altre particolarità liturgiche prevedono l'omissione della dossologia minore (Gloria Patri) al termine dei salmi che si recitano durante la messa.

Nella revisione di papa Giovanni XXIII del rito romano (1960) a tale domenica fu dato il nome di "prima domenica di passione", mentre alla Domenica delle palme è stato dato il nome di "seconda domenica di passione oppure della palme".In tale revisione, con la I domenica di passione si inizia quindi il Tempo di Passione, distinto dal Tempo di Quaresima in senso stretto.

Si prevede in questa domenica l'inizio, di velare la croce e le statue dei santi. Questo rito, che prevede la “velatura” dei Crocifissi nelle due settimane che precedono la Pasqua, è regolamentata fin dai tempi del Concilio di Trento. Per quanto non più diffusa come un tempo, è ancora praticata in diverse parrocchie e in varie parti del mondo. La Congregazione per il Culto Divino, difende l’opportunità di conservare e recuperare questa usanza, per il forte significato simbolico che racchiude.La pratica, che un tempo era molto diffusa, ora è molto meno frequente, ma alcuni parroci ancora la praticano, rinnovando un’antichissima tradizione. È la tradizione della Velatio, ovvero la “velatura” del Cristo nel Tempo di Passione, dal Vespro del Sabato che precede la prima  Domenica di Passione fino al Venerdì Santo. Come i crocifissi, così anche le immagini e le statue dei Santi e di Maria santissima vengono velate o incappucciate, né gli si possono accendere lumini e candele, mentre restano scoperte le sole tavole della Via Crucis.

Celare i simulacri dei Santi e di Cristo, mettendone in risalto la loro “assenza”, è un incentivo ad alimentare l’attesa del giorno di Pasqua, giorno in cui i loro volti tornano ad offrirsi allo sguardo dei fedeli. La Velatio delle croci, sottolinea dunque la privazione fisica di Cristo: la sera del Giovedì Santo, Gesù veniva rapito dalle guardie del tempio, privando della sua luce i suoi discepoli e l’umanità intera, lasciata in balia delle tenebre.
Il Venerdì Santo, il Crocifisso dell’altare viene nuovamente svelato ai fedeli, mentre per la svelatura delle immagini dei Santi e di Maria santissima, occorre attendere il “Gloria” del Sabato Santo.

Svelare, cioè rivelare nuovamente l’immagine del Cristo, richiama la lacerazione del velo del Tempio, che si squarciò nel momento preciso in cui Gesù morì. Quel velo delimitava dal resto del Tempio il Sancta Sanctorum, ovvero la parte più sacra dell’edificio religioso, alla quale si poteva accedere una sola volta nel corso dell’anno. La lacerazione del velo rappresenta la ritrovata unione tra terra e Cielo, che rende quest’ultimo accessibile ad ogni uomo. Allo stesso modo, lo svelarsi della Croce, il Venerdì Santo, è il modo in cui Cristo si porge solennemente ai fedeli, nel suo trionfo sulla Morte.
E dopo di lui, a partire dal Sabato Santo e all’annuncio della Risurrezione di Cristo, si sveleranno e si riveleranno anche i Santi, al canto del “Gloria in excelsis”, perché “in Lui risorto, tutta la vita risorge”, come recita il Prefazio pasquale. I veli che coprivano Gesù e i Santi, raccolti alla svelta sotto le croci e sotto le statue o i dipinti, ci ricordano la realtà “fisica” della Risurrezione: guardando quei veli, noi riviviamo l’emozione di Giovanni Apostolo, che per primo “vide i teli per terra”, ed entrato nel Sepolcro, “vide e credette” (Gv 20,13).

sabato 4 marzo 2023

Quaresima un tempo di grazia



Il pentimento come ben sappiamo, è l’inizio e la condizione di un’autentica vita Cristiana. La prima di Cristo, quando cominciò a predicare, fu “ Pentitevi “ (MT. 4,17). Ma che cos’è il pentimento?

Nell’agitazione della nostra vita quotidiana non abbiamo il tempo e arriviamo tranquillamente alla conclusione che tutto ciò che siamo tenuti a fare durante la Quaresima consiste dall’astenerci da certi alimenti, nel limitare i divertimenti, sull’andare a confessarci sul ricevere l’assoluzione dal Sacerdote, nell’accostarci alla Santa Comunione, ritenerci così perfettamente in regola fino all’anno successivo.

Eppure una ragione ci deve essere se la Chiesa ha fissato nella quaresima un tempo speciale riservato alla penitenza e se ci invita ad uno sforzo spirituale lungo e sostenuto: tutto questo certamente deve riguardare me, la mia fede, la mia vita, la mia appartenenza stessa alla Chiesa.

Il mio primo dovere non è allora quello di cercare di comprendere l’insegnamento della Chiesa sulla Quaresima, di sforzarmi di essere un Cristiano cattolico non soltanto di nome ma anche nella vita?

Alle domande: che cos’è il pentimento? Perché ne abbiamo bisogno? Come praticarlo? La quaresima!

Il periodo di Quaresima durante l’anno  Liturgico ci da una risposta.

La Quaresima, costituisce davvero una scuola di pentimento cui ogni cristiano deve andare ogni anno per approfondire la propria fede, riconsiderare la propria vita e, per quanto possibile, cambiarla.

E’ un meraviglioso Pellegrinaggio alla sorgente stessa della fede cristiana, una riscoperta del modo di vivere dei cattolici.

Proprio attraverso le forme e lo spirito della sua liturgia Quaresimale la Chiesa ci trasmette il senso di questa stagione unica.

Questa breve spiegazione del senso della Quaresima si basa quindi principalmente, anche se non esclusivamente, sugli uffici Divini Quaresimali.
La Chiesa ci chiede di vivere la Quaresima dedicando particolare attenzione queste cose:"Austerità e vigilanza, Ascolto e preghiera, Digiuno penitenza e conversione, Memoria del Battesimo, Carità e condivisione".

Ci auguriamo che ognuno possa scoprire se stesso che niente al mondo è così bello e profondo, così ispirato e ispirante quanto ciò che la Chiesa, nostra Madre, ci rivela e ci dona con libertà quando entriamo nella stagione benedetta della  "Quaresima “.

Disciplina del digiuno e dell’astinenza


Poichè la Costituzione “Poenitemini” del 1966 di Paolo VI e il “Nuovo Diritto Canonico” del 1983 di Giovanni Paolo II hanno modificato la legge del digiuno e dell'astinenza "annacquandola", con solo due giornate il Mercoledì delle ceneri e il Venerdì Santo, per i fedeli di rito latino che desiderosi di osservare la vecchia norma non più in vigore osservata sotto il pontificato di Pio XII (secondo i Canoni 1250-1254 del Diritto Canonico piano-benedettino del 1917, modificati dal Decreto dalla S. Congregazione dei Riti del 16 settembre 1955 e dalla S. Congregazione Concilio del 25 luglio 1957).
La disciplina del digiuno e dell'astinenza è la seguente.

– LA LEGGE DEL DIGIUNO obbliga tutti i fedeli che hanno compiuto i 21 anni e non hanno ancora iniziato il 60° anno.

– LA LEGGE DELL’ASTINENZA dalla carne obbliga tutti i fedeli a partire dai 7 anni compiuti.

IL DIGIUNO consiste nel fare un solo pasto al giorno e due piccole refezioni nel corso della giornata (i moralisti quantificano in 60 grammi al mattino e 250 grammi alla sera; la refezione serale è sempre di magro).

L’ASTINENZA vieta l’uso della carne, di estratto o brodo di carne, ma non quello delle uova, dei latticini e di qualsiasi condimento di grasso animale.

GIORNI DI ASTINENZA DALLE CARNI:

– tutti i Venerdì dell’anno (tranne se vi cade una festa di precetto, ma questo vale solo al di fuori della quaresima).

GIORNI DI ASTINENZA E DI DIGIUNO:

– Mercoledì delle Ceneri;

– ogni Venerdì e Sabato di Quaresima;

– il Mercoledì, il Venerdì e il Sabato delle Quattro Tempora;

– le Vigilie di Natale (24 Dicembre), di Pentecoste, dell’Immacolata (7 dicembre),

d’Ognissanti (31 Ottobre).

GIORNI DI SOLO DIGIUNO SENZA ASTINENZA:

– tutti gli altri giorni feriali di Quaresima (le Domeniche non c’è digiuno).

POSSONO NON PRATICARE L’ASTINENZA:

– i poveri che ricevono carne in elemosina e non hanno altro da mangiare;

– gli infermi, i convalescenti, i deboli di stomaco, le donne che allattano, le donne incinte se deboli;

– gli operai che fanno lavori più pesanti quotidianamente;

– mogli, figli, servi, tutti coloro che esercitano in servizio essendovi costretti, e che non possono avere altro cibo sufficientemente nutriente.

