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Don Orione L'uomo della carità



Nel 1897, durante gli esercizi spirituali, Don Orione stese i suoi propositi in trenta punti minuti e severi. Tra l'altro scrisse: "O Signore Gesù, oggi comincio vita nuova, come un secondo battesimo. Prometto di fare tutto ciò che vedrò e che potrà farmi santo, di abbandonarmi in tutto nelle braccia di Gesù... Voglio fare penitenza dei miei peccati e amare il Signore con il cuore e con le opere, tanto da morire arso dalla sua carità. Vivrò, con il permesso del confessore, a pane, acqua e minestra. Mi confesserò possibilmente tutti i giorni e non meno di ogni tre giorni. Andrò a confessarmi da chi mi farà più santo... Mi farò la disciplina e metterò il cilicio. Parlerò poco, pregherò molto e lavorerò tanto da cadere alla sera stanco nelle braccia di Gesù, mio bene e mio tutto". 






Colui che Pio XII chiamò "grande apostolo di carità, padre dei poveri, insigne benefattore dell'umanità afflitta", nacque a Pontecurone, nella diocesi di Tortona (Alessandria), il 23-VI-1872, quarto figlio di Vittorio, povero selciatore di strade e di Caterina Feltri, donna loquace e analfabeta, ma molto religiosa. Sotto la guida della mamma, Luigi crebbe innocente e pio. In casa amava giocare con i coetanei a "fare la processione e a dire la Messa". Sovente, anche d'inverno, si recava a portare i fiori di carta, da lui fabbricati, davanti a un'immagine della Madonna venerata in una cappellina in mezzo ai campi. 
Luigi riuscì presto a imbrigliare il suo temperamento focoso aiutando nel lavoro i genitori. Ebbe modo così di frequentare soltanto la prima elementare e metà della seconda. Esclusi i mesi invernali, passava il resto dell'anno con il babbo lungo le strade del Piemonte, intento a trasportare sassi. Sovente era costretto a dormire nei fienili. Se era sfibrante per lui lo stare inginocchiato a lungo sulla terra umida, era addirittura martoriante il sentir proferire bestemmie. A Cassine Monferrato, avendo udito bestemmiare con cattiveria un operaio perché si era ammaccato un dito, corse in chiesa, cacciò le mani nella pila dell'acqua santa e con essa si lavò la lingua. A Nizza Monferrato, udendo bestemmiare, lasciò la carriola e corse in chiesa a pregare il Signore perché lo facesse morire anziché permettere che lo offendesse con brutte parole. A Casteinuovo Calcea, mentre i suoi compagni di lavoro si riposavano, durante il mese di maggio si recava in chiesa a fare compagnia alla Vergine SS. e a supplicarla di farlo diventare sacerdote. Più tardi confesserà: "È stato il mio respiro fin da piccolo". 
Una sera d'inverno, dopo il rosario, da alcune buone donne sentì dire che l'antico santuario della Madonna della Fogliata, presso Casalnoceto, era caduto in rovina. Luigi provò come un sussulto al cuore. Senza dire niente ad alcuno, l'indomani, presto, andò a cercare i ruderi del santuario, li liberò dalla neve, s'inginocchiò su di essi e pregò: "Cara Madonna della Fogliata, concedimi la grazia di diventare sacerdote. Prometto che ti farò ricostruire il santuario". 
A 13 anni fu accolto nel convento dei Frati Minori di Vogherà, ma vi rimase soltanto pochi mesi a causa di una polmonite e dello scarso rendimento negli studi. Il 4-10-1886 entrò nell'Oratorio che Don Giovanni Bosco aveva aperto a Torino e dirigeva con l'aiuto di Don Michele Rua. In tre anni fece le 5 classi di ginnasio. Nelle difficoltà si recava nel santuario di Maria Ausiliatrice davanti alla statua che il cappellano dell'ospedale di Pontecurone aveva regalato a Don Bosco e le diceva: "Noi ci conosciamo... Tu sei del mio paese... Mi raccomando, aiutami...". Quando D. Bosco si ammalò, Luigi offrì la vita per lui con altri cinque compagni. Quando morì, egli fu tra gl'incaricati di ricevere oggetti dai visitatori e accostarli alla salma del defunto. Convinto che Don Bosco fosse un santo, gli venne l'idea di andare in refettorio e di affettare del pane da distribuire ai malati dopo che era stato messo a contatto con il corpo di lui. Nella fretta si tagliò l'indice destro, il "dito della Messa". Spaventato dall'idea di non poter più diventare sacerdote, corse presso le spoglie di Don Bosco, avvicinò ad esse il suo dito penzolante e, all'istante, vide scomparire il sangue nei pori del Santo e cicatrizzarsi la ferita. 
Al termine del ginnasio, durante gli esercizi spirituali, Orione trascorse una notte in preghiera presso la tomba di Don Bosco per conoscere meglio la volontà di Dio. Da tempo gli pareva di essere chiamato a una vita di maggiore povertà. Ai superiori confidò: "Don Bosco mi ha fatto capire che la mia strada non è questa". Ritornato in famiglia, prese la decisione di entrare nel seminario di Tortona, qualora vi fosse stato ammesso senza farne domanda, gli fosse portata la veste talare senza prendere la misura e suo padre fosse tornato alla pratica della vita cristiana. I tre segni richiesti si verificarono alla lettera. 
Nel seminario Luigi fu di esempio ai compagni esortandoli alla frequenza della comunione e alla devozione illimitata al papa. Il P. Alberto Vaccari SJ., (+1965), suo compagno di studio, ne ammirò il raccoglimento, la comunione quotidiana, il fervore che appariva in una commozione esteriore di tutto il corpo. "Lo trovai molto gioviale e allegro nelle ricreazioni, puntualissimo nell'osservanza, pieno di zelo per la salute delle anime. Egli parlava già in modo concreto delle sue future opere, dei collegi ai quali avrebbe dato vita e faceva tra i compagni i primi proseliti, riempiendo tutti di fervore... Fin dal seminario pensai che egli avrebbe fatto cose grandi per Dio e per la Chiesa e che sarebbe stato santo da altare... Gli vidi fare atti di mortificazione quali si leggono nelle vite dei grandi santi, lo vidi sopportare amabilmente le derisioni e le contraddizioni che a volte gli attirava il suo modo di fare un po' strano, sul tipo di quello di S. Filippo Neri". 
Il rettore del seminario, Don Ambrogio Daffra, diceva ai suoi collaboratori: "Non meravigliatevi di quello che fa Orione!... Sembrano stranezze, ma non lo sono... Ne avessimo tanti come lui...". 
