Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

giovedì 31 dicembre 2015

È disceso dal cielo il Salvatore del mondo. Rallegriamoci!

Quest’annuncio, pervaso di gaudio profondo, è risuonato nella notte di Betlemme. Quest’oggi lo rinnova la Chiesa con gioia immutata: è nato per noi il Salvatore! Un’onda di tenerezza e di speranza ci riempie l’animo, insieme a un prepotente bisogno di intimità e di pace.

Che cosa è accaduto nella notte di Betlemme? Che cosa si è reso presente, ancora una volta, la notte di Natale? Ecco: un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento. Allora Giuseppe salì con Maria dalla Galilea alla città chiamata Betlemme, poiché era della casa di Davide. Mentre si trovavano in quel luogo si compirono per Maria i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo.
Con Maria contempliamo il volto di Cristo: in quel Bimbo, avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia, è Dio che viene a visitarci per guidare i nostri passi sulla via della pace. Maria lo contempla, lo accarezza e lo riscalda, interrogandosi sul senso dei prodigi che avvolgono il mistero del Natale.
Cristo è nato per noi, 
venite, adoriamo!



Tantissimi auguri di un sereno e fruttuoso anno nuovo di gioia nel Signore

la redazione

mercoledì 30 dicembre 2015

Crollo di fedeli alle udienze del mercoledì: Papa Francesco s'è perso per strada due fedeli su tre


Un’emorragia lenta e costante, che in poco più di due anni ha assunto proporzioni preoccupanti. Il numero delle persone che il mercoledì si reca a piazza San Pietro per assistere all’udienza del Papa ha iniziato a calare con l’avvento di Francesco al soglio di Pietro, ed il trend non accenna a cambiare verso.

Da che è diventato Pontefice, Bergoglio ha perso suppergiù due fedeli su tre. I numeri non potrebbero essere più ufficiali: a diffondere il conto delle presenza è stata infatti la Prefettura della casa pontificia, ossia l’organismo vaticano che ha tra i propri compiti quello di provvedere all’organizzazione delle udienze. L’occasione per la pubblicazione del riepilogo è stata offerta dalla centesima udienza tenuta da Bergoglio questo mercoledì.

Le cifre del flop - I numeri: ai cento appuntamenti di Francesco hanno preso parte in totale 3.147.600 persone. Interessante il dato disaggregato sui singoli anni. Nel 2013, primo anno di pontificato del Papa argentino, i fedeli presenti sono stati 1.548.500 per un totale di 30 udienze (da tenere a mente che il pontificato è iniziato nel marzo di quell’anno); nel 2014 alle 43 udienze officiate da Francesco hanno preso parte 1.199.000 fedeli; per l’anno in corso, dove si contano 27 udienze compresa quella di questa settimana, il totale si ferma a quota 400.100. Per rendersi conto della portata di questa emorragia è utile fare il calcolo delle presenze medie per udienza: nel 2013 l’udienza papale media è stata seguita da 51.617 persone, nel 2014 da 27.883, nel 2015 da 14.818. E il trend sembra essere in ulteriore contrazione, dato che dal Vaticano fanno sapere che all’ultima udienza l’affluenza si è attestata in circa sulle diecimila persone. In ultima analisi, da quando è diventato Papa Jorge Bergoglio ha perso per strada poco meno di due fedeli su tre.

Il confronto diventa ancora più stridente se si va a fare il confronto con chi lo ha preceduto alla guida della Chiesa. I numeri di Giovanni Paolo II, non a caso passato alla storia come Pontefice tra i più amati di sempre, restano irraggiungibili: nel suo primo anno di pontificato, in sole nove udienze, Wojtyla raggiunse quota 200mila fedeli, arrivando. nel corso dell’anno successivo al picco fatto senare a quota 1.585.000 fedeli. Dopo qualche anno di relativa stanca, il grande exploit con l’Anno Santo del 2000, quando i pellegrini tornarono ad essere in numero superiore ad un milione e 400mila.

Meglio Ratzinger - Se da un Pontefice dal carisma unanimemente riconosciuto come Wojtyla certi numeri non stupiscono, lo stesso non può tuttavia dirsi per un Papa al contrario dipinto come respingente e poco incline a suscitare il carisma delle folle: Joseph Ratzinger. Negli otto anni di Pontificato, Benedetto XVI ha fatto registrare un totale di 20.544.970 fedeli tra incontri in Vaticano e a Castel Gandolfo. Particolarmente lusinghieri i risultati del 2012 (quando i pellegrini sono stati in tutto 2.351.200), del 2011 (2.553.800, persino meglio dell’anno che sarebbe seguito) e quelli relativi all’inizio del pontificato: nei primi otto mesi da guida della Chiesa, infatti, Ratzinger aveva fatto registrare oltre 2 milioni e 800 mila fedeli, con 810mila fedeli in appena nove udienze da aprile (momento dell’elezione) alla fine dell’anno. Un trend che, come detto, in seguito all’elezione di papa Francesco ha conosciuto una brusca ed inattesa inversione di tendenza. E che, visti i dati di questi ultimi mesi, le carte in regola per peggiorare pare averle tutte.

di Fabrizio Melis

La regalità di Cristo: La grande battaglia di Mons. Lefebvre di don Pierpaolo Petrucci


Quando si legge la biografia di Mons. Lefebvre, in particolare il periodo che va dalla sua ordinazione sacerdotale del 21 settembre 1929, fino alle consacrazioni episcopali del 30 giugno 1988, ci si può chiedere quale fu l’ideale profondo di una esistenza così movimentata; quale è stata la linea direttrice del suo ministero sacerdotale prima ed episcopale poi, ed il motivo profondo che lo ha spinto a prendere fermamente posizione, opponendosi anche alla “linea ufficiale”, ad un’età in cui si pensa generalmente prendere un po’ di riposo. Anche un lettore superficiale ne deduce che solo un ideale profondo può avergli dato la forza e la tenacia per perseverare, a rischio di essere considerato da alcuni membri di quella Chiesa, per la quale aveva dato la vita, come uno scismatico, uno scomunicato. Le persone che non l’hanno conosciuto o soltanto in maniera superficiale lo hanno a volte accusato di orgoglio. Ma coloro che hanno avuto la fortuna di frequentarlo sono stati costretti a ricredersi da questo a priori, impressionati dalla gentilezza e dalla bontà di Monsignore, frutto di una umiltà profonda. Considerando le sue motivazioni profonde, ci si accorge allora che tutta la sua vita è diretta da un ardente desiderio: instaurare il regno di Gesù Cristo per la salvezza delle anime. Il regno di Gesù Cristo In una bella predica al Seminario di Ecône, il 28 ottobre 1979, Monsignor Lefebvre ricordava i princìpi della Regalità di Cristo, insegnati dal papa Pio XI nell’enciclica Quas primas: «Vi sono due ragioni profonde che fondano la Regalità di Nostro Signore: la prima è l’unione ipostatica, cioè l’unione delle persona divina di Gesù con la sua natura umana. Gesù è Re perché è Dio. L’anima umana di Gesù e il suo corpo sono talmente uniti a Dio che non si possono separare. Gesù è quindi per natura il Salvatore, il Sacerdote, il Re. Gesù è Re poi per conquista, poiché ci ha redento con il suo Sangue e la sua croce. Per questo egli ha acquisito un diritto su tutte le anime. Esse gli appartengono perché Egli le ha riscattate». La conseguenza è che Gesù deve regnare, ma in che modo? «Dobbiamo chiederci – continua Monsignore – se Gesù è veramente nostro Re, in tutte le nostre azioni, in ogni istante. Egli deve essere il Re e la Luce delle nostre intelligenze: Egli è la Verità, poiché è Dio. Inoltre è Re delle nostre volontà. Egli è la Legge, non soltanto delle menti e delle volontà ma di tutta la natura che segue le sue leggi con una fedeltà incomparabile. L’uomo dovrebbe seguire la legge, iscritta nel suo cuore, in maniera intelligente e libera; legge che è la via per giungere alla nostra felicità e alla vita eterna, invece egli si allontana da essa. Gesù deve divenire realmente il re delle nostre volontà che devono conformarsi alla sua legge di amore»(1 ). Gesù deve regnare quindi sugli individui ma anche sulle nazioni mediante la sua dottrina di verità, sola capace di portare la salvezza, la pace e la vera civilizzazione. La società civile, anch’essa creatura di Dio, ha il dovere di dare a Gesù Cristo un culto pubblico tramite i suoi rappresentanti, nella sola vera religione da lui rivelata. Le leggi degli stati devono fondarsi sulla sua legge divina. Nel lezioni di Atti del Magistero che Monsignor Lefebvre impartiva ai seminaristi dell’anno di spiritualità, ricordava spesso queste verità, commentando le encicliche dei Papi. «Il regno sociale di Gesù Cristo è la vera soluzione ai problemi sociali, per la pace. È la sua grazia che può guarire la natura ferita dal peccato, comunicarci le virtù sociali e darci la forza di lottare contro l’invidia che crea l’odio. La grazia ci ottiene in particolare la giustizia, ci aiuta a capire che non siamo sulla terra per fare fortuna e che la vita futura vale ben più che quella sulla terra»(2 ).

martedì 29 dicembre 2015

Auguri Natalizi del Superiore del Distretto e dai sacerdoti della F.S.S.P.X

Carissimi amici, fedeli, e benefattori, il 31 Dicembre alle ore 18:30 al Priorato di Albano Laziale via Trilussa 45,sarà celebrata la Santa Messa seguita dalla Benedizione Eucaristica e canto del Te Deum
"La nascita di Dio in un bimbo nato in una grotta e destinato a salvare il mondo intero rinnovi in voi la speranza e la determinazione nel cambiamento per una vita sempre più vera e autentica".
 "Auguri".

«Fate questo in memoria di me...» Lc 22, 19 «Il fine della Fraternità è il sacerdozio e tutto ciò che lo riguarda e niente più, cioè come Nostro Signore Gesù Cristo l’ha voluto quando disse: “Fate questo in memoria di Me.” Orientare e realizzare la vita del sacerdote verso ciò che è essenzialmente la sua ragion d’essere: il Santo sacrificio della Messa [...]» (Statuti della Fraternità San Pio X)



Il Papa di Maria «La più valida ragione per cui il cinquantesimo anniversario della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione deve stimolare un insolito fervore nell’animo del popolo cristiano consiste per Noi, Venerabili Fratelli, in ciò che già proponemmo nella precedente Lettera enciclica, ossia “rifondare ogni cosa in Cristo”.
Infatti, chi non vede che, se non si ricorre a Maria, non vi è alcun cammino sicuro e spedito per unire tutti in Cristo e per ottenere per mezzo di Lui la perfetta adozione filiale, tanto da poter essere santi e immacolati al cospetto di Dio? Infatti, se a Maria fu veramente detto: “Te beata che hai creduto, poiché si adempirà in te quanto fu detto dal Signore” […]; se accolse nel proprio grembo Colui che per natura è Verità […]; dal momento che il Figlio di Dio fatto uomo è “autore e perfezionatore della nostra fede”, allora è assolutamente necessario riconoscere che la sua santissima Madre è partecipe e come custode dei misteri divini, e che su di Lei, come il più nobile fondamento dopo Cristo, sorge l’edificio della fede di tutti i secoli». (Lett. encicl. Ad diem illum, 2 febbraio 1904)

lunedì 28 dicembre 2015

Venticinque anni di apparizioni a Medjugorie: manifestazione divina, diabolica o umana?di don Stefano Bellunato

DA PICCOLO CENTRO AGRICOLO DEI BALCANI A CAPITALE DELLO STRAORDINARIO 
Nome arcinoto alla maggioranza dei cattolici oggi, Medjugorje è nondimeno una verdeggiante località della BosniaErzegovina(1 ) che sarebbe rimasta nel suo tranquillo e secolare anonimato se un giorno non fosse successo qualcosa dʼinsolito. È il 24 giugno 1981. Alcuni giovani del villaggio cominciano ad affermare di aver visto nel pomeriggio, lì e a più riprese, niente meno che la Madre di Dio stessa. Sulla collina del Podbrdo, che domina la pianura dove si erge la Chiesa Parrocchiale apparirebbe loro quella che essi chiamano, in lingua croata, la “Gospa”, cioè la Madonna. I Francescani, che si occupano della Chiesa Parrocchiale di Medjugorje, attorniano ben presto i veggenti che iniziano ad avere le visioni non più sul monte Podbrdo, ma nelle case, nellʼufficio parrocchiale e poi in chiesa. Da tali visioni, vere o presunte, ma comunque in un breve lasso di tempo, prende origine un grande fenomeno di pellegrinaggi provenienti dai quattro angoli della terra(2 ). Anche la pronta persecuzione della psico-polizia comunista ancora fedele a Tito non sembra fermare il fenomeno. Numerosissime pubblicazioni fanno ben presto da cassa di risonanza(3 ) a tutta la vicenda. In esse si racconta di altrettanto apparentemente straordinarie conversioni e guarigioni. Sembra di assistere ad una nuova Lourdes o ad una nuova Fatima, anzi, a detta di alcuni, ad un fenomeno ben più importante. È questa lʼopinione di diversi uomini di Chiesa. Tra i più famosi il mariologo francese René Laurentin, che da allora fino a pochissimo tempo fa si dedicherà ad una raccolta sistematica e instancabile di tutti i fatti che contano per provare lʼorigine soprannaturale e divina di Medjugorje. Essi saranno pubblicati nel best-seller “La Vergine appare a Medjugorje”, edito in Italia per i tipi della “Queriniana” e ristampato più volte a partire dal 1984. Laurentin aggiornerà annualmente i suoi lettori fino a tempi recenti con i diciassette volumi di “Dernières Nouvelles de Medjugorje”, editi, in un primo tempo, sempre dalla casa bresciana ed ultimamente dalle Edizioni “Il Segno”. Al Laurentin farà eco in Italia, anche se in maniera diversa, Padre Livio Fanzaga, il quale concretizzerà nel 1988 la sua adesione a Medjugorje con la creazione di quel successo mediatico che è, a tuttʼoggi, Radio Maria(4 ). Attorno a lui si riuniranno laici e religiosi di indubbia levatura, quali, per citare solo un caso tra i più recenti, Antonio Socci. Voci discordi con la pretesa soprannaturalità delle visioni si levano però altrettanto velocemente, anche se non godranno né di eguale pubblicità né di eguale attenzione. Innanzitutto Mons. Pavao Žanić (+11 novembre 2000), Vescovo di Mostar fino allʼinizio di agosto del 1993. Dopo aver preso le difese dei veggenti e dei francescani di Medjugorje nei primi giorni delle apparizioni contro lʼintervento quasi immediato della Polizia comunista, il Vescovo jugoslavo sembra presto costretto a fare marcia indietro. Al termine di alterne vicende pubblicherà un rapporto nel marzo 1990(5 ). La conclusione: se qualcosa appare a Medjugorje non viene senzʼaltro da Dio. Diversi motivi lo spingono a pensare che il tutto sia addirittura una truffa ordita dai francescani della sua diocesi. Il suo successore, Mons. Ratko Perić, sarà dello stesso avviso(6 ). Anche la Conferenza Episcopale Jugoslava e la Congregazione per la Dottrina della Fede, ricorderanno a più riprese che «...i pellegrinaggi sia ufficiali che privati a Medjugorje non sono permessi se presuppongono lʼautenticità dellʼapparizione» (Mons. Bertone a Mons. G. Aubry, 1998). A questi pronunciamenti ufficiali si unirà in Francia quella di Frère Michel de la Sainte Trinité, religioso, il quale pubblicherà diversi articoli sulle pagine di CRC, La Contre-réforme Catholique, dal maggio 1984 al giugno 1985. In essi la condanna è senza appello, anche se in parte diversa da quella di Mons. Žanić: Medjugorje è emanazione diretta del Movimento Carismatico che ha infiltrato nella Chiesa Cattolica gli errori del Pentecostismo protestante sorto in America nel ʻ900.

domenica 27 dicembre 2015

Roma, città santa di Giovanni Papini


Per un uomo dell’Antichità, ogni città fondata secondo i riti era una città santa. Ma per un cristiano, due solamente sono segnate del sigillo della santità: Gerusalemme e Roma, l’una testimone della morte di Dio, l’altra sede del Capo della Chiesa fondata da Dio. Nessun’altra, per quanto ricca di sacre memorie e di santuari celebri, potrebbe essere comparata ad esse. Dopo che Gerusalemme venne meno, il primato doveva passare a Roma. Poiché i Gentili accettarono il messaggio rifiutato dai Giudei, la città di Cesare ereditò i diritti di primogenitura della città di Davide. A Gerusalemme Dio si manifestò in una creatura di carne, che fu offerta in sacrificio; a Roma, Dio si manifestò solo nei suoi testimoni, ma rivive continuamente nel Corpo mistico della Chiesa che ha là il suo Capo, cioè la parte più alta e più nobile. Presso il Cedron, c’è la sofferenza del Cristo; presso il Tevere, il suo trionfo. Roma, più ancora che Gerusalemme, ebbe i suoi battesimi di sangue: non fu sangue divino, ma quello di tutti i suoi fondatori. Romolo, fondatore della Città e della monarchia, fu ucciso dai patres; Giunio Bruto, fondatore della Repubblica, perì per mano di Arunzio; Giulio Cesare, fondatore dell’Impero, cadde sotto i colpi di Marco Bruto; san Pietro, fondatore della Roma cristiana, fu messo a morte dai soldati di Nerone. Vittime delle maledizioni della caduta, gli uomini subiscono questa legge inesorabile di non poter fondare niente di grande senza pagare la loro opera con la loro vita. I creatori sono, allo stesso tempo, carnefici e vittime. Romolo infatti aveva assassinato suo fratello; Giunio Bruto aveva fatto giustiziare i suoi figli; Giulio Cesare fece mettere a morte Vercingetorige e Pompeo; quanto a san Pietro, è il solo degli Apostoli che abbia cinto la spada e tentato di uccidere un uomo: Malco. Roma tuttavia non trae solamente dal sangue versato il suo carattere di città santa. Se il sangue di san Pietro illustrò per la prima volta la seconda Roma, la Roma cattolica eterna, è alla parola di san Pietro e di san Paolo che l’Urbe deve la sua consacrazione veramente soprannaturale. Con questa parola, la Città che aveva sottomesso con la forza delle armi tre continenti quasi interi, divenne la Città che sottomette, con lo Spirito, tutti i continenti della terra. All’Aquila rapace, si è sostituita la Croce redentrice: alla venerazione della Lupa del Tevere, l’adorazione del mistico Agnello. Fondandosi su un’incerta cronologia medioevale, Dante suppone che la fondazione di Roma ebbe luogo sotto il regno di Davide. Questa coincidenza si riconosce oggi esser falsa, ma ne esiste un’altra, autentica, che nessuno, a mia conoscenza, ha ancora notata. Roma fu fondata dagli Etruschi verso la metà dell’VIII secolo avanti Cristo – come le più recenti ricerche portano a credere. Il popolo etrusco era famoso per i suoi àuguri, cioè i suoi profeti che predicevano l’avvenire. Ora, alla stessa epoca, sotto Ozia, Re di Giudea, cominciava il periodo di Isaia, il più grande dei profeti prima di Giovanni e l’annunciatore più chiaro della venuta al mondo e della Passione del Cristo. Così Roma, futura sede della Chiesa del Messia, è contemporanea della più grande profezia messianica. Ma tra tutte le profezie di Isaia, ce n’è una che si applica, a mio avviso, all’unione futura del popolo romano e della Chiesa del Cristo, alla riconciliazione finale dell’Aquila e della Croce, dell’Impero e del Cattolicesimo. Tutti conoscono questa immagine famosa, enunciata a due riprese da questo straordinario profeta: «Il lupo dimorerà con l’agnello» - «Il lupo e l’agnello pasceranno insieme» (Is 11, 6; 65, 25). Quando si pensa che durante dei secoli il Lupo è rimasto l’emblema, il totem di Roma e che l’Agnello è uno dei più antichi simboli del Cristo, si dovrà riconoscere che Isaia non fu solamente il profeta dell’Incarnazione, ma anche dei futuri destini della Chiesa fondata dall’Emanuele: l’Agnello che vive in pace con il Lupo significa lo sviluppo della religione del Cristo nella capitale dei Cesari. La parola di Isaia si è verificata una prima volta con Costantino il Grande e più tardi con Carlo Magno. Ma le passioni e gli errori degli uomini non hanno permesso che durasse la perfetta armonia tra il simbolo della forza e quello dell’amore. Tuttavia, dopo diciannove secoli, la religione dell’Agnello di Dio ha il suo centro nella città della Lupa terrena. La profezia si è in parte realizzata quando san Pietro celebrò il suo primo sacrificio a Roma, vicino al Palazzo di Nerone. Ogni cristiano desiderava la realizzazione completa della promessa. Ma la bolla di Pio XI, Infinita Dei misericordia, non fu forse un appello ai lupi perché venissero infine a pascere con gli agnelli?Destinata a dominare due volte il mondo, Roma sempre fu santa. Già ai tempi di Augusto, Tito Livio poteva scrivere «Non vi è alcun luogo in questa città che non sia impregnato di religione e non appartenga a qualche divinità... gli dèi la abitano». Queste parole, in una certa misura, erano esatte. Ma quando Tito Livio (morto tra l’altro nel 17 a. C.) scriveva queste parole, Colui che doveva dare ad esse il loro senso autentico e immortale stava per nascere in Palestina. Gli dèi – o meglio i vecchi idoli greco-latini, vanamente ringiovaniti e sostenuti dalle dottrine filosofiche o dai misteri – durarono ancora a Roma fino al IV secolo, ma la loro illusoria potenza svanì alla venuta di san Pietro. La pluralità degli dèi pagani fu sostituita dalla Vera Unità. Il grande Pan era morto al momento della Crocifissione, e la moltitudine degli dèi dell’Olimpo si era immediatamente fissata nell’immobilità. Le idee-forze dei Miti fantasisti non furono più che statue, nomi e marmi. Il Dio unico e vivo che aveva mandato sulla terra il suo Figlio unico per morirvi e risuscitare si era manifestato in un modo così evidente, così irrefutabile che tutta la vecchia schiera di fantasmi ritornò nel nulla. È così che all’arrivo di un uomo ben in vita, svaniscono le ombre senza consistenza. È a Roma che l’Inviato del Re dei re fissa la sua residenza perpetua e sui sette colli fa conoscere i sette Doni dello Spirito Santo. È vero che nel corso dei secoli gli uomini – spoglia mortale del Corpo mistico della Chiesa e del Cristo eterno – non hanno sempre rispettato la santità di questi luoghi e che per la colpa di qualche cattivo servitore dell’Agnello la Roma cristiana a visto prodursi vergogne e scandali degni della vecchia stirpe della Lupa. Tutto questo non ha potuto, né poteva, cancellare il carattere sacro della Città, carattere indelebile come quello del sacerdozio. Perché Roma, fondata all’epoca della grande profezia messianica, fu dalla sua origine segnata per essere la sede legittima ed eterna degli eredi del Messia? La sua storia ne risponde. Il cristianesimo destinato a divenire religione “cattolica”, cioè universale e a cancellare le antiche religioni egoiste della tribù e della polis, doveva necessariamente avere il suo padre spirituale nella capitale di un Impero quasi universale, cioè “cattolico”. L’Impero Romano, come si è già osservato, fu condotto dalla logica stessa del suo spirito di dominio a distruggere le singolarità delle stirpi, e a sopprimere il numero considerevole di repubbliche e regni allo scopo di unificare il mondo civilizzato in una comune disciplina e con un potere centrale sempre più assoluto. La Roma repubblicana rappresentava,certo, una patria, ma la Roma imperiale sorpassò l’idea di patria. Per la prima volta, malgrado la diversità delle lingue e delle razze, poté raggruppare un gran numero di popoli che obbediva a un solo signore e a una sola legge. Dal punto di vista dell’organizzazione politica, l’Impero preparò questa universalità che il cristianesimo doveva, a poco a poco (non ha ancora terminato) instaurare nell’ordine spirituale. La classe patrizia dei primi secoli della Repubblica scomparve sotto l’Impero e quasi tutti gli abitanti delle Province ebbero diritto al titolo di cittadino romano. Dopo la venuta del Cristianesimo si fece un nuovo passo avanti: tutti gli uomini, anche gli schiavi e i barbari, ebbero il diritto di rivendicare la qualità di cittadino del Regno dei Cieli. Roma aveva attenuato le distinzioni etniche e civiche; la Chiesa le abolì. In questo senso, si può dire che la Roma antica fu la misteriosa prefazione del grande poema sacro della Roma cattolica. Un Pontefice Unico succedette necessariamente a un Imperatore Unico. La dimora di Romolo divenne la dimora di Pietro e gli dèi di Tito Livio cedettero il posto al Dio crocifisso di Paolo. Sulla vasta tenda imperiale, gli Apostoli scrissero a lettere di sangue i segni della proprietà che non si cancellano mai. Dopo essersi nascosti per tre secoli – come il suo Fondatore era rimasto tre giorni nella Tomba – la Chiesa uscì dal sepolcro profondo delle Catacombe e risplendette al sole, sotto il gran cielo di pietra del Buonarroti. San Pietro si è fissato in Italia, perché Gerusalemme rappresentava il nazionalismo giudaico e che Roma, al contrario, personificava l’idea universale di un solo gregge e un solo Pastore. Non è l’Impero che ha reso il Cristianesimo vittorioso, ma è lui che ha annunciato la Chiesa e l’ha sostenuta nei suoi inizi. Per quelli che vedono l’intervento della Provvidenza nella Storia, Roma dalla sua fondazione fu città santa, benché il suo carattere sacro non apparisse chiaramente dall’origine. La sua santità vera si affermò solo a partire dall’anno 66 e con le persecuzioni neroniane. La croce di san Pietro e il ceppo di san Paolo costituiscono i primi trofei di questa definitiva santificazione. La Città del Vaticano non è solamente una riunione di chiese, palazzi, meraviglie d’arte rinchiuse in dei musei, è una delle acropoli mistiche della terra, è una sfera immensa che sorpassa le sue frontiere visibili e tocca le sponde stellate del soprannaturale: è la Città di Dio.

venerdì 25 dicembre 2015

Puer Natus Est Nobis



Oggi 25 Dicembre i cristiani in tutto il mondo celebrano il Natale, una delle principali festività ecclesiastiche. 

in questa notte luminosa, riviviamo la gioia spirituale dell’incontro del mondo con il suo Salvatore. Vediamo di nuovo nel pensiero il Figlio del Dio vivente che dorme nella mangiatoia della grotta di Betlemme. Udiamo di nuovo nel nostro cuore la voce angelica che canta la lode al Creatore e Redentore: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli, pace sulla terra e per gli uomini buona volontà» (Luca, 2, 14).

Attenti alle lodi delle forze celesti, diveniamo consapevoli che la Natività di Cristo colma di un significato senza tempo e ha un senso immediato per il destino di ogni essere umano. Anche colui che non sa ancora nulla del sacrificio del Salvatore può fin da ora giungere alla conoscenza della Verità, divenire figlio di Dio ed ereditare la vita eterna. La Natività di Cristo ci rivela la verità su noi stessi e ci permette di comprendere e di assimilare questa verità.

Ricordiamoci che il primo essere umano è stato plasmato perfetto dal Creatore, a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Genesi, 1, 26). Ma Adamo, avendo disobbedito al comandamento, ha alterato l’intenzione del Creatore a suo riguardo. Privata della relazione viva con Dio, l’umanità è sprofondata sempre più nell’abisso del peccato e dell’orgoglio. Allora il Signore, pieno d’amore per la sua creatura e desiderando la sua salvezza, ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito che ha ristabilito la pienezza della natura umana ed è divenuto il nuovo Adamo. Cristo ci ha dato l’esempio di una vita conforme al disegno divino per l’umanità. Questo esempio rappresenta l’orientamento pieno di speranza che ci aiuta a non smarrirci e a trovare l’unico cammino giusto che conduce alla pienezza di vita, sia nella nostra esistenza terrena sia nell’eternità.Noi seguiamo questo cammino di salvezza nella misura in cui rispondiamo alla chiamata di Dio. Una di queste chiamate a noi rivolte è contenuta in una lettera di san Paolo: «Glorificate Dio nel vostro corpo e nel vostro spirito, i quali appartengono a Dio» (1 Corinzi, 6, 20). significa che noi rendiamo grazie a Dio non solo con le preghiere e con il canto, ma anche con le buone opere per il bene del nostro prossimo, per il bene del nostro popolo, per il bene della Chiesa.

Un simile sforzo diviene gioioso nel nome di Cristo, trasfigura realmente il mondo che ci circonda, e anche noi stessi. Le persone raggiungono la coesione operando non per obbligo, non per il profitto, ma mosse dal desiderio sincero di compiere un’opera buona e utile. In tal modo serviamo insieme il Creatore mettendo in pratica la sua volontà. La parola greca leitourgia è tradotta con «opera comune». E tutta la nostra vita deve divenire Liturgia, preghiera comune e opera comune compiute al fine d’incarnare nella vita il disegno di Dio per il mondo e per l’umanità e in tal modo rendere gloria e lode al Creatore. Si esige da noi la solidarietà con i nostri fratelli e le nostre sorelle attraverso la fede e anche con coloro che non hanno ancora trovato nel loro cuore il Signore, ma che, come i re magi del Vangelo, sono in cammino verso di lui.Oggi festeggiamo un avvenimento che ha radicalmente cambiato il corso della storia umana. Dio entra nel profondo della vita umana, diventa uno di noi, prende su di sé il peso dei nostri peccati, della fragilità e delle debolezze e umane, e lo porta sul Golgotha, per liberare noi uomini da questo peso insostenibile. Da allora Dio non è più lontano, nella sommità inaccessibile dei cieli, ma è qui, con noi, è in mezzo a noi! In ogni liturgia ci scambiamo il bacio della pace, dicendo l’uno all’altro: “Cristo è in mezzo a noi!”, e rispondendo: “C’è e ci sarà!”. E’ questa una testimonianza chiara della presenza dello stesso Dio incarnato, Cristo Salvatore, tra i suoi fedeli. Ricevendo regolarmente il suo Corpo e il suo Sangue, sforzandoci di compiere i suoi comandamenti, noi entriamo in una reale relazione con Lui, nostro Salvatore, riceviamo il perdono dei peccati.

I credenti in Cristo e i suoi fedeli discepoli sono chiamati ad essere testimoni del Regno di Dio, che si manifesta in Cristo, fin dalla loro vita terrena. Un grande onore ci è concesso: quello di poter agire in questo mondo come ha agito il nostro Maestro e Dio, di essere inflessibili, per la forza di Cristo, nella nostra resistenza al male e al peccato, di non infiacchirci nel compimento del bene, di non perderci d’animo nei nostri sforzi quotidiani per trasfigurare la nostra natura di peccato nell’uomo nuovo della Grazia.

Cristo Salvatore ha stabilito un criterio sicuro e assoluto di verifica del nostro rapporto con Dio: il nostro prossimo. Prendendo su di noi la debolezza degli altri, condividendo dolori e sofferenze dei miseri e derelitti, noi mettiamo in pratica la legge di Cristo (Gal 6, 2) e diveniamo in ciò simili al Salvatore, che si è caricato delle nostre sofferenze e si è addossato i nostri dolori (Is 53, 4).

In questo giorno di gioia e di luce del Natale di Cristo, in cui ogni creatura accorre con stupore alla mangiatoia in cui giace il Dio-bambino, non possiamo dimenticare il nostro prossimo. La Grazia che oggi nelle nostre chiese scende a riempire i nostri cuori deve traboccare anche su quanti sono ancora lontani dalla Chiesa e vivono “secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo” (Col 2, 8). Se noi non andremo da loro incontro la Buona Novella di Cristo potrebbe non giungere fino a loro, se noi non apriremo i nostri cuori per condividere con loro la gioia che ci ricolma, questa gioia potrebbe non arrivare neanche a quanti sono pronti ad accoglierla.

L’incarnazione del Figlio di Dio ha innalzato la natura umana a un’altezza da essa mai raggiunta. Ognuno di noi non solo è creato “a immagine e somiglianza” di Dio, ma attraverso Cristo è ora anche adottato da Dio: non siamo quindi più “stranieri né ospiti”, ma “concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2, 19). Di questa prossimità e parentela con Dio parla la stessa preghiera del Signore, nella quale ci rivolgiamo al Creatore dell’universo come a un Padre secondo la carne.

Ogni vita umana ha un valore infinito: per essa il Figlio Unigenito di Dio ha pagato con la sua incarnazione, vita, morte e resurrezione. Ciò ci spinge ad avere ancor maggiore attenzione e rispetto nei nostri rapporti con ogni persona, indipendentemente dalla nostra similitudine o diversità. Il santo   Pontefice Pio X diceva, che “l’amore è una partecipazione viva e attiva al bene dell’altro”. Proprio a un tale amore attivo vorremmo esortare tutti, in questi giorni gioiosi del Natale di Cristo: ad amarci gli uni gli altri, secondo quanto dice l’apostolo Paolo, con affetto fraterno, a gareggiare nello stimarci a vicenda, a non essere pigri nello zelo, a essere ferventi nello spirito, a servire il Signore (Rom 12, 10-11; Ebr 13, 16).

Di cuore vi auguro un Buon Natale. Il Dio d’amore e di pace (2 Cor 13, 11) conceda alla Chiesa alle nostre famiglie, e a ognuno di noi, pace e prosperità nel nuovo anno.


giovedì 24 dicembre 2015

MESSAGGIO NATALIZIO DI SUA SANTITÀ PIO XII 24 dicembre 1942


ALLA VIGILIA DEL SANTO NATALE




Il Santo Natale e la umanità dolorante

Con sempre nuova freschezza di letizia e di pietà, diletti figli dell'universo intero, ogni anno al ricorrere del Santo Natale, risuona dal presepe di Betlemme all'orecchio dei cristiani, ripercuotendosi dolcemente nei loro cuori, il messaggio di Gesù, Luce in mezzo alle tenebre; un messaggio che illumina con lo splendore di celestiali verità un mondo oscurato da tragici errori, infonde una gioia esuberante e fiduciosa ad un'umanità, angosciata da profonda e amara tristezza, proclama la libertà ai figli d'Adamo, costretti nelle catene del peccato e della colpa, promette misericordia, amore, pace alle schiere infinite dei sofferenti e tribolati, che vedono scomparsa la loro felicità e spezzate le loro energie nella bufera di lotta e di odio dei nostri giorni burrascosi.

E i sacri bronzi, annunziatori di tale messaggio in tutti i continenti, non pur ricordano il dono divino, fatto all'umanità, negli inizi dell'età cristiana; ma annunziano e proclamano anche una consolante realtà presente, realtà come eternamente giovane, così sempre viva e vivificante; realtà della «luce vera, la quale illumina ogni uomo, che viene in questo mondo» e non conosce tramonto. L'Eterno Verbo, via, verità e vita, nascendo nello squallore di una grotta e nobilitando in tal modo e santificando la povertà, così dava inizio alla sua missione di dottrina, di salute e di redenzione del genere umano, e diceva e consacrava una parola, che è ancor oggi la parola di vita eterna, valevole a risolvere i quesiti più tormentosi, insoluti e insolubili da chi vi porti vedute e mezzi effimeri e puramente umani; quesiti i quali si affacciano sanguinanti, esigendo imperiosamente una risposta, al pensiero e al sentimento di una umanità amareggiata ed esacerbata.

Il motto «Misereor super turbam» è per Noi una consegna sacra, inviolabile, valida e impellente in tutti i tempi e in tutte le situazioni umane, com'era la divisa di Gesù; e la Chiesa rinnegherebbe se stessa, cessando di essere madre, se si rendesse sorda al grido angoscioso e filiale, che tutte le classi dell'umanità fanno arrivare al suo orecchio. Essa non intende di prender partito per l'una o l'altra delle forme particolari e concrete, con le quali singoli popoli e Stati tendono a risolvere i problemi giganteschi dell'assetto interno e della collaborazione internazionale, quando esse rispettano la legge divina; ma d'altra parte, «colonna e base della verità» (1 Tm 3,15) e custode, per volontà di Dio e per missione di Cristo, dell'ordine naturale e soprannaturale, la Chiesa non può rinunziare a proclamare davanti ai suoi figli e davanti all'universo intero le inconcusse fondamentali norme, preservandole da ogni travolgimento, caligine, inquinamento, falsa interpretazione ed errore; tanto più che dalla loro osservanza, e non semplicemente dallo sforzo di una volontà nobile e ardimentosa, dipende la fermezza finale di qualsiasi nuovo ordine nazionale e internazionale, invocato con cocente anelito da tutti i popoli. Popoli, di cui conosciamo le doti di valore e di sacrificio, ma anche le angustie e i dolori, e ai quali tutti, senza alcuna eccezione, in quest'ora d'indicibili prove e contrasti, Ci sentiamo legati da profondo e imparziale e imperturbabile amore e da immensa brama di portare loro ogni sollievo e soccorso che in qualsiasi modo sia in Nostro potere.

Rapporti internazionali
e ordine interno delle nazioni

L'ultimo Nostro Messaggio natalizio esponeva i principi, suggeriti dal pensiero cristiano, per stabilire un ordine di convivenza e collaborazione internazionale, conforme alle norme divine. Oggi vogliamo soffermarCi, sicuri del consenso e dell'interessamento di tutti gli onesti, con cura particolare e uguale imparzialità sulle norme fondamentali dell'ordine interno degli Stati e dei popoli. Rapporti internazionali e ordine interno sono intimamente connessi, essendo l'equilibrio e l'armonia tra le Nazioni dipendenti dall'interno equilibrio e dalla interna maturità dei singoli Stati nel campo materiale, sociale e intellettuale. Né un solido e imperturbato fronte di pace verso l'esterno risulta possibile di fatto ad attuarsi senza un fronte di pace nell'interno, che ispiri fiducia. Solo, quindi, l'aspirazione verso una pace integrale nei due campi varrà a liberare i popoli dal crudele incubo della guerra, a diminuire o superare gradatamente le cause materiali e psicologiche di nuovi squilibri e sconvolgimenti.

Duplice elemento della pace
nella vita sociale

Ogni convivenza sociale, degna di tal nome, come trae origine dalla volontà di pace, così tende alla pace; a quella tranquilla convivenza nell'ordine in cui S. Tommaso, facendo eco al noto detto di S. Agostino,(2) vede l'essenza della pace. Due primordiali elementi reggono quindi la vita sociale: convivenza nell'ordine, convivenza nella tranquillità.

I. Convivenza nell'ordine

L'ordine, base della vita consociata di uomini, di esseri cioè, intellettuali e morali, che tendono ad attuare uno scopo consentaneo alla loro natura, non è una mera estrinseca connessione di parti numericamente diverse; è piuttosto, e ha da essere, tendenza e attuazione sempre più perfetta di una unità interiore, ciò che non esclude le differenze, realmente fondate, e sanzionate dalla volontà del Creatore o da norme soprannaturali.

Una chiara intelligenza dei fondamenti genuini di ogni vita sociale ha un'importanza capitale oggi più che mai, mentre l'umanità, intossicata dalla virulenza di errori e traviamenti sociali, tormentata dalla febbre della discordia di desideri, dottrine e intenti, si dibatte angosciosamente nel disordine, da essa stessa creato, e risente gli effetti della forza distruttrice di idee sociali erronee, le quali dimenticano le norme di Dio o sono ad esse contrarie. E poiché il disordine non può essere superato se non con un ordine, che non sia meramente forzato e fittizio (non altrimenti che l'oscurità coi suoi deprimenti e paurosi effetti non può essere bandita se non dalla luce, e non da fuochi fatui); la salvezza, il rinnovamento e un progressivo miglioramento non può aspettarsi e originarsi se non da un ritorno di larghi e influenti ceti alla retta concezione sociale; un ritorno che richiede una straordinaria grazia di Dio e una volontà incrollabile, pronta e presta al sacrificio, degli animi buoni e lungimiranti. Da questi ceti più influenti e più aperti per penetrare e ponderare la bellezza attraente delle giuste norme sociali, passerà e entrerà poi nelle moltitudini la convinzione della origine vera, divina e spirituale, della vita sociale, spianando in tal modo la via al risveglio, all'incremento e al consolidamento di quelle concezioni morali, senza cui anche le più orgogliose attuazioni rappresenteranno una Babele, i cui abitanti, se pure hanno mura comuni, parlano lingue diverse e contrastanti.

Iddio prima causa ed ultimo fondamento
della vita individuale e sociale

Dalla vita individuale e sociale conviene ascendere a Dio, Prima Causa e ultimo fondamento, come Creatore della prima società coniugale, fonte della società familiare, della società dei popoli e delle nazioni. Rispecchiando pur imperfettamente il suo Esemplare, Dio Uno e Trino, che col mistero dell'Incarnazione redense ed innalzò la natura umana, la vita consociata, nel suo ideale e nel suo fine, possiede al lume della ragione e della rivelazione un'autorità morale ed una assolutezza, travalicante ogni mutar di tempi; e una forza di attrazione, la quale, lungi dall'esser mortificata e scemata da delusioni, errori, insuccessi, muove irresistibilmente gli spiriti più nobili e più fedeli al Signore a riprendere, con rinnovata energia, con nuove conoscenze, con nuovi studi, mezzi e metodi, ciò che in altri tempi e in altre circostanze fu tentato invano.

Sviluppo e perfezionamento della persona umana

Origine e scopo essenziale della vita sociale vuol essere la conservazione, lo sviluppo e il perfezionamento della persona umana, aiutandola ad attuare rettamente le norme e i valori della religione e della cultura, segnati dal Creatore a ciascun uomo e a tutta l'umanità, sia nel suo insieme, sia nelle sue naturali ramificazioni.

Una dottrina o costruzione sociale, che rinneghi tale interna, essenziale connessione con Dio di tutto ciò che riguarda l'uomo, o ne prescinda, segue falso cammino; e mentre costruisce con una mano, prepara con l'altra i mezzi, che presto o tardi insidieranno e distruggeranno l'opera. E quando, misconoscendo il rispetto dovuto alla persona e alla vita a lei propria, non le conceda alcun posto nei suoi ordinamenti, nell'attività legislativa ed esecutiva, lungi dal servire la società, la danneggia; lungi dal promuovere e animare il pensiero sociale e attuarne le aspettative e le speranze, le toglie ogni valore intrinseco, servendosene come di frase utilitaria, la quale incontra in ceti sempre più numerosi risoluta e franca ripulsa.

Se la vita sociale importa unità interiore, non esclude però le differenze, cui suffragano la realtà e la natura. Ma quando si tiene fermo al supremo regolatore di tutto ciò che riguarda l'uomo, Dio, le somiglianze non meno che le differenze degli uomini trovano il posto conveniente nell'ordine assoluto dell'essere, dei valori, e quindi anche della moralità. Scosso invece tale fondamento, si apre tra i vari campi della cultura una pericolosa discontinuità, appare una incertezza e labilità di contorni, di limiti e di valori, talché solo meri fattori esterni, e spesso ciechi istinti, vengono poi a determinare, secondo la dominante tendenza del giorno, a chi spetti il predominio dell'uno o dell'altro indirizzo.

Alla dannosa economia dei passati decenni, durante i quali ogni vita civile venne subordinata allo stimolo del guadagno, succede ora una non meno dannosa concezione, la quale, mentre guarda tutto e tutti sotto l'aspetto politico, esclude ogni considerazione etica e religiosa. Travisamento e traviamento fatali, pregni di conseguenze imprevedibili per la vita sociale, la quale mai non è più vicina alla perdita delle sue più nobili prerogative di quando s'illude di poter rinnegare o dimenticare impunemente l'eterna fonte della sua dignità: Dio.

La ragione, illuminata dalla fede, assegna alle singole persone e particolari società nell'organizzazione sociale un posto fisso e nobile; e sa, per parlare solo del più importante, che tutta l'attività dello Stato, politica ed economica serve per l'attuazione duratura del bene comune; cioè, di quelle esterne condizioni, le quali sono necessarie all'insieme dei cittadini per lo sviluppo delle loro qualità e dei loro uffici, della loro vita materiale, intellettuale e religiosa, in quanto, da un lato, le forze e le energie della famiglia e di altri organismi, a cui spetta una naturale precedenza, non bastano, e, dall'altro, la volontà salvifica di Dio non abbia determinata nella Chiesa un'altra universale società a servizio della persona umana e dell'attuazione dei suoi fini religiosi.

In una concezione sociale, pervasa e sanzionata dal pensiero religioso, l'operosità dell'economia e di tutti gli altri campi della cultura rappresenta una universale nobilissima fucina di attività, ricchissima nella sua varietà, coerente nella sua armonia, dove l'uguaglianza intellettuale e la differenza funzionale degli uomini conseguono il loro diritto ed hanno adeguata espressione; in caso diverso si deprime il lavoro e si abbassa l'operaio.

Ordinamento giuridico della società e suoi scopi

Affinché la vita sociale, quale è voluta da Dio, ottenga il suo scopo, è essenziale un ordinamento giuridico, che le serva di esterno appoggio, di riparo e protezione; ordinamento la cui funzione non è dominare, ma servire, tendere a sviluppare e accrescere la vitalità della società nella ricca molteplicità dei suoi scopi, conducendo verso il loro perfezionamento tutte le singole energie in pacifico concorso e difendendole, con mezzi appropriati ed onesti, contro tutto ciò che è svantaggioso al loro pieno svolgimento. Un tale ordinamento, per garantire l'equilibrio, la sicurezza e l'armonia della società, ha anche il potere di coercizione contro coloro, che solo per questa via possono essere trattenuti nella nobile disciplina della vita sociale; ma proprio nel giusto compimento di questo diritto un'autorità, veramente degna di tal nome, non sarà mai che non senta l'angosciosa responsabilità di fronte all'Eterno Giudice, al cui tribunale ogni falsa sentenza, e soprattutto ogni sconvolgimento delle norme da Dio volute, riceverà la sua immancabile sanzione e condanna. 

Le ultime, profonde, lapidarie, fondamentali norme della società non possono essere intaccate da intervento d'ingegno umano; si potranno negare, ignorare, disprezzare, trasgredire, ma non mai abrogare con efficacia giuridica. Certamente, col tempo che volge, mutano le condizioni di vita; ma non si dà mai manco assoluto, né perfetta discontinuità tra il diritto di ieri e quello di oggi, tra la scomparsa di antichi poteri e costituzioni e il sorgere di nuovi ordinamenti. Ad ogni modo, in qualsiasi cambiamento o trasformazione, lo scopo di ogni vita sociale resta identico, sacro, obbligatorio: lo sviluppo dei valori personali dell'uomo, quale immagine di Dio; e resta l'obbligo di ogni membro dell'umana famiglia di attuare i suoi immutabili fini, qualunque sia il legislatore e l'autorità, a cui ubbidisce. Rimane quindi sempre e non cessa per opposizione alcuna anche il suo inalienabile diritto, da riconoscersi da amici e nemici, ad un ordinamento e una prassi giuridica, che sentano e comprendano esser loro essenziale dovere di servire al bene comune.

L'ordinamento giuridico ha inoltre l'alto e arduo scopo di assicurare gli armonici rapporti sia tra gli individui, sia tra le società, sia anche nell'interno di queste. A ciò si arriverà, se i legislatori si asterranno dal seguire quelle pericolose teorie e prassi, infauste alla comunità e alla sua coesione, le quali traggono la loro origine e diffusione da una serie di postulati erronei. Tra questi è da annoverare il positivismo giuridico, che attribuisce una ingannevole maestà alla emanazione di leggi puramente umane, e spiana la via ad un esiziale distacco della legge dalla moralità; inoltre la concezione, la quale rivendica a particolari nazioni o stirpi o classi l'istinto giuridico, quale ultimo imperativo e inappellabile norma; infine quelle varie teorie, le quali, diverse in sé e procedenti da vedute ideologiche contrastanti, si accordano però nel considerare lo Stato o un ceto, che lo rappresenti, come entità assoluta e suprema, esente da controllo e da critica, anche quando i suoi postulati teorici e pratici sboccano e urtano nell'aperta negazione di dati essenziali della coscienza umana e cristiana.

Chi consideri con occhio limpido e penetrante la vitale connessione tra genuino ordine sociale e genuino ordinamento giuridico, e tenga presente che l'unità interna nella sua multiformità dipende dal predominio di forze spirituali, dal rispetto della dignità umana in sé e negli altri, dall'amore alla società e agli scopi da Dio ad essa segnati, non può meravigliarsi sui tristi effetti di concezioni giuridiche, le quali, allontanatesi dalla via regale della verità, procedono sul terreno labile di postulati materialistici; ma scorgerà subito la improrogabile necessità di un ritorno ad una concezione spirituale ed etica, seria e profonda, riscaldata dal calore di vera umanità e illuminata dallo splendore della fede cristiana, la quale fa mirare nell'ordinamento giuridico una rifrazione esterna dell'ordine sociale, voluto da Dio, luminoso frutto dello spirito umano, anch'esso immagine dello spirito di Dio. 

Su questa concezione organica, la sola vitale, in che la più nobile umanità e il più genuino spirito cristiano fioriscono in armonia, sta scolpita la sentenza della Scrittura, illustrata dal grande Aquinate: «Opus iustitiae pax»,(3) che si applica così al lato interno, come al lato esterno della vita sociale.

Essa non ammette né contrasto, né alternativa: amore o diritto, ma la sintesi feconda: amore e diritto.

Nell'uno e nell'altro, entrambi irradiazioni dello stesso spirito di Dio, sta il programma e il suggello della dignità dello spirito umano; l'uno e l'altro a vicenda s'integrano, cooperano, si animano, si sostengono, si danno la mano nel cammino della concordia e della pacificazione, mentre il diritto spiana la via all'amore, l'amore mitiga il diritto e lo sublima. Entrambi elevano la vita umana in quella atmosfera sociale, dove, pur tra le manchevolezze, gli impedimenti e le durezze di questa terra, si rende possibile una fraterna convivenza. Ma fate che il cattivo spirito di idee materialistiche domini; che la tendenza al potere e al prepotere concentri nelle sue rudi mani le redini degli eventi; voi allora vedrete apparirne ogni giorno più gli effetti disgregatori, scomparire amore e giustizia; tristo preannunzio di minaccianti catastrofi su una società, apòstata da Dio.

II. Convivenza nella tranquillità

Il secondo elemento fondamentale della pace, verso cui tende quasi istintivamente ogni società umana, è la tranquillità. O beata tranquillità, tu non hai nulla di comune con il fissarsi duro e ostinato, tenace e infantilmente caparbio in ciò che è; né con la riluttanza, figlia di ignavia e d'egoismo, a porre la mente nei problemi e nelle questioni, che il volgere dei tempi e il corso delle generazioni coi loro bisogni e col progresso fanno maturare, e traggon seco come improrogabili necessità del presente. Ma per un cristiano, cosciente della sua responsabilità anche verso il più piccolo dei suoi fratelli, non vi è tranquillità infingarda, né si dà fuga, ma lotta, ma azione contro ogni inazione e diserzione nel grande agone spirituale, dove è proposta in palio la costruzione, anzi l'anima stessa della società futura.

Armonia fra tranquillità e operosità

Tranquillità nel senso dell'Aquinate e ardente operosità non contrastano, ma si accoppiano piuttosto in armonia per colui che è compreso della bellezza e della necessità del sostrato spirituale della società, e della nobiltà del suo ideale. E proprio a voi giovani, inclini a volgere le spalle al passato e rivolgere al futuro l'occhio delle aspirazioni e speranze, diciamo, mossi da vivo amore e da paterna sollecitudine: esuberanza e audacia da sé non bastano, se non siano, come bisogna, poste al servizio del bene e di una bandiera immacolata. Vano è l'agitarsi, l'affaticarsi, l'affannarsi senza riposarsi in Dio e nella sua legge eterna. Conviene che siate animati dal convincimento di combattere per la verità, e di farle dedizione delle proprie simpatie ed energie, degli aneliti e dei sacrifici; di combattere per le eterne leggi di Dio, per la dignità della persona umana, e per il conseguimento dei suoi fini. Dove uomini maturi e giovani, sempre ancorati nel mare della eternamente viva tranquillità di Dio, coordinano le diversità di temperamento e di attività in genuino spirito cristiano, là, se l'elemento propulsore si accoppia con l'elemento infrenatore, la differenza naturale tra le generazioni non diverrà mai pericolosa, ma condurrà anzi vigorosamente all'attuazione delle leggi eterne di Dio nel mutevole corso dei tempi e delle condizioni di vita. 

Il mondo operaio

In un campo particolare della vita sociale, dove durante un secolo sorsero movimenti e aspri conflitti, si trova oggi calma, almeno apparente; nel mondo, cioè, vasto e sempre crescente del lavoro, nell'esercito immenso degli operai, dei salariati e dei dipendenti. Se si considera il presente, con le sue necessità belliche, come un dato di fatto, questa tranquillità potrà dirsi esigenza necessaria e fondata; ma se si guarda lo stato odierno dal punto di vista della giustizia, di un legittimo e regolato movimento operaio, la tranquillità non resterà che apparente finché tale scopo non sia raggiunto.

Mossa sempre da motivi religiosi, la Chiesa condannò i vari sistemi del socialismo marxista, e li condanna anche oggi, com'è suo dovere e diritto permanente di preservare gli uomini da correnti e influssi, che ne mettono a repentaglio la salvezza eterna. Ma la Chiesa non può ignorare o non vedere, che l'operaio, nello sforzo di migliorare la sua condizione, si urta contro qualche congegno, che, lungi dall'essere conforme alla natura, contrasta con l'ordine di Dio e con lo scopo, che Egli ha assegnato per i beni terreni. Per quanto fossero e siano false, condannabili e pericolose le vie, che si seguirono; chi, e soprattutto qual sacerdote o cristiano, potrebbe restar sordo al grido, che si solleva dal profondo, e il quale in un mondo di un Dio giusto invoca giustizia e spirito di fratellanza? Ciò sarebbe un silenzio colpevole e ingiustificabile davanti a Dio, e contrario al senso illuminato dell'apostolo, il quale, come inculca che bisogna essere risoluti contro l'errore, sa pure che si vuol essere pieni di riguardo verso gli erranti e con l'animo aperto per intenderne aspirazioni, speranze e motivi.

Dio, benedicendo i nostri progenitori, disse loro: «Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra e soggiogatela» (Gn 1,28). E al primo capo di famiglia diceva poi: «Nel sudore della tua fronte ti ciberai di pane» (Gn 3,19). La dignità della persona umana esige dunque normalmente come fondamento naturale per vivere il diritto all'uso dei beni della terra; a cui risponde l'obbligo fondamentale di accordare una proprietà privata, possibilmente a tutti. Le norme giuridiche positive; regolanti la proprietà privata, possono mutare e accordare un uso più o meno circoscritto; ma se vogliono contribuire alla pacificazione della comunità, dovranno impedire che l'operaio, che è o sarà padre di famiglia, venga condannato ad una dipendenza e servitù economica, inconciliabile con i suoi diritti di persona.

Che questa servitù derivi dal prepotere del capitale privato o dal potere dello Stato, l'effetto non muta; anzi, sotto la pressione di uno Stato, che tutto domina e regola l'intera vita pubblica e privata, penetrando fino nel campo delle concezioni e persuasioni e della coscienza, questa mancanza di libertà può avere conseguenze ancora più gravose, come l'esperienza manifesta e testimonia.

Cinque punti fondamentali
per l'ordine e la pacificazione della società umana

Chi pondera al lume della ragione e della fede i fondamenti e gli scopi della vita sociale, che noi abbiamo tracciati in brevi linee, e li contempla nella loro purezza ed altezza morale e nei loro benefici frutti in tutti i campi, non può non avere la convinzione dei potenti principi di ordine e di pacificazione, che energie rivolte a grandi ideali e risolute ad affrontare gli ostacoli potrebbero regalare, o diciamo meglio, restituire ad un mondo, interiormente scardinato, quando avessero abbattute le barriere intellettive e giuridiche, create da pregiudizi, errori, indifferenza, e da un lungo processo di secolarizzazione del pensiero, del sentimento, dell'azione, che venne a staccare e sottrarre la città terrena dalla luce e dalla forza della città di Dio.

Oggi più che mai scocca l'ora di riparare; di scuotere la coscienza del mondo dal grave torpore, in cui i tossici di false idee, largamente diffuse, l'hanno fatto cadere; tanto più che, in questa ora di sfacelo materiale e morale, la conoscenza della fragilità e della inconsistenza di ogni ordinamento puramente umano è sul disingannare anche coloro, che, in giorni apparentemente felici, non sentivano in sé e nella società la mancanza di contatto coll'eterno, e non la consideravano come un difetto essenziale delle loro costruzioni.

Ciò che chiaro appariva al cristiano, che, profondamente credente, soffriva dell'ignoranza altrui, chiarissimo ci presenta il fragore della spaventosa catastrofe dell'odierno sconvolgimento, che riveste la terribile solennità di un giudizio universale, persino agli orecchi dei tiepidi, degl'indifferenti, degl'inconsiderati: una verità, cioè, antica, che si manifesta tragicamente in forme sempre nuove, e tuona di secolo in secolo, di gente in gente, per bocca del Profeta: «Omnes qui Te derelinquunt, confundentur: recedentes a Te in terra scribentur: quoniam dereliquerunt venam aquarum viventium, Dominum» (Ier 17,13).

Non lamento, ma azione è il precetto dell'ora; non lamento su ciò che è o che fu, ma ricostruzione di ciò che sorgerà e deve sorgere a bene della società. Pervasi da un entusiasmo di crociati, ai migliori e più eletti membri della cristianità spetta riunirsi nello spirito di verità, di giustizia e di amore al grido: Dio lo vuole! pronti a servire, a sacrificarsi, come gli antichi Crociati. Se allora trattavasi della liberazione della terra santificata dalla vita del Verbo di Dio incarnato, si tratta oggi, se possiamo così esprimerci, del nuovo tragitto, superando il mare degli errori del giorno e del tempo, per liberare la terra santa spirituale, destinata a essere il sostrato e il fondamento di norme e leggi immutabili per costruzioni sociali di interna solida consistenza.

Per sì alto fine, dal presepe del Principe della pace, fiduciosi che la sua grazia si diffonda in tutti i cuori, Noi Ci rivolgiamo a voi, diletti figli, che riconoscete e adorate in Cristo il vostro Salvatore, a tutti quelli che sono con noi uniti almeno col vincolo spirituale della fede in Dio, a tutti infine, quanti anelano a liberarsi dai dubbi e dagli errori, bramosi di luce e guida; e vi esortiamo con scongiurante paterna insistenza non solo a comprendere intimamente l'angosciosa serietà di quest'ora, ma anche a meditare le sue possibili aurore benefiche e soprannaturali, e a unirvi e operare insieme per il rinnovamento della società in spirito e verità.

Scopo essenziale di questa Crociata necessaria e santa è che la stella della pace, la stella di Betlemme, spunti di nuovo su tutta l'umanità nel suo rutilante fulgore, nel suo pacificante conforto, qual promessa e augurio di un avvenire migliore più fecondo e più felice.

Vero è che il cammino dalla notte a un luminoso mattino sarà lungo; ma decisivi sono i primi passi sul sentiero, che porta sopra le prime cinque pietre miliari scolpite con bronzeo scalpello le seguenti massime:

1° Dignità e diritti della persona umana

1) Chi vuole che la stella della pace spunti e si fermi sulla società, concorra da parte sua a ridonare alla persona umana la dignità concessale da Dio fin dal principio; si opponga all'eccessivo aggruppamento degli uomini, quasi come masse senz'anima; alla loro inconsistenza economica, sociale, politica, intellettuale e morale; alla loro mancanza di solidi principi e di forti convinzioni; alla loro sovrabbondanza di eccitazione istintive e sensibili, e alla loro volubilità;

favorisca, con tutti i mezzi leciti, in tutti i campi della vita, forme sociali, in cui sia resa possibile e garantita una piena responsabilità personale, così quanto all'ordine terreno come quanto all'eterno;

sostenga il rispetto e la pratica attuazione dei seguenti fondamentali diritti della persona: il diritto a mantenere e sviluppare la vita corporale, intellettuale e morale, e particolarmente il diritto ad una formazione ed educazione religiosa; il diritto al culto di Dio privato e pubblico, compresa l'azione caritativa religiosa; il diritto, in massima, al matrimonio e al conseguimento del suo scopo, il diritto alla società coniugale e domestica; il diritto di lavorare come mezzo indispensabile al mantenimento della vita familiare; il diritto alla libera scelta dello stato, quindi anche dello stato sacerdotale e religioso; il diritto ad un uso dei beni materiali, cosciente dei suoi doveri e delle limitazioni sociali.

2° Difesa della unità sociale e particolarmente della famiglia

2) Chi vuole che la stella della pace spunti e si fermi sulla società, rifiuti ogni forma di materialismo, che non vede nel popolo se non un gregge di individui, i quali, scissi e senza interna consistenza, vengono considerati come materia di dominio e di arbitrio;

cerchi di comprendere la società come un'unità interna, cresciuta e maturata sotto il governo della Provvidenza, unità la quale, nello spazio ad essa assegnato e secondo le sue peculiari doti, tende, mediante la collaborazione dei diversi ceti e professioni, agli eterni e sempre nuovi fini della cultura e della religione;

difenda la indissolubilità del matrimonio; dia alla famiglia, insostituibile cellula del popolo, spazio, luce, respiro, affinché possa attendere alla missione di perpetuare nuova vita e di educare i figli in uno spirito, corrispondente alle proprie vere convinzioni religiose; conservi, fortifichi o ricostituisca, secondo le sue forze la propria unità economica, spirituale, morale e giuridica: curi che i vantaggi materiali e spirituali della famiglia vengano partecipati anche dai domestici; pensi a procurare ad ogni famiglia un focolare, dove una vita familiare, sana materialmente e moralmente, riesca a dimostrarsi nel suo vigore e valore; curi che i luoghi di lavoro e le abitazioni non siano così separati, da rendere il capo di famiglia e l'educatore dei figli quasi estraneo alla propria casa; curi soprattutto, che tra scuole pubbliche e famiglia rinasca quel vincolo di fiducia e di mutuo aiuto, che in altri tempi maturò frutti così benefici, e che oggi è stato sostituito da sfiducia colà ove la scuola, sotto l'influsso o il dominio dello spirito materialistico, avvelena e distrugge ciò che i genitori avevano istillato nelle anime dei figli.

3° Dignità e prerogative del lavoro

3) Chi vuole che la stella della pace spunti e resti sulla società, dia al lavoro il posto da Dio assegnatogli fin dal principio. Come mezzo indispensabile al dominio del mondo, voluto da Dio per la sua gloria, ogni lavoro possiede una dignità inalienabile, e in pari tempo un intimo legame col perfezionamento della persona; nobile dignità e prerogativa del lavoro, cui in verun modo non avviliscono la fatica e il peso, che sono da sopportarsi come effetto del peccato originale, in ubbidienza e sommissione alla volontà di Dio.

Chi conosce le grande Encicliche dei Nostri Predecessori e i Nostri precedenti Messaggi non ignora che la Chiesa non esita a dedurre le conseguenze pratiche, derivanti dalla nobiltà morale del lavoro, e ad appoggiarle con tutto il nome della sua autorità. Queste esigenze comprendono, oltre ad un salario giusto, sufficiente alle necessità dell'operaio e della famiglia, la conservazione ed il perfezionamento di un ordine sociale, che renda possibile una sicura, se pur modesta proprietà privata a tutti i ceti del popolo, favorisca una formazione superiore per i figli delle classi operaie particolarmente dotati di intelligenza e di buon volere, promuova la cura e l'attività pratica dello spirito sociale nel vicinato, nel paese, nella provincia, nel popolo e nella nazione, che, mitigando i contrasti di interessi e di classe, toglie agli operai il sentimento della segregazione con l'esperienza confortante di una solidarietà genuinamente umana e cristianamente fraterna.

Il progresso e il grado delle riforme sociali improrogabili dipende dalla potenza economica delle singole nazioni. Solo con uno scambio di forze, intelligente e generoso, tra forti e deboli sarà possibile a compiersi una pacificazione universale in maniera che non restino focolai di incendio e di infezione, da cui potrebbero originarsi nuove sciagure.

Segni evidenti inducono a pensare, che nel fermento di tutti i pregiudizi e i sentimenti di odio, inevitabili ma tristi parti di questa acuta psicosi bellica, non sia spenta nei popoli la coscienza della loro intima reciproca dipendenza nel bene e nel male, che anzi sia divenuta più viva e attiva. Non è forse vero che sempre più chiaramente pensatori profondi vedono, nella rinunzia all'egoismo e all'isolamento nazionale, la via di salvezza generale, pronti come sono a domandare ai loro popoli una parte gravosa di sacrifici, necessari per la pacificazione sociale in altri popoli? Possa questo Nostro Messaggio natalizio, diretto a tutti coloro che sono animati da buona volontà e cuore generoso, incoraggiare e aumentare le schiere della Crociata sociale presso tutte le Nazioni! E voglia Dio concedere alla loro pacifica bandiera la vittoria, di cui è degna la loro nobile intrapresa!

4° Reintegrazione dell'ordinamento giuridico

4) Chi vuole che la stella della pace spunti e si fermi sulla vita sociale, collabori ad una profonda reintegrazione dell'ordinamento giuridico.

Il sentimento giuridico di oggi è spesso alterato e sconvolto dalla proclamazione e dalla prassi di un positivismo e di un utilitarismo ligi e vincolati al servizio di determinati gruppi, ceti e movimenti, i cui programmi tracciano e determinano la via alla legislazione e alla pratica giudiziale.

Il risanamento di questa situazione diventa possibile a ottenersi, quando si ridesti la coscienza di un ordinamento giuridico, riposante nel sommo dominio di Dio e custodita da ogni arbitrio umano; coscienza di un ordinamento che stenda la sua mano protettrice e punitrice anche sugli inobliabili diritti dell'uomo e li protegga contro gli attacchi di ogni potere umano.

Dall'ordinamento giuridico voluto da Dio promana l'inalienabile diritto dell'uomo alla sicurezza giuridica, e con ciò stesso ad una sfera concreta di diritto, protetta contro ogni arbitrario attacco.

Il rapporto dell'uomo verso l'uomo, dell'individuo verso la società, verso l'autorità, verso i doveri civili, il rapporto della società e dell'autorità verso i singoli debbono essere posti sopra un chiaro fondamento giuridico e tutelati, al bisogno, dall'autorità giudiziaria. Ciò suppone:

a) un tribunale e un giudice, che prendano le direttive da un diritto chiaramente formulato e circoscritto;

b) chiare norme giuridiche, che non possano essere stravolte con abusivi richiami ad un supposto sentimento popolare e con mere ragioni di utilità;

c) riconoscimento del principio che anche lo Stato e i funzionari e le organizzazioni da esso dipendenti sono obbligati alla riparazione e al ritiro di misure lesive della libertà, della proprietà, dell'onore, dell'avanzamento e della salute dei singoli. 

5° Concezione dello Stato secondo lo spirito cristiano

5) Chi vuole che la stella della pace spunti e si fermi sulla società umana, collabori al sorgere di una concezione e prassi statale, fondate su ragionevole disciplina, nobile umanità e responsabile spirito cristiano;

aiuti a ricondurre lo Stato e il suo potere al servizio della società, al pieno rispetto della persona umana e della sua operosità per il conseguimento dei suoi scopi eterni;

si sforzi e adoperi a sperdere gli errori, che tendono a deviare dal sentiero morale lo Stato e il suo potere e a scioglierli dal vincolo eminentemente etico, che li lega alla vita individuale e sociale, e a far loro rinnegare o ignorare praticamente l'essenziale dipendenza, che li unisce alla volontà del Creatore;

promuova il riconoscimento e la diffusione della verità, che insegna, anche nel campo terreno, come il senso profondo e l'ultima morale e universale legittimità del «regnare» è il «servire».

Considerazioni sulla guerra mondiale
e sul rinnovamento della società

Diletti figli! Voglia Dio che, mentre la Nostra voce arriva al vostro orecchio, il vostro cuore sia profondamente scosso ecommosso dalla serietà profonda, dall'ardente sollecitudine, dalla scongiurante insistenza, con cui Noi vi inculchiamo questi pensieri, che vogliono essere un appello alla coscienza universale e un grido di raccolta per tutti quelli che sono pronti a ponderare e misurare la grandezza della loro missione e responsabilità dalla vastità della sciagura universale.

Gran parte della umanità, e, non rifuggiamo dall'affermarlo, anche non pochi di coloro che si chiamano cristiani, entrano in certa guisa nella responsabilità collettiva dello sviluppo erroneo, dei danni e della mancanza di altezza morale della società odierna.

Questa guerra mondiale, e tutto ciò che le si connette, si tratti dei precedenti remoti o prossimi, o dei suoi procedimenti ed effetti materiali, giuridici e morali, che altro rappresenta se non lo sfacelo, inaspettato forse agl'inconsiderati, ma intuito e deprecato da coloro i quali penetravano a fondo col loro sguardo in un ordine sociale, che dietro l'ingannevole volto o la maschera di formole convenzionali nascondeva la sua debolezza fatale e il suo sfrenato istinto di guadagno e di potere?

Ciò che in tempi di pace giaceva compresso, al rompere della guerra scoppiò in una trista serie di azioni, contrastanti con lo spirito umano e cristiano. Le convenzioni internazionali per rendere meno disumana la guerra, limitandola ai combattenti, per regolare le norme dell'occupazione e della prigionia dei vinti, rimasero lettera morta in vari luoghi; e chi mai vede la fine di questo progressivo peggioramento?

Vogliono forse i popoli assistere inerti a così disastroso progresso? o non debbono piuttosto, sulle rovine di un ordinamento sociale, che ha dato prova così tragica della sua inettitudine al bene del popolo, riunirsi i cuori di tutti i magnanimi e gli onesti nel voto solenne di non darsi riposo, finché in tutti i popoli e le nazioni della terra divenga legione la schiera di coloro, che, decisi a ricondurre la società all'incrollabile centro di gravitazione della legge divina, anelano al servizio della persona e della sua comunanza nobilitata in Dio?

Questo voto l'umanità lo deve agl'innumerevoli morti, che giacciono sepolti nei campi di guerra: il sacrificio della loro vitanel compimento del loro dovere è l'olocausto per un nuovo migliore ordine sociale.

Questo voto l'umanità lo deve all'infinita dolente schiera di madri, di vedove e di orfani, che si son veduti strappare la luce, il conforto e il sostegno della loro vita.

Questo voto l'umanità lo deve a quegl'innumerevoli esuli che l'uragano della guerra ha spiantati dalla loro patria e dispersi in terra straniera; i quali potrebbero far lamento col Profeta: «Hereditas nostra versa est ad alienos, domus nostrae ad extraneos» (Ier, Lam. 5,2).

Questo voto l'umanità lo deve alle centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento.

Questo voto l'umanità lo deve alle molte migliaia di non combattenti, donne, bambini, infermi e vecchi, a cui la guerra aerea, - i cui orrori Noi già fin dall'inizio più volte denunziammo, - senza discernimento o con insufficiente esame, ha tolto vita, beni, salute, case, luoghi di carità e di preghiera. 

Questo voto l'umanità lo deve alla fiumana di lagrime e amarezze, al cumulo di dolori e tormenti, che procedono dalla rovina micidiale dell'immane conflitto e scongiurano il cielo, invocando la discesa dello Spirito, che liberi il mondo dal dilagare della violenza e del terrore.

Invocazione al Redentore del mondo

E dove potreste voi deporre con più tranquilla sicurezza e fiducia e con fede più efficace questo voto per il rinnovamento della società, se non ai piedi del «desideratus cunctis gentibus», che giace davanti a noi nel presepio in tutto l'incanto della sua dolce umanità di Pargolo, ma anche nell'attrattiva commovente della sua incipiente missione redentrice? In qual luogo potrebbe questa nobile e santa crociata per la purificazione ed il rinnovamento della società avere consacrazione più espressiva e trovare stimolo più efficace che a Betlemme, dove nell'adorabile mistero dell'incarnazione apparve il nuovo Adamo alle cui fonti di verità e di grazia conviene in ogni modo che l'umanità attinga l'acqua salutare, se non vuole perire nel deserto di questa vita? «De plenitudine eius nos omnes accepimus» (Io 1,16). La sua pienezza di verità e di grazia, come da venti secoli, si riversa anche oggi sull'orbe con forza non diminuita; più potente delle tenebre è la sua luce, il raggio del suo amore più valido dell'agghiacciante egoismo, che rattiene tanti uomini dal crescere ed eccellere nel loro essere migliore. Voi, volontari crociati di una nuova nobile società, alzate il nuovo labaro della rigenerazione morale e cristiana, dichiarate lotta alle tenebre della defezione da Dio, alla freddezza della discordia fraterna; lotta in nome d'una umanità gravemente inferma e da sanare in nome della coscienza cristianamente elevata.

La Nostra benedizione e il Nostro paterno augurio e incoraggiamento sia colla vostra generosa intrapresa, e perduri con tutti coloro che non rifuggono dai duri sacrifici, armi più che il ferro potenti a combattere il male, di cui soffre la società. Sulla vostra crociata per un ideale sociale, umano e cristiano, splenda consolatrice ed incitatrice la stella che brilla sulla grotta di Betlemme, astro augurale e perenne dell'era cristiana. Alla sua vista attinse, attinge e attingerà forza ogni cuore fedele: «Si consistant adversus me castra ... in hoc ego sperabo» (Ps 26,3). Dove questa stella risplende, è Cristo: «Ipso ducente, non errabimus; per ipsum ad ipsum eamus, ut cum nato hodie puero in perpetuum gaudeamus».(4)

(1) PIO PP. XII, Radiomessaggio Con sempre nuova freschezza nella vigilia del Natale 1942, [A tutti i popoli del mondo], 24 dicembre 1942: AAS 35(1943), pp. 9-24.

Il santo Natale e l'umanità dolorante. - Rapporti internazionali e ordine interno delle nazioni. - Duplice elemento della pace nella vita sociale: I. Convivenza nell'ordine (Dio prima causa e ultimo fondamento della vita individuale e sociale; sviluppo e perfezionamento della persona umana; ordinamento giuridico della società e nuovi scopi); II. Convivenza nella tranquillità (armonia fra tranquillità e operosità; il mondo operaio). - Cinque punti fondamentali per l'ordine e la pacificazione della società umana: 1. Dignità e diritti della persona umana; 2. Difesa dell'unità sociale e particolarmente della famiglia; 3. Dignità e prerogativa del lavoro; 4. Reintegrazione dell'ordine giuridico; 5. Concezione dello stato secondo lo spirito cristiano. - Considerazioni sulla guerra mondiale e sul rinnovamento della società. - Invocazione al Redentore del mondo.

(2) Summa theol., II-II, q. 29, a. 1 ad 1; S. AUGUSTINUS, De civitate Dei, 1. 19, c. 13, n. 1.

(3) Summa theol., II-II, q. 29, a. 3.

(4) S. AUGUSTINUS, Sermo 189, c. 4: PL 38, 1007.

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