POSSONO NON PRATICARE IL DIGIUNO:

– coloro che digiunerebbero con grave incomodo: ammalati, convalescenti, deboli di nervi, donne che allattano o incinte;

– poveri che hanno già poco cibo a disposizione;

– coloro che esercitano un lavoro che è moralmente e ordinariamente incompatibile con il digiuno (es: lavori pesanti);

– coloro che fanno un lavoro intellettuale molto faticoso (es. studenti sotto esami);

– chi deve fare un lungo e faticoso viaggio; per un maggiore bene o per un’opera di pietà più grande, se questa è moralmente incompatibile con il digiuno (es.: assistenza ai malati).

giovedì 2 marzo 2023

"Non posso obbedire": la lettera di un sacerdote al suo vescovo

Carissimi amici e lettori,
offriamo alla vostra attenzione, nella nostra traduzione, questo articolo Scritto da Michael J. Matt
e pubblicato su The Remnant, la toccante lettera al suo vescovo di un sacerdote costretto a disobbedire a un ordine ingiusto.


Nota dell'editore: Quanto segue potrebbe fungere anche da lettera formale per quei sacerdoti che saranno costretti a disobbedire a un ordine ingiusto in un futuro molto prossimo. Sarà ordinato loro di smettere di offrire la Messa tradizionale in latino e molti di loro disobbediranno. Ma questo non deve essere un atto di sfida contro i loro vescovi. Il cattivo qui è papa Francesco. È lui che ha emanato ordini che hanno messo in difficoltà i vescovi. E nemmeno questa disobbedienza dovrebbe essere vista come permanente. La situazione sotto Francesco è del tutto insostenibile e, al momento opportuno di Dio, la Messa in latino sarà ripristinata, proprio come fu dopo gli anni '70, quando la Messa in latino fu "abrogata", "messa al bando" e "non tornerà mai più". Nessuna forza al mondo può distruggere la Messa in latino, nemmeno un bulldozer gesuita come Francesco. Per favore, condividete questa lettera con i vostri sacerdoti in modo che tutti insieme possiamo prepararci all'inevitabile. E, ricordate, tutto questo è già successo. Dio è al comando. MJM

Eccellenza:
Sia lode a Gesù Cristo ora e per sempre. Come uno dei vostri sacerdoti più leali – che ha sempre cercato di onorare la sua Chiesa, obbedire al suo vescovo e adorare il suo Dio – non ho mai previsto di dover fare quello che sto per fare, e sono veramente dispiaciuto per la delusione che potrebbe causarle.
Dopo molta preghiera, studio e considerazione, mi trovo obbligato in coscienza a dichiarare la mia intenzione di disobbedire al suo ordine di smettere di celebrare la Messa antica.
Mi rendo conto che Sua Eccellenza si trova in una posizione difficile, e che anche lei sta seguendo i dettami della sua coscienza per quanto riguarda il motu proprio Traditionis Custodes del Santo Padre. Ma ho soppesato il mio dovere davanti a Dio rispetto alla mia promessa di obbedire, e Dio ha vinto. Per come la vedo io, obbedire a un ordine così ingiusto potrebbe benissimo essere un affronto allo stesso Dio Onnipotente.
Non posso accettare che Dio desideri che noi cooperiamo con una persecuzione così crudele di tali fedeli cattolici. E anche se ciò significa la perdita temporanea della mia posizione e del mio sostentamento, almeno non avrò le anime dei loro figli sulla coscienza.
Ma sia chiaro, non intendo mancarle di rispetto, tanto meno mettere in discussione la sua legittima autorità su di me come semplice prete. Questa per me è una questione di coscienza, e il motivo per cui non posso obbedire ha tutto a che fare con la crisi della Chiesa e niente a che vedere con una personale mancanza di rispetto nei suoi confronti.


Davanti a Dio, non ho scelta. Vedo tanti fedeli cattolici perdersi d'animo a causa di scandali sessuali, finanziari e dottrinali che percorrono l'intera gerarchia. I pochi che rimangono resistono a malapena. Molti se ne sarebbero già andati se non fosse stato per la Forma Straordinaria, che in qualche modo per grazia di Dio parla ai loro cuori spezzati e lenisce le loro anime martoriate.


Come possiamo toglierglielo? Non hanno sofferto abbastanza? Questa è l'unica Messa che i giovani della mia parrocchia abbiano mai conosciuto. Li unisce, non solo ai cattolici di tutto il mondo, ma anche ai loro antenati. Li sostiene. Li solleva, li ispira, li aiuta ad avvicinarsi a Dio.
Cosa accadrà loro quando togliamo la messa a cui partecipano certamente ogni domenica ma anche la maggior parte dei giorni feriali? Sappiamo entrambi che la stragrande maggioranza dei cattolici nella nostra diocesi non partecipa più alla messa domenicale.La nostra Chiesa è basata su Fede e Ragione, ma in che modo non si risolve in un danno per la Fede? E in che modo non è del tutto irragionevole? Non posso accettare che Dio desideri che noi cooperiamo con una persecuzione così crudele di tali fedeli cattolici. E anche se questo significa la perdita temporanea della mia posizione e del mio sostentamento, almeno non avrò le anime dei loro figli sulla coscienza. Li conosco. Vedo quanto amano Dio e la Chiesa e gli angeli e i santi. Non farò loro questo. Non posso tradirli.
Inoltre, cosa accadrà loro se togliamo la messa che frequentano certamente ogni domenica ma anche la maggior parte dei giorni feriali? Sappiamo entrambi che la stragrande maggioranza dei cattolici nella nostra diocesi non partecipa più alla messa domenicale. No, non posso avere parte in questo scandalo.
Prego che lei comprenda la mia crisi di coscienza, anche se non concorda con la mia decisione di continuare a celebrare la Messa antica. Lei è il mio vescovo, Francesco è il mio papa, e pregherò per entrambi a ogni Messa che offro, anche se Prego che il nostro Dio misericordioso possa abbreviare questo tempo di tribolazione per tutti noi.

Con grande dolore e sincero affetto,
Padre X

La scala di San Giuseppe a Santa Fe, nel New Messico (Usa).



La costruzione della scala di San Giuseppe, detta “miracolosa”, ha una storia che parte da molto lontano. Ebbe inizio quando alcune Suore decisero di partire da Loreto, per giungere a Santa Fe, nel New Messico (Usa).

Era il Settembre del 1852 e quel viaggio fu molto insidioso, tanto che la Superiora, Madre Mathilde, si ammalò di colera e morì.
Le sue Consorelle, che riuscirono a raggiungere la destinazione, erano Suor Madeleine (chiamata, in seguito, a sostituire la Superiora, da Monsignor Jean Baptist Lamy, loro referente), Suor Catherine, Suor Hilaire, Suor Robert.

A Santa Fe, le Suore cercarono e trovarono il modo di far costruire una cappella e un posto dove potessero stare tranquille, ossia un Convento.
La prima costruzione a loro affidata fu il Collegio di Lorette, poi, il 25 Luglio del 1873, Monsignor Jean Baptist Lamy permise che si iniziasse la costruzione di una cappella.
Il progetto fu assegnato all’architetto Antoine Mouly (che si fece aiutare dal figlio Projectus), che aveva già realizzato la Cattedrale della città di Santa Fe.
Monsignor Jean Baptist Lamy, che era francese, volle che si ispirasse alla Saint-Chapelle di Parigi!

La scala di San Giuseppe non era prevista nel progetto

Il progetto, dunque, si basò su uno stile gotico, che aveva circa le seguenti misure: 8 metri di larghezza, 23 metri di lunghezza, 26 metri di altezza.
Ci vollero 5 anni per costruire la cappella. Alla sua realizzazione, il 25 Aprile del 1878, fu posta sotto la protezione di San Giuseppe, ma presentava una gravissima dimenticanza: non era stata pensata una scala che arrivasse al coro, cosicché nessuno avrebbe potuto mai accedervi!

Intanto, l’architetto P. Mouly era morto e il padre, troppo anziano, non poteva portare avanti i lavori. Perciò, vennero convocati molti possibili candidati, per decidere in che modo costruire la scala.
Per come era stata realizzata la struttura, non si trovò nessuno che si assumesse la responsabilità di modificare il progetto dell’architetto P. Mouly, se non previa distruzione di ciò che era stato, sino ad allora, costruito.

Le Suore pensarono, allora, di risolvere il problema nell’unico modo che conoscevano: iniziarono un Novenario a San Giuseppe -protettore del luogo e falegname/carpentiere per eccellenza- certe che la Divina Provvidenza sarebbe corsa in loro aiuto.
E così accadde -effettivamente- poiché, al nono giorno di Novena, un uomo bussò alla loro porta, dicendo di essere un falegname. Aveva un asino, su cui trasportava i suoi attrezzi: una sega, un martello, una squadra e null’altro.

Chi era l’uomo che bussò al Convento?