Durante il corso della teologia, non potendo pagare la retta del seminario, si prestò a fare da sacrestano in duomo con lo stipendio di 12 lire mensili e l'alloggio in una cameretta. In quel tempo cominciò a visitare i malati e i carcerati e a prendersi cura dei giovani più poveri. Li raccolse prima nella sua stanza, poi nella chiesa del Crocifisso e, quindi, con il permesso del vescovo Mons. Igino Bandi, nel giardino e negli annessi locali dell'episcopio. Don Carlo Sterpi, presente il 3-7-1892 all'apertura dell'oratorio S. Luigi, depose nei processi: "Non ho mai dimenticato il discorso inaugurale che egli pronunciò, con il trasporto che gli era naturale, in quella circostanza, sul tema: Anime, Anime!". 
Dopo poco tempo il chierico Orione fu costretto a chiudere il suo Oratorio per il rumore che i ragazzi facevano e le devastazioni che compivano. Quel giorno, tutto afflitto, salì nella sua camera, depose la chiave dell'oratorio nelle mani della statua della Madonna che aveva sul tavolo e, nella notte, vide in sogno tra i rami di un albero del giardino del vescovo, Maria SS., ricoperta di un gran manto, con il quale copriva una moltitudine di giovani di ogni colore, di sacerdoti e suore. Comprese allora che il suo apostolato tra la gioventù non solo sarebbe continuato, ma avrebbe assunto proporzioni sempre più grandi. Con l'approvazione del vescovo, il beato prese in affitto una casa nel sobborgo di San Bernardino e, benché non fosse ancora sacerdote, aprì un collegio per facilitare ai ragazzi più poveri la via al sacerdozio (15-10-1893). Il vescovo gli concesse alcuni seminaristi in aiuto, tra cui Paolo Albera, Alberto Risi e Carlo Sterpi, per 50 anni suo collaboratore. L'Istituto, posto sotto la protezione della Madonna della Provvidenza, fiorì talmente che, l'anno successivo, Orione dovette trasferirlo con i suoi 140 alunni in un vecchio convento detto "Santa Chiara" (1894-1904). 
Con i ragazzi crescevano anche le preoccupazioni. Un giorno, non sapendo come fare per pagare un debito molto grande, Orione bucò le orecchie della statua della Madonna quasi per costringerla a sentire le sue necessità e v'infilò gli orecchini di mamma Carolina. I denari occorrenti gli arrivarono. Ogni tanto egli conduceva i suoi allievi in pellegrinaggio a Monte Spineto, portando egli stesso sulle spalle un sacco di pane e recitando il rosario. Una volta, mentre i suoi ragazzi si sollazzavano, per penitenza si fece quasi trascinare da uno di loro verso la cima del colle con una corda al collo, tra la meraviglia dei pellegrini. 
Mons. Bandi, soddisfatto dei buoni inizi dell'Istituto, in una assemblea del clero (1894) additò a tutti Orione "quale secondo Don Bosco" e gli concesse la facoltà di predicare in ogni parrocchia. Frattanto il beato si preparava a ricevere gli ordini sacri, dormendo pochissimo di notte, sopra un saccone di paglia, per attendere di più alla preghiera e allo studio. Fu ordinato sacerdote il sabato santo 1895. A Pasqua celebrò la prima Messa nell'oratorio del "Santa Chiara" e conferì l'abito ad alcuni probandi. Nasceva così la Piccola Opera della Divina Provvidenza che fu eretta canonicamente il 21-3-1903. Il primitivo scopo della congregazione, con il passare degli anni, si ampliò, fino ad abbracciare tutte le forme di carità al sollievo dei poveri, dei malati, degli orfani. L'ideale dell'istituzione era espresso con due motti: "Gesù, Papa, Anime, Maria" e "Restaurare tutte le cose in Cristo". 
Nel 1897, durante gli esercizi spirituali, Don Orione stese i suoi propositi in trenta punti minuti e severi. Tra l'altro scrisse: "O Signore Gesù, oggi comincio vita nuova, come un secondo battesimo. Prometto di fare tutto ciò che vedrò e che potrà farmi santo, di abbandonarmi in tutto nelle braccia di Gesù... Voglio fare penitenza dei miei peccati e amare il Signore con il cuore e con le opere, tanto da morire arso dalla sua carità. Vivrò, con il permesso del confessore, a pane, acqua e minestra. Mi confesserò possibilmente tutti i giorni e non meno di ogni tre giorni. Andrò a confessarmi da chi mi farà più santo... Mi farò la disciplina e metterò il cilicio. Parlerò poco, pregherò molto e lavorerò tanto da cadere alla sera stanco nelle braccia di Gesù, mio bene e mio tutto". 
Subito dopo l'ordinazione sacerdotale, Don Orione, per fare un po’ di bene e procurare il pane ai suoi figli, accettò predicazioni in quasi tutte le parrocchie della diocesi. La sua comparsa in un paese voleva dire i confessionali assiepati di penitenti e la comunione generale. Signore della parola, la sapeva piegare con chiarezza e unzione a tutte le necessità degli uditori. Benché piccolo, tozzo, di aspetto fisicamente volgare, possedeva uno spirito dinamico e tenace. Non aveva una straordinaria intelligenza, ma si era formato una buona cultura patristica. Di temperamento ardente e sensibilissimo, non offendeva mai anche quando proferiva i suoi drastici giudizi. Aveva una straordinaria luce negli occhi e quando parlava sembrava davvero ispirato. 
L'8-9-1898 Don Orione ampliò la sua opera dando l'abito della penitenza ai primi tre eremiti della Divina Provvidenza nel santuario della Madonna sul Monte Spineto, con lo scopo di pregare e lavorare nei cenobi solitari e nelle colonie agricole per la prosperità spirituale e materiale della congregazione. Per sollecitare l'aiuto delle Dame della Divina Provvidenza e degli Amici coadiutori scrisse molto sul bollettino da lui pubblicato a cominciare dal 1895. Ne giunse una copia anche tra le mani di Mons. Blandini, vescovo di Noto (Agrigento), il quale pregò Don Orione di aprire nella sua diocesi prima un convitto e poi una colonia agricola con eremiti. 
Nel 1904 Don Orione dovette abbandonare il "Santa Chiara" perché il comune non gli rinnovò il contratto decennale d'affitto. Essendo in vendita il caseggiato degli Oblati del Vescovo, andò a seppellirvi una statuetta della Madonna e così la pregò: "Concedimi questa abitazione per i miei ragazzi: Tu sarai la mia padrona...". La casa gli fu venduta e due benefattori gli donarono la somma occorrente per l'acquisto e le riparazioni. Prima di consegnare la somma al Vescovo, il Beato fece collocare a ventaglio attorno al quadro della Madonna del Buon Consiglio i 26 biglietti da mille e invitò a vederli coloro che credevano giunta l'ora del fallimento della sua opera. Essendo voluta da Dio essa prosperò tanto che nel 1906 il fondatore fu in grado di presentarne a Pio X il regolamento definitivo e chiedergli il permesso di mandare i suoi figli in missione nel Brasile. Il papa ritenne più opportuno assegnarli, nel 1908, a Roma, la parrocchia di Ognissanti. 
