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Monsignor Marcel Lefebvre.


La Fede vissuta con vero amore per la Chiesa – di Cristina Siccardi

Monsignor Marcel Lefebvre. 
Il 29 novembre di 108 anni fa nasceva Monsignor Marcel Lefebvre (1905-1991), la cui lucida analisi, oltre a quello che previde e a quello che fece, è di perfetta attualità. Pochi, all’epoca, lo compresero, perché la Rivoluzione in corso all’interno della Chiesa – avviata dai modernisti da alcuni decenni – era entrata nel Concilio Vaticano II, ma molti fedeli vivevano ancora dei “ricordi” della Tradizione e di ciò che si era sempre creduto, contemporaneamente, però, gli uomini usciti entusiasti dal Concilio mettevano in pratica lo scollamento con il passato

La filosofia cosmica di Pierre Teilhard de Chardin S.J. (1881-1955) aleggiava a Roma fra il 1962 e il 1965. «Credo che l’Universo sia un’Evoluzione. Credo che l’Evoluzione vada verso lo Spirito. Credo che lo Spirito si compia in qualcosa di Personale. Credo che il Personale supremo sia il Cristo-Universale», così scriveva nel libro In che modo io credo del 1934[1]: la sua prospettiva era eminentemente evoluzionistica e storicistica. Monsignor Lefebvre comprese che un giorno, facendo entrare questo pensiero nel Concilio Vaticano II, esso avrebbe dominato la Chiesa.

Soltanto il Vescovo brasiliano Antônio de Castro Mayer (1904-1991), il quale morì un mese esatto dopo Monsignor Lefebvre (25 aprile), rimase al fianco del Vescovo «ribelle» ed insieme saranno scomunicati in seguito alla scelta, da parte del Vescovo francese, di consacrare quattro Vescovi, anch’essi a loro volta scomunicati (Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Alfonso de Galarreta e Richard Williamson), ma per i quali la revoca del decreto di scomunica è stata firmata da Benedetto XVI nel 2009.

Oggi coloro che non raccontano e non si raccontano menzogne possono dire: «Monsignor Lefebvre aveva visto lontano…», ovvero aveva visto che la Fede non sarebbe stata più la stessa con l’introduzione del soggettivismo (rispetto umano e non più rispetto verso Dio), della libertà religiosa (tutte le religioni sono sullo stesso piano e la Verità non è soltanto custodita dalla e nella Chiesa cattolica), della collegialità (perdita della verticalità gerarchica e monarchica per un ideale democratico-repubblicano dentro la Chiesa), del nuovo rito liturgico della Santa Messa (formulata per andare incontro alle esigenze dei protestanti), del dialogo a tutto campo con il mondo moderno (non condannando più l’errore, ma assolvendolo e finanche inglobandolo nel nuovo sentire).

Il 9 ottobre 1936 il geologo e paleoantropologo Teilhard de Chardin scrisse Alcune riflessioni sulla conversione del mondo e in questo testo l’autore condannava la condanna dell’errore, quindi della menzogna, così come avverrà in un’atmosfera di surreale ottimismo nei confronti del corrotto uomo e della corrotta Terra al Vaticano II. Queste riflessioni sono alquanto significative, in esse si ammette la contrapposizione di due religioni, quella del Cielo e quella della Terra, ma l’autore dava la soluzione, ossia il compromesso fra le due:

«Intorno a noi la vera lotta non è tra credenti e non credenti, ma tra due diversi tipi di credenti. Due ideali, due concezioni del Divino sono sulla scena. I migliori (e dunque i più pericolosi) degli anti-cristiani non si separano dal Cristianesimo perché esso è troppo difficile, ma perché non sembra loro abbastanza bello. Se non ammettono il Cristo, è perché non riconoscono in lui i tratti di ciò che essi adorano e attendono. Una Religione della Terra sta per formarsi contro la Religione del Cielo. Ecco la situazione di fondo, nella sua gravità, ma anche nelle sue speranze.

