Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

sabato 23 marzo 2019

Il velo della Veronica è una leggendaria reliquia cristiana.

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Il velo della Veronica non è quello offerto a Gesù, per asciugarsi il sudore e detergere il suo sangue lungo la via del Calvario, dalla pia donna di tale nome. Infatti questo popolare episodio della “Via Crucis” non si trova in nessuno dei Vangeli ed è derivato da una leggenda abbastanza recente. Il nome “Veronica”, invece, pare derivi dall’accostamento dell’aggettivo latino “vera” al sostantivo greco “icona”, per indicare la “vera immagine” di Gesù tra quelle considerate non dipinte da mano d’uomo. Si racconta che un giorno l’imperatore romano Tiberio fu colpito da una grave malattia. Avendo saputo che nella lontana Palestina operava un eccezionale guaritore di nome Gesù, ordinò al suo messo Volusiano di andare a cercarlo a Gerusalemme. Ma la stagione invernale ritardò la partenza di Volusiano, che giunse in Palestina quando, ormai, era troppo tardi: Gesù era stato crocifisso! Volusiano, però, non volle tornare a mani vuote da Tiberio, perché ne temeva l’ira. Così si mise alla ricerca dei seguaci di Gesù, per ottenere da loro almeno una reliquia del maestro. Così trovò una donna, chiamata appunto Veronica, che ammise di aver conosciuto Gesù, ed anzi gli raccontò una storia prodigiosa. Anni prima, quando Cristo era andato a predicare in una località lontana, le era venuta una grande nostalgia del Signore. Perciò aveva comprato un panno bianco per portarlo ad un pittore affinché questi, sulla base delle sue indicazioni, gliene facesse un ritratto. Ma proprio il giorno in cui era uscita di casa per andare dal pittore, aveva incontrato per strada Gesù, di ritorno dal suo viaggio. Egli, saputo il desiderio della donna, le aveva chiesto il panno e, sfregatolo sul suo viso, glielo aveva restituito con impressi i propri lineamenti. Volusiano chiese immediatamente a Veronica quel ritratto ed ella acconsentì a portarlo di persona a Tiberio. Il quale, appena fu al cospetto del sacro telo, guarì all’istante. Da quel momento in poi l’insigne reliquia rimase sempre a Roma. Secondo alcuni, questa Veronica sarebbe L’emorroissa citata nel Vangelo che, a detta degli Apocrifi, si chiamava, in greco, “Berenike” da cui il nostro “Veronica”. Ma la leggenda precedente ha parecchi punti di contatto con la storia del re Abgar di Edessa, il sovrano che avrebbe ricevuto da Cristo stesso quel famoso “mandillion” diventato poi, secondo molti studiosi, la Sindone di Torino.(Il nome della Veronica, ricorre per la prima volta nei Vangeli apocrifi, Atti di Pilato cap. 7, e si riferisce alla donna emorroissa che implorando Gesù per la sua guarigione, mentre passava stretto nella folla, riuscì a toccargli il lembo del mantello, guarendo all’istante).

martedì 19 marzo 2019

San Giuseppe, umile e potente Custode del Redentore


Le opere di Dio sono perfette, soprattutto quelle che dipendono immediatamente ed esclusivamente da lui; e non si può trovare in esse disordine o sproporzione.

Si afferra meglio la verità e l’importanza di questo principio rivelato, e per se stesso evidente, considerando per contrasto ciò che avviene troppo spesso nella direzione delle cose umane. Non è raro vedere che delle persone incapaci e imprevidenti occupino alti posti sociali. Questa cosa in certi momenti sarebbe anche straordinariamente irritante se non si pensasse che nostro Signore compensa queste cose con atti spesso eroici della santità nascosta, e se non si ricordasse che ciascuno di noi deve fare il proprio mea culpa riguardo alle proprie negligenze nell’esercizio delle cariche o degli impieghi che gli sono affidati. Queste mancanze sono così frequenti che si finisce per non farvi più attenzione. Ma infine il disordine è il disordine, l’insufficienza è l’insufficienza e non si potrebbe trovare niente di simile in quelli che sono immediatamente scelti da Dio stesso e preparati direttamente da lui, per essere suoi ministri eccezionali nell’opera della redenzione.

Il Signore dà loro una santità proporzionata.

In virtù di questo principio, Maria, per essere la degna Madre di Dio, doveva essere piena di grazia, preservata dal peccato originale, associata a tutte le sofferenze e a tutte le glorie di Gesù.San Giuseppe, sposo castissimo di Maria, padre putativo di Gesù e patrono della Chiesa.

La vocazione di San Giuseppe è stata unica al mondo, il suo destino eccezionale. La sua missione è stata superiore a quella degli Apostoli e superiore anche a quella di Giovanni Battista, il Precursore.