Grande impressione nel 1908 destò in tutta Italia la notizia che il terremoto aveva devastato la città di Reggio Calabria e di Messina. Don Orione si recò, da solo, sul luogo del disastro, per raccogliere i primi orfani a Cassano allo Ionio con l'aiuto del vescovo, Mons. Pietro La Fontaine e iniziare "la spola della carità" tra le zone più colpite. Si stabilì a Messina sopra un carro merci per dirigere e organizzare i lavori di soccorso. In quei mesi faticò tanto da perdere, secondo lui, qualche anno di. vita. Lo stesso amore per il prossimo lo spingerà nel 1915 a soccorrere i terremotati della Marsica. Anche allora lavorò tanto da cadere un giorno sfinito sul ciglio della strada. In seguito dichiarò: "Ho proprio creduto di morire ed ho avuto un senso di mestizia. Pensai che il mio corpo sarebbe stato sbranato dai lupi e che i miei figliuoli non avrebbero avuto il conforto di venire a pregare sulla mia tomba". 
Lo zelo apostolico, di cui Don Orione era animato, fu molto apprezzato da Pio X. Avendo bisogno di una persona di fiducia da mettere come vicario generale accanto all'Arciv. di Messina, Mons. Letterio D'Arrigo, nel duro lavoro di riorganizzazione della diocesi dopo il terremoto, il papa pensò a Don Orione. Nonostante il bisogno di direzione che aveva ancora la sua incipiente congregazione, per compiacere il papa, il beato accettò quella carica per quasi tre anni (1909-1912), nonostante che l'arcivescovo, considerandolo una spia del Vaticano, nulla gli dicesse della diocesi, il settimanale diocesano lo chiamasse "pazzo" e Mons. Livio Mangraviti, astuto segretario dell'arcivescovo, lo detestasse perché lo considerava un intruso nell'ufficio di vicario generale, da lui agognato. Pio X, venuto a conoscenza delle difficoltà che incontrava, chiamò Don Orione "vero martire" e, tramite un suo figlio, gli raccomandò "di avere pazienza. pazienza, perché con la pazienza si fanno i miracoli". 
Don Orione non desiderava altro che compiere i desideri del sommo pontefice, ma i suoi avversari, per costringerlo ad andarsene, attentarono prima alla sua fama, falsificandone la firma sui registri di una casa di prostituzione e poi inducendo il loro comune barbiere a raderlo con un rasoio infetto. Sulla faccia e sulle mani di Don Orione apparvero presto dei tagli e delle pustole che cercò di curare con l'alcool. Un suo sacerdote, chiamato a restargli accanto, lo trovò nella sua camera afflitto da un dolore pacato e profondo, perché temeva di essere stato avvelenato. A consolarlo da Tortona accorse pure nel mese di luglio 1910 Don Sterpi. Dopo una settimana Don Orione guarì. Ritornò in curia e a quanti con premura gli dicevano: "Come sta, monsignore? Abbiamo tanto trepidato per lei", rispondeva: "Non sono mai stato tanto bene come in mezzo a questa razza di vipere". Frattanto i perfidi, sul suo tavolo, avevano fatto trovare un libro di medicina aperto alla pagina e al titolo: "Come si cura la sifilide". Il beato non volle deferire al tribunale civile il barbiere, in seguito reo confesso e i mandanti, ma finché visse quel delitto "pesò sempre come un incubo sul suo cuore". 
Il tentativo di diffamazione era tanto più sanguinoso in quanto Don Orione, per singolare privilegio di Dio, non andava soggetto a tentazioni contrarie alla castità. Fu comunque fatta un'inchiesta e provata la sua innocenza. In quel tempo gli apparve in pieno giorno Don Rua (+1910) e lo confortò. 
Don Orione riprese con maggior lena il suo lavoro a favore degli orfani e dei poveri, tra la generale ammirazione del popolo e dei sacerdoti più zelanti, quali il Can. Annibale di Francia (+1927), fondatore dei Rogazionisti e del Can. Giuseppe Allamano (+1926), fondatore dei Missionari della Consolata. Il suo programma di vita era così espresso in una lettera del 2.3.1911 a un conte: "Cercherò d'impastarmi di carità di dentro e di fuori e di annichilirmi per la salute dei fratelli e tirare all'amore di Dio e della Chiesa le anime del popolo". 
Da Messina, Don Orione continuò a lavorare per la formazione dei suoi chierici con lunghe lettere. Mons. Bandi, però, faceva difficoltà ad ammetterli agli ordini. Il Beato si rivolse allora a Pio X il quale, nel 1910 autorizzò diversi vescovi a promuovere agli ordini sacri i candidati che fossero stati loro presentati da Don Orione. 
Quando gli fu concesso di lasciare l'incarico di vicario generale, Don Orione si recò a Roma. Durante l'udienza, che Pio X gli concesse, ebbe la consolazione di emettere i voti perpetui nelle mani di lui. Con maggior efficacia potè così lavorare per l'incremento della sua congregazione. Formò vocazioni decise a tutte le opere di carità scrivendo ai superiori delle varie case: "Ci sia solo lo strettamente necessario per non soffrire freddo e fame e vivete umilissimamente nell'orazione e nel lavoro e in dolce povertà della grotta di Betlemme e della Croce". 
Se era facile nell'accogliere postulanti di qualsiasi età, provenienza e condizione, esigeva che fossero promossi agli ordini solamente quelli che avessero vero spirito di fede, sicura vocazione, spirito di umiltà, di sacrificio. In nessuno tollerava oziosità e mollezze. Era sua massima: "I giovani non si devono toccare né per carezzarli, né per castigarli". Diceva: "I religiosi devono essere angeli". Nel 1920 scrisse ai suoi figli: "Tutte le virtù voglio che siano da noi praticate, ma quanto alla purità voglio che sia la virtù speciale nostra... Madonna, Madonna mia! disperdete fin le pietre dei nostri Istituti, in cui i Figli della Divina Provvidenza cessassero dell'essere tali da non potersi più chiamare ne essere, i prediletti del vostro cuore per questa angelica virtù". 
Accanto ai Figli della Divina Provvidenza, con gli stessi intenti, nel 1917 Don Orione fece sorgere anche le Piccole Missionarie della Carità. Dopo la loro istituzione, invece di lavorare per la gioventù, il beato dedicò le sue energie al sollievo degl'infelici che chiamava "le perle della società". Per essi istituì case che il popolo spontaneamente chiamò Piccoli Cottolengo Don Orione. Tra i suoi scritti c'è un canto d'amore: "Amare Gesù e le anime è l'opera più grande che si può fare sulla terra... I piccoli e i poveri di Gesù, i ciechi, i vecchi, gli afflitti, gli orfanelli, i malati sono il mio sogno e il canto di Dio che mi gira intorno all'anima". 
Non aveva, quindi, tempo di occuparsi dei rivolgimenti politici di quegli anni burrascosi. Nei suoi appunti del 1920 si legge: "La mia politica è il Pater Noster, il mio partito la carità". Rifuggiva dall'incontrarsi con pubblicisti e giornalisti. Durante il fascismo non si piegò mai a servilismo e apertamente disapprovò quanto altri lodavano. 