Quell’uomo si offrì di costruire la scala e le Suore accettarono di fare un tentativo.
Lavorò sempre da solo e in solitudine e, in pochi mesi, finì il lavoro. Poi, svanì nel nulla!
Non vedendolo tornare, neppure a prendere il suo compenso, le Suore lo cercarono, nei posti in cui pensavano potessero conoscerlo, ma nessuno aveva mai sentito parlare di lui; nessuno aveva nemmeno saputo che del legname era arrivato in città, per la costruzione della scala della cappella.
Ma la scala era li, sotto gli occhi di tutti.
Nessuno avrebbe mai saputo chi l’aveva costruita, ma sembrava (e sembra tutt’oggi, a distanza di oltre 100 anni) un opera d’arte.

E’ una scala a chiocciola, che gira due volte su se stessa, con una precisione estrema e senza avere nessun pilastro centrale a sorreggerla. Lascia cadere così, architettonicamente parlando, tutto il suo peso sul primo gradino.
Ecco come è descritta da Suor Florian OSF, sulla rivista Saint-Joseph, dell’Aprile del 1960: “Parecchi architetti hanno affermato che questa scala avrebbe dovuto crollare al suolo, nel momento stesso in cui la prima persona si fosse azzardata sul primo scalino. E tuttavia essa è stata utilizzata quotidianamente per oltre cento anni”.

“Ho parlato della scala con Urban C. Weidner, architetto della regione di Santa Fe e perito di rivestimenti in legno. Mi ha detto che non aveva visto mai una scala a chiocciola su 360°, che non fosse sostenuta da un pilastro centrale”. “Egli mi ha spiegato che il legno è raccordato (nel gergo della falegnameria si dice “innestato”) sui lati dei montanti da nove spacchi di innesto sull’esterno, e da sette sull’interno. La curvatura di ogni pezzo è perfetta. Come può essere stata realizzata una scala simile nel 1870, da un uomo che ha lavorato da solo, in un luogo isolato, con degli attrezzi più che rudimentali? Questo fatto non è mai stato spiegato”.

La scala è tenuta insieme da incastri, che non prevedono chiodi, ed è realizzata con del legno che non è rintracciabile nel New Messico. In alcuni punti strategici, il legno è stato mescolato con gesso e crine di cavallo.

Per gli abitanti del posto (di allora, come di oggi) e per ogni fedele che va a visitarla, quella scala fu costruita da San Giuseppe in persona, che rispose alla preghiere delle Sorelle.
Nessuno ha mai saputo dire di più, se non ciò che lascia tutti senza spiegazione alcuna.
La scala rimane misteriosa nella sua natura e perciò miracolosa; essa ha 33 gradini, come gli anni di Gesù Cristo!

Antonella Sanicanti



mercoledì 1 marzo 2023

In onore del Patriarca San Giuseppe



Nel mese di marzo, la Chiesa ci ricorda la devozione a San Giuseppe, sposo di Maria Sempre Vergine e padre putativo di Nostro Signore Gesù Cristo.

Di lui nel Vangelo si parla poco, ma è nel silenzio delle Sacre Scritture che si esalta la figura di San Giuseppe, uomo scelto da Dio per custodire Suo Figlio e la Sposa dello Spirito Santo.
Grande devoto di questa eccelsa figura fu sicuramente Papa Leone XIII che nell’Enciclica “Quamquam pluries” ha scritto: «Certamente la dignità di Madre di Dio è tanto in alto che nulla vi può essere di più sublime.
Ma poiché tra Giuseppe e la Beatissima Vergine esistette un nodo coniugale, non c’è dubbio che a quell’altissima dignità, per cui la Madre di Dio sovrasta di gran lunga tutte le creature, Egli si avvicinò quanto nessun altro mai».

E l’esegeta Isolano ci ricorda che «Il ministero di San Giuseppe nei riguardi di Gesù fu così intimo, che tutti gli angeli assieme non servirono familiarmente Dio quanto Giuseppe da solo».

E come scrive San Bernardino da Siena «di certo Gesù non nega in Cielo a San Giuseppe quella familiarità, riverenza e sublimissima dignità, che gli ha prestato in terra come figlio e padre».

Bastano queste poche citazioni per capire come San Giuseppe, simbolo non solo di verginità, ma anche di umiltà ed obbedienza, sia stato ricoperto in Cielo di una dignità elevatissima tale da essere, dopo Maria Santissima, il Santo più degno della nostra venerazione. Pertanto egli ha tutto il potere di aiutarci e soddisfare le nostre necessità spirituali e materiali e soltanto pregandolo con fiducia potremmo testare la sua grandezza.

In questo modo, allora, si potranno capire le parole di Santa Teresa di Gesù che, riguardo alle grazie ottenute da San Giuseppe, ha affermato: “Chi non crede, ne faccia la prova, affinché si persuada”.

Basterebbe recitargli quotidianamente una semplice preghiera, oppure impegnarsi in qualche novena in suo onore, ma sicuramente il metodo più efficace e potente per ottenere grazie (specie quelle molto importanti), è recitare le orazioni in onore del Suo Sacro Manto.
Si tratta di un florilegio di preghiere tese ad onorare la sua persona e metterci sotto il Manto della sua protezione.
Quale migliore preghiera di questa?
Ogni volta che le reciteremo potremmo immaginare come lo stesso Gesù Bambino tante volte si sia coperto sotto il Manto del suo padre putativo, per cercare protezione e calore, e come San Giuseppe lo abbia amorevolmente accolto tra le sue braccia.
Allora, con la stessa fiducia di un Dio fatto uomo, anche noi chiediamo riparo sotto il suo Sacro Manto e stiamo certi che, con lo stesso amore, San Giuseppe ci proteggerà ed accoglierà.

Il Sacro Manto va recitato per trenta giorni consecutivi (in memoria dei trent’anni di vita vissuti da San Giuseppe con Gesù).

Ricordiamo, tuttavia, che – come affermava sant’Agostino – la preghiera per avere efficacia deve essere detta con fede ed umiltà e non deve chiedere grazie
contrarie alla nostra salvezza.
Pertanto il Sacro Manto deve essere considerato un mezzo per impegnare San Giuseppe ad ottenerci la grazia dalla Divina Provvidenza che sa cosa è meglio per il bene nostro e della nostra anima.

La recita del Sacro Manto ha inoltre l’efficacia di farci aumentare nella fede.
A tal proposito santa Teresa d’Avila ha scritto: «Non ho conosciuto persona che gli sia veramente devota [a san Giuseppe] e gli renda qualche particolare servizio, senza che faccia progressi nelle virtù».

Preghiamo dunque con fervore questo grande santo, prendendolo come modello di padre e lavoratore e onorandolo non solo in questo mese dedicato a lui, ma ogni giorno della nostra vita e non esitando di ricorrere a lui per ogni nostra necessità spirituale e materiale.
Il patrono universale della Santa Chiesa saprà come aiutarci.
E ricordiamoci sempre ciò che santa Teresa d’Avila scrisse: «Presi come mio avvocato e patrono il glorioso san Giuseppe e mi raccomandai a lui con fervore. Questo mio padre e protettore mi aiutò nelle necessità, in cui mi trovavo e in molte altre più gravi in cui era in gioco il mio onore, la salute dell’anima mia. Ho visto decisamente che il suo aiuto mi fu sempre più grande di quello che avrei potuto sperare. Non mi ricordo, finora, di non averlo mai pregato per una grazia senza averla subito ottenuta. Ed è cosa che fa meraviglia ricordare i grandi favori che Dio mi ha fatto».

Ite ad Joseph «Andate da Giuseppe»,

 Ite ad Joseph

La Festa del Patrocinio di San Giuseppe, che si tiene fin dal 1880, fa parte della tradizione degli altari e delle tavole di San Giuseppe; è una manifestazione religiosa e pubblica caratterizzata dal banchetto, preparato dalle parrocchie o collegiate per onorare il Santo Patriarca, e che fino a qualche decennio fa si estendeva ai poveri delle nostre città. Nel meridione d'Italia in particolare in Sicilia: il culto è molto diffuso addirittura, viene celebrato anche nel mese di luglio e in alcune zone persino in agosto.


Pio IX è il papa dell’Immacolata, ma è anche il papa di San Giuseppe: fu lui infatti che, con decreto lo dichiarò Patrono della Chiesa Universale nel 1870, mentre la Rivoluzione entrava in Roma sulla punta delle baionette “italiane”. Questo patronato o patrocinio si celebra il mercoledì (giorno dedicato a San Giuseppe) dopo la seconda domenica di Pasqua e San Pio X volle solennizzarlo talmente che lo innalzò a rito doppio di prima classe con ottava.