Di San Giovanni Battista Gesù dice nel Vangelo di San Matteo: “In verità vi dico, tra i nati di donna non è sorto alcuno più grande di Lui”. Ma subito aggiunge: “Il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui”.

Il più piccolo, vale a dire il più umile, il servitore di tutti, quello che ha la più grande carità. E nella Chiesa chi è il più umile? Quello che non fu né apostolo, né evangelista, né martire almeno esteriormente né pontefice, né sacerdote, né dottore, ma che conobbe e amò il Cristo Gesù non meno degli Apostoli, degli Evangelisti, dei Martiri, dei Pontefici e dei Dottori, e cioè l’umile artigiano di Nazareth, l’umile Giuseppe.

Gli Apostoli erano chiamati a far conoscere agli uomini il Salvatore, a predicare loro il Vangelo per salvarli. Gesù è rivelato agli Apostoli perché sia annunciato a tutto l’universo; è rivelato a Giuseppe perché lo taccia e lo nasconda.

Gli Apostoli sono delle luci per far vedere Gesù Cristo al mondo, Giuseppe è un velo per coprirlo; e sotto questo velo misterioso viene nascosta la verginità di Maria e la grandezza del Salvatore delle anime.

Colui che glorifica gli Apostoli per l’onore della predicazione, glorifica Giuseppe per l’umiltà del silenzio. L’ora della manifestazione di Gesù deve essere preparata da trent’anni di vita nascosta.

La santità consiste nel fare ciò che Dio vuole, ciascuno secondo la sua vocazione, ma la vocazione assolutamente eccezionale di Giuseppe non sorpassa forse in silenzio e in oscurità quella stessa dei più grandi Apostoli, non arriva forse più vicino al mistero dell’incarnazione redentrice? Dopo Maria, Giuseppe è colui che fu più vicino al Salvatore. E se fu così, certo egli ricevette nel silenzio di Betlemme, durante il soggiorno in Egitto e nell’umile casa di Nazareth, più grazie di quel che non abbia ricevuto e non riceverà mai alcun santo.

Quanto l’umile legnaiolo ha avuto una vita nascosta in terra, tanto è glorificato in cielo. Colui al quale il Verbo di Dio ha obbedito in terra, conserva in cielo, sul Cuore di Gesù, una grandissima potenza di intercessione. Come vegliava sulla casa di Nazareth, così veglia oggi sulle nostre famiglie, sulle comunità religiose, sulla Santa Chiesa, grande famiglia di Dio. Chiediamogli di farci conoscere il valore della vita nascosta, lo splendore dei misteri di Cristo, e l’infinita bontà di Dio. Chiediamogli la grazia della contemplazione e della intima unione con Dio.

Padre Reginald Garrigou-Lagrange, O.P

lunedì 18 marzo 2019

San Giuseppe il patrono della Chiesa universale


È ben conosciuta la devozione di Leone XIII verso la Madonna, tenendo conto che ben dieci encicliche sono state da lui dedicate al Santo Rosario. Da questa devozione non va disgiunta, tuttavia, la devozione verso san Giuseppe. Eletto Papa il 22 febbraio 1878, Leone XIII poneva il suo pontificato sotto «la potentissima protezione di san Giuseppe, celeste patrono della Chiesa», e nella Lettera apostolica Militans Iesu Christi Ecclesia affidava a san Giuseppe il Giubileo straordinario da iniziarsi proprio il giorno della sua festa.

Considerata l'importanza delle encicliche, non è senza significato che in esse il Papa invochi san Giuseppe subito dopo l'intercessione di Maria, definendolo «suo purissimo sposo». Così le encicliche Aeterni Patris(1879), Sancta Dei civitas (1880), Diuturnum (1881), Etsi nos (1882),Humanum genus (1884). Anche nell'enciclica Rerum novarum (1891) san Giuseppe è presente come colui che qualifica umanamente Gesù, il quale «benché Dio, ha voluto essere considerato figlio di operaio (Marco 6, 3)».

Lo stesso Pontefice approva la recita dell'Ufficio votivo di san Giuseppe al mercoledì (1883) e stabilisce, inoltre, il 3 marzo 1891, che la festa di san Giuseppe sia di doppio precetto per il Piemonte, la Liguria, la Sardegna e la Lombardia.

La devozione verso san Giuseppe, già notevole sotto il pontificato del Beato Pio IX, conobbe sotto Leone XIII un ulteriore sviluppo, dimostrato dalla nascita e approvazione in quel periodo di numerosi istituti religiosi dedicati al Santo. Segno di questa crescente devozione sono anche le incoronazioni delle immagini di san Giuseppe, avvenute in Francia, Belgio e America, tra le quali è da includere quella della statua di san Giuseppe (30 giugno 1902), a Castello di Caudino d'Arcevia (Macerata), l'unica in Italia. Innumerevole è l'elenco delle confraternite sorte un po' ovunque. Il 24 settembre 1895, con l'enciclica Cum sicut ad Nos il Pontefice concede le indulgenze per la celebrazione del giubileo della festa patronale di san Giuseppe, da celebrare il 15 dicembre. Egli afferma che «nulla è più gradito, soprattutto in tempi tanto gravi ( tam gravibus ) per la Chiesa di Dio, che vedere stimolata la pietà dei fedeli verso il celeste suo Patrono e che essa di giorno in giorno ottenga maggior incremento».