Da parte di qualcuno furono fatti tentativi per dare un diverso indirizzo alla sua opera, ma Don Orione si diceva "disposto a rimanere anche solo o a ritirarsi piuttosto che mutarne lo scopo". Era affabile e mansueto con tutti. Si scusava delle dimenticanze in cui poteva incorrere dicendo: "La mia povera testa è un gran cestone". Era convinto di essere un povero prete di campagna, un gran peccatore, un "facchino della divina provvidenza", uno "straccio della santa Chiesa". Con grande realismo scrisse un giorno a Mons. Bruno, segretario della S. Congregazione del Concilio: "La mia piccola congregazione è la congregazione degli stracci: siamo stracci della Chiesa e siamo per gli stracci". Con grande umiltà definì più volte la sua opera un grande pasticcio. "Lo dico specialmente ai vescovi e alla Chiesa, perché non si lascino imbrogliare da me e ai nostri sacerdoti e chierici, perché non si insuperbiscano se la divina Provvidenza si serve dei nostri stracci per fare un po' di bene". Quando però si era convinto che una iniziativa corrispondeva ai disegni di Dio o riusciva opportuna o necessaria per il bene del prossimo, non vi era difficoltà che lo arrestasse: non i viaggi lunghi e faticosi, non la mancanza di denaro, non le contrarietà. Più volte, nel modo più inaspettato, gli giunsero in mano e proprio al momento opportuno delle somme cospicue. Parlando nel mese di marzo 1939 ai vecchietti dell'ospizio Sant'Antonio di Ameno (Novara), egli stesso affermò di essere stato aiutato varie volte da S. Giuseppe in modo miracoloso. Nel 1925 fu chiamato d'urgenza a Cortona da un'anziana benefattrice. Essendovi giunto di notte, smarrì la via. Anziché chiedere informazioni preferì volgersi verso il santuario di S. Margherita la penitente, raffigurata di solito con il cane e dirle: "Oh, se tu volessi mandarmi il tuo cane!". Improvvisamente gli comparve dinanzi un cagnolino bigio, il quale lo precedette fino alla casa della benefattrice. Don Orione lo benedisse e il cagnolino, fatti tre inchini, scomparve. 
Dio lo ricompensava così e del suo amore per i poveri e del suo distacco dai beni della terra. Scrisse il 7-9-1922 a Carlotta Celesia: "Grazie a Dio non ho attacco ai mattoni, ne corro dietro alle rendite... Io non cerco roba o denaro, cerco anime". Nel 1929 confidò a Don Risi: "Come si vada avanti non lo so; ora vedo proprio ogni giorno la mano di Dio che sta aperta sopra di noi. Dì ai nostri sacerdoti che la Piccola Opera va diventando un miracolo di tutti i giorni; mai come oggi mi vedo costretto a confessare che è stata opera della mano di Dio... Più i poveri crescono e più Gesù vi pensa". Nel 1933 diede all'arcivescovo di Genova, il cardinale Dalmazzo Minoretti, l'annuncio dell'acquisto del manicomio del Paverano in questi termini: "Si degni V. Em. aiutarmi a ringraziare Nostro Signore che si serve di me ignorante e grande peccatore, perché non ha trovato sulla terra creatura più vile di me: adopera lo stereo per confondere l'oro di questo mondo perché chi fa tutto è Iddio e la sua Provvidenza". Nel 1935 scrisse all'arcivescovo di Milano, il Ven. cardinale Ildefonso Schuster, nella cui archidiocesi aveva dato inizio nel 1933 al Piccolo Cottolengo con l'aiuto del senatore Stefano Cavazzoni: "Tra il denaro e me c'è una specie d'inimicizia perpetua. Non ho soldi, ma non ho debiti". 
Dalla sua carità Don Orione non escluse nessuno, neppure i sacerdoti "lapsi". Usava specialissimi accorgimenti nel riceverli nelle case del suo Istituto. Diceva: "Quest'opera ci costerà molto, ci darà molti dolori, ma il Signore, anche solo per questo, ci darà il Paradiso". Molto egli si adoperò perché tanto Romolo Murri (+1944) quanto Ernesto Buonaiuti (+1946), due sacerdoti modernisti scomunicati, ritornassero a migliori sentimenti. 
Nei convegni fu sovente udito affermare che egli aveva storpiato e rovinato i disegni del Signore. Era convinto che "il Signore prende ciò che è debole per confondere ciò che è forte", tuttavia non prendeva decisioni di qualche importanza senza chiedere il consiglio a uomini esperti quali S. Pio X, il B. Luigi Guanella, il P. Felice Cappello SJ. e diversi cardinali. 
Don Orione era di temperamento dinamico, tenace nel lavoro, incurante della fatica, nemico di ogni formalismo e perditempo, fino a dare ordine di bruciare un sofà su cui a Villa Moffa (Bra) aveva trovato due chierici a fare la siesta. Di fibra robustissima, non dormiva più di cinque ore per notte. Di giorno, benché stanchissimo, non riposava mai. Non fu mai visto uscire di casa per un po' di svago o un passeggio. Suo unico sollievo erano le visite ai poveri, ai malati, agli orfani, ai probandi delle varie case. Sovente dovette fare viaggi in cerca di pane per i suoi poveri e i suoi chierici. Ciò nonostante non gli mancarono critiche da parte dei suoi stessi figli, motivo per cui, il 1-2-1924, scrisse a Don Risi: "Quelli che si lamentano di me non sanno la vita che faccio; da tre mesi non vado mai a letto prima dell'una e alle volte ci tiro fino alle due o alle tre di notte". In altra circostanza gli uscì dal cuore questo lamento: "Sono solo a lavorare e sono pochi quelli che veramente lavorano. Chiacchiere molte, ma olio di gomito sono pochi, pochi, pochi". "Se i miei sapessero tutto, avrebbero un po' di compassione e vivrebbero diversamente. Poveri miei figli, che non capiscono niente! E vivono da signori o non tutti almeno da poveri religiosi". Un giorno ricevette una brutta parte da impiegati della Curia romana. Don Orione allora scattò e il 26-9-1923 scrisse a Don Sterpi: "La Chiesa non la servono e non l'amano solamente quelli che stanno al Vaticano, perbacco! La servono e la amano anche quelli che, senza un soldo di stipendio e senza cercare onori ne cariche, si logorano la vita nel silenzio e nei debiti, per dare pane e vita timorata di Dio a dei poveri fanciulli". 
Diceva sovente: "Sono nato povero, voglio vivere povero e voglio morire povero. Ho cominciato l'opera con otto soldi, ma sono sempre stato aiutato da tutti". Non tollerava che qualcuno cercasse di alleviare la sua povertà che praticava fino all'esagerazione. Talvolta dovette rimanere chiuso in camera in attesa che gli rammendassero la veste o gli risuolassero le scarpe che voleva pulite, ma non lucide. Pio X, ricevendolo un giorno in udienza, gli chiese bonariamente: "Quante sono le persone che le hanno dato in prestito gl'indumenti?". 