Storia

Papa Pio IX in «Quemadmodum Deus» (8 dicembre 1870) e nella lettera apostolica «Inclytum Patriarcham» (7 luglio 1874) affida la Chiesa alla protezione di San Giuseppe e lo proclama «Patrono della Chiesa universale». estese a tutta la Chiesa Cattolica la festività del Patrocinio di san Giuseppe, già celebrata a Roma dal 1478: fu fissata la terza domenica dopo Pasqua e poi trasportata al terzo mercoledì dopo Pasqua.

Più tardi, nel 1956 papa Pio XII la sostituì con la festa di san Giuseppe Artigiano (1º maggio), affinché la festa del lavoro fosse condivisa anche dai lavoratori cattolici e non solo dai comunisti.

Per ottenere l'indulgenza di sette anni e sette quarantene, concessa da Papa Pio VII a coloro che offrivano da mangiare, in onore di San Giuseppe, a tre poveri, ogni mercoledì i devoti invitavano a casa un povero, vestito come San Giuseppe.

Qualche decennio fa, in Sicilia, esisteva ancora l’uso di preparare gli altari e le mense davanti alla propria casa, oppure sulla via, nei cortili o piazze.

Nella terza domenica di Pasqua, a partire del fine Ottocento,venivano preparati davanti all'edicola di San Giuseppe o della Sacra Famiglia un pranzo per i poveri. Anticamente erano i sacerdoti stessi (con dei grembiuli bianchi legati alla vita) che servivano il banchetto.



Decreto

Nella stessa maniera che Dio aveva costituito quel Giuseppe, procreato dal patriarca Giacobbe, soprintendente a tutta la terra d’Egitto, per serbare i frumenti al popolo, così, imminendo la pienezza dei tempi, essendo per mandare sulla terra il suo Figlio Unigenito Salvatore del mondo, scelse un altro Giuseppe, di cui quello era figura, e lo fece Signore e Principe della casa e possessione sua e lo elesse Custode dei precipui suoi tesori.
Di fatto, egli ebbe in sua sposa l’Immacolata Vergine Maria, dalla quale nacque di Spirito Santo il Signor Nostro Gesù Cristo che presso gli uomini degnossi di essere riputato figlio di Giuseppe, e gli fu soggetto.
E Quegli, che tanti re e profeti bramarono vedere, Giuseppe non solo Lo vide, ma con Lui ha dimorato e con paterno affetto L’ha abbracciato e baciato; e per di più ha nutrito accuratissimamente Colui che il popolo fedele avrebbe mangiato come pane disceso dal cielo, per conseguire la vita eterna.
Per questa sublime dignità, che Dio conferì a questo fedelissimo suo Servo, la Chiesa ebbe sempre in sommo onore e lodi il Beatissimo Giuseppe, dopo la Vergine Madre di Dio, sua sposa, e il suo intervento implorò nei momenti difficili.
Ora, poiché in questi tempi tristissimi la stessa Chiesa, da ogni parte attaccata da nemici, è talmente oppressa dai più gravi mali, che uomini empi pensarono avere finalmente le porte dell’inferno prevalso contro di lei, perciò i Venerabili Eccellentissimi Vescovi dell’universo Orbe Cattolico inoltrarono al Sommo Pontefice le loro suppliche e quelle dei fedeli alla loro cura commessi chiedendo che si degnasse di costituire San Giuseppe Patrono della Chiesa Cattolica. Avendo poi nel Sacro Ecumenico Concilio Vaticano più insistentemente rinnovato le loro domande e i loro voti, il Santissimo Signor Nostro Pio Papa IX, costernato per la recentissima e luttuosa condizione di cose, per affidare Sé e i fedeli tutti al potentissimo patrocinio del Santo Patriarca Giuseppe, volle soddisfare i voti degli Eccellentissimi Vescovi e solennemente lo dichiarò Patrono della Chiesa Cattolica, ingiungendo che la sua festa, cadente nel 19 di marzo, per l’avanti fosse celebrata con rito doppio di prima classe, senza ottava pero, a motivo della Quaresima.
Egli stesso inoltre ha disposto che tale dichiarazione, a mezzo del presente Decreto della Sacra Congregazione dei Riti, fosse resa di pubblica ragione in questo giorno sacro all’Immacolata Vergine Madre di Dio e Sposa del castissimo Giuseppe.

Non ostante qualsivoglia cosa in contrario.

Il dì 8 dicembre 1870.

Card. PATRIZI
Prefetto della S. C. dei RR.
Vescovo di Ostia e Velletri.

DOMENICO BARTOLINI
Segretario della S. C. dei RR.

Il Crocifisso mistero d'Amore




"di don Ernesto Bellè"
Sul Calvario e sull’altare è il medesimo Sacrificio di Cristo, indispensabile alla nostra salvezza. Devo farlo mio, questo Sacrificio, devo unirmi a Gesù immolato, con la continua conversione a Lui, con l’offerta, la fedeltà e la santità della mia vita, che impegna tutto me stesso per Lui. “L’Eucaristia è il Sacramento della Passione di Cristo” (S. Tommaso, Summa Theol., III, 73, 3, 3).Il discorso si fa maestoso e affascinante. Ma per ora, ci fermiamo a contemplare estatici questa sublime Realtà con le parole di Enrico Medi (1911-1974), il grande scienziato dei nostri tempi, avviato alla gloria degli altari: “Quando il sacerdote alza l’Ostia consacrata per mostrarla ai fedeli, mostra loro il Crocifisso vivente. Il supremo Sacrificio della Croce, che continua nella sua realtà sostanziale e valore totale, è lì, sull’altare, in quel calice”.

“Gesù, credo, adoro e amo. Il tuo essere in me. Il tuo Sacrificio in me. La tua vita in me”.

“Nessuno mi toglie la vita, io la dono per amore di mio Padre e di tutti voi peccatori perché possiate sentire il suo amore e possiate convertirvi a Lui, il Padre dolcissimo e amabilissimo”. 

Purtroppo, sappiamo che, né loro – ossia i crocifissori di Gesù, i suoi accusatori – ma neanche gli uomini di tutti i tempi, come oggi, amano e accettano questo dono del Padre. Gesù dice che non c’è amore più grande di colui che dà la propria vita per la persona amata. Il Figlio ha dato la sua vita umana, sacrificata fino alla Passione e morte in croce per le persone amate che siamo tutte noi povere creature. È il Padre che lo ha mandato, allora mi chiedo: chi ci ha amati di più? Il Padre che ha mandato a noi Figlio sulla terra e lo ha immolato sulla Croce, fino al martirio, il suo unico Figlio l’Unigenito che ha dato la sua vita per noi? Qual è l’amore più grande? Tutti e due sono l’eterno sommo amore divino. Quando contempliamo il Crocifisso non possiamo dimenticarci del Padre che ce lo ha donato perché noi diventassimo figli suoi. Perché non ricordiamo questo Padre amorevolissimo, santissimo e generosissimo?

Tale è il Mistero di questo è Amore, è l’eterno Amore che genera il Figlio, e lo stringe tra le braccia del Padre nell’amore dello Spirito Santo. Quindi, sulla Croce, c’è anche lo Spirito Santo, perché questo amore che unisce il Padre e il Figlio, lì si è rivelato. Ecco quanto ci ha amato Dio! Ha dato il suo unico Figlio, la gioia eterna del suo cuore paterno e il Figlio ha dato sé stesso in quanto si è incarnato con il proprio essere umano e si è donato nella forza dello Spirito Santo, che è il loro eterno dono d’amore che li unisce in questo abbraccio infinito di comunione.
La Croce, dunque, è la massima e unica rivelazione dell’amore infinito di Dio. E nel Santo sacrificio della messa è Gesù stesso, l'Agnello immolato sulla croce per la nostra redenzione.

lunedì 27 febbraio 2023

ROCHE E GLI ALTRI La cricca di Sant'Anselmo che fa la guerra al rito antico



 
di Luisella Scrosati
Dal segretario Viola ai sottosegretari García Macías e Marcjanowicz, fino a Ravelli e Midili che guidano le celebrazioni pontificie: provengono tutti dall'Ateneo Sant’Anselmo e si muovono animati soltanto da un accecamento ideologico e cieco di fronte alla realtà. Ecco chi fa la guerra alla Messa antica.

Qualsiasi persona, anche se intellettualmente poco dotata, è in grado di comprendere che la crociata intrapresa contro il rito antico, a partire da Traditionis Custodes fino al recente Rescriptum, altro non è che un desiderio di vendetta, un accanimento cieco e pieno di livore. E’ questione di semplice osservazione: la Chiesa cattolica si ritrova quasi esangue, con vescovi che osannano all’omosessualità, preti “coccolati” che abusano di suore e vengono protetti dalle più alte sfere, conventi chiusi a forza, chiese e seminari sempre più vuoti, cattolici che fuggono dalla Chiesa.

Se si esclude la Polonia, nei Paesi occidentali la frequenza almeno settimanale alla Messa è abbondantemente al di sotto del 50%: l’Italia è vergognosamente al 34%, ma pare persino fare una bella figura in confronto alla Spagna (27%), all’Austria (17%), alla Germania (14%), e ai due fanalini di coda, Francia e Paesi Bassi, dove nemmeno un cattolico su dieci va alla Messa domenicale.