Leone XIII ereditava da Pio IX un difficile pontificato, che raccoglieva i frutti delle dannose semine precedenti: il razionalismo, il naturalismo e l'ateismo partorirono il socialismo, il comunismo e il nichilismo. Nel discorso natalizio ai cardinali lamentava: «È ora più che mai la guerra sistematicamente rivolta contro tutto ciò che è cattolico. Non vi è istituzione di tal natura cui, all'occasione, non si attenti con disposizioni o legislative o amministrative. Non sono rispettate nemmeno le pie fondazioni destinate a portare in lontani Paesi i benefici della fede; non le fa sicure nemmeno il diritto meglio provato e riconosciuto delle stesse corti di giustizia, che subito una nuova legge viene a rendere vana tale vittoria».

Il 2 marzo 1889 descriveva così il quadro storico del momento: «Le condizioni generali d'Europa e del mondo sono oltremodo incerte e paurose; e si ripercuotono paurosamente sulla Santa Sede. Priva di una vera sovranità che ne assicuri l'indipendenza, e sottoposta al potere altrui, non può non risentire le incertezze, i pericoli, i danni cui è esposta l'Italia al di dentro e al di fuori. Onde è che ogni agitazione che sorga all'interno e particolarmente a Roma, ogni disastro che la minacci all'estero, fa nascere nei cattolici di tutto il mondo apprensioni, ansietà e timori per la sorte del loro Capo... L'esercizio del ministero episcopale dei nuovi pastori che noi nominiamo soffre indugi ed impedimenti per il così detto Exequatur , che per sistema si differisce sempre di molti mesi...».

Giustificato, dunque, il ricorso a san Giuseppe, già dichiarato patrono della Chiesa universale dal suo predecessore Pio IX, nel 1870, perché, «a quel modo ch'egli un tempo soleva tutelare santamente in ogni evento la famiglia di Nazaret, così ora col suo celeste patrocinio la Chiesa di Cristo copra e difenda».

Poiché col passare del tempo le ostilità contro la Chiesa si erano aggravate sempre più, diventando «i mali maggiori di ogni umano rimedio», il Pontefice decide di incitare il popolo cristiano a una prolungata preghiera, a cominciare dal prossimo mese di ottobre, «da Noi già consacrato alla Vergine del Rosario», nella certezza di «poter trovare nella materna bontà della Vergine un rifugio a tutti i nostri mali». È proprio in questo contesto mariano che Leone XIII inserisce il suo ricorso a san Giuseppe e «a trattare pubblicamente questo tema per la prima volta»: «Poiché è molto importante che il suo culto penetri profondamente nelle istituzioni cattoliche e nei costumi, vogliamo che il popolo cristiano riceva dalla nostra stessa voce e autorità tutto l'incentivo possibile».

La devozione mariana si estende così naturalmente a quella giuseppina, nella convinzione che essa non solo non soffrirà detrimento, ma che anzi esistono «buoni motivi per credere che ciò risulterà particolarmente gradito alla stessa Vergine Santa». A questo punto, poiché «la Chiesa si attende moltissimo dalla speciale protezione di san Giuseppe», l'enciclica considera «le ragioni per cui san Giuseppe dev'essere ritenuto Patrono della Chiesa» e le indica «soprattutto nel fatto che egli è Sposo di Maria e Padre putativo di Gesù Cristo».

Ammesso che «la dignità della Madre di Dio è così alta, che non ce ne può essere una maggiore», ne segue che anche san Giuseppe «è partecipe dell'eccelsa dignità di cui Dio l'ha ornata», perché «tra la beatissima Vergine Madre di Dio e san Giuseppe esiste un vero vincolo matrimoniale» e «il matrimonio di fatto costituisce per se stesso la forma più nobile di società e di amicizia e porta con sé la comunione dei beni». Il concatenamento logico è solido e si estende a tutte le conseguenze che ne derivano per san Giuseppe riguardo alla «grandezza, grazia, santità e gloria», tanto più se si tiene conto che egli «grandeggia unico fra tutti per la sua augustissima dignità ( augustissima dignitate unus eminet inter omnes ), perché, per volere divino, fu custode di Dio ( custos Dei fuit ) e, nell'opinione di tutti, padre ( pater )».

