ESORTAZIONE AL CLERO CATTOLICO
IN OCCASIONE DEL 50° ANNIVERSARIO DEL SUO SACERDOZIO
I.MOTIVI E INTENTI
1. Scopo dell'esortazione - L'avvenire della Chiesa dipende dalla qualità degli Ecclesiastici
Abbiamo
scolpite nella mente e ci riempiono di salutare timore le parole
dell'Apostolo agli Ebrei (13,17), che, inculcando loro il dovere
dell'ubbidienza verso i superiori, affermava con tutta la sua autorità: "
Essi vegliano come responsabili che dovranno render conto delle anime
vostre ". Se questa sentenza riguarda tutti quelli, che hanno nella
Chiesa una qualunque preminenza, principalmente riguarda noi, che,
benché impari a tanto officio, abbiamo nella Chiesa la suprema autorità.
Quindi notte e giorno senza posa non ci stanchiamo di meditare e di
tentare tutto quanto interessa l'incolumità e la prosperità del gregge
affidatoci da Dio. Fra queste preoccupazioni una più delle altre ci sta a
cuore, ed è che i sacerdoti siano tali, quali li esige la dignità del
loro ministero, poiché a nostro avviso, per questa via principalmente,
possiamo nutrire liete speranze dell'avvenire della religione. Così, non
appena saliti al soglio pontificio, benché, volgendo uno sguardo
all'universalità del clero, scorgessimo in esso molteplici titoli di
lode, tuttavia non potemmo non esortare con ogni studio i nostri
venerandi fratelli, i vescovi dell'orbe cattolico, che in nulla
ponessero tanta perseveranza e tanta cura, quanto nel formar Cristo in
quelli che a formar Cristo negli altri sono destinati. Né ci sfugge lo
zelo e l'attività, che dispiegano nell'educare il clero alla virtù, del
che ci torna dolce non tanto di render loro una pubblica lode, quanto di
esprimere i sensi della più viva riconoscenza.
2. Stimolo ai ferventi ed ai meno ferventi
Se
non che, mentre per una parte ci allieta il vedere che, per tali cure
dei vescovi, già molti ecclesiastici si mostrano accesi di un sacro
fuoco, che risuscita o ravviva in essi la grazia di Dio ricevuta
nell'imposizione delle mani nella sacra ordinazione, per l'altra ci
resta ancora a lamentare che alcuni altri, in diverse regioni, non sono
così esemplari, che i fedeli cristiani, volgendo gli occhi in loro,
quasi in uno specchio, siccome a guida, possono conformare se stessi al
loro esempio. A questi vogliamo aprire il nostro cuore con questa
lettera, come il cuore di un padre palpitante di ansiosa carità nel
cospetto del figlio infermo. Per un tale veemente amore, aggiungiamo a
quelli dei vescovi i nostri ammonimenti; i quali, benché indirizzati
specialmente a ridurre a miglior consiglio i fuorviati e giacenti in
letargo, tuttavia possono, come è nostro vivo desiderio, essere anche
agli altri di stimolo. Noi additiamo la via, seguendo la quale, ciascuno
deve sforzarsi ogni giorno più di riuscire, secondo la chiara
espressione dell'Apostolo, " uomo di Dio " (1 Tm 6,11), e di corrispondere alla giusta aspettazione della Chiesa.
Nulla
diremo di non mai udito da Voi, o di nuovo per chicchessia, ma cose, le
quali conviene che ognuno si rammenti: e Dio ci infonde la speranza che
la nostra voce sia per produrre notevole buon frutto. Questo è il
nostro desiderio: " che vi rinnovelliate... nello spirito della vostra
mente, e vi rivestiate dell'uomo nuovo creato secondo Dio nella
giustizia e nella vera santità " (Ef 4,23-24): e sarà questo il
più bello e il più gradito dono, che Ci possiate offrire nel
cinquantesimo del nostro sacerdozio. E mentre noi, " contriti di anima e
umiliati di spirito " (Dn 3,39), ripenseremo in Dio i passati
anni del nostro sacerdozio; espieremo in certo qual modo i nostri umani
mancamenti, dei quali Ci abbiamo a pentire, ammonendovi con paterna
cura, " onde camminiate in maniera degna di Dio, piacendo a Lui in tutte
le cose " (Col 1,10). Ed in una simile esortazione non miriamo
semplicemente alla vostra utilità, ma al vantaggio generale dei fedeli
cattolici, che da quella non si può separare. Poiché tale non è il
sacerdote che possa essere buono o cattivo semplicemente per sé, ma
l'esempio della sua vita non è a dire di quali conseguenze sia fecondo
sull'indirizzo della vita dei fedeli. Ove è un sacerdote veramente
buono, qual tesoro è veramente largito dal cielo!
II.La santità del sacerdote
3. La santità, dote prima della vita sacerdotale - L'esempio deve precedere la parola
Diamo
principio, diletti figli, alla nostra esortazione, con l'incitarvi a
quella santità, che è richiesta dalla dignità del vostro grado. Poiché
chi è insignito del sacerdozio, non per sé soltanto, ma per gli altri
ancora ne è insignito: " Ogni pontefice scelto tra gli uomini, è
preposto a pro degli uomini a tutte quelle cose che riguardano Dio " (Eb 5,1).
Il medesimo pensiero volle esprimere Cristo, quando, a significare
quale sia il fine dell'azione sacerdotale, li paragonò al sole ed alla
luce del mondo, sale della terra.
Ognuno sa che sale e luce Egli è
principalmente per l'ufficio che ha di distribuire il pane della verità
cristiana; ma chi è che ignori che un tale ammaestramento non approda a
nulla, se il sacerdote non consacri con l'esempio le cose insegnate con
la parola. Gli uditori con irriverenza sì, ma non a torto obietteranno:
" Professano di conoscere Dio e lo rinnegano coi fatti " (Tt 1,16); e respingeranno la dottrina, né fruiranno della luce del sacerdozio.
Ond'è
che Cristo, forma viva del sacerdote, insegnò prima con l'esempio e poi
con le parole: " Principiò Gesù a fare, e poi ad insegnare " (At 1,1).
Parimenti se gli si levi la santità a nessun titolo il sacerdote sarà
più sale della terra: poiché ciò che è corrotto e contaminato non può
servire a conferire la purezza; e, donde esula la santità, conviene che
abiti la contaminazione. Perciò Gesù, continuando la medesima figura,
chiama tali sacerdoti sale insipido, " che non è più buono a nulla se
non ad esser gettato via e calpestato dalle genti " (Mt 5,13).
III. La santità dei Sacri Uffici
4.