Con questo scenario, il Dicastero del Culto Divino pensa bene di sprecare tempo e risorse per martellare quelli che alla Messa ci vanno, ma secondo un rito che a loro non è congeniale. In una qualsiasi azienda, il Prefetto del suddetto Dicastero, Mons. Arthur Roche, sarebbe stato licenziato in tronco: non solo incapace di rivitalizzare il mercato, ma anche sufficientemente incompetente da sterilizzare le poche filiali sane.

A ben vedere, l’unico problema di Roche è di essere l’uomo sbagliato al posto sbagliato, il che non è cosa da poco. Non è un mistero la sua radicale impreparazione liturgica; ma all’epoca, l’unico posto libero per collocare le proprie consacrate membra era il Culto Divino, lasciato libero dal cardinale Sarah; e così Roche si è dovuto accomodare lì, come un barcaiolo a presiedere l’unione delle guide alpine.

Il risultato è che al Culto Divino comando altri; e questi altri hanno tutti una caratteristica comune: provengono dal Pontificio Ateneo Sant’Anselmo. A partire dal Segretario, Mons. Vittorio Viola, che dal 2000 insegna vi insegna Liturgia e mantiene tutt’ora la docenza in qualità di Professore Lettore di Liturgia Sacramentale. Viola, in quanto Professore Lettore, ha il diritto di partecipare al Consiglio di Istituto, diritto che solleva un problema di conflitto di interessi. Poi i due sottosegretari, Mons. Aurelio García Macías e Mons. Krzysztof Marcjanowicz, entrambi con dottorato in Liturgia conseguito proprio a Sant’Anselmo; Macías risulta tra l’altro ancora docente. Una situazione decisamente insolita in un Dicastero della Curia Romana, dove dovrebbero trovare rappresentanza le diverse scuole teologiche, filosofiche e liturgiche e che si trova invece blindato al vertice dalla cricca di Sant’Anselmo. Attraverso i suoi ex alunni e professori in posizione apicale al Culto Divino, Sant’Anselmo esercita un’influenza unilaterale sulla liturgia a livello mondiale e tesse legami decisamente troppo stretti con la Curia, terreno assai fertile per le scalate personali in nome dei “servizi” resi alla Santa Chiesa.

Ma l’invasione di Sant’Anselmo è ancora più ampia. A sostituire Mons. Guido Marini, ordinato vescovo e nominato alla guida della diocesi di Tortona, troviamo il brianzolo Mons. Diego Giovanni Ravelli, anche lui con licenza e dottorato a Sant’Anselmo. E poi non poteva mancare l’Ufficio liturgico del Vicariato di Roma. A ricoprire l’incarico di direttore, dal 2011, e di responsabile delle celebrazioni liturgiche della diocesi (dal 2019), è il carmelitano P. Giuseppe Midili, grande amico di P. Marko Ivan Rupnik, anch’egli licenza e dottorato presso l’Ateneo, dove è Professore Ordinario di Pastorale liturgica.

Il caso di Midili solleva domande anche sull’osservanza degli Statuti stessi di Sant’Anselmo, i quali, seguendo Veritatis Gaudium, 29, dispongono che, «per essere “stabili” […] i docenti devono essere liberi da incombenze incompatibili con i loro compiti di ricerca e di insegnamento». Vi sono, a dire il vero, anche altri personaggi che difficilmente si può dire che rispettino questo principio: P. Francesco De Feo, che è Abate del Monastero di Grottaferrata, P. Stefano Visentin, Abate di Praglia e S.E. Mons. Manuel Nin, Esarca apostolico di Grecia e vescovo di Carcabia.

Per questi signori di Sant’Anselmo la liturgia dev’essere stata qualcosa di molto teorico, dal momento che non riescono a guardare in faccia alla realtà che affligge le nostre chiese; ed anche di molto ideologico, dato l’accecato accanimento contro giovani, bambini, famiglie, che nella loro testa finiscono tutti sotto l’etichetta di “avversari del Concilio”, solo perché amano il Rito antico.

Christophe Dickès, storico e giornalista francese, fratello del poeta Damien, tenta di far tornare alla realtà questi liturgisti da scrivania, con uno splendido articolo comparso nientemeno che sulle colonne di Le Figaro. Dickès fa notare che il problema di questo pontificato pare essere il piccolo mondo tradizionalista, che in Francia, dove è particolarmente diffuso, rappresenta circa il 4% dei cattolici; dunque, «una minoranza nella minoranza». Una minoranza evidentemente ritenuta sovversiva, dal momento che pericolosamente chi vi fa parte insegna «il catechismo ai loro bambini, facendogli imparare i dieci comandamenti e le preghiere che i cattolici devono conoscere», e con notevoli sacrifici cerca di preservare i propri figli dalla “cancel culture”, mandandoli in scuole private o parentali, che si devono autofinanziare.

Queste famiglie amano andare alla Messa antica. Tutti snob? Tutti anti-conciliari? Tutti lefebvriani? In verità, dopo le ordinazioni sacerdotali del 1988, queste persone «hanno voluto mostrate la propria fedeltà alla Santa Sede, manifestando i loro bisogni spirituali, come permesso dal diritto canonico (can. 212 § 2)». Fedeltà che oggi viene ripagata con sonori schiaffi.

Ma cosa trovano nella Messa in rito antico? Lì, riconosce Dickès, c’è «una verticalità ed una sacralità» che è meno evidente nel rito approvato da Paolo VI. Inoltre è decisamente un «un rito meno clericale», un rito nel quale è bandito ogni «personalismo: i fedeli pregano in un a tu per tu con Dio», senza che il sacerdote pretenda di fare il loro interfaccia.

E’ in effetti curioso che proprio durante il pontificato che ha fatto della sinodalità il suo chiodo fisso - all’insegna del motto “Allargare lo spazio della tua tenda”! - e dell’anticlericalismo la sua divisa, siano proprio loro ad essere colpiti. E senza alcuna pietà. Nessuno ha pensato di riceverne una delegazione, per poter ascoltare le loro richieste, venire incontro alle loro necessità, come è preciso dovere dei pastori fare. Nulla. Solo due rappresentanti della Fraternità San Pietro sono stati ricevuti. «Quanto ai laici, le madri dei sacerdoti, dai 50 ai 65 anni d’età, che hanno fatto 1500 km a piedi, da Parigi a Roma, per deporre ai piedi del Vicario di Cristo una supplica, sono state ricevute per appena 3 minuti. 1500 chilometri per un pugno di secondi».

Un comportamento che svela la falsa retorica che a Roma è ormai divenuta la regola: si dice che tutti devono trovare uno spazio nella Chiesa, ma non i “tridentini”; si parla di valorizzare i laici, ma non quelli che vanno alla Messa antica; si sgomita per mostrare quanto si apprezzino e si amino le famiglie e i bambini, ma solo quelli che vanno alla “Messa nuova” o magari neppure mettono piede in chiesa. Niente accoglienza, niente misericordia, niente ascolto per quelli che ogni settimana si sentono dare dell’”indietrista”; nei confronti di quelli della Messa in latino pare esista un unico comando: «rieducarli. Con le buone o con le cattive. La sinodalità sembra essere di moda, ma “loro” non hanno che un solo diritto: quello della sofferenza in silenzio», conclude Dickès.

Sembra che in quel di Roma esista una versione singolare della parabola del figliol prodigo, dove il padre caccia via il figlio maggiore, perché stanco di averlo sempre con lui.

(fonte  la Nuova Bussola)

sabato 25 febbraio 2023

Un consiglio di San Pierre-Julien Eymard



“Ho visto iniquità e discordia in città; giorno e notte l’iniquità la circonderà sulle mura; travaglio e ingiustizia saranno nelle sue vie” 
(Sal 55,10-12).

Quando pensiamo che Gesù ci guardi, è più difficile peccare sotto il suo sguardo. "San Pierre-Julien Eymard"

Quando pecchiamo, spesso lo facciamo di notte, pensando inconsapevolmente che nessuno ci veda.

Ma Dio non ci vede forse sempre, indipendentemente dall’ora?

Possiamo però dimenticare questa verità fondamentale e convincerci che Dio ignori le nostre cattive azioni.

San Pierre-Julien Eymard ha scritto un sermone, inserito nel testo La Divina Eucaristia, su come dobbiamo fare tutto sotto lo sguardo attento di Gesù.

“Dovete compiere le vostre azioni sotto lo sguardo di Gesù nel Santissimo Sacramento per realizzarle con coraggio, santità e buonsenso.

Sappiate che l’occhio di Gesù Cristo è direttamente su di voi. Come possiamo osare offenderlo davanti ai Suoi stessi occhi, visto che Egli ci vede come Lo vedremmo noi se cadesse il velo delle Sacre Specie?