Metodo generale per risolvere il conflitto: Non la condanna, ma il battesimo. Di fronte a questo conflitto tra la fede cristiana e la fede moderna, cosa dobbiamo fare per salvare il Mondo? […] un’altra soluzione si presenta allo spirito come più soddisfacente e più efficace della “condanna”. E sarebbe la seguente: scoprire e dimostrare che, nella sua essenza, la “Religione della terra” non è altro che uno slancio verso il ciclo che si ignora, cosicché le energie che sembrano così minacciose alla Chiesa sono al contrario un afflusso nuovo che può ravvivare il vecchio fondo cristiano. Non condannare, ma battezzare e assimilare. È chiaro che il Mondo nascente (il solo che conta) sarebbe virtualmente convertito in un solo colpo, se si riconoscesse che la nuova divinità che egli adora è precisamente il Dio cristiano più profondamente compreso. È possibile questa congiunzione dei due astri divini? Io credo di sì, ed ecco attraverso quali gradi ho pensato che possa effettuarsi. Una sintesi del nuovo e dell’antico: II Cristo universale»[2].

In questo documento si trova la chiave per aprire la porta, a volte enigmatica, oscura e contorta delle pieghe che prese il Concilio Vaticano II a dispetto di coloro che desideravano incunearlo nella Tradizione della Chiesa. Ma i “novatori” fuggivano come anguille per seguire l’ideologia alla Teilhard de Chardin, che tentava non solo di rinnovare il volto del Cristianesimo, ma di creare una religione idonea al mondo moderno:

«tale religione è esattamente sulla linea di ciò che il mondo moderno attende come suo Dio, e considera come sua forma specifica d’adorazione: un Dio che giustifica, che corona, che riceve come omaggio supremo, il lavoro, sempre in corso («adhuc parturit») del perfezionamento e del compimento umano, anche terrestre»[3]. Per Chardin è possibile una nuova era per il Cristianesimo: quella della liberazione interna e della sua espansione:

«[…] tanti cristiani si sentono truffati e umiliati in una Fede che sembra spesso avere il compito di gettare un dubbio e un gelo sul loro entusiasmo di rinnovamento terrestre. Quale apertura nella Chiesa, se in nome di questa stessa fede (divenuta un ago, invece di essere solo un freno) essi si sentissero lanciati per il dominio universale del Cristo, alla conquista totale del Mondo!»[4].

Con un tale procedimento, che adatta il Cristianesimo alle esigenze del mondo moderno, cadono anticorpi e difese e diventa pressoché impossibile difendere il gregge dai nemici e dai lupi.

Due religioni si contrappongono: una è custodita già nelle profezie dei profeti e avvolge duemila anni di storia per assurgere alla Salvezza; l’altra ha i suoi albori nei preti giurati della Rivoluzione Francese e si poggia sulle filosofie moderne e sulla teologia delle istanze e rivendicazioni dell’uomo “progredito”, del prelato “progredito”, come il Cardinale Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana e vice presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, nonché Arcivescovo metropolita di Genova, che ha dato al “progredito” Vladimir Luxuria il Santissimo. Verso i peccatori la Chiesa è sempre stata pietosa e accogliente, ma è sempre stata coerente e seria nei confronti del peccato, il vero nemico dell’anima. Monsignor Lefebvre avrebbe preferito morire piuttosto che dare la Comunione a questo (fino ad ora) impenitente.