L'altezza della vocazione e i Sacri Uffici per se medesimi esigono la
santità Quanto si è fin qui detto riceve nuova luce, quando si pensa che
noi esercitiamo l'ufficio sacerdotale non già a nostro nome, ma nel
nome di Gesù. " Così ", dice l'Apostolo, " ognuno consideri noi come
ministri di Cristo e dispensatori de' misteri di Dio " (1 Cor 4,1); " siamo davvero adunque ambasciatori di Cristo " (2Cor 5,20).
Proprio per questo motivo Cristo ci ascrisse non al numero dei suoi
servi, ma degli amici: " Non vi chiamerò già più servi... Ma vi ho
chiamati amici, perché tutto quello che intesi dal Padre mio, l'ho fatto
sapere a voi... Io ho eletto voi, e vi ho destinati, che andiate e
facciate frutto " (Gv15,16). E' quindi nostro ufficio di
rappresentare la persona di Cristo e di condurre la missione da lui
affidataci in maniera che ci sia dato di raggiungere il fine, che Egli
ha di mira. E poiché " il bramare e schivare le cose medesime, questo è
il pegno più fermo d'amicizia ", siamo tenuti, come amici, a nutrire i
medesimi sentimenti, che sono in Cristo Gesù, che è " santo, innocente,
immacolato, impolluto " (Eb 7,26): come suoi ambasciatori,
dobbiamo conciliare gli uomini alla sua dottrina ed alla sua legge, non
senza osservarle prima noi stessi: come partecipi della sua autorità
nell'alleggerire le anime dalle catene della colpa, conviene che poniamo
ogni studio nell'evitare di caricarci noi di tali catene. Ma più come
suoi ministri nell'augusto sacrificio che, con perenne prodigio, si
rinnova per la vita del mondo, dobbiamo avere la medesima disposizione
di animo, con la quale Egli sull'ara della croce si offrì ostia
immacolata a Dio. Poiché, se in antico, quando non esisteva che un'ombra
e figura del vero sacrifizio, si esigeva nei sacri ministri tanta
santità, quale non è giusto che si esiga, ora che la vittima è Cristo?
5. Due splendidi moniti di san Giovanni Crisostomo e di san Carlo Borromeo
"
Quanto dunque non conviene che sia più puro chi fruisce di un tal
sacrifizio? di quale raggio solare non deve essere più splendida la
mano, che divide questa carne, la bocca che è saziata dal fuoco
spirituale, la lingua che rosseggia di questo sacramentissimo sangue? ".
Assai
opportunamente san Carlo Borromeo nei discorsi al Clero così inculcava:
" Se ci ricordassimo, dilettissimi fratelli, quante e quanto preziose
cose abbia poste Dio nelle nostre mani, quale stimolo non sarebbe per
noi questa considerazione a farci condurre una vita degna di
ecclesiastici! Che cosa non pose Iddio nelle mani, quando vi pose il
proprio suo Figlio unigenito, come Lui eterno ed a Lui eguale? Nella
mano mia pose i tesori suoi, tutti i sacramenti e le grazie: pose le
anime che gli sono care come la pupilla e che nell'amore preferì a se
stesso, che redense con il suo sangue; nelle mie mani pose il cielo che
io posso aprire e chiudere agli altri... Come mai dunque potrò io essere
così ingrato a tanta degnazione ed amore da peccare contro di Lui, da
offenderlo nell'onore, da inquinare questo corpo che è suo, da macchiare
questa dignità e questa vita al suo ossequio consacrata? ".
IV. Avvertimenti della Chiesa
6. Avvertimenti della Chiesa nel conferire gli Ordini ai suoi Chierici
Ad
ottenere nei suoi sacerdoti questa santità di vita, la Chiesa mira con
assidue e non mai interrotte cure. A tal fine furono istituiti i
Seminari: dove, se coloro che costituiscono le speranze della Chiesa
devono essere educati nelle lettere e nelle scienze, nello stesso tempo,
tuttavia, e più ancora lo devono essere sino dai più teneri anni ad una
sincera pietà verso Dio. Inoltre, nel mentre promuove i candidati ai
gradi sacri con non brevi intervalli, non pone fine mai, come madre
amorosa, alle esortazioni, che impartisce intorno al conseguimento della
santità. Richiamiamoci queste tappe gioconde. Non appena ci ascrisse
nella sacra milizia, volle che dichiarassimo secondo il rito: " Il
Signore è la porzione della mia eredità e del mio calice; tu sei quegli
che a me restituirà la mia eredità" (Sal 15,5). Con le quali
parole, commenta san Girolamo, si ammonisce " il chierico, affinché
egli, che è parte del Signore o ha per sua parte il Signore, si diporti
così che Egli possegga il Signore e sia dal Signore posseduto ". Quanto
gravi parole rivolge poi la Chiesa ai novelli suddiaconi! Dovete
considerare attentamente quale obbligo oggi di vostra spontanea volontà
assumete...; quando avrete ricevuto quest'Ordine, non vi sarà più
possibile di volgere indietro i passi; ma dovrete servire in perpetuo a
Dio, e mantenere, con la sua grazia, la castità. E infine: se finora
foste tardi alla Chiesa, d'ora innanzi dovete essere assidui; se finora
foste sonnolenti, d'ora innanzi vigilanti...; se finora disonesti, d'ora
innanzi casti... Riflettete di chi vi si affida il servizio!
E
per i promuovendi al diaconato così prega la Chiesa per mezzo del
Vescovo: "Abbondi in essi la bellezza di ogni virtù, l'autorità modesta,
la pudicizia costante, la ferma purità dell'innocenza e l'osservanza
della spirituale disciplina. I suoi precetti risplendano nella loro
vita, affinché dall'esempio della loro castità il popolo si ecciti a
imitarli santamente ". Ma più commovente ancora è l'ammonizione rivolta a
coloro che devono essere iniziati al sacerdozio: " Con grande timore a
così alto grado si deve salire, ed allora bisogna accertarsi che una
celeste sapienza, illibati costumi e lunga osservanza della legge di Dio
distinguano gli eletti a tale dignità... Sia il profumo della vostra
vita diletto della Chiesa di Cristo, affinché con la parola e con
l'esempio edifichiate la casa della famiglia di Dio ". E più di ogni
cosa ci stimola la grave sentenza, che si aggiunge: " Siate all'altezza
di ciò che amministrate (imitamini quod tractatis) "; il che concorda
col precetto di san Paolo: " Affine di rendere perfetto ogni uomo in
Cristo Gesù " (Col 1,28).
7. Padri e Dottori confermano che il Sacerdote deve essere un cielo tersissimo
Poiché
questa dunque è la mente della Chiesa riguardo alla vita sacerdotale,
non potrebbe riuscire ad alcuno di meraviglia, che tale sia la
consonanza delle voci dei Padri e dei Dottori intorno a questo punto
così che sembrino peccare di ridondanza. Ma, se con retto giudizio li
osserviamo, ci apparirà evidente come altro non dicano che il vero e il
giusto. Il loro giudizio si può brevemente esporre così: tanta
differenza è tra il cielo e la terra; e quindi guardi bene il sacerdote
che la sua virtù non solo non sia tocca neppure dall'ombra delle più
gravi colpe, ma neppure delle più lievi. A tal riguardo il Concilio di
Trento fece suo il pensiero di quegli uomini venerandi, quando ammonì i
chierici di fuggire anche i leggeri mancamenti, che in loro sarebbero
massimi: massimi non già in sé, ma per ragione di chi li commette, al
quale più ancora che all'edifizio sacro, conviene quel detto: " Alla
casa tua, (o Signore), si conviene la santità " (Sal 92,5).
V. Natura della Santità Sacerdotale
8. In che consiste la santità - Il fondamento voluto da Cristo sta proprio nelle virtù " passive "
Ed
ora è da vedere in che cosa consista una tale santità, della quale il
sacerdote non può esser privo senza grave vergogna; poiché se alcuno ne
ignora o male ne intende l'essenza, si trova in grande pericolo. C'è chi
crede, anzi chiaramente professa, che il merito del sacerdote consista
semplicemente nel sacrificarsi tutto al bene degli altri; per cui
neglette quasi del tutto quelle virtù, che mirano al perfezionamento
individuale (le così dette virtù passive), dicono che si deve porre ogni
studio per conseguire ed esercitare quelle virtù che chiamano attive.
Questa è dottrina indubbiamente fallace e rovinosa. Intorno ad essa così
si esprime, con la consueta sapienza, il nostro predecessore di felice
memoria: " Che le cristiane virtù non siano opportune a tutti i tempi
non può cadere in mente se non a chi si sia scordato delle parole
dell'Apostolo: "Coloro che Egli previde, li ha anche predestinati ad
essere conformi all'immagine del Figliol suo" (Rm 8,29) ". Cristo
è maestro ed esemplare di ogni forma di santità, al cui esempio è
necessario che si modellino tutti quanti vogliono essere accolti nel
regno dei cieli. Ora Cristo non muta col passare dei secoli; ma è il
medesimo " ieri, e oggi; ed è sempre Lui anche nei secoli " (Eb 13,8). Quindi agli uomini di tutti i tempi è rivolta quella parola: " Imparate da me, che son mite e umile di cuore " (Mt 11,29); in ogni tempo Cristo ci si presenta " ubbidiente sino alla morte " (Fil 2,8);
e vale per tutte le età la sentenza dell'Apostolo: " Quei che sono di
Cristo hanno crocifisso la loro carne co' vizi e con le concupiscenze " (Gal 5,24).
9. La " conditio sine qua non " è l'abnegazione di sé - Condanna dei metodi propri nel mondo
I
quali documenti sono rivolti a ciascheduno dei fedeli, in modo tutto
speciale riguardano i sacerdoti: essi, più che gli altri, devono
prendere come a sé rivolte le parole, che il medesimo nostro
predecessore con apostolico zelo aggiunge: " Ed oh! fossero più numerosi
i cultori di tali virtù, a imitazione dei santi delle passate età: i
quali con l'umiltà, l'ubbidienza, la mortificazione di sé, furono
potenti in opere e in parole, con indicibile vantaggio non solo della
religione, ma dello stato e della civiltà ". Dove cade opportuno
osservare come il sapientissimo Pontefice fa menzione speciale della
mortificazione che con evangelica parola diciamo: abnegazione di sé.
Poiché, di qui specialmente, dipende, o diletti figli, la forza e la
virtù e il frutto del ministero sacerdotale; al contrario dalla
negligenza di questa virtù, nasce tutto quanto nei costumi e nella vita
del sacerdote può offendere gli occhi e sconcertare gli animi dei
fedeli. Poiché l'agire a solo scopo di turpe lucro, l'ingolfarsi negli
affari mondani, l'aspirare ai primi gradi e sprezzare i più modesti, il
condiscendere alla carne e al sangue col troppo affetto ai parenti, il
soverchio studio di piacere agli uomini, il porre la fiducia del proprio
successo nell'umana destrezza della parola: tutte queste cose derivano
dalla negligenza del precetto di Cristo e dal respingere la condizione,
che egli ci pose: " Chi vuol venir dietro a me rinneghi se stesso " (Mt 16,24).
VI. Dalla Santità i frutti del Ministero
10. L'abnegazione di sé e la vita interiore sono però male intese se trascurano i gravi doveri di apostolico ministero
Nel
mentre inculchiamo così vivamente questo dovere dell'ecclesiastico, non
possiamo non avvertire nel medesimo tempo che il sacerdote deve vivere
santo non per sé solo; poiché egli è il lavoratore, che Cristo " mandò a
lavorare nella sua vigna " (Mt 20,1). E' dunque suo officio di
svellere le male erbe, seminare quelle buone e fruttifere, inaffiare,
badar bene che l'uomo nemico non vi semini fra mezzo la zizzania. Perciò
deve il sacerdote stare in guardia, affinché indotto da un malinteso
desiderio della sua perfezione interiore, non trascuri alcune di quelle
parti del suo ministero, che spettano al bene dei fedeli. Tali sono la
predicazione della parola di Dio, l'ascoltare le confessioni,
l'assistere gli infermi e specialmente i moribondi, l'istruire gli
ignoranti nelle cose di fede, il consolare gli afflitti, il ricondurre i
fuorviati, l'imitare in ogni cosa Cristo, " il quale passò la sua vita
facendo del bene e sanando tutti coloro che erano oppressi dal diavolo "
(At 10,38).
11. La base insostituibile: la santità e l'unione con Dio
Certo,
vi stia scolpito in mente l'insigne ammonimento di san Paolo: " Non è
nulla né colui che pianta, né colui che inaffia, ma è Dio che dà il
crescere " (1 Cor 3,7). Voi potete ben gettare i semi camminando e
piangendo, voi potete ben coltivarli con ogni fatica; ma che germoglino
e diano i desiderati frutti, è opera del solo Dio e del suo
potentissimo intervento. Di più, non bisogna dimenticare che altro non
sono gli uomini se non istrumenti, dei quali si serve Dio per la salute
delle anime; e che per conseguenza devono essere idonei ad essere
maneggiati da Dio. E ciò in qual maniera? Crediamo dunque che Dio si
muova a servirsi di noi; per propagare la sua gloria, in vista di una
nostra eccellezza o capacità congenita o acquisita? Non già, poiché sta
scritto: " Le cose stolte del mondo elesse Dio per confondere i
sapienti: e le cose deboli del mondo elesse Dio per confondere i forti; e
le ignobili cose del mondo e le spregevoli elesse Dio e quelle che non
sono per distruggere quelle che sono " (1 Cor 1,27-28). Una cosa
sola assolutamente serve per unire l'uomo a Dio, a renderlo a Dio grato,
e ministro non indegno delle sue misericordie: la santità della vita e
del costume.
12. L'unica scienza che vale - L'esempio del Santo Curato d'Ars
Quando
manchi al sacerdote questa, che solo costituisce la sovraeminente
scienza di Gesù Cristo, gli manca ogni cosa. Poiché senza questa scienza
la stessa vastità di una raffinata cultura (che pure noi medesimi con
ogni cura ci studiamo di promuovere per il Clero) e la stessa destrezza e
solerzia negli affari, quand'anche potessero essere di qualche frutto
alla Chiesa o ai singoli fedeli, non raramente tuttavia sono a loro
causa deplorevole di detrimento. Ma quanto possa nel popolo di Dio
intraprendere e condurre a termine chi sia ornato di santità, anche
nell'infimo grado della gerarchia, ce lo dicono numerosi esempi tratti
da ogni età della storia; basti ricordare tra i recenti il Curato d'Ars,
Giovanni Battista Vianney, al quale siamo lieti di avere noi medesimi
decretato gli onori dei Beati. La santità sola ci rende quali ci
richiede la nostra vocazione divina, uomini cioè crocifissi al mondo, e
ai quali il mondo è crocifisso; uomini che camminano " vivendo nuova
vita " (Rm 4,4), i quali, secondo l'avviso di san Paolo (2 Cor 6,5-7)
nelle fatiche, " nelle vigilie, nei digiuni, con la castità, con la
scienza, con la mansuetudine, con la soavità, con lo Spirito Santo, con
la carità non simulata; con le parole di verità ", si manifestino veri
ministri di Dio: che unicamente tendano alle cose celesti e si studino
con ogni zelo di rivolgere al cielo le anime degli altri.
VII. Il sussidio della preghiera
13. La preghiera indispensabile sussidio della santità - Esempio e precetti di Cristo
Ma
poiché, come nessuno ignora, la santità in tanto è frutto della nostra
volontà, in quanto questa è sostenuta dalla grazia di Dio, Dio provvide
largamente a che non mai avessimo a patire difetto, purché lo si voglia,
del dono della grazia; e questa si ottiene in primis con la preghiera.
Non vi è dubbio che tra la preghiera e la santità intercorre tale
relazione che l'una non può sussistere senza l'altra. Quindi corrisponde
pienamente alla verità quella sentenza del Crisostomo: " Io penso
senz'altro che riesca a tutti evidente, come è impossibile, senza il
sussidio della preghiera, viver virtuosamente " e acutamente concluse
sant'Agostino: " Veramente sa viver bene chi sa pregar bene ". E tali
insegnamenti Cristo medesimo consacrò con la sua parola e più ancora col
suo esempio. Poiché, per raccogliersi nella preghiera, si ritirava
solitario nei deserti o saliva sulle montagne; passava le intiere notti
in questo esercizio; era assiduo al tempio; che, anzi, anche se
circondato dalle turbe, levati gli occhi al cielo dinanzi a tutti
pregava; e in fine, confitto alla croce, fra i dolori della morte, con
alto grido e lacrime volse al Padre l'ultima preghiera.
14. Il pericolo dell'abitudine e del ridurre le preghiere - Il continuo bisogno di preghiera per sé e per il popolo
Teniamo
quindi come cosa certa e definita che il sacerdote, per sostenere
degnamente il grado e ufficio, deve essere dedito in maniera esimia alla
preghiera. Troppo sovente c'è da dolersi che egli si dedichi alla
preghiera più per abitudine che per zelo, che a certe ore stabilite
salmeggi con sonnolenza o preferisca preghiere piuttosto brevi o
pochine, né poi consacri più alcun frammento della giornata a parlar con
Dio, innalzandosi piamente alle cose del cielo. Mentre invece il
sacerdote più di tutti gli altri deve obbedire al precetto di Cristo: "
Si deve sempre pregare " (Lc 18,1); conformandosi al quale san
Paolo tanto inculcava: " Siate perseveranti nell'orazione vegliando in
essa, e nei rendimenti di grazie " (Col 4,2): " Orate sine intermissione " (1 Ts 5,17).
E invero quante occasioni si offrono di elevarsi a Dio ad un'anima
desiderosa della propria santificazione non meno che della salute degli
altri! Le angustie interiori, la forza e insistenza delle tentazioni, la
povertà di virtù, la piccolezza e sterilità delle nostre fatiche, i
difetti e le negligenze frequenti, infine il timore dei giudizi divini,
tutti questi sono stimoli a farci piangere dinanzi a Dio, col vantaggio
di arricchirci di meriti al suo cospetto, oltre che di aver impetrato la
grazia, l'aiuto divino. Né solamente per noi dobbiamo piangere. Nella
colluvie di colpe che ovunque si diffonde, a noi specialmente si addice
di pregare e muovere la divina pietà e di insistere presso Cristo,
prodigo benignissimamente di ogni grazia nel mirabile sacramento
dell'altare: Perdona, Signore, perdona al tuo popolo.
VIII. Necessità della meditazione
15. Necessità e vantaggi provenienti dalla meditazione
Caposaldo
principalissimo del profitto della virtù è il dedicare ogni giorno una
parte del nostro tempo alla meditazione delle cose eterne. Non vi è
sacerdote che se ne possa esimere, senza grave nota di negligenza e
detrimento dell'anima sua. San Bernardo scrivendo ad Eugenio III, suo
antico discepolo ed allora divenuto romano pontefice, con franchezza e
viva apprensione lo ammoniva a non mai lasciare la quotidiana
meditazione delle cose divine, e a non ammettere, per dispensarsene,
alcun pretesto di occupazioni, benché molte e gravissime ne porti con sé
il supremo apostolato. E diceva di aver appunto gravi motivi di
rivolgergli tali avvertimenti per i sommi vantaggi di questo esercizio
quali egli così sapientemente enumerava: " La meditazione purifica la
sorgente da cui nasce, cioè l'intelletto. Poi regola gli affetti,
indirizza gli atti, corregge i difetti, riforma i costumi, eleva e
ordina la vita: in una parola conferisce la scienza delle divine e delle
umane cose. La meditazione chiarisce le cose confuse, colma le lacune
della mente, rannoda le idee sparse, scruta i segreti, investiga la
verità, esamina il verosimile, mette a nudo la finzione e la menzogna.
Essa preordina le azioni da compiersi, essa chiama a rendiconto le già
compiute affinché nulla resti nella mente di incorretto e di ambiguo.
Essa fa presentire nella prosperità la sfortuna, nella sfortuna evita il
troppo impressionarsi, e questo è infusione di fortezza, quello di
prudenza ".
Questo compendio delle grandi utilità, che la
meditazione per sua natura produce, ci dice quanto sia non solamente
salutare, ma pure necessaria.
16. La meditazione salvaguardia del fervore e contro i pericoli del mondo
Poiché,
sebbene i vari uffici del sacerdozio siano augusti e venerandi tutti,
la forza dell'abitudine fa sì che i destinati ad essi non vi mettano
quella religiosa attenzione come si conviene.
Di qui venendo meno a
poco a poco il fervore è facile il passo alla negligenza e fino al
fastidio delle cose più sacre. Aggiungasi la necessità che si impone al
sacerdote, di convivere " in mezzo ad una nazione prava " (Fil 2,15);
così che, sovente, nello stesso esercizio della carità pastorale, egli
ha da temere stiano nascoste le insidie dell'antico serpente. Quanto è
facile che anche i cuori religiosi si velino di mondana polvere! Appare
quindi quale e quanta necessità vi sia di tornare ogni giorno alla
contemplazione delle cose del cielo, affinché la mente e la volontà si
rafforzino contro le seduzioni del mondo. Di più è compito del sacerdote
di conseguire una certa facilità di assurgere e di raccogliersi nelle
cose celesti, lui che deve intendersi delle cose celesti, insegnarle ed
inculcarle ai fedeli; lui che deve condurre un tenore di vita in una
sfera superiore alla umana, così che egli compia secondo Dio con lo
spirito e la guida della fede quanto esige il suo ministero. Ora nulla
più che la meditazione quotidiana è efficace a produrre e mantenere
questa disposizione, questa quasi naturale unione con Dio; cosa che a
ognuno, che abbia discernimento, è così ovvia che non vale la pena di
ragionarne di più.
IX. DANNI DEL TRASCURARE LE MEDITAZIONI
17. Triste quadro dei danni che nascono in chi trascurasse la meditazione
Una
triste conferma di quanto si è detto ci esibisce la vita di questi
sacerdoti, che fanno poco conto della meditazione delle cose divine o
del tutto l'hanno in fastidio. Tu vedi in loro illanguidito
quell'inestimabile tesoro, mondani, seguaci di mere vanità,
intrattenersi in frivolezze, accostarsi alle sacre cose tiepidi, gelidi e
forse indegni. Dapprima, quando era in loro recente il carisma
dell'unzione sacerdotale, preparavano lo spirito diligentemente alla
recita dei salmi per non essere simili a chi tenta Dio; fissavano il
tempo a ciò più opportuno, e il più remoto ritiro, si industriavano di
scrutare i sensi segreti delle cose divine, lodavano Dio, gemevano,
esultavano, effondevano lo spirito col Salmista. E ora invece qual
cambiamento!
Quasi più nulla resta in essi di quell'ardente pietà,
che un tempo dimostravano per i divini misteri. Quanto diletti erano
allora quei tabernacoli! L'anima esultava di trovarsi intorno alla mensa
del Signore e di chiamare ad essa in gran folla i devoti. Prima della
celebrazione dei sacri misteri quale mondezza! quali preghiere partite
dall'anima desiderosa! E quanta riverenza nel modo di trattare le cose
sante: quale decoro nell'eseguire le auguste cerimonie, quale effusione
di grazie dal profondo del cuore e come felicemente diffondevasi nel
popolo il soave profumo di Cristo!... " Richiamate ", ve ne preghiamo, o
figli diletti, " richiamate alla memoria quei primi giorni " (Eb
10,32), allora l'anima era fervorosa perché nutrita del cibo della santa
meditazione.
18. Da respingersi l'eventuale scusa o vano pretesto di essere troppo assorbito nell'azione
Non
manca fra quelli che hanno a fastidio o trascurano di " riflettere in
cuor loro " (Ger 12,11), non manca chi riconosca la povertà dell'anima
sua, ma poi se ne scusi col pretesto di essersi dedicato interamente
alle esigenze sempre più attive e dinamiche del ministero, ad utilità
degli altri. Ma si ingannano miseramente. Poiché, non avvezzi a parlar
con Dio, quando parlano di Dio agli uomini o impartiscono consigli
intorno alla vita cristiana, sono privi di ispirazione divina; così che
la parola di Dio è in essi quasi morta. La loro voce, per quanto dotta e
feconda, non imita la voce del buon pastore, che le pecorelle ascoltano
salutarmente; poiché strepita con inutile pompa di parole che si perde
nel vuoto ed è anzi fertile talora di dannoso esempio, non senza
vergogna della religione e scandalo dei buoni. Né altrimenti accade
negli altri settori della vita attiva: poiché nessun vantaggio di solida
utilità ne ricavano o per lo meno non dura che breve ora, mancando la
rugiada celeste che scende invece copiosissima sull'" orazione di colui
che si umilia " (cf Sir 35,21).
19. Gravi conseguenze per chi mostrasse disprezzo della preghiera
E
qui non possiamo non dolerci vivamente di coloro che, trascinati dal
soffio di pestifere novità, non si vergognano della loro mentalità
contraria alla vita interiore e reputano quasi perduta l'ora consacrata
alla meditazione e alla preghiera. Funesta cecità! Volesse il cielo che
raccogliendosi una buona volta in se stessi si accorgessero finalmente a
quale abisso conduce questa negligenza e disprezzo della preghiera! Di
qui germoglia la superbia e la caparbietà; dalle quali maturano troppo
amari frutti, che il paterno cuore rifugge dal rammentare quanto
desidera di recidere completamente. Ascolti Iddio i nostri voti, e,
benignamente riguardando i fuorviati, effonda tanto largamente sopra di
essi lo " spirito di grazia e di orazione " (Zc 12,10), che, a
comune allegrezza, piangendo il loro errore, ritornino sulla male
abbandonata via e cautamente la seguano per l'avvenire. Come già
l'Apostolo (Fil 1,8), ci sia testimone Dio come li amiamo tutti nelle viscere di Gesù Cristo!
X. Eccitamenti alla meditazione
20. La meditazione, segreto per operare con criterio e zelo
Ad
essi dunque e a voi tutti figli nostri, sia scolpita in mente la nostra
esortazione, che è quella di Cristo Signore: " State attenti, vegliate e
pregate " (Mc 12,33). Principalmente nella sua meditazione
ognuno ponga la sua industria: e risvegli tutta la sua fiducia in Dio,
sovente pregando: " Signore, insegnaci a pregare " (Lc 11,1). Né
di lieve incitamento a meditare deve esser per tutti questo speciale
motivo, che dalla meditazione nasce quella particolare luce di consiglio
e quella speciale energia di virtù che si esigono nella cura delle
anime, opera sopra tutte difficilissima. Qui cade opportuno, ricordare
la pastorale esortazione di san Carlo: " Intendete, o fratelli, che
nulla è così necessario a tutti gli ecclesiastici come l'orazione
mentale la quale precede tutte le nostre azioni, le accompagna e le
segue: canterò, dice il profeta, e ben studierò e intenderò (cf Sal 100,2).
Fratello, se amministri i sacramenti, medita su quello che fai; se
celebri la Messa, medita sul sacrificio che offerisci; se salmeggi,
medita a chi parli e di che cosa; se guidi le anime, medita da qual
Sangue sono state redente ".
21. Mediti su Cristo chi è " alter Christus "
Perciò
con ogni ragione la Chiesa ci impone di ripetere frequentemente quelle
sentenze di Davide: " Beato l'uomo che medita nella legge del Signore;
vi perdura con diletto, di giorno e di notte; tutto quello che egli farà
avrà prospero effetto " (Sal 1,1-3). E alla meditazione ci sia
di stimolo anche il pensiero che il sacerdote è un altro Cristo; e, se è
tale per partecipazione di autorità, non dovrà essere tale per
imitazione delle opere sante? " Sia dunque nostra somma premura di
meditare sulla vita di Gesù Cristo ".
XI. Utilità delle Sacre letture
22. Utilità della lettura spirituale soprattutto delle Sacre Scritture
Con
la meditazione quotidiana delle cose divine conviene che il Sacerdote
unisca la lettura di più libri, specialmente di quelli che sono
divinamente ispirati. Così san Paolo prescriveva a Timoteo: " Attendi
alla lettura " (1 Tm 4,13). Così san Girolamo, ammaestrando
Nepoziano intorno alla vita sacerdotale, inculcava: " Non deporre mai
dalle tue mani il libro della sacra lettura "; e ne soggiungeva questo
motivo: " Impara ciò che devi insegnare; ottieni quella sincera
sapienza, che è nutrita di verace dottrina, affinché con essa tu possa
esortare gli altri e ribattere gli avversari ". Quanto grande è il
vantaggio di quei sacerdoti che hanno questa costante abitudine: con
quale unzione predicano Cristo e, anziché blandire gli uditori, come li
spingono al meglio e li innalzano a celesti desideri!
23. I santi libri sono veri amici
Ma
pure eccovi un'altra prova, e che fa proprio al caso vostro, della
verità del consiglio di san Girolamo: " Sempre fra le tue mani sia la
sacra lettura ". Chi non sa quanto grande sia sull'anima dell'amico la
forza persuasiva dell'amico, che candidamente ammonisca, consigli,
riprenda, ecciti, rimuova dall'errore? " Beato chi trova un vero amico "
(Sir 25,12); " chi lo trova ha trovato un tesoro" (Sir 6,14).
Ora dobbiamo avere nel numero dei nostri fedeli amici i libri di lettura
spirituale. Essi ci ammoniscono gravemente intorno ai nostri doveri ed
ai precetti della legittima disciplina, risuscitano nell'anima i
richiami celesti prima soffocati e repressi, ci rinfacciano i propositi
non mantenuti, scuotono la coscienza addormentata in un pericoloso
ottimismo; mettono in luce le tendenze meno corrette che vorrebbero star
dissimulate; scoprono i pericoli che sogliono sorprendere i malaccorti.
E tutti questi buoni uffici prestano con una tale e tacita benevolenza,
che non solo ci si mostrano amici, ma i migliori nostri amici. Poiché
li abbiamo quando ci piace, quasi al nostro fianco, pronti ad ogni ora
alle nostre necessità interiori; la loro voce non è mai acerba, il loro
consiglio non è mai determinato da volgari interessi, la parola non mai
vile o bugiarda. Sono molti ed insigni gli esempi della salutare
efficacia delle devote letture; ma nessuno sovrasta a quello di
sant'Agostino, i cui meriti eminenti verso la Chiesa presero da esse
inizio ed auspicio: " Tolle, lege; tolle, lege... Prendi, leggi; prendi,
leggi... Afferrai (le lettere di Paolo Apostolo), le apersi e lessi in
silenzio... Si diffuse nel mio cuore come una luce di sicurezza,
svanirono tutte le tenebre del dubbio ".
24. Guardarsi da letture non ben discriminate
Invece
di sovente accade ai nostri tempi che ecclesiastici si lascino a poco a
poco annebbiare la mente dalle tenebre del dubbio e seguano le oblique
vie del mondo, e ciò specialmente perché, negletti i sacri e divini
libri, si danno ad altre letture di ogni genere di libri e giornali
infetti di errori pestiferi blandamente insinuatisi. Siate guardinghi, o
diletti figli, non vi fidate ciecamente della vostra provetta età, né
lasciatevi illudere dal pretesto di conoscere il male e così poter
meglio provvedere al bene comune. Non si passino quei limiti, che
stabiliscono sia le leggi della Chiesa, sia la prudenza e la carità
verso se stessi; poiché una volta imbevuti di questi veleni, non
possiamo più sfuggirne le funeste conseguenze.
XII. L'esame di coscienza
25. Non si ometta l'esame di coscienza
Ma
i vantaggi della lettura spirituale e della meditazione delle cose
celesti riusciranno, senza dubbio, per il sacerdote più copiosi, quando
egli abbia un mezzo con cui possa distinguere se davvero fu messo in
pratica e santamente, quanto fu oggetto di lettura e meditazione. Viene a
proposito un eccellente insegnamento del Crisostomo, rivolto
specialmente al Sacerdote: " Ogni sera, prima di abbandonarti al sonno,
fa' un po' di processo alla tua coscienza, esigi da essa il rendiconto, e
se fra il giorno ti appigliasti a cattivi partiti... sbarbicali dalla
radice e determina per essi un castigo ". Quanto ciò sia conveniente e
fruttuoso per il progresso nella cristiana virtù, i più sapienti maestri
di spirito luminosamente confermano coi loro ottimi ammonimenti. Ci
piace di riferire quello insigne, che ho tolto dagli insegnamenti di san
Bernardo: " Curioso indagatore della tua irreprensibilità, esamina la
tua vita con quotidiana diligenza. Osserva attentamente di quanto
progredisci o indietreggi. Studia di conoscere te... Poni davanti agli
occhi tuoi tutte le tue mancanze. Costituisci te in giudizio dinanzi a
te, quasi dinanzi ad un'altra persona; e così deplora e colpisci te
stesso ".
XIII. Paterni lamenti
26. Grande frutto se si usasse in questo esame la premura che pongono gli uomini nei loro affari
Anche
su questo punto sarebbe veramente vergogna che si verificasse quel
detto di Cristo: " I figli di questo secolo sono più prudenti dei figli
della luce " (Lc 16,8). Ognuno vede con quanta solerzia essi
attendano ai loro affari; come di sovente facciano e rifacciano i
calcoli del dare e dell'avere: con quale scrupolosa meticolosità
facciano i loro conti e tirino le somme, come lamentino le perdite
patite ed eccitino se stessi con accaniti sforzi per risarcirle. E a
noi, a cui forse arde in cuore la brama di vane onorificenze, di
accrescere il patrimonio della famiglia, di acquistar solo fama e gloria
di scienziati, invece languidamente e con noia trattiamo l'affare
massimo e sommamente arduo, che è la nostra santificazione. Giacché
appena raramente ci raccogliamo per scrutare la nostra anima, che per
conseguenza si copre di sterpi al pari della vigna del pigro, della
quale sta scritto: " Passai pel campo di un infingardo, e per la vigna
di un uomo stolto, e vidi come tutto era pieno di ortica, e le spine
l'avevano coperta quanto ella è grande, e la muraglia intorno era
rovinata " (Prv 24,30-31).
27. L'esame costante e ben fatto rinvigorisce l'anima, trascurato la mette in pericolo
La
cosa si fa più grave per la frequenza dei mali esempi, che ne
circondano, insidiosi estremamente alla virtù sacerdotale; così che è
necessario camminare sempre più guardinghi e far più apertamente
violenza.
Ora l'esperienza ci dice che colui, il quale esercita
una censura frequente e severa sopra i suoi pensieri, parole e azioni, è
più energico sia nell'odio e nella fuga del male, e sia nell'amore e
nello studio del bene. Né meno ci dice l'esperienza quali danni
gravissimi siano d'ordinaria conseguenza per chi evita quel tribunale,
ove siede giudice la giustizia e sta accusata e accusatrice la
coscienza. Invano cercheresti in lui quella circospezione, dote così
lodevole del buon cristiano, di evitare anche le minori colpe e
imperfezioni e quel delicatissimo scrupolo che dovrebb'essere pregio
speciale del sacerdote, che si fa paventare della benché minima offesa
recata a Dio.
28. Danni di chi trascurasse la frequente confessione
Che
anzi la negligenza e la trascuratezza di sé giunge fino all'oblio dello
stesso sacramento della penitenza: del quale nulla ci diede Cristo,
nella sua estrema bontà, che fosse più salutare all'umana miseria. Non
si può negare ed è degno di acerbo pianto, il caso non raro di chi
mentre, fulminando e terrorizzando dal pulpito, trattiene con la
sfolgorante sua eloquenza gli altri dal peccare, nulla tema per sé di
tutto ciò, e si indurisca nella colpa; di chi esorta e stimola gli
altri, che siano solleciti a detergere col sacramento le macchie
dell'anima, e lui stesso sia in ciò tanto restio e negligente e vi
frapponga intervalli di più mesi; di chi sa cospargere le altrui ferite
di olio e di vino, e giaccia poi egli ferito lungo la via, né si dia
pensiero di invocare la mano medicatrice del fratello che gli passa
vicino. Ahi! quali tristi conseguenze ne vennero e vengono tuttora,
indegne al cospetto di Dio e della Chiesa, perniciose al popolo
cristiano, indecorose per il ceto sacerdotale!
29. Nulla più lagrimevole della corruzione dei buoni
Quando,
diletti figli, mossi da dovere di coscienza, noi volgiamo la mente a
questi gravi inconvenienti, ci si riempie l'anima di amarezza e ne
erompe una voce di lamento: guai al sacerdote che non sa mantenersi
all'altezza del suo grado, e disonora infedelmente il nome santo di Dio,
che deve santificare. Nulla è più lagrimevole della corruzione dei
buoni: " Grande è la dignità dei sacerdoti, ma grande è pure la loro
rovina, se peccano; rallegriamoci dell'esservi saliti, ma paventiamo di
caderne precipitosamente; perché più grande che la gioia di avere
raggiunto le altissime vette, è l'afflizione di essere precipitato di
lassù! ".
Guai dunque al sacerdote che vive dimentico di sé,
lascia la preghiera, respinge il pascolo delle devote letture; che non
torna mai sopra se stesso per ascoltare la voce della coscienza che lo
accusa. Né le ferite sanguinanti dell'anima sua, né i pianti della madre
Chiesa potranno richiamare in sé il disgraziato, affinché non lo
colpiscano quelle terribili minacce: " Acceca il cuore di questo popolo,
e instupidisci le sue orecchie e chiudi a lui gli occhi, affinché non
avvenga che coi suoi occhi egli vegga, e oda coi suoi orecchi, e col
cuore comprenda e si converta, ed io lo sani " (Is 6,10).
Questo
triste augurio allontani Dio misericordioso da ciascheduno di voi, o
diletti figli, Dio, che vede il nostro cuore scevro da qualsiasi
amarezza verso chicchessia, ma soltanto mosso all'estremo da carità di
padre e di pastore: " Qual è invero la nostra speranza, o il gaudio, o
la corona di gloria? Non lo siete voi forse dinanzi al Signore nostro
Gesù Cristo? " (1 Ts 2,19).
XIV. Doveri attuali
30. In tempi tristi il sacerdote deve splendere nella virtù
Lo
vedete del resto da voi medesimi, quanti e dovunque siate, in quali
tristi tempi, per arcano consiglio di Dio, si trovi oggi la Chiesa.
Osservate ancora e meditate quale sacro dovere vi incombe di assistere e
soccorrere nelle sue angustie quella Chiesa, che vi insignì di una sì
onorevole dignità.
Quindi nel clero ora più che mai è necessaria
una più che mediocre virtù, sincera così da essere un modello, viva,
operosa, prontissima a fare e patire ogni cosa per Cristo. Nulla vi è
che più ardentemente noi desideriamo per voi tutti e singoli,
invocandolo da Dio con ferventissime preghiere. In voi dunque fiorisca
la continenza con intemerato fulgore, ornamento esimio del nostro ceto;
per la cui grazia il sacerdote come è fatto simile agli angeli, così
presso il popolo cristiano è reputato degno di ogni onore e coglie più
copiosi i frutti del suo ministero.
31. Ubbidienza inconcussa ai Vescovi e alla Sede Apostolica
Sia
in voi perenne e schietta la riverenza e ubbidienza, promessa con
solenne rito a coloro, che il Divino Spirito costituì reggitori della
Chiesa; e soprattutto l'ossequio giustissimamente dovuto a questa Sede
Apostolica congiunga a lei ogni giorno più con strettissimi vincoli le
vostre menti e i vostri cuori.
32. Splenda la carità per tutti: ma speciale e zelante essa sia per i giovinetti
Brilli
in ognuno la carità che non cerca in nulla se stessa, così che
rintuzzati gli stimoli dell'invidia e dell'ambizione propri dell'umana
natura, i vostri sforzi cospirino unanimemente, con emulazione fraterna,
all'incremento della gloria di Dio.
" Una gran turba quanto mai numerosa e degna di pietà, di malati, di ciechi, di zoppi, di paralitici " (Gv 5,3)
aspetta i soccorsi della vostra carità; e specialmente vi aspettano
folte schiere di adolescenti, cara speranza della patria e della
religione, circondati da ogni parte da insidie e da pericoli morali.
Siate alacri nel bene, benemeriti di tutti, non solo con l'impartire la
sacra catechesi che di nuovo e con maggior vigore vi raccomandiamo, ma
prestando ogni altro possibile aiuto di consiglio e di interessamento.
Alleviando, difendendo, medicando, pacificando: questa sia la vostra
mira e quasi la vostra sete, di guadagnare e di condurre anime a Cristo.
Oh! i nemici di Dio come laboriosi, come infaticabili, come impavidi
agiscono e si danno attorno, per rovinare irreparabilmente le anime!
33. La carità della Chiesa non conosce limiti, né teme per le persecuzioni
Specialmente
per questa prerogativa della carità, la Chiesa cattolica è lieta e
orgogliosa del suo clero, che annuncia il Vangelo della cristiana pace,
che apporta salute e civiltà fino alle nazioni selvagge; ove per le sue
apostoliche fatiche, non raramente consacrate col sangue, il regno di
Cristo ogni giorno più si dilata e la santa Fede splende di sempre nuove
palme. Che se, o diletti figli, all'effusione della vostra carità
corrisponda l'astio, la contesa, la calunnia, come suole avvenire, non
vogliate soccombere allo scoraggiamento, " non lasciatevi scoraggiare
nel fare il bene " (2 Ts 3,13). Abbiate dinanzi agli occhi le
schiere di quei forti, insigni per numero e per meriti, che dietro le
orme degli Apostoli fra le più scabrose torture per il nome di Cristo, "
se ne andavan contenti " (At 5,41), " maledetti benedicevano ".
Siamo - pensate - figli e fratelli di santi, i nomi dei quali splendono
nel libro della vita, le cui glorie annuncia la Chiesa: " Non si imprima
questa macchia alla nostra gloria " (1 Mac 9,10).
XV. Sussidi della Grazia
34. Sussidi della grazia sacerdotale: gli esercizi spirituali e il ritiro mensile
Riacceso
ed accresciuto nelle file del clero lo spirito della grazia
sacerdotale, avranno un valore ed una esecuzione molto più efficace con
la grazia di Dio, i nostri propositi di restaurare tutte quante le altre
cose in Cristo. Perciò ci piace di aggiungere a tutto quanto si è detto
alcune norme sicure, ossia indicare i sussidi opportuni a custodire ed
alimentare la grazia medesima. Primo fra di essi a nessuno ignoto, ma
del quale non tutti stimano degnamente la efficacia, è il pio ritirarsi
dell'anima a compiere gli esercizi spirituali; se è possibile fatto
annualmente o per conto proprio, o piuttosto in unione con altri, il che
suole recare più largo frutto, regolandosi secondo le prescrizioni dei
Vescovi. Già noi medesimi lodammo convenientemente l'utilità di questa
istituzione quando pubblicammo alcune regole ad essa relative per la
disciplina del clero romano. Né sarà meno vantaggioso alle anime un
consimile ritiro mensile di poche ore, in privato o in unione con altri,
il qual pio costume siamo lieti di veder invalso in più luoghi,
favorito dai Vescovi stessi che talora presiedono al ritiro.
35. Vantaggi delle Mutue e più ancora dei Convegni e Unioni del Clero
Un'altra
raccomandazione ancora ci sta a cuore ed è una maggiore coesione tra i
sacerdoti, quale si conviene a fratelli, consolidata e regolata
dall'autorità del Vescovo. E' senza dubbio cosa lodevole che i Sacerdoti
si uniscano in società per procurarsi uno scambievole sussidio nelle
avversità, per tenere alto il prestigio e i diritti della classe e del
ministero contro gli assalti degli avversari e per altri fini del
genere. Ma più ancora giova che si associno a scopo di perfezionarsi
nella conoscenza delle scienze sacre, e specialmente confermarsi nel
santo proposito della vocazione e di promuovere la salute delle anime,
con unanimità di sforzi e di iniziative.
36. Auspicabile e fruttuosa la vita in comune del clero
Ci
attestano gli annali della Chiesa di quali copiosi frutti fosse fecondo
un tal genere di associazioni nei tempi che i sacerdoti convenivano
frequentemente a vita comune. Perché non si potrebbe richiamare in vita
qualcosa di simile anche in questa nostra età, sia pure avendo riguardo
ai luoghi e agli uffici vari? Non si potrebbero sperare i frutti antichi
a tutto gaudio della Chiesa? Né del resto mancano società di simil
genere, munite dell'approvazione dei sacri pastori; tanto più utili
quanto più presto i giovani preti vi si aggreghino fin dal principio del
loro sacerdozio. Noi medesimi ne promuovemmo una, durante il nostro
ministero vescovile, e ne sperimentammo la bontà: e quella e le altre
ora facciamo oggetto di singolare benevolenza. Di questi sussidi della
grazia sacerdotale e degli altri, che la prudente vigilanza dei Vescovi
suggerisce a seconda della opportunità, abbiate stima e ricavatene
profitto affinché ogni giorno più " camminiate in maniera conveniente
alla vocazione a cui siete stati chiamati " (Ef 4,1), onorando il vostro ministero e compiendo in voi