Siamo qui al secondo motivo della grandezza di san Giuseppe, la relazione paterna verso Gesù, alla quale il matrimonio con Maria era appunto destinato. Passando a considerare la santità di san Giuseppe nell'adempimento dei suoi doveri, ecco che nei riguardi di Maria egli fu «testimone della sua verginità e tutore della sua onestà». Nei riguardi della Santa Famiglia, della quale «fu custode legittimo e naturale difensore», «fu lui a tutelare con sommo amore e ansie continue la sua sposa e il Figlio divino; fu lui che provvide al loro sostentamento con il suo lavoro; lui, che allontanò da loro i pericoli, li portò in salvo fuori di patria, e nei disagi dei viaggi e nelle difficoltà dell'esilio fu loro compagno inseparabile, loro aiuto e conforto».

Ma la missione di san Giuseppe non si esaurisce con la sua vita terrena, perché la sua «autorità di padre», si estende per volere di Dio a tutta la Chiesa.

Il matrimonio di Giuseppe con Maria e la sua paternità nei riguardi di Gesù non sono, dunque, solo i titoli della sua grandezza, grazia, santità e gloria, ma sono anche la ragione perché «ricopra ora e difenda con il suo patrocinio celeste la Chiesa di Dio».

Dopo aver ulteriormente illustrato la grandezza e la gloria del «Custode della Santa Famiglia» con la figura e l'opera dell'antico patriarca Giuseppe, il Sommo Pontefice indugia, infine, nell'esortare tutti i cristiani «di qualsiasi condizione e stato» ad affidarsi e abbandonarsi all'amorosa protezione di san Giuseppe: i padri di famiglia, i coniugi, i consacrati a Dio, i nobili, i ricchi, i poveri e gli operai».

Con l'enciclica Quamquam pluries , Leone XIII è stato il primo Papa a tracciare le linee di una teologia di san Giuseppe, definendone chiaramente i titoli che lo inseriscono nella storia della salvezza, ossia della redenzione umana, sia a livello dell'incarnazione, come sposo di Maria e padre di Gesù, sia a livello della vita della Chiesa, della quale è il naturale protettore.

A significare l'importanza dottrinale di questa enciclica leonina e della sua indiscussa validità, nel primo Centenario della sua pubblicazione, il 15 agosto 1989, Giovanni Paolo II non solo ha scritto un'Esortazione apostolica, denominata Redemptoris Custos , ma ha voluto inserirla proprio nel cuore del suo magistero caratteristico, ossia la Redenzione. Ciò significa che la figura e la missione di san Giuseppe fanno parte integrante della storia della salvezza, in stretta unione con il mistero dell'incarnazione (Gesù e Maria) e della redenzione (la Chiesa).

lunedì 11 marzo 2019

Cremona Fedeli umiliati : negata la S. Messa tridentina abuso di potere del vescovo




No, no e poi ancora no. Per tre volte ben due Vescovi a Cremona hanno, di fatto, negato ai fedeli la S. Messa tridentina. Nonostante il Motu Proprio Summorum Pontificum. Che era già stato pubblicato, quando, nel dicembre 2009, il blog «Cremona Fidelissima», sodalizio laicale dedito alla «diffusione del Rito Gregoriano di S. Pio V», lanciò una petizione on line, chiedendo la celebrazione usus antiquior. Per questo, in poco tempo, raccolse circa 120 sottoscrizioni. Ma niente da fare, l’allora Ordinario, mons. Dante Lafranconi, fu risoluto. E lo mise per iscritto. Quella Messa non s’aveva da fare.

Il 30 gennaio 2016 fece il proprio ingresso in Diocesi, alla guida della Chiesa cremonese, mons. Antonio Napolioni. Pochi mesi dopo a lui ed al Vicario Generale, don Massimo Calvi, giunse la lettera, sottoscritta da 19 fedeli, in cui si notificava la costituzione di «un gruppo di fatto, spontaneo e stabile», avente per scopo quello di «promuovere la regolare celebrazione della S. Messa secondo il rito del Messale Romano edito nel 1962», ai sensi «del Motu Proprio Summorum Pontificum». «Ciò che ci muove – si legge nella missiva – non è né una sterile nostalgia del passato, né alcuna forma di diffidenza verso la celebrazione nella forma ordinaria – cui pure partecipiamo -, né la ricerca di eccentricità o di stravaganze fuori luogo, né tanto meno tentazioni divisive all’interno della Diocesi. Ciò che ci muove è anzi il desiderio di poter coltivare questa nostra sensibilità liturgica condivisa e di poterlo fare all’interno della Diocesi».

Si indicava quale possibile chiesa, ove celebrare la liturgia tridentina, quella «della Disciplina», a Bozzolo, all’estrema periferia, ma pur sempre entro i confini della Chiesa cremonese. L’allora parroco, don Gianni Maccalli, si disse d’accordo, il suo Vicario anche. Ma, di lì a poco, sono stati entrambi trasferiti.