«… ritengo di essere tra quelli che hanno il maggior rispetto per la Santa Sede, per il successore di Pietro, per Roma, per quello che Roma può rappresentare per noi, per i cattolici. Non abbiamo, né possiamo avere nessuna intenzione di presentarci con un atteggiamento violento verso ciò che ci è tanto caro, troppo caro ai nostri cuori»[5]. Era il 6 giugno del 1977 quando Monsignor Marcel Lefebvre tenne una conferenza capolavoro. Umilmente e a cuore aperto nella città di Roma, a Palazzo Pallavicini, esternò le sue considerazioni circa il nuovo volto che la Chiesa aveva assunto dopo il Concilio Vaticano II, «amiamo Roma, la vera Roma cattolica, è per questo che facciamo sentire la nostra voce. La facciamo sentire cioè proprio per la gloria della Chiesa romana, la grandezza della Chiesa romana. Per tutto ciò che ha fatto la sua vera grandezza, la sua vera nobiltà, anche se sembra che ora si ritrovi agl’inizi, e noi abbiamo l’impressione che la Chiesa, o diciamo meglio gli uomini di Chiesa abbandonino questa nobiltà della Chiesa Romana e che la Chiesa Romana non sia più la Mater et Magistra di tutte le Chiese del mondo, come è scritto sul portale del Vaticano»[6]. La sua non era sfida, non era provocazione, era come un buon figlio della Chiesa che desiderava continuare a mantenere la propria Madre integra da ogni sbandamento e corruzione e gli aggiornamenti erano segno di grande pericolo:

«Aggiornamento. È una parola molto pericolosa, può essere usata in senso buono, ma può anche portare a delle conseguenze imprevedibili. Aggiornare la Chiesa: sino a che punto? In quali campi? Poi ho avuto l’occasione di avere tra le mani una conferenza del card. Frings: conferenza fatta nel 1961 a Genova. Mi domando perché a Genova. Nella conferenza del card. Frings si sente lo stesso desiderio di un cambiamento profondo nella Chiesa: egli dice che ormai bisognerà fare della Chiesa Cattolica una Chiesa più universale. Nella sua conferenza, egli dice a chiare note che il compito particolare della Chiesa di oggi è lo sguardo sull’umanità tutta intera come un tutto: “Essa dovrà diventare Chiesa universale in un senso ancora più vasto di quello che sia stato sinora”. Dunque la Chiesa deve diventare universale. Voi direte che “universale” è la traduzione del termine “cattolica” (“cattolica” è la parola greca, “universale” la corrispondente latina). Ma la Tradizione ha dato ormai al termine “Cattolica” un senso ben preciso per significare che la Chiesa deve “coadunare” riunire, portare all’unità. “Adunare, coadunare” sono termini liturgici che si trovano nella nostra messa di S. Pio V – ricondurre all’unità le persone che non sono in unità. Ecco cosa è la Chiesa Cattolica: la Chiesa è cattolica perché riconduce tutti all’unità, all’unità della verità. E all’unità della fede. Ma il termine di “Chiesa universale” è inteso, ormai, come definizione di una chiesa aperta. Molti oggi parlano di “un’apertura”, apertura a tutti i movimenti, a tutte le teologie. Bisogna che la Chiesa si apra, ecco l’idea che spunta già nella conferenza del card. Frings, il quale aggiunge: “ci si può tuttavia domandare se non permanga altrettanto urgente il dovere di rivolgere lo sguardo a nuove forme dell’annuncio cristiano”. Cosa vuol significare? Sono espressioni molto, molto pericolose. Cambiare i termini e le parole dell’annuncio evangelico non vuol forse dire cambiare anche il Vangelo? Come si possono cambiare i termini senza cambiare anche l’essenza? Non è possibile cambiare in modo indefinito, in continuazione, il modo di esprimere la fede, senza cambiare la fede»[7].

Ragionamenti e valutazioni che fotografano i nostri malaugurati tempi, dove il cattolico non riconosce più in molti sacerdoti e in molti Pastori la propria Fede, e chi dice di essere cristiano lo è in una forma annacquata, talvolta sincretista, dove tutto può trovare spazio ed accoglienza, tranne che coloro che difendono e continuano ad annunciare l’autentica Verità, quella che porta alla Salvezza di ciascuna anima, ossia al Paradiso.

Sono trascorsi 36 anni da quella conferenza, una conferenza che fece molto rumore perché la stampa, ostile a Monsignor Lefebvre, e avvinta alla corrente modernista e alternativa, affermò che il Vescovo sfidava il Papa a Roma; in realtà non era affatto una provocazione fatta di polemiche sterili, ma una denuncia mite e filiale, un avvertimento accorato: se si rompeva la diga della Tradizione, sarebbe sceso sulla Chiesa un diluvio di mali.