Finché la salute glielo permise il beato viaggiò sempre in terza classe. Quando servirsi dell'automobile era diventato una necessità, gli sembrava cosa più da signori che da poverelli e ne faceva a meno il più possibile. Era persuaso che "senza la povertà, le comunità non possono conservare il buono spirito". Disse un giorno piangendo: "Purtroppo io morirò con la pena di non essere stato compreso dai miei figli come sia e debba essere intima la povertà della congregazione". 
Abitualmente non portava con sé portafogli, né orologi, né la chiave di casa perché, diceva, la chiave è del padrone e la nostra casa è dei poveri. Per molti anni, non avendo pastrani, si recò d'inverno dal Paterno a San Bernardino presso le suore con una coperta sulle spalle. Non voleva che si viaggiasse con valigie, si facesse uso di borse da ragioniere e si portassero orologi al braccio. Alle suore raccomandava di stare lontano dai preti che fumavano e bevevano liquori. 
Ai suoi figli diceva sovente: "Se volete che la provvidenza ci aiuti dobbiamo essere poveri". Difatti non fu mai visto fare questione di retta o di quota. Se c'era nei suoi ospedali un solo letto libero lo riservava non a chi poteva contribuire in qualche misura, ma a chi non possedeva nulla. Per far fronte a esigenze urgenti teneva un fondo di alcune centinaia di migliaia di lire. Diceva: "Quando si vuole fare il bene non bisogna aspettare l'ultimo soldo per comperare l'ultima tegola". 
Parlando ai benefattori fu più volte udito dire: "Quello che fate per i poveri è per Iddio. È Gesù che entra con i poveri, che voi visitate nei poveri". Perché cercava di diffondere le sue opere un po' ovunque, taluni non lo comprendevano e lo trattavano da squilibrato. Don Orione sopportava e superava tutto dicendo: "Quante volte ho travisto Gesù nei poverelli! Dobbiamo trattarli come nostri padroni". Il 18-8-1921 scrisse: "Io non voglio che si litighi con i vescovi per cose materiali: voglio stare inchiodato ai piedi della Chiesa e dei vescovi e di ciascun vescovo". La spiegazione di ciò è contenuta nella lettera che il 2-4-1925 scrisse al Guardiano del convento di Meda (Milano): "Mi è più cara un'oncia di carità che mille quintali di diritti: con i diritti c'inforchiamo; con la carità ci uniamo, ci edifichiamo in Cristo e ci santifichiamo". 
In occasione del 25° anno di fondazione dell'Istituto dichiarò: "Un pensiero mi conforta e sia detto a gloria di Dio e ad esempio di chi verrà in congregazione: che in mezzo a tanti peccati e ingratitudini e freddezze e sbagli e mancamenti e deficienze, con la divina grazia e per la divina grazia, questi 25 anni sono stati di amore e di fedeltà al S. Padre e alla S. Madre Chiesa". Al cardinale Pietro La Fontaine, arcivescovo di Venezia, confermò: "Per la fede, per il papa, per la chiesa ben poco sarebbe il mio sangue e ben vorrei poter dare mille e mille volte al minuto tutta la mia vita". 
Nei contrasti il beato esclamava: "Tutto come vuole il Signore! Unicamente come vuole il Signore!". E scriveva: "Se fosse volontà di Dio distruggerei anche la congregazione". Ogni casa da lui fondata conobbe povertà e prove, ma egli stesso diceva: "Guai a noi se non fosse così". Nelle sue lettere ripeteva sovente: "Gesù si ama sulla croce, o non si ama". 
Dove trovava Don Orione tanta forza e tanto coraggio per le sue opere di bene? Nella preghiera e nella devozione alla Madonna, verso la quale voleva che i suoi chierici nutrissero una devozione di figli e non di schiavi. Appuntò in minute di scritti vari: "L'uomo tanto vale quanto prega. Dal nostro lavoro tanto resta quanto è cementato dall'orazione". "Tutto si può nascondere, meno che la mancanza di pietà". Il 4-3-1919 scrisse alla contessa Spalletti: "Quando io prego sento la voce di Dio nel profondo dell'anima e sento Iddio che cresce in me. Tutta la vita è vuota e così vana e arida quando non prego". 
Comunque avesse passato la notte, Don Orione appena sentiva bussare alla porta per la sveglia, si alzava per essere presente con gli altri agli esercizi di pietà. Era tenacissimo nella pratica della meditazione quotidiana. Celebrava la Messa con tanta devozione che dava la sensazione di vedere Dio. Quando si trovava a Roma per la festa di S. Luigi andava immancabilmente a celebrare la Messa all'altare del santo nella chiesa di S. Ignazio. Per lui Gesù sacramentato era il padrone di casa. Non partiva e non giungeva in uno dei suoi istituti o dei suoi ospedali, senza passare in cappella a salutarlo. Nei Piccoli Cottolengo istituì la laus perennis e perché in qualche casa non mancasse mai l'adorazione al SS. Sacramento fondò nel 1926 le Suore Cieche Adoratrici. Benché fosse dispensato dal celebrare la Liturgia delle ore, per il grande lavoro da cui era oberato, la recitava quando poteva, magari in treno. Impreziosiva i ritagli di tempo con le giaculatorie o con la recita del rosario. Si raccomandava pure alle preghiere degli altri dicendo: "Se Dio non mi tiene la mano sulla testa che cosa sarà di me?". 
Don Orione non faceva nulla senza la Madonna e per la Madonna. Soleva dire: "Si è cominciato ai piedi della Madonna: Ave Maria e avanti!" Con la Madonna faceva tutto, senza la Madonna non faceva niente. Tutti gli anni organizzò grandiosi pellegrinaggi specialmente ai santuari della Madonna della Guardia e di Caravaggio. Quando viaggiava aveva sempre le tasche piene di medaglie e di immagini e le donava a profusione. 
Il 29-8-1918 nell'antica chiesetta di San Bernardino, in cui da tempo era venerata la Madonna della Guardia, fece il voto di erigere un tempio alla Vergine SS. se la grande guerra si fosse conclusa con la vittoria dell'Italia e i soldati del rione fossero ritornati a casa sani e salvi. Per motivi da lui indipendenti potè far benedire la prima pietra soltanto nel 1926 dal cardinale Pietro Perosi e dare il primo colpo di piccone nel 1928 alla testa dei suoi giovani e chierici. Il tempio fu inaugurato il 28-8-1931 dal vescovo di Tortona Mons. Pietro Grassi. In quell'occasione i chierici e i ragazzi di Don Orione, che si erano fatti per tre anni "facchini della Madonna", recarono in processione le carriole e gli strumenti da muratore. Nel 1935 Don Orione scrisse a Mons. Bruno: "Il Santuario se lo è fatto la Madonna e posso ben dire mattone per mattone. La Madonna non mi ha mai lasciato confuso nelle giornate di pagamenti". Per destare interessamento e suscitare la carità dei buoni, progettò di porre sul santuario una statua della Vergine SS. di grosse proporzioni. Chiese perciò e fece raccogliere nei paesi della diocesi oggetti di rame in disuso meritandosi così il titolo di "prete delle pignatte rotte". La statua, alta 14 metri, in bronzo fuso, soltanto nel 1959 fu collocata sull'alta torre campanaria e fu illuminata per impulso radio da Giovanni XXIII. 
Anche a Fumo di Corvino (Pavia) Don Orione nel 1939 fece costruire un santuario in onore della Madonna di Caravaggio. Don Perduca, incaricato dei lavori, si trovò un giorno senza denari per pagare gli operai. Si recò da Don Orione, ma egli gli disse: "Ho niente, venite domani: la Madonna ci penserà". Il giorno dopo andò a celebrare la Messa in San Michele, all'altare della Vergine del Carmine, la cui nicchia rientrava nel muro perimetrale di casa madre e così la pregò: ''Cara Madonna, ho bisogno di denari per gli operai di Fumo: pagami un po' di affitto". Dopo la Messa gli si presentarono in sacrestia due benefattrici che gli offersero l'esatta somma occorrente. Don Orione esclamò: "Benedetta la santa Madonna! 
La Madonna i santuari se li fa da sé: non bisogna lesinare con lei!...". In quello stesso anno, trovandosi un giorno con G. Zambarbieri nella stanza dell'economato, gli disse: "Vedi? Quella Madonna mi ha parlato". 
Nel 1921 Don Orione fece il primo viaggio nell'America Latina per visitare la casa che aveva aperto nel 1913 nella diocesi di Marianna, in Brasile e avviarne altre in Argentina. In seguito confessò: "Piangevo nel vedere quel popolo senza un sacerdote che battezzasse i loro bambini, che confortasse i loro malati, che benedicesse le tombe dei loro morti". 
Il secondo viaggio lo fece nel 1934 quando cioè la sua congregazione contava già quindici istituti in Brasile, Argentina e Uruguay. Prima di partire raccomandò ai suoi figli l'amore a Gesù, alla Madonna, al papa e ai poveri e diede ordine di dire ogni giorno una Salve Regina "perché il Signore ci mandi delle croci e ci dia la forza di ben sopportarle". Egli ne portava tante in fondo al cuore, ma una lo faceva addirittura sanguinare. Nel 1930 due sacerdoti di Tortona, durante una missione in Svizzera, fecero imprudentemente circolare il sospetto che a Messina, Don Orione avesse frequentato case di tolleranza. La falsa insinuazione, con somma afflizione di Don Orione, venne a conoscenza persino dei suoi chierici e di numerosi laici. Ignoriamo ancora il motivo per cui il vescovo, Mons. Pietro Grassi, non sia intervenuto per rendere omaggio alla verità. Don Orione colse allora l'occasione del congresso eucaristico internazionale di Buenos Aires per visitare le sue case, ma soprattutto per porre un atto a tutela del suo buon nome e delle congregazioni da lui fondate. Dall'Argentina il 5-10-1934 scrisse ai suoi religiosi: "Perdono e amo tutti in Gesù Cristo, vorrei morire per Gesù e per la Chiesa e per le anime e specialmente per quelli per cui vado in esilio. Iddio benedica tutti". Pochi giorni dopo scrisse al vescovo una lettera in cui gli chiedeva una dichiarazione a tutela della sua innocenza. Quando la lettera giunse a destinazione Mons. Grassi era già morto. In seguito, non essendo stata accolta la sua richiesta neppure dal nuovo vescovo Mons. Egisto Melchiori, il beato profetò: "Mi farete da morto quello che non mi fate da vivo". Il 2-2-1938 dispose che, in segno di protesta, dopo la sua morte fosse seppellito almeno un metro fuori i confini della diocesi di Tortona. 
Sul Conte Grande, su cui Don Orione s'era imbarcato, si trovava anche il cardinale Eugenio Pacelli, Legato Pontificio, al quale furono presentati ufficialmente i pellegrini. Don Orione avrebbe voluto buttarsi ai piedi del rappresentante del papa per baciargli la porpora e riceverne la benedizione, ma il Legato lo trattenne dicendogli: "E io che cosa dovrei baciare a lei che è un Santo?". Durante il viaggio Don Orione fece due prediche che sorpresero tutti. L'arcivescovo di Palermo, Mons. Ernesto Ruffini, che era presente, testimoniò: "Sapevo che Don Orione era un sacerdote di molta virtù, ma ero ben lungi dal pensare che fosse un uomo di tanta dottrina e di tanta potenza oratoria. Ha fatto delle prediche meravigliose: ha fatto piangere tutti". Fu offerto un pranzo in onore di Don Orione. Questi vi partecipò per non disgustare nessuno, ma, per far capire che si sbagliavano nel ritenerlo qualcosa di più che un povero prete, si mise a raccontare episodi della sua fanciullezza dipingendosi come il più "barabba" del suo paese. 
Nell'America Latina, sostenuto dalle competenti autorità, inaugurò Piccoli Cottolengo, guidò i primi passi delle sue opere, suscitò vocazioni riponendo come al solito una illuminata fiducia nella divina Provvidenza. Nell'interno del Chaco, a Itati, gli fu offerto un santuario della Madonna ed egli lo fece restaurare e ingrandire. Diceva: "Ci sono i protestanti, gli ebrei e i mercanti per amore del cotone e della ricchezza, e non ci sarà il sacerdote per le anime, per i poveri?". Dall'Argentina inviò in Italia radiomessaggi, dischi incisi e mirabili lettere che costituiscono la "magna charta" dello spirito dell'opera e sono autentiche testimonianze della sua attività e santità. 
Don Orione ricevette lumi speciali dalla SS. Vergine. Un giorno, tra i rifiuti di Buenos Aires, trovò una statuetta della Madonna del Carmine che era mal conciata. La raccolse con devozione, se la mise in camera e più di una volta, di notte, vide accendersi improvvisamente su di essa una luce misteriosa per mezzo della quale comprese fatti che avvenivano in lontananza e interessavano l'opera. 
Prima di lasciare l'Italia Don Orione non stava già bene. Ora i suoi religiosi scrivevano: "Se il nostro caro Padre rimane ancora qui in America, muore per il lavoro". Il Beato avrebbe voluto restarvi ancora perché c'era tanto bene da fare, ma quando fu pregato di ritornare, ubbidì. All'imbarco andò a salutarlo una grande folla di popolo e di autorità e persino il presidente della Repubblica. Giunse a Tortona per la festa della Madonna della Guardia 129 agosto 1937) più curvo di quando era partito. Riprese subito il suo lavoro alle dipendenze del Visitatore Apostolico, l'abate Emanuele Caronti OSB, che la S. Sede aveva nominato e, specialmente, a fare la spola tutte le settimane tra Tortona e Genova, tra Tortona e Milano per ricevere e dare soccorsi, confortare gli afflitti, consigliare i dubbiosi. Da ogni parte riceveva fasci di lettere ed era invitato a visitare malati. Un giorno fu chiamato al letto di un ragazzo morente di Rapallo. Appena il malato lo vide parve riprendersi. Gli disse: "Don Orione, se lei mi bacia io guarisco". Benché il ragazzo avesse alla bocca delle pustole e delle croste ripugnanti il Beato lo accontentò e il malato all'istante guarì. La grazia, però, fu attribuita da lui al pezzo di cilicio di S. Carlo Borromeo che portava con sé. 
In due eccezionali raduni di benefattori e amici nell'Università Cattolica di Milano, Don Orione parlò ascoltatissimo, levando un inno alla carità (dicembre 1937) e alla divina Provvidenza (gennaio 1939). Con gli aiuti ricevuti potè aprire nuove case e incrementare gli studi dei suoi chierici. Durante l'inaugurazione, a Roma, dell'Istituto S. Filippo Neri (gennaio 1938), disse all'On. Stefano Cavazzoni, oratore ufficiale: "Carissimo senatore, quante esagerazioni, quanti complimenti! Io non faccio altro che rappezzare i piani della divina Provvidenza...". 
Nello stesso anno diede nuovo impulso alla "laus perennis" dei rappresentanti delle varie famiglie religiose negli istituti di carità dicendo: "E’ con la preghiera che si fanno le opere di Dio. E da essa che abbiamo la luce divina, la forza sovrumana, il coraggio del bene, la serenità nelle tribolazioni, la calma celeste che si riverbera talvolta anche nell'aspetto della persona che prega". Soventissimo nella sua vita aveva costatato l'efficacia della preghiera. Nel 1938 Mons. Melchiori gli aveva imposto di abbreviare la processione che ogni anno, a cominciare dal 1919, faceva da S. Bernardino al castello di Tortona, in onore della Madonna della Guardia. Per evitare lo scandalo dei fedeli, Don Orione nella mattinata chiese a Maria SS. la grazia d'intervenire a giustificazione della sua ubbidienza. Ebbe la certezza di essere stato esaudito. Difatti, durante il pranzo, allestito all'aperto per i benefattori, improvvisamente si scatenò un temporale tale che rese impossibile la tradizionale processione. 
Quand'era ancora in America, un giorno Don Orione confidò a uno dei suoi figli: "Qualche volta mi sono raccomandato l'anima da me. Ho un po' di mal di cuore che mi fa voltare e rivoltare per delle ore senza darmi requie; ma via!, siamo giovanotti di 62 anni; se anche viene sorella morte, l'accoglieremo a festa, che siamo vissuti abbastanza, ti pare?...". La morte sembrava che lo volesse rapire il 1-4-1939 mentre si trovava in Alessandria. Portato all'ospedale, alla pesa risultò di 75 chilogrammi. Si rivolse allora al sanitario e gli disse: "Eh, caro dottore, i peccati pesano!". Volle ricevere i sacramenti, ma dopo una settimana rassicurò tutti esclamando: "Sono risuscitato, Ave Maria e avanti!" 
Di ritorno dall'Argentina, nel mese di settembre 1939 fu ricevuto in udienza, per la prima volta, da Pio XII. Essendo stato esortato ad esprimere qualche desiderio, rispose: "Santo Padre, chiedo che abbia a restare il Visitatore Apostolico fin dopo la mia morte". Un mese dopo i 1700 alunni del S. Filippo Neri, ammassati a Porta San Sebastiano, ottennero di rendere omaggio al papa di ritorno da Castel Gandolfo. Don Orione, che si trovava tra loro, si apprestò con gioia a ossequiare il papa che gli diede la mano da baciare, ma egli la prese e se la mise sul capo. Poco dopo spiegò: "L'ho fatto perché mi aggiustasse i sentimenti". 
La vita di Don Orione parve nuovamente spezzarsi il 9-2-1940. Chiese i sacramenti, ma anche questa volta, appena superata la crisi, volle riprendere il lavoro. Fece dire a Don Sterpi, che gli consigliava il riposo: "Rinunzio alla salute; rinunzio alla vita, ma voglio fare il mio dovere fino all'ultimo". Ripeteva sovente: "Desidero morire stando in piedi, guardando il cielo e lavorando". Alle suore diceva: "Se vi è possibile non dite mai la parola 'son stanca per il lavoro' perché tale parola nel vocabolario dei santi non esiste. Lavoriamo e poi... andremo in Paradiso". 
Quando il male lo tormentava non fu mai visto compiere un gesto di contrarietà. Qualche volta si rammaricava soltanto di doversene stare inoperoso, specialmente di recare disturbo agli altri. Ogni tanto ripeteva: "So di che morte morirò e bisogna che stia preparato sempre". Gli fu consigliato di trasferirsi nel Pensionato di Santa Clotilde a San Remo, ma egli, la vigilia della partenza, nel dare l'ultima buona notte ai suoi figli, protestò: "Non è tra le palme che voglio vivere e morire, ma tra i poveri che sono Gesù Cristo". Prima di partire volle fare la sua confessione in preparazione alla morte. 
A San Remo Don Orione preparò una spedizione missionaria, scrisse lettere e inviò un bei telegramma a Pio XII nell'anniversario dell'incoronazione. Il 12 marzo, prima di cena, volle recitare con il chierico infermiere le orazioni e il rosario, inginocchiato per terra. Alle 22,45 il suo respiro si fece tagliente. Chiamò l'infermiere che lo aiutò a mettersi sopra una poltrona. Spirò poco dopo ripetendo flebilmente: "Gesù, vado, vado, Gesù, Gesù!". Lasciava 300 sacerdoti e 16.605 pagine di scritti che formano 62 volumi. 
Per una settimana la salma del beato passò, come in trionfo, da Sanremo a Milano attraverso la riviera ligure. Don Orione fu sepolto a Tortona "la città del suo pianto e del suo amore", nella cripta del Santuario della Madonna della Guardia, dopo che la curia vescovile gli aveva reso quella giustizia che gli era stata negata in vita. 


           Spoglie incorrotte di San Luigi
Il processo di beatificazione del padre dei poveri fu introdotto il 29-3-1963. Il 6-2-1978 Paolo VI ne riconobbe l'eroicità delle virtù e il 26-10-1980 Giovanni Paolo II lo beatificò. Il corpo di Don Orione è stato riesumato e trovato intatto. E oggi esposto alla venerazione dei fedeli nel Santuario della Madonna della Guardia che aveva costruito con l'aiuto dei suoi ammiratori. Sac. Guido Pettinati SSP, 







                                                       





Spoglie incorrotte di San Luigi Orione al momento della ricognizione il 12 Marzo 1965 (25 anni dopo la morte).



1872 Il 23 giugno nasce a Pontecurone (AL). 
1885 Il 14 settembre viene accolto dai Francescani di Voghera, ma, a causa di una malattia che lo riduce in fin di vita, viene dimesso nel giugno del 1886. 
1886 Il 4 ottobre, vivente Don Bosco, entra nell’Oratorio di Valdocco (TO); dove vi rimane tre anni. 
1889 Il 16 ottobre entra nel seminario diocesano di Tortona (AL), che frequenta con profitto, lavorando al contempo come custode in Duomo. 
1892 Il 2 marzo inizia l’apostolato in favore della gioventù radunando ragazzi per il gioco e il catechismo.Il 3 luglio successivo inaugura l’Oratorio San Luigi. 
1893 Il 15 ottobre il chierico Orione, a 21 anni, apre il primo Collegio nel rione San Bernardino di Tortona. 
1894 Il 15 ottobre il Collegio viene trasferito nel più spazioso “Santa Chiara” e vengono aperte anche delle Case per studenti a Genova e a Torino. 
1895 Il 13 aprile Don Luigi Orione è ordinato Sacerdote. 
1896 A ottobre apre una Casa a Mornico Losana. 
1898 Il 5 agosto inizia la pubblicazione de “L’Opera della Divina Provvidenza”.A settembre viene chiamato a Noto (SR) da Mons. Bandini e accetta di dirigere il Collegio vescovile San Luigi e, successivamente, la Colonia Agricola. 
1899 Il 30 luglio avviene la vestizione dei primi Eremiti della Divina Provvidenza.Ad ottobre apre il Collegio San Romolo a Sanremo. 
1901
1902 Si da inizio alle Colonie agricole di Bagnorea, Cegni di Varzi, e di Roma (quella della Nunziatella, di S. Giuseppe alla Balduina, di Santa Maria a Monte Mario). 
1903 Il 21 marzo la Piccola Opera riceve l’approvazione diocesana da parte di Mons. Igino Bandi, vescovo di Tortona. 
1904 A maggio Casa Madre viene definitivamente trasferita in Via Emilia 63 a Tortona, prendendo il nome di “Convitto Paterno “.Viene affidata alla Piccola Opera della Divina Provvidenza la cura della Chiesa di Sant’Anna dei Palafrenieri in Vaticano. 
1905 Don Orione apre a Tortona la sua prima tipografia. 
1908 Il 25 marzo, su richiesta di Pio X, Don Orione inizia il ministero nel quartiere Appio a Roma, definito allora “la Patagonia romana”. 
1909 II 4 gennaio parte per la Sicilia per portare i primi e urgenti soccorsi dopo il disastroso terremoto di Reggio e Messina.Apre un Orfanotrofio a Cassano Ionio.Il 15 giugno Pio X nomina Don Orione Vicario Generale della Diocesi di Messina. 
1911 L’8 dicembre Don Orione acquista Villa Moffa a Bra (CN), che trasformerà in Noviziato e casa di studi della Piccola Opera. 
1912 Ad aprile Don Orione rientra a Tortona.Il 19 aprile, durante una udienza, emette i Voti perpetui nelle mani di Papa San Pio X. 
1913 A dicembre partono i primi Missionari per il Brasile. 
1915 Il 13 gennaio, in occasione del terribile terremoto della Marsica, Don Orione accorre con prontezza e generosità per prestare i primi soccorsi alla popolazione.Il 29 giugno Don Orione dà inizio alla Congregazione delle Piccole Suore Missionarie della Carità.Viene aperto il primo Piccolo Cottolengo ad Ameno (NO). 
1918 Il 29 agosto a Tortona, implorando la fine del conflitto mondiale, fa voto di edificare un Santuario alla Madonna della Guardia. 
1921 Il 4 agosto Don Orione parte per il Sud America, recandosi in Brasile, Argentina ed Uruguay.Vengono aperte nuove opere: una Colonia Agricola a Rafat (Palestina), Casa di Preservazione a Rio de Janeiro (Brasile), una Parrocchia e il Collegio San Francesco a Puerto Mar del Plata, il Riformatorio Marcos Paz a Buenos Aires (Argentina). 
1922 Il 4 luglio Don Orione rientra in Italia. 
1923 Viene aperta la prima Casa in Polonia, a Zdunska Wola, e si riapre l’Eremo di Sant’Alberto di Butrio, dove giunge Frate Ave Maria. 
1924 Il 19 marzo viene fondato il Piccolo Cottolengo genovese. 
1925 Il 30 giugno assume un Orfanotrofio ad Acandia (Isola di Rodi). 
1927 Il 15 agosto a Tortona viene fondato il ramo delle Suore Sacramentine non vedenti. 
1929 Inizia la pubblicazione del periodico mariano ” Mater Dei”. 
1931 Il 29 agosto a Tortona viene inaugurato il Santuario dedicato alla Madonna della Guardia. 
1933 A novembre viene fondato il Piccolo Cottolengo di Milano. 
1934 Viene aperta la prima Casa negli Stati Uniti, a Jasper (Indiana).Il 24 settembre Don Orione parte per il suo secondo viaggio in America Latina. 
1935 Il 18 aprile viene fondato il Piccolo Cottolengo Argentino, a Claypole (Buenos Aires). 
1936 Inizia la presenza della Piccola Opera in Inghilterra, a Cardiff, e nel Sud del Galles con la finalità di assistere gli emigrati italiani. Viene aperta in Albania a Shijak un’opera per l’assistenza dei lavoratori italiani. 
1937 Il 24 agosto Don Orione rientra in Italia dal Sud America. 
1938 Vengono inaugurati l’Istituto “San Filippo Neri” a Roma e quello “Artigianelli” ad Alessandria.Viene inaugurato il Piccolo Cottolengo di Milano. 
1939 Il 1° aprile Don Orione ha un grave attacco di angina pectoris ad Alessandria, da cui si riprende.A maggio si dà inizio all’attività di Villa Santa Caterina, a Genova-Molassana, rivolta a Signore nobili decadute.Viene inaugurato il Santuario della Madonna di Caravaggio, a Fumo (Pavia). 
1940 Il 9 febbraio un nuovo attacco di angina pectoris minaccia la vita di Don Orione, da cui, pur avendo ricevuto gli ultimi sacramenti, si riprende. Trascorre i suoi ultimi giorni a Tortona.Il 6 marzo fa l’ultima visita al Santuario della Guardia e alle comunità e l’8 marzo con l’ultima ” Buona notte ” in Casa Madre saluta i Confratelli.Il 9 marzo parte per Sanremo e il 12 marzo, dopo l’ultima Santa Messa e l’ultimo telegramma al Papa; alle ore 22,45, con le parole “Gesù, Gesù, Gesù… vado!”, torna al Signore. 
1980 Il 26 ottobre Don Orione viene proclamato “beato” a Roma da Papa Giovanni Paolo II. 
2003 Il 7 luglio viene promulgato il Decreto che riconosce un miracolo per l’intercessione di Don Orione. 
2004 Il 19 febbraio, durante il Concistoro dei Cardinali, viene dato l’annuncio della canonizzazione di Don Luigi Orione.Il 16 maggio si svolge la celebrazione di canonizzazione di Don Luigi Orione in Piazza San Pietro, presieduta da Papa Giovanni Paolo II. 









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