Il 27 marzo 2017 ai firmatari della lettera giunse la risposta ufficiale del Vescovo. Che fu risolutamente negativa. Con una motivazione quanto meno curiosa: siccome il predecessore disse di no, no sia. Scriveva mons. Napolioni: «Tali richieste erano già state avanzate, almeno in parte, al mio predecessore, il quale, non ravvisando che vi fossero in Diocesi le condizioni per accogliere favorevolmente le suindicate richieste, vi oppose un diniego, soprattutto alla luce del fatto che, in oltre quarant’anni, l’applicazione della riforma liturgica conciliare, promossa dal beato Paolo VI, è stata serenamente accolta in tutta la Diocesi di Cremona e da parte di tutte le sue componenti “senza resistenze e senza eccezioni, né singolari né collettive”. Condividendo le ragioni allora proposte e non ritenendo che nel frattempo siano emerse nuove motivazioni a sostegno di una diversa valutazione delle attuali circostanze riguardanti la vita liturgica della Diocesi, dopo attenta riflessione sono giunto alla convinzione che, per quanto di mia competenza, non vi siano ragioni per accogliere favorevolmente le vostre richieste». Ma se l’applicazione del Novus Ordo fosse stata così piena, entusiastica e serena, a maggior ragione, perché il Vetus dovrebbe impensierire, preoccupare, spaventare?
Una risposta davvero deludente, per cui della faccenda i richiedenti a quel punto investirono la Pontificia Commissione Ecclesia Dei – oggi “assorbita” all’interno della Congregazione per la Dottrina della Fede -, affinché sbloccasse la situazione. Il 19 maggio di quello stesso anno il Segretario della Commissione, mons. Guido Pozzo, scrisse, per assicurare ch’erano stati presi «contatti con l’Ordinario del luogo». Poi il silenzio fino al 7 settembre, quando il Vescovo di Cremona comunicò di aver ricevuto «la risposta definitiva» dell’Ecclesia Dei, risposta in cui – dice – «la Commissione prende atto delle motivazioni da me espresse in varie occasioni e, di conseguenza, non accoglie favorevolmente il ricorso da Lei presentato. Ritengo tuttora non vi siano ragioni per accogliere le Sue richieste». Quella risposta dell’Ecclesia Dei, tuttavia, nessuno l’ha mai vista. Fu citata, oltre che in questa lettera, anche nel corso di un incontro dell’Ordinario con i richiedenti, ma il testo e quello precedente partito da Cremona non sono mai stati resi pubblici, benché «prendere atto» sia una cosa ed «accogliere favorevolmente» un’altra.

Ma il colmo doveva ancora arrivare. Mesi dopo presso i Padri Barnabiti di Cremona un giovane sacerdote iniziò a celebrare sine populo la Santa Messa tridentina. Nel pieno rispetto della norma codificata all’art. 2 del Motu Proprio Summorum Pontificum: «Nelle Messe celebrate senza il popolo, ogni sacerdote cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, può usare o il Messale Romano edito dal beato Papa Giovanni XXIII nel 1962 oppure il Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970, e ciò in qualsiasi giorno, eccettuato il Triduo Sacro. Per tale celebrazione secondo l’uno o l’altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario». Attenzione, per i non addetti ai lavori è bene precisare che sine populo non significa senza fedeli. L’art. 4 del Motu Proprio precisa anzi che «possono essere ammessi» quanti «lo chiedessero di loro spontanea volontà». E così i fedeli cominciarono a crescere di numero, raddoppiando, quadruplicando, da tre ad una sessantina, in maggioranza giovani tra i 20 ed i 35 anni.

A questo punto, la recente, sconcertante presa di posizione da parte del Vicario Generale e dell’Ordinario, che, convocato il sacerdote celebrante ed il suo Superiore, hanno sostanzialmente comunicato loro di sospendere la S. Messa tridentina – ciò ch’è avvenuto lo scorso 10 febbraio -, in pieno contrasto con gli articoli appena citati del Motu Proprio, trattandosi oltre tutto di una Messa sine populo, per la quale nessuna autorizzazione viene richiesta, neppure da parte del Vescovo: un inspiegabile atteggiamento ostracizzante, che stride con quanto auspicato dal Summorum Pontificum di Benedetto XVI, nonché con l’Istruzione sull’applicazione della Lettera Apostolica Motu Proprio data Summorum Pontificum, che all’art. 14 precisa: «È compito del Vescovo diocesano adottare le misure necessarie per garantire il rispetto della forma extraordinaria del Rito Romano», mentre all’art.8 specifica come l’obiettivo del Summorum Pontificum sia proprio quello di «offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’Usus Antiquior, considerata un tesoro prezioso da conservare», nonché di «garantire e assicurare realmente a quanti lo domandano l’uso della forma extraordinaria, nel presupposto che l’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962 sia una facoltà elargita per il bene dei fedeli e pertanto vada intepretata in un senso favorevole ai fedeli, che ne sono i principali destinatari».

