Pio XII |
OMELIA DI SUA SANTITÀ PIO XII
Basilica Vaticana
Ai fedeli riuniti nella Basilica Vaticana,
durante la celebrazione della Messa.
durante la celebrazione della Messa.
Il
Vangelo di oggi ci presenta, diletti figli, gran parte del discorso
fatto dal Nostro Signore Gesù Cristo nel rispondere alle domande degli
Apostoli: quando sarebbe avvenuta la distruzione del magnifico tempio di
Gerusalemme, sicché non ne rimanesse pietra sopra pietra; quale sarebbe
stato il segno del suo secondo avvento e della fine del mondo. Cristo
parlava ai suoi Apostoli, seduto, come narra l’Evangelista Matteo, sul
monte Oliveto, guardando Gerusalemme e la mole del tempio: scena mesta e
divinamente austera, in cui il Verbo di Dio fatto carne, viatore e
contemplatore dei secoli eterni, si sollevava e sublimava profeta sopra i
profeti.
Egli, creatore dell’universo e dell’uomo, Egli, arbitro del
passato e dell’avvenire, pendente dalla sua mano, si assideva al centro
dei secoli annunziatore della rovina del vecchio tempio e della
dispersione dei figli d’Israele, come già prima aveva promesso la
edificazione sopra a Pietro del nuovo tempio della sua indistruttibile
Chiesa; annunziatore della seconda sua venuta, quando « il segno del
Figlio dell’uomo comparirà nel cielo; e allora piangeranno tutte le
nazioni della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi
del cielo con grande potenza e maestà. E manderà i suoi Angeli con
tromba sonora, e raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da
un’estremità all’altra dei cieli! » [1]. « Ecce praedixi vobis … Caelum et terra transibunt, verba autem mea non praeteribunt » [2].
Passeranno
il cielo e la terra. Passerà questa terra, che calca il nostro piede,
fende e bagna di sudore la nostra mano, scruta il nostro occhio; questa
terra, di cui il nostro ferro trafora e tormenta le viscere, scavando i
sepolcri delle spente selve, dei mostri coevi di spiagge ignote; dei
vapori di estinti vulcani e delle vene dei metalli e delle liquide
fiamme, che turbano i sogni dell’uomo e ne scuotono la pace. Passerà
questo nostro vecchio globo, che sembra non più bastare agli uomini e a
saziare il fremito delle loro contrastanti aspirazioni, per le quali
arde ai nostri giorni una lotta di così gigantesche proporzioni, da
sorpassare e quasi oscurare i più grandi avvenimenti e rivolgimenti
della storia del mondo. Passerà la terra, e noi tutti dovremo comparire
davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno ne riceva la mercede o
la pena, secondo che avrà fatto il bene o il male [3];
ma non passeranno le parole di Cristo, che predice e annunzia anzi
tempo agli Apostoli la storia della sua Chiesa e del mondo e le tristi
vicende che incontreranno attraverso i secoli. E là, in quel medesimo
discorso sull’Oliveto, in vista di Gerusalemme, li ammonisce a guardare
che alcuno non li seduca. «Perché, diceva loro, sentirete parlare di
guerre e di rumori di guerre. Badate di non turbarvi; giacché bisogna
che queste cose succedano; ma non è ancora la fine: Audituri enim estis
praelia et opiniones praeliorum. Videte ne turbemini; oportet enim haec
fieri, sed nondum est finis » [4].
No;
la consumazione dei secoli non è ancora giunta. Cristo, se è asceso in
cielo, sta sempre con noi tutti i giorni, anche in mezzo alle guerre e
ai rumori di guerre. Non dobbiamo turbarcene, come non se ne turbarono
gli Apostoli, nella predicazione del Vangelo. Ma, se il turbamento non
Ci abbatte lo spirito, sentiamo però nel profondo del Nostro animo che
l’ora presente è una fase della grave storia dell’umanità predetta da
Cristo. E voi, diletti figli, non ignorate quanto questa nuova e
fierissima guerra, che pesa sull’Europa e sul mondo, gravi
necessariamente anche sul Nostro cuore, per quel paterno affetto,
derivante dall’ufficio impostoCi da Dio verso tutte le genti; giacché
ben sapete che dell’affetto e dell’amore è figlio il dolore. Non è forse
la dolorosa passione di Cristo il frutto del suo amore per noi « Sic Deus dilexit mundum! » [5]
E nel suo trionfale ingresso in Gerusalemme, che tanto amò,
avvicinandosi alla città e rimirandola, non pianse il divin Redentore
sopra di essa? E disse: «O se avessi conosciuto anche tu, e proprio in questo giorno, quello che importa alla tua pace ! » [6]
Questo ineffabile lamento del Salvatore innanzi a Gerusalemme non
poteva non scendere nel cuore dell’umile suo Vicario alla contemplazione
dell’Europa e del mondo in immane conflitto. Noi non abbiamo nulla
tralasciato per la pace fra le nazioni, consci come siamo di essere
servi e ministri di un eccelso Re pacifico, pacificante, non col sangue
delle battaglie, ma mediante il sangue della sua croce, e le cose della
terra e le cose del cielo [7].
Abbiamo seguito il grido e l’impulso del Nostro cuore, perché fra le
genti si ristabilisse la concordia, da lungo tempo turbata e ora
miseramente spezzata, con un ordine più equo e unanime, basato su quella
giustizia, la quale tranquilla le passioni, sopisce gli odi, spegne i
fermenti dei rancori e delle lotte; un ordine che tenda ad attribuire a
tutti i popoli, nella tranquillità, nella libertà e nella sicurezza, la
parte, ad ognuno di essi in questa terra spettante, delle fonti della
prosperità e della potenza, affine di rendere loro possibile
l’adempimento della parola del Creatore: « Crescite et multiplicamini, et replete terram » [8].
Fin dallo scoppiare del conflitto, il Nostro pensiero e l’animo Nostro
non hanno mai cessato dal far sì che i divini conforti e gli aiuti umani
fossero, per quanto Ci era possibile, impartiti a coloro, ai quali
l’urto delle armi avesse cagionato perdite e dolori. « Caritas enim Christi urget nos » [9].
Padre comune dei fidenti in Cristo, Pastore dell’immenso ovile di
Cristo, sono Nostri figli, sono Nostre pecorelle, i vicini e i lontani, i
fedeli e gli smarriti o randagi: a tutti siamo debitori di amore, di
conforto, di aiuto, di compassione, ai deboli e ai potenti, ai miseri e
agl’infelici, ai sapienti e agl’insipienti [10].
Questa valle di lacrime ha talvolta procellose inondazioni di nuove
lacrime da asciugare sul volto dei fanciulli, delle madri, degli uomini,
dei vecchi, che sentono un duro abbandono della vita e dello spirito,
specialmente in quest’ora agitata, quando la formidabile lotta, non che
scemare, più aspra perdura e si avanza.
Ma, se il fragore di
guerra sembra vincere e coprire la Nostra voce, dalla terra Noi alziamo
lo sguardo al cielo, al Padre delle misericordie e al Dio di ogni
consolazione [11], che tutto contempla quaggiù, tutto governa e comanda al flutto dell’oceano: «Verrai fin qui e non passerai oltre; qui romperai il tuo bollente furore » [12].
A Lui, sotto la cui mano divina, nell’ordine universale degli eventi e
delle cose, si agita l’azione libera dell’uomo senza poter sfuggire al
suo provvido e ineluttabile consiglio; a Lui Noi leviamo il grido del
Nostro cuore e del Nostro dolore, invocando migliori tempi al genere
umano, migliori aurore e migliori tramonti alle nostre giornate: « Da pacem, Domine, in diebus nostris ».
No; il nostro Dio non è come i simulacri delle genti, che hanno orecchi
e non odono, hanno mani e non fanno grazie, hanno seno e non amano [13]. Il nostro Dio è amore, è la carità stessa; e noi abbiamo conosciuto e creduto alla carità che Dio ha per noi: «Et nos cognovimus, et credidimus caritati, quam habet Deus in nobis: Deus caritas est » [14].
Questo
è il mistero del cuore di Dio, il gran mistero del cristianesimo. Dio,
con quella infinita e amorosa misericordia, la quale si spande su tutte
le sue creature [15],
ci ascolterà — nel momento e nel modo dalla Provvidenza sua benedetta
disposti — se ai piedi del suo trono salirà unanime la preghiera
fiduciosa e ardente, avvalorata dalla umiliazione della penitenza;
perché appartiene alla suprema eminenza della bontà e della carità
divina non solo il distribuire l’essere e il benessere a tutti, ma
ancora l’esaudire nella sua liberalità i pii desideri che si esprimono
per mezzo dell’orazione. Non ci ha il Figlio di Dio incarnato chiamati
suoi amici nei suoi discepoli? [16] E non è pregio dell’amicizia che chi ama voglia che sia appagata la brama dell’amato?
Perciò,
nella festa di Cristo Re, sotto la protezione della gloriosa Vergine
del Rosario, abbiamo chiamato tutti i figli della Chiesa ad elevare con
Noi pubbliche preghiere, in questo giorno; sicché ne risulti un solo
immenso coro di supplicanti, rispondenti alla Nostra voce, vari di
cielo, di lingua, di costumi, di maniera, di rito, ma fervidi di una
medesima fede, di una medesima speranza, di un medesimo amore, i quali
rivolgano con Noi lo sguardo oltre le stelle, e al trono dell’Altissimo
porgano umili invocazioni di grazia e misericordia.
Guardate,
diletti figli, questo altare, questa croce che lo sormonta, questo pane e
questo calice, questa tomba, su cui riverenti posiamo il piede, Pietra
fondamentale della Chiesa, famosa e venerata dalla fede delle genti;
guardate questo centro glorioso di tutti gli altari dell’universo.
Questo è l’incruento Golgota della misericordia e della giustizia
divina, sul quale si placa e si propizia la Maestà di Dio. Qui fra le
ali delle schiere celesti, sotto lo sguardo dei Profeti, degli
Evangelisti, degli Apostoli e dei Santi è il propiziatorio del nuovo ed
eterno Testamento, dove Cristo si fa Ostia al Padre, e rinnova col
portento dei portenti il suo sacrificio del Golgota nel suo Corpo e nel
suo Sangue sparso per la remissione dei peccati, « non solo per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo » [17].
Si adunino dunque intorno a Noi tutti i credenti in Lui; e uniti in
ispirito con Noi, che qui, sotto questa mirabile volta gareggiante col
cielo, offriamo a Dio il divino sacrificio di propiziazione, i sacri
ministri, in ogni luogo della terra, sacrifichino e offrano all’eterno
Padre la medesima oblazione monda del diletto suo Figlio, di Cristo, il
quale sull’altare della croce una sola volta si offerse in modo cruento,
e in forma incruenta, divisata dal suo immenso e ineffabile amore, un
numero senza numero di volte si è immolato e s’immola sui nostri altari.
Sì,
o Padre nostro che state nei cieli, o Dio, protettore nostro, volgete
lo sguardo a Cristo vostro Figlio; mirate i segni vermigli delle sue
ferite, a cui lo condusse l’amore per noi e l’obbedienza a Voi, con le
quali volle farsi in ogni tribolazione nostro Avvocato e Propiziatore. O
Gesù, Salvatore nostro, parlate al Padre vostro e Padre nostro per noi,
supplicatelo per noi, per la vostra Chiesa, per tutti gli uomini,
conquista del vostro sangue. O Re pacifico, Principe di pace! Voi, che
avete le chiavi della vita e della morte, donate la pace della requie
sempiterna alle anime di tutti i fedeli, dal turbine di guerra travolti
nella morte, e, noti e ignoti, lacrimati o illacrimati, sepolti sotto le
rovine delle città e dei villaggi distrutti, per le pianure
insanguinate, su per i colli squarciati, negli abissi delle valli o nei
gorghi marini. Scenda sulle loro pene il vostro sangue purificatore a
imbiancare i loro manti e a renderli degni e fulgidi al vostro cospetto
beatificante. Voi, amoroso confortatore degli infelici, che lacrimaste
alle lacrime di Marta e Maria sconsolate per il morto fratello,
concedete la pace del conforto, della rassegnazione e dell’aiuto ai
miseri, dalle calamità della guerra prostrati nella tribolazione e nel
dolore, agli esuli, ai profughi dalla patria, ai raminghi sconosciuti,
ai prigionieri, ai feriti fiduciosi in Voi. Rasciugate le lacrime di
tante spose, di tante madri, di tanti orfani, di tante famiglie, di
tanti derelitti; lacrime nascoste, cadenti sopra il pane del dolore,
dopo durati digiuni, in freddi tuguri, pane diviso fra i fanciulli più
volte condotti ai vostri altari nell’umile chiesetta a pregare per il
babbo o per il fratello maggiore, forse morto, forse languente, forse
sperduto. Consolate tutti coi doni celesti e con quei sollievi e
soccorsi della feconda carità, che Voi sapete ispirare agli animi
gentili, i quali negli affannati e sfortunati riconoscono i loro
fratelli e amano le immagini vostre. Concedete ai combattenti,
coll’eroismo nell’adempimento del loro dovere, anche fino al supremo
sacrificio, per la difesa della Patria, quel nobile senso di umanità,
che in ogni evento non fa ad altri ciò che non vorrebbe fosse fatto a sé
o al proprio popolo [18].
O
Signore, regni e trionfi la carità del vostro divino Spirito sul mondo,
e torni fra i popoli e le nazioni la pace della concordia e della
giustizia. Siano accetti e graditi al mite e umile vostro Cuore i nostri
voti, e Vi renda a noi propizio il numero e la devozione dei santi
sacrifici che, prona, tutta la Chiesa, vostra Sposa, per Voi stesso,
Sacerdote e Vittima in eterno, offre al divino vostro Padre. Parlate Voi
ai cuori degli uomini. Voi avete parole, che penetrano e scuotono il
cuore, che illuminano la mente, che calmano le ire, spengono gli odi e
le vendette. Dite quella parola che seda le tempeste, che risana
gl’infermi, che è luce ai ciechi e udito ai sordi, che è vita ai morti.
La pace fra gli uomini, che voi volete, è morta: risuscitatela, o divino
Vincitore della morte; e per Voi si tranquillino alfine la terra e il
mare; cessino nei cieli i turbini, che, sfidando i raggi del sole od
occulti fra le tenebre della notte, gettano su inermi popolazioni il
terrore, gl’incendi, le distruzioni, le stragi; la giustizia con
cristiana carità pareggi dall’uno e dall’altro lato i sussulti delle
bilance; sicché riparata ogni ingiustizia, restaurato l’impero del
diritto, estinta ogni discordia e rancore degli animi, risorga e si
ravvivi in serena visione di nuova e unanime prosperità una vera e
ordinata e duratura pace che affratelli, nel cammino dei secoli e nel
consenso del bene più alto, tutte le genti dell’umana famiglia sotto lo
sguardo vostro. Così sia.
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