Spesso, però, come i vecchi colpevoli dell’Antico Testamento, voltiamo le spalle agli occhi di Nostro Signore per peccare. In caso contrario, non avremmo mai il coraggio di offenderlo”.

Eymard immagina poi come sarebbe se vivessimo davvero in quel modo:

Ah! Se pensassimo che Nostro Signore, che è tanto vicino a noi sull’altare e nel Suo tabernacolo, visto che ci copre uno stesso tetto, è testimone oculare di ciascuna delle nostre azioni, e che alla fine della giornata dovremo comparire alla Sua augusta Presenza per renderne conto, quanto saremmo fedeli, diligenti e santi in tutte le nostre vie!


Non dobbiamo poi pensare agli occhi di Gesù come a quelli di un “giudice arrabbiato”, che vuole vederci fallire.

Pensiamo agli occhi di Cristo come a quelli di un padre amorevole, che soffre ogni volta che vede uno dei Suoi figli cadere in disgrazia.

Provate questo esercizio oggi stesso, e capite come modellare le vostre azioni!

venerdì 24 febbraio 2023

Conferenza di S. Ecc. Mons. Marcel Lefebvre Fondatore della Fraternità San Pio X tenuta a Firenze 15 febbraio 1975 La Messa di Lutero

Carissimi lettori,pubblichiamo il testo della conferenza tenuta il 15 febbraio 1975 da Monsignore Marcel Lefebvre, nella quale egli si serve del libro di Léon Cristiani, Dal Luteranesimo al Protestantesimo, pubblicato in Francia nel 1910, per presentare una comparazione tra la Messa di Lutero e la nuova Messa cattolica riformata dopo il concilio Vaticano II. Le considerazioni di Monsignore partono dalla situazione in cui si trovava la celebrazione della nuova Messa all'epoca, quindi appaiono poco rispondenti con la situazione attuale; e tuttavia, pur tenuto conto della scomparsa dei diffusi eccessi dell'epoca, purtroppo sostituiti nel tempo da irregolarità e licenze a volte anche più gravi, seppure meno diffuse, lo spirito che animò la cosiddetta riforma liturgica è rimasto e anzi ha acquisito elementi di maggiore gravità, arrivando a corrompere la dottrina non più in maniera velata, ma in forme palesi.
Quanto detto allora da Monsignore resta quindi valido tuttora e, per l'essenziale, può aiutare ad orientarsi per meglio cogliere la mutazione profonda che si produsse allora in forma dirompente e che oggi si mantiene, rafforzata e ormai radicata, in una Chiesa che, nella sua vita esteriore, si va sempre più trasformando in una struttura che promuove una forma di vaga religiosità, piuttosto che la vera Religione di Dio.
Allora, Monsignore era colpito dalla “protestantizzazione” della liturgia e della dottrina, chissà cosa direbbe adesso che siamo passati alla “mondializzazione” di esse; che dalla mira massonica alla distruzione della Chiesa siamo passati alla realizzazione massonica della omologazione del cattolicesimo in una sorta di “religione mondiale” propedeutica all'avvento dell'Anticristo.

Mons.Marcel Lefebvre





Signore e Signori,

Questa sera parlerò della Messa evangelica di Lutero e delle sorprendenti somiglianze tra il nuovo rito della Messa e le innovazioni rituali di Lutero.
Perché queste considerazioni? Perché l’idea dell’ecumenismo che presiede alla riforma liturgica, a detta dello stesso Presidente della Commissione, ci induce a farlo; perché è stato provato che questa filiazione del nuovo rito esiste realmente, il problema teologico e cioè il problema della fede, può essere posto solo secondo l’adagio ben noto «Lex orandi, Lex credendi».

Ora, i documenti storici della riforma liturgica di Lutero sono molto istruttivi per far luce sulla riforma attuale.
Per ben comprendere quali furono gli obiettivi di Lutero in queste riforme liturgiche, dobbiamo ricordare brevemente la dottrina della Chiesa relativa al Sacerdozio e al Santo Sacrificio della Messa.

Il Concilio di Trento, nella sua XXII sessione, ci insegna che Nostro Signore Gesù Cristo, non volendo mettere fine al Suo Sacerdozio con la Sua Morte, nell’Ultima Cena istituì un Sacrificio visibile destinato ad applicare la virtù salutare della Sua Redenzione ai peccati che noi commettiamo ogni giorno. A questo fine, Egli costituì i Suoi Apostoli Sacerdoti del Nuovo Testamento, loro e i loro successori, istituendo il Sacramento dell’Ordine, che segna con un carattere sacro e indelebile questi sacerdoti della Nuova Alleanza.
Questo Sacrificio visibile si compie sui nostri altari con un’azione sacrificale per mezzo della quale Nostro Signore, realmente presente sotto le specie del pane e del vino, si offre come Vittima a Suo Padre. Ed è con la manducazione di questa Vittima che noi siamo in comunione con la Carne e il Sangue di Nostro Signore, offrendo noi stessi in unione con Lui.

Così dunque la Chiesa ci insegna che:

Il Sacerdozio dei sacerdoti è essenzialmente diverso da quello dei fedeli, che non hanno sacerdozio, ma fanno parte di una Chiesa che richiede assolutamente un sacerdozio.
A questo Sacerdozio conviene profondamente il celibato e una distinzione esteriore con i fedeli, ossia l’abito sacerdotale.
L’atto essenziale del culto compiuto da questo Sacerdozio è il Santo Sacrificio della Messa, diverso dal Sacrificio della Croce unicamente per il fatto che quello fu cruento e questo non è cruento.
Esso si compie con un atto sacrificale realizzato con le parole della Consacrazione e non con un semplice racconto, memoriale della Passione o della Cena.
E’ per quest’atto sublime e misterioso che si applicano i benefici della Redenzione a ciascuna delle nostre anime e alle anime del Purgatorio. E questo è espresso mirabilmente nell’offertorio.
La Presenza Reale della Vittima è dunque necessaria ed essa si realizza col cambiamento della sostanza del pane e del vino nella sostanza del Corpo e del Sangue di Nostro Signore. Si deve dunque adorare l’Eucarestia ed avere per Essa un immenso rispetto: da qui la tradizione di riservare ai sacerdoti la cura dell’Eucarestia.
La Messa col solo sacerdote, dove solo lui si comunica, è dunque un atto pubblico, Sacrificio dello stesso valore di ogni Sacrificio della Messa e supremamente utile al sacerdote e a tutte le anime. La Messa privata è quindi molto raccomandata e auspicata dalla Chiesa.

sabato 18 febbraio 2023

E NON CI INDURRE IN TENTAZIONE MA LIBERACI DAL MALE

 

(di E.R)

È la più conosciuta e diffusa delle preghiere cristiane, quella che, secondo il Vangelo di Luca (11,1), fu insegnata da Gesù stesso ai suoi discepoli che gli chiedevano come dovessero pregare.

Nella preghiera del "Padre nostro" Dio che ci induce in tentazione «non è una buona traduzione», afferma infatti papa Francesco, correggendo il testo che da 2000 anni è stato recitato a suo dire in modo errato.

Tentazione. Una parola non più di moda nella geografia dell'anima; una parola sempre più di moda nella pubblicità. E capovolta, ad indicare qualcosa di positivo, di allietante, di necessario.

Eppure se il peccato non esiste, tutto è indifferente. Se il peccato non esiste l'anima stessa, più che un enigma,è un delitto. Se tutto equivale, niente vale.

"Non ci indurre in tentazione". Queste parole sembrano quasi dare l'impressione che Dio sia implicato in qualche maniera nella tentazione, che sia Lui a preparare il trabocchetto. Ma "Dio non tenta nessuno, Dio non induce al male".

La prima riflessione è su questo verbo "indurre" che significa "entrare", "restare dentro". Questo verbo lo possiamo capire solo con il confronto di tutto il linguaggio biblico. Gesù al momento della grande tentazione usa lo stesso verbo: "Vegliate e pregate per non entrare, per non restare dentro la tentazione" (Lc. 22,40).

Entrare nella tentazione è essere complici con il male. Fa che non siamo conniventi, che aderiamo al male, fa che non entriamo nella logica della tentazione.

"Non farci entrare" è una formula al negativo che equivale al positivo: "fa che non entriamo".

E' qui sottinteso un passaggio di soggetti. Da Dio a noi.

Che cos'è la tentazione biblica? Non è solo la seduzione del male, ma è la prova, il test, la verifica della fedeltà. Questa verifica è norma per i credenti; è stata norma anche per Gesù Cristo; questa verifica si chiama tentazione.

Gesù ci invita a pregare non per essere esentati dalla prova, ma per non entrare e non restare dentro. "Indurre" è un verbo di moto che contiene la conclusione di un cammino. Il suo contrario è andare oltre. Fa che non restiamo dentro, avvinghiati alla tentazione, aderendo alla sua logica, ma aiutaci ad attraversarla.