Anche a Cremona. Piaccia o meno (di Matteo Magarelli fonte corrispondenza romana).

domenica 10 marzo 2019

Cristiani perseguitati dai regimi comunisti e dalle dottrine della laicità degli stati: “Un genocidio silenzioso” O si sta con Dio o contro di Dio.


La Lombardia difende i cristiani perseguitati da islamici e regimi comunisti: “Un genocidio silenzioso”


«Non si possono servire due padroni»,ci ricorda il Vangelo e commentando l’incontro tra il Signore e il giovane ricco «che voleva seguire il Signore, ma alla fine era tanto ricco che ha scelto le ricchezze». Anche i discepoli si sono spaventati dalle parole di Gesù che dice: «Quanto difficile è che un ricco entri nel Regno dei Cieli. È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago». Paure che si fanno avanti anche nelle parole di Pietro che chiede a Gesù cosa ne sarò di loro che hanno lasciato tutto. «Sembra quasi», «che Pietro gli passasse il conto al Signore».«Non sapeva cosa dire: “Sì, questo se ne è andato, ma noi?”. La risposta di Gesù è chiara: “Io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato tutto senza ricevere tutto”. “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto”. “Riceverete tutto”, con quella misura traboccante con la quale Dio dà i suoi doni. “Riceverete tutto. Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madri o padri o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora in questo tempo cento volte tanto in case, fratelli, sorelle, madri, campi, e la vita eterna nel tempo che verrà”. Tutto. Il Signore non sa dare meno di tutto. Quando Lui dona qualcosa dona sé stesso, che è tutto». Gesù dà se stesso tutto, perché la pienezza, la pienezza di Dio è una pienezza annientata in Croce. Mentre il nostro mondo è entrato nel suo terzo millennio cristiano, una caratteristica significativa appare evidente: un grande numero di nazioni e di popoli vivono oggi sotto una forma di governo comunista, ho di governi con comunisti di origine ma con nuovi nomi tipo Democratici, social democrazia, o PD. Soltanto i più vecchi fra noi ricordano un’epoca in cui non vi erano Stati comunisti nel mondo. Molta gente, oggi, ha conosciuto questo sistema politico come un fatto storico nel corso della sua vita. Sfortunatamente sembra che alcuni vi si siano così abituati da tendere a vedere il comunismo solo come un sistema politico fra gli altri, esposto forse a pericoli non maggiori di quanto avvenga nella dichiarazione sulla dottrina comunista del marxismo-leninismo Forse il marxismo-leninismo è diventato un fatto così comune che ci siamo abituati a esso? Oppure è possibile che questo sistema sia cambiato, fino ad avere perso le sue caratteristiche discutibili? Vi è stata qualche indicazione che la sua opposizione alla religione si sia addolcita? Oggi, dopo più di due generazioni di comunismo, i diritti umani sono salvaguardati? Le promesse originarie che esso aveva fatto ai poveri e ai lavoratori sono state mantenute?È tempo, ed è opportuno, che noi gettiamo uno sguardo nuovo sul comunismo così come esiste nel nostro mondo contemporaneo. Tale è il proposito di questa dichiarazione.

venerdì 8 marzo 2019

LETTERA DI SAN FRANCESCO D'ASSISI INDIRIZZATA A TUTTI CRISTIANI.




“Lettera ai fedeli” di San Francesco d’Assisi

"A tutti i cristiani, religiosi, chierici e laici, maschi e femmine, a tutti coloro che abitano nel mondo intero, frate Francesco, loro umile servo, ossequio rispettoso, pace vera dal cielo e sincera carità nel Signore.

Poiché sono servo di tutti, sono tenuto a servire a tutti e ad amministrare a tutti le fragranti parole del mio Signore. Per cui, considerando che non posso visitare i singoli a causa della malattia e debolezza del mio corpo, ho proposto con la presente lettera e con questo messaggio, di riferire a voi le parole del Signore nostro Gesù Cristo, che è il Verbo del Padre, e le parole dello Spirito Santo, che sono spirito e vita (Gv 6,63).

L’altissimo Padre annunciò che questo suo Verbo, così degno, così santo e così glorioso sarebbe venuto dal cielo, l’annunciò per mezzo del suo arcangelo Gabriele alla santa e gloriosa Vergine Maria, dalla quale ricevette la carne della nostra fragile umanità (Cfr. Lc 1,31). Egli, essendo ricco (2Cor 8,9) più di ogni altra cosa, volle tuttavia scegliere insieme alla sua madre beatissima la povertà. E prossimo alla sua passione, celebrò la Pasqua con i suoi discepoli, e prendendo il pane rese grazie, lo benedisse e lo spezzò dicendo: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo. E prendendo il calice disse: Questo è il mio sangue del nuovo testamento, che per voi e per molti sarà sparso in remissione dei peccati (Mt 26,26-28; Lc 22,19-20; 1Cor 11,24-25). Poi, rivolto al Padre pregò dicendo: Padre, se è possibile, passi da me questo calice. E il suo sudore divenne simile a gocce di sangue che scorre per terra (Mt 26,39; Lc 22,44). Depose tuttavia la sua volontà nella volontà del Padre dicendo: Padre, sia fatta la tua volontà, non come voglio io, ma come vuol tu (Mt 26, 39.). E la volontà del Padre fu tale che il suo figlio benedetto e glorioso, dato e nato per noi, offrisse se stesso cruentemente come sacrificio e come vittima sull’altare della croce, non per sé, per il quale tutte le cose sono state create (Gv 1,3), ma per i nostri peccati, lasciando a noi l’esempio perché ne seguiamo le orme (1Pt 2,21). E vuole che tutti siamo salvi per Lui, e che lo si riceva con cuore puro e corpo casto. Ma pochi sono coloro che lo vogliono ricevere e vogliono essere salvati da Lui, sebbene il suo giogo sia soave e il suo peso leggero (Mt 11,30)." 

Dalla “Lettera ai fedeli” di San Francesco d’Assisi



Preghiera

Altissimo glorioso Dio, illumina le tenebre del mio cuore. 
Dammi fede dritta, speranza certa, carità perfecta,senno e conoscenza, 
perché adempia il tuo santo e verace comandamento. 
Amen.



A cura della Pontificia Facoltà 
“San Bonaventura” (Seraphicum).

giovedì 7 marzo 2019

Marcia per la Vita il 18 Maggio 2019

Rome Life Forum 2019

Angelicum

Largo Angelicum 1, Roma

16 e 17 Maggio 2019
"Città dell'Uomo versus Città di Dio - Ordine mondiale globale versus Cristianità".
a cui seguirà la Marcia per la Vita il 18 Maggio 2019


Si svolgerà anche quest'anno a Roma, alla vigilia della Marcia per la Vita, il Rome Life Forum, che avrà come tema "Città dell'Uomo versusCittà di Dio - Ordine mondiale globale versus Cristianità".

Il Forum, al quale parteciperanno i leader dei principali movimenti pro-vita e pro-famiglia di tutto il mondo, è un'opportunità unica per tutti coloro che sono impegnati ogni giorno nella difesa dei principi non negoziabili, per ritrovarsi nel cuore della Cristianità al fine di conoscersi, collegarsi ed unire gli sforzi.

Tra i relatori che interverranno quest'anno ci saranno Raymond Leo Cardinal Burke, Willem Jacobus Cardinal Eijk (Paesi Bassi), Fr Kevin O’Reilly OP (Angelicum, Italia), Dr Alan Fimister (UK/USA), Roberto de Mattei (Fondazione Lepanto, Italia), Steven Mosher (Population Research Institute, USA), Anthony Murphy (Catholic Voice, Irlanda), John-Henry Westen (LifeSiteNews, Canada), Walter Cardinal Brandmüller e altri.

Il Forum si svolgerà in inglese e in italiano con traduzione simultanea.

Il programma dell'evento sarà disponibile nelle prossime settimane.
( Fonte corrispondenza romana)

mercoledì 6 marzo 2019

Meménto, homo, quia pulvis es, et in púlverem revertéris. - Ricordati, o uomo, che sei polvere, e in polvere ritornerai.

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Exáudi nos, Dómine, quóniam benígna est misericórdia tua: secúndum multitúdinem miseratiónum tuárum réspice nos, Dómine. 

Con l'espressione Mercoledì delle Ceneri (o Giorno delle Ceneri o, più semplicemente, Le Ceneri), si intende il mercoledì precedente la prima Domenica di Quaresima che, nella chiesa cattolica , coincide con l'inizio stesso della Quaresima, ossia il primo giorno del periodo liturgico "forte" a carattere battesimale e penitenziale in preparazione della Pasqua cristiana. In tale giornata, pertanto, tutti i cattolici dei vari riti latini sono tenuti a far penitenza e ad osservare il digiuno e l'astinenza dalle carni. Proprio in riferimento a queste disposizioni ecclesiastiche sono invalse alcune locuzioni fraseologiche come carnevale (dal latino carnem levare, cioè "eliminare la carne") o martedì grasso (l'ultimo giorno di carnevale, appunto, in cui si può mangiare "di grasso"La parola "ceneri" richiama invece in modo specifico la funzione liturgica che caratterizza il primo giorno di Quaresima, durante la quale il sacerdote sparge un pizzico di cenere benedetta sul capo o sulla fronte dei fedeli per ricordare loro la caducità della vita terrena e per spronarli all'impegno penitenziale della Quaresima. Per questo il rito dell'imposizione delle ceneri prevede anche la pronuncia di una formula di ammonimento, «Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai».Noi pensiamo che il mercoledì delle ceneri è un giorno molto importante, infatti le nostre mamme non ci hanno mai fatto perdere neanche una messa. Il sacerdote, in questo giorno speciale, mette delle ceneri sulla nostra fronte, e per noi è un segno molto appropriato e comprensibile ed è un’emozione molto grande. Ci hanno spiegato che noi siamo polvere, creati dalla polvere grazie a Dio, ma lui ci ama, e per questo ci trasforma in “figli”. È bello sentirsi passare le ceneri in fronte, soprattutto perché ci ricordano un segno di un mondo dove vive Gesù. È, per noi, un giorno molto atteso e credo sia così anche per le altre persone cristiane. Attendendo che arrivino questi momenti, siamo ancora più fedeli al Signore, cercando (se ci riusciamo) di partecipare a tutte le messe domenicali e di vivere i Sacramenti. Ed ecco il vangelo, questo ci ha colpito molto, poiché spiega come ci dobbiamo comportare per fare del bene agli altri. Ricordiamo che davanti a Dio non importa il nostro essere polvere:vale solo l’amore che abbiamo dato agli altri. "Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli. Quando dunque fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Quando invece tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà".
Il digiuno ecclesiastico:
Dal mercoledì delle ceneri e al venerdì santo, esprime la partecipazione del corpo nel cammino della conversione e propizia l'astensione dal peccato. Per tutte le settimane di Quaresima il digiuno si limita all'astinenza dalle carni il venerdì, ma chi lo desidera e salute permettendo può farlo anche tutti i venerdì e i mercoledì di quaresima: al principio segno di povertà, essendo nell'antichità il pesce più economico che la carne. È segno dell'abbandono del lusso per vivere una vita più essenziale. 
La preghiera:
La quaresima è tempo di più assidua e intensa preghiera, legata molto strettamente alla conversione, per lasciare sempre più spazio a Dio. Preghiera individuale e comunitaria. 
Infine la carità:
la quaresima è tempo di più forte impegno di carità verso i fratelli. Non c'è vera conversione a Dio senza conversione all'amore fraterno. La chiesa insegna che queste opere devono essere compiute nella consapevolezza del loro valore di segno in vista della conversione, e non fine a sé stesse.
S. Vangelo secondo Matteo, 6, 16-21
In quel tempo: Disse Gesù ai suoi discepoli: Quando digiunate non fate i malinconici, come gli ipocriti, che sfigurano il proprio volto per far vedere agli uomini che digiunano. In verità, vi dico che hanno già ricevuta la loro ricompensa. Ma tu, quando digiuni, profumati la testa e lavati la faccia: che il tuo digiuno sia noto, non agli uomini, ma al Padre tuo celeste, il quale sta nel segreto: e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa. Non cercate di accumulare tesori sopra la terra, dove la ruggine e la tignola consumano, e dove i ladri disotterrano e rubano. Procurate di accumulare tesori nel cielo, dove la ruggine e la tignola non consumano, e dove i ladri non disotterrano e non rubano. Poiché dov’è il tuo tesoro, lì è il tuo cuore. 

martedì 5 marzo 2019

Pio XII andrebbe collocato tra i «giusti» David Dalin "rabbino"


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Pio XII debole o addirittura compiacente nei confronti di Hitler? La leggenda è assolutamente falsa. Pio XII andrebbe anzi collocato tra i «giusti» nel sacrario dedicato alla memoria della Shoah. A pensarla così non è un devoto cattolico, ma il rabbino David Dalin che racconta tutta la verità su Pio XII, smontando a una a una le accuse comunemente rivolte a quello che è stato considerato a lungo «il papa di Hitler». 
Documenti e testimonianze mostrano come papa Pacelli sia stato fiero avversario dell’antisemitismo nazista fin dagli esordi, al punto che, prima di esser papa, gli stessi nazisti lo chiamavano «il cardinale che ama gli Ebrei». E numerose sono le testimonianze di parte ebraica che dimostrano il ruolo decisivo giocato da Pio XII nel sottrarre molti Ebrei alla persecuzione nazista. Tanto che al termine della guerra lo stesso rabbino capo di Israele, Isaac Herzog, ringraziò Pacelli per il suo operato.
Quella di Pio XII nemico degli Ebrei si rivela dunque una leggenda nera, costruita ad arte da Hitler in combutta con frange estremiste islamiche per screditare il papa e con lui la Chiesa Cattolica tutta. Un complotto legato al terrorismo islamico che ancora oggi minaccia la Chiesa e il mondo. Il suo recente libro è edito dalla Piemme

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