In quell’occasione Monsignor Lefebvre fece presente come il cambiamento della Santa Messa procedeva in maniera parallela alla nuova concezione di Chiesa: «Devo insistere perché tutto deriva dalla nuova definizione della Chiesa, dall’aver cambiato il concetto della Chiesa, e lo si è cambiato per arrivare alla comunione con tutte le religioni. Era necessario cambiare il culto, non si poteva lasciare intatta la liturgia. La nostra liturgia era troppo cattolica, manifestava troppo chiaramente la vittoria di N.S. Gesù Cristo, con la croce, sul peccato, sul mondo, sulla morte. È la vittoria dunque un cambiamento, è il segno della lotta per arrivare alla vittoria finale, lotta contro il peccato, contro tutti i nemici della Chiesa, contro tutto quello che si oppone alla nostra salvezza eterna, alla vita eterna. Tutto è stato modificato»[8]. Basta accostarsi alla storia della filosofia e della teologia degli ultimi duecento anni per avvedersi come e in quale misura il concetto di Chiesa si sia evoluto e abbia avuto una mutazione, non certo indolore.

La realtà soprannaturale ha perso il suo posto centrale nella vita della Chiesa per dare «dignità» (parola magica nel vocabolario moderno, insieme ad «aggiornamento», «incontro», «popolo di Dio», «esperienza», «Chiesa-comunione») all’uomo, al mondo e, quindi, alle loro correnti e mode. Non c’è più distinzione, nella Chiesa uscita dal Concilio Vaticano II, fra il corpo e l’anima, ecco perché non si parla più di Inferno, di Purgatorio, di Paradiso e l’esistenza di ciascuno non si basa più su questi fini ultimi per non urtare la sensibilità dei non cattolici e anche degli atei, con i quali si desidera collaborare filosoficamente e teologicamente: la Chiesa non è più il sole, ma un satellite che gira intorno all’uomo, insieme agli altri satelliti. «Tutto questo per far piacere ai non cattolici, per poter stare con tutti quelli che non credono ciò che crediamo noi, che non credono alla distinzione tra anima e corpo. Ma noi dobbiamo rimanere cattolici!»[9]. Questa è dimostrazione dell’amore fedele alla Chiesa, un amore che ha portato Monsignor Lefebvre a pagare di persona sopportando punizioni, dileggi, oltraggi, umiliazioni di ogni sorta, fino ad arrivare alla scomunica. Da Arcivescovo di Dakar e Delegato apostolico per l’Africa francofona, su incarico di Pio XII, a scomunicato.

Con dolore lacerante si avvide che si stavano cambiando i connotati della religione cattolica e i giornalisti lo accusavano «“lei non è pluralista”. Io non credo al pluralismo, al ‘pluralismo ideologico, al ‘pluralismo della verità. Non c’è che una Verità. […] Perché andare in missione se tutte le persone sono salve, se tutte sono pronte per andare in cielo? Con il pluralismo della verità hanno distrutto lo spirito missionario, le congregazioni missionarie sono vuote, non ci sono più novizi missionari. I missionari sono essenziali per la Chiesa Cattolica, ma se noi crediamo che c’è una sola verità. E se noi crediamo che c’è una sola verità, la sola religione vera è quella della Chiesa Cattolica, perché fondata da Dio Stesso. Noi crediamo che Gesù Cristo è Dio e Gesù Cristo ha fondato la Chiesa Cattolica.Credo in unum Deum – Credo in unum Dominum Jesum Christum – Credo in unum baptisma – non in due, ma unum, unum, unum.

Allora abbiamo la fede o non l’abbiamo?»[10].

Il battezzato Monsignor Lefebvre, che con fortezza soprannaturale e la grazia dell’assistenza divina riuscì, con coraggio, ad esprimere davanti al mondo le sue riflessioni cattoliche, ancora e sempre più esorta: «noi domandiamo alla Chiesa la Fede per avere la vita eterna»[11].

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