Le tentazioni non si evitano, si attraversano. Le passioni non si spengono, si attraversano. Infatti lo Spirito che doveva proteggere Gesù dal male lo porta, invece, verso il deserto, verso la tentazione. E così inizia ogni storia personale: con la lotta e la tentazione nel profondo di se stessi. In principio c'è la tentazione.

Perché l'uomo sceglie il male? Da dove viene questo dramma del preferire le tenebre? Il male viene dall'uomo che aspira a mettersi al posto di Dio e dal suo incontro con quel personaggio misterioso che prende il volto della seduzioni culturali delle varie epoche.

Quel serpente che all'origine prova l'uomo con la tentazione assoluta: "Diventerete come Dio". Vi è dato un giardino, ma "Vi è stato negato proprio il meglio da Dio stesso, che è geloso di voi". Ed Eva ci crede. Ecco il peccato assoluto: crede a un Dio che toglie, non più a un Dio che dona.

Ed Eva si sente figlia di una sottrazione, non più di una addizione. Dio è visto come colui che ruba possibilità di vita, di piacere, di gioia, di potere: un Dio rivale dell'uomo, un idolo crudele, non più un Padre.

domenica 29 gennaio 2023

San Francesco di Sales-29 Gennaio



"Dio è il Dio del cuore umano"


San Francesco di Sales fu 
Beatificato 08 gennaio 1662 da Papa Alessandro VII
 e il 19 aprile 1665 viene dallo stesso Pontefice canonizzato .

RICORRENZA:- 29 gennaio
Vescovo di Ginevra e dottore della Chiesa: vero pastore di anime, ricondusse alla comunione cattolica moltissimi fratelli da essa separati, insegnò ai cristiani con i suoi scritti la devozione e l’amore di Dio.

François de Sales nasce il 21 agosto del 1567 a Thorens-Glières, in Francia, da nobile e antica famiglia di Boisy, nella Savoia.

Si forma nei migliori collegi francesi, poi asseconda il volere del padre, che sogna per lui la carriera giuridica, e va a studiare diritto all’Università di Padova. Qui matura un certo interesse per la teologia. Si laurea con il massimo dei voti e rientrato in Francia nel 1592 si iscrive all’ordine degli avvocati. Ma il suo più grande desiderio è ormai farsi prete, sicché l’anno dopo, il 18 dicembre, viene ordinato sacerdote e tre giorni dopo, all’età di 26 anni, celebra la sua prima messa.

Nominato arciprete del capitolo cattedrale di Ginevra, Francesco manifesta doti di zelo e di carità, di diplomazia e di equilibrio. Nell’imperversare del calvinismo, si offre volontario per rievangelizzare la regione dello Chablais. Nella predicazione cerca il dialogo, ma si scontra con porte chiuse, neve, freddo, fame, notti all’addiaccio, agguati, insulti e minacce.

Studia allora la dottrina di Calvino per comprenderla a fondo e per spiegare meglio le differenze con il credo cattolico e anziché ricorrere alla sola predicazione e alla disputa teologica, escogita il sistema di pubblicare, far affiggere in luoghi pubblici o lasciare porta a porta fogli e manifesti esponendo le singole verità di fede in maniera semplice ed efficace. Le conversioni non sono molte, ma cessano l’ostilità e il pregiudizio verso il cattolicesimo.

Francesco si stabilisce poi a Thonon, nella capitale dello Chablais, e qui si dedica, tra l’altro, alle visite ai malati, ad opere di carità e a colloqui personali con i fedeli. Chiede poi di essere trasferito a Ginevra, città simbolo della dottrina calvinista, col desiderio di recuperare quanti più credenti alla Chiesa cattolica,

Nel 1599 viene nominato vescovo coadiutore di Ginevra, tre anni dopo la diocesi è totalmente nelle sue mani, con sede ad Annecy. Francesco vi si spende senza riserve: visita parrocchie, forma il clero, riordina monasteri e conventi, non si risparmia nella predicazione, in catechesi e iniziative per i fedeli. Sceglie il catechismo dialogato e la sua perseveranza e dolcezza nella direzione spirituale guidano svariate conversioni.

Nel marzo del 1604, durante la predicazione quaresimale a Digione, conosce Giovanna Francesca Fremyot de Chantal con la quale istaura una bella amicizia dalla quale origina anche un carteggio epistolare di direzione spirituale. A lei, nel 1608, dedica Filotea o Introduzione alla vita devota. Filotea è il nome ideale di chi ama o vuole amare Dio; Francesco concepisce il testo per riassumere in maniera concisa e pratica i principi della vita interiore e per insegnare ad amare Dio con tutto il cuore e con tutte le forze nella quotidianità. L’idea è quella di formare a una vita pienamente cristiana coloro che vivono nel mondo e devono assolvere compiti civili e sociali. Lo scritto ha un successo enorme.

La lunga ed intensa collaborazione tra Francesco e Giovanna fa scaturire grandi frutti spirituali. Tra questi la Congregazione della Visitazione di Santa Maria fondata nel 1610 ad Annecy con lo scopo principale di visitare e soccorrere i poveri.

Otto anni dopo la congregazione diviene un ordine contemplativo (oggi le monache vengono chiamate visitandine); ne detta le costituzioni, ispirandosi alla regola di S. Agostino, lo stesso Francesco. Ma la de Chantal, dispone poi che le sue religiose si occupino anche dell’educazione e istruzione delle fanciulle, specialmente di famiglie agiate.

Nel 1616 Francesco scrive Teotimo o Trattato dell’amor di Dio, opera di straordinario spessore teologico, filosofico e spirituale, pensata come una lunga lettera indirizzata all’amico “Teotimo” che presenta ad ogni uomo la sua vocazione essenziale: vivere è amare. Il testo vuole indicare le vie migliori perché ciascuno possa realizzare un incontro personale con Dio.

Francesco di Sales muore il 28 dicembre del 1622 a Lione, all’età di 52 anni, e il 24 gennaio dell’anno dopo le sue spoglie vengono traslate ad Annecy.

giovedì 26 gennaio 2023

Fundamentum oecumenismi modernismi, quod solum est apostasia in bono statu cum doctrinalibus haereticis.



Nella Chiesa conciliare, il 25 gennaio, festa della conversione di San Paolo Apostolo, è diventato un pretesto per celebrare, o meglio incensare, l’ecumenismo sincretista, facendo coincidere la cosa con la chiusura della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.

Ogni anno, a questa data, i papi conciliari vanno a cantare i «Vespri» di questa bella festa dell’Apostolo nella Basilica romana di San Paolo Fuori le Mura, in compagnia di rappresentanti delle chiese protestanti e ortodosse. Nell’occasione, essi annunciano sempre lo stesso messaggio dell’«unione nella diversità», fondamento dell’ecumenismo modernista che è solo un’apostasia in regola con le dottrine eretiche.

L’ecumenismo, parola derivante da “ecumenico”, ossia universale, viene adoperata nei tempi moderni per indicare ogni sorta di attività religiosa che non si limiti ai problemi interni di una Chiesa cristiana. Nel senso proprio ecumenismo è la teoria più recente escogitata dai movimenti interconfessionali, specialmente protestanti, per raggiungere l’unione delle Chiese cristiane.

Per i cattolici sono precluse le vie dell’ecumenismo nel senso originario del termine, principalmente dopo che il papa Pio XI nella sua enciclica Mortalium animos (6 gennaio 1928) e Pio XII nella Orientalis Ecclesiae (1944) hanno ribadito il genuino concetto dell’unità della Chiesa, e hanno tracciato il metodo da seguire per promuovere il ritorno dei dissidenti.

Il Papa - eletto nel 1922 - in questa Enciclica esprime dubbi e riserve contro alcune forme di ecumenismo. La Chiesa visibile - ammonisce Pio XI - non può essere “una Confederazione formata dalle varie comunità cristiane, benché aderiscano chi ad una chi ad altra dottrina, anche se dottrine fra loro opposte. Cristo fondò la sua Chiesa come società perfetta, per sua natura esterna e sensibile, affinché proseguisse nel tempo avvenire l’opera della salvezza del genere umano, sotto la guida di un solo capo, con l’insegnamento a viva voce, con l'amministrazione dei sacramenti, fonti della grazia celeste; perciò Egli la dichiarò simile ad un regno, a una casa, ad un ovile, ad un gregge”.
“Come dunque - si domanda ancora Papa Ratti - si potrebbe concepire una Confederazione cristiana, i cui membri, anche quando si trattasse dell’oggetto della fede, potessero mantenere ciascuno il proprio modo di pensare e giudicare, benché contrario alle opinioni degli altri? E in che modo, di grazia, uomini che seguono opinioni contrarie potrebbero far parte di una sola ed eguale Confederazione di fedeli? Chi adora Cristo realmente presente nella santissima Eucaristia per quella mirabile conversione del pane e del vino, che viene detta transustanziazione, e chi afferma che il Corpo di Cristo è ivi presente solo per la fede o per il segno e la virtù del Sacramento? Chi riconosce nella stessa Eucaristia la natura di sacrificio e di Sacramento, e chi sostiene che è soltanto una memoria o commemorazione della Cena del Signore? Da così grande diversità d’opinioni non sappiamo come si prepari la via per formare l’unità della Chiesa, mentre questa non può sorgere che da un solo magistero, da una sola legge del credere e da una sola fede nei cristiani; sappiamo invece benissimo che da quella diversità è facile il passo alla noncuranza della religione, cioè all’indifferentismo e al cosiddetto modernismo, il quale fa ritenere, da chi ne è miseramente infetto, che la verità dogmatica non è assoluta, ma relativa, cioè proporzionata alle diverse necessità dei tempi e dei luoghi e alle varie tendenze degli spiriti, non essendo essa basata sulla rivelazione immutabile, ma sull’adattabilità della vita”.
Il Papa continua dicendo : “Volesse il cielo che toccasse a Noi quanto sinora non toccò ai nostri predecessori, di poter abbracciare con animo di padre i figli che piangiamo separati da Noi per funesta divisione; oh! se il nostro divin Salvatore il quale vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità, ascoltando le Nostre ardenti preghiere si degnasse richiamare all’unità della Chiesa tutti gli erranti! Per tale obiettivo, senza dubbio importantissimo, disponiamo e vogliamo che si invochi l’intercessione della Beata Vergine Maria, Madre della divina grazia, debellatrice di tutte le eresie, aiuto dei Cristiani, affinché quanto prima ottenga il sorgere di quel desideratissimo giorno, quando gli uomini udiranno la voce del Suo divin Figlio conservando l’unità dello Spirito nel vincolo della pace”.

mercoledì 25 gennaio 2023

Suor Monika Amlinger si sente chiamata a diventare prete.




Carissimi amici,

Qui la follia e la pazzia in questa intervista è allo stato puro,Suor Monika Amlinger si sente chiamata a diventare prete. 

Sorella Monika, a cosa si sente esattamente chiamata?

Ho un grande desiderio di essere prete nella Chiesa cattolica. Ho lavorato nelle comunità per diversi anni e attualmente sono cappellano ospedaliero. Il mio lavoro mi dà soddisfazione, mi piace essere a disposizione degli altri. Ma desidero qualcosa di più. Vorrei anche poter celebrare l’eucaristia.

A 25 anni Monika Amlinger è diventata suora benedettina. Già allora sentiva il desiderio di essere prete. All’inizio lo ha represso. Oggi, a 41 anni, con un dottorato in teologia, ha la certezza che Dio vuole la sua chiamata. (sorella Monika intervista)

Se ipoteticamente un Papa decidesse di consentire ai preti di sposarsi, potrebbe farlo; ma se un Papa decidesse di consentire alla donne di diventare sacerdoti, violerebbe il diritto divino. Questo perché Gesù scelse dodici apostoli: tutti uomini. Gesù è Dio ma anche uomo, e un uomo del suo tempo,che tranquillamente non gli creava nessun disagio, di dire alla adultera del vangelo, va non peccare più, o altre cose simili. Il pensiero di Gesù è di una modernità tale che, se avesse voluto, avrebbe dato anche questa indicazione. Papa Giovanni Paolo II ha ribadito che l’esclusione delle donne dal sacerdozio è dottrina di fede definita; e papa Francesco — pur aperto al ruolo delle donne nella Chiesa — lo ha ribadito.
Oggi con la continua influenza di protestantesimo, che circola in tanti episcopati e che puntualmente si riversa nei monasteri e istituti religiosi, di conseguenza vede le donne sugli altari; capi di dicasteri, perché no anche cardinali o persino papesse, ma la cosa più grave è che si perseguitano quelle realtà tradizionaliste quei seminaristi e quei istituti di vita consacrata che hanno fiori di vocazioni. Visto la panoramica dei seminari diocesani, come quello di Roma vuoto e si procede con ordinazione di uomini con figli .
✨-«Perché verrà un giorno in cui essi non sopporteranno più i sani insegnamenti; ma, secondo il loro capriccio, accoglieranno maestri che solleticheranno le loro orecchie. 
Si rifiuteranno di ascoltare la verità e seguiranno
la menzogna».-

✨San Paolo a Timoteo

martedì 24 gennaio 2023

Caleidoscopio romano "la tirannia del diritto"

 


Carissimi amici,

L’ex sacerdote palermitano, con il quale non simpatizziamo per gli ulteriori errori e posizione che diffonde, don Alessandro Minutella- scomunicato dalla Santa Sede perché ritenuto nello scisma- sta facendo un tour nelle città italiane come riferito a Radio Domina Nostra. In particolare a Padova,  nei giorni dal 15 dicembre 2022 al 15 gennaio 2023, e Roma, raduno Nazionale del resto, dal 14 al 15 gennaio 2023. Saranno stati i bei ricordi a spingerlo a tornare in Veneto? È proprio a Verona, infatti, che alcuni anni fa, era avvenuto il primo maxi-raduno di sostenitori dell’ex sacerdote. Il vescovo di Padova mons.Claudio Cipolla ha subito messo in guardia fedeli e parroci con una nota ufficiale: «Il vescovo segnala a presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate e fedeli tutti che il signor Alessandro Minutella è stato scomunicato il 18 agosto 2018 per aver commesso il delitto contro la fede e l’unità della Chiesa, in quanto scismatico; ed è stato dimesso dallo stato clericale in data 13 gennaio 2022».

Non è più un mistero, e forse non lo è mai stato, che da quando sulla cattedra di San Pietro siede papa Francesco il diritto canonico viene calpestato e vilipeso. Infatti, papa Francesco ha iniziato sferzando un giorno sì e l’altro pure, con il suo flagello, accese critiche non costruttive alla Chiesa: deridendo e mettendo alla pubblica gogna membri del collegio cardinalizio, vescovi, sacerdoti e fedeli tacciati d’essere «intransigenti».

Mi viene spesso domandato: «Perché questo Pontefice non parla mai di Dio?». Ora, molte di queste creature lo dicono con convinzione, la loro voce merita rispetto e vedendo queste anime disperse le domande nascono con naturalità: Che annunciatori del Vangelo siete? Quale esempio date alla Chiesa? Che ‘versione’ del cristianesimo seguite? Quale Scrittura avete meditato? Dov’è scritto che la Salvezza è in qualsiasi religione? Quale fondamento ha l’affermazione che il cristiano non deve cedere al proselitismo? Che concetto avete del mondo?

lunedì 16 gennaio 2023

La France est chrétienne et donc elle doit le rester!




E’ una storia che viene da lontano quella che lega la Basilica di San Giovanni in Laterano alla Francia. Ed è proprio per questo che i Presidenti della repubblica francese vengono insigniti del titolo di Protocanonico onorario della Cattedrale del Papa.

La Francia fu designata figlia primogenita della Chiesa, per i suoi re che furono i successori diretti di Clodoveo, il primo re barbaro battezzato nella fede cattolica nel 496. "E solo per questo motivo".

Tuttavia oggi, questa affermazione può essere messa anche in discussione, e sarebbe anche un atto di giustizia, visto e considerato come i cristiani cattolici vengono trattati in Francia con le sue barbare ideologie. Privare ai Presidenti Francesi del titolo di Protocanonico onorario della Cattedrale del Sovrano Pontefice, visto che ci tengono così tanto alla laicità che da quelle parti ne hanno proprio una ossessione al punto di considerarla una religione dello stato, ne fanno una vera battaglia, d'intolleranza e di un estremismo ingiustificato, offendendo e aggredendo, ogni cittadino francese che non si riconosce nel loro agnosticismo. In queste ore una guerra giudiziaria, inutile e puerile prosegue in Francia la battaglia delle associazioni giacobine contro i simboli religiosi. La Corte amministrativa d'appello di Bordeaux ha ordinato al comune di La Flotte-en-Ré, sull'Île de Ré, la rimozione dal pubblico dominio della statua della Vergine Maria situata nel mezzo di un incrocio, ai sensi della legge sulla separazione Chiesa e Stato del 1905, secondo quanto diffuso dalla France Press e riportato anche da Le Figaro. Confermando una prima decisione del tribunale amministrativo di Poitiers, risalente allo scorso marzo, ordina al piccolo comune della Charente-Maritime di 2800 abitanti di "effettuare la rimozione della statua entro sei mesi". Quest'ultima fu realizzata dopo la seconda guerra mondiale da una famiglia grata di vedere un padre e un figlio tornare vivi dal conflitto. Esposta dapprima in un giardino privato, è stata poi donata al Comune, che l'ha installata nel 1983 in un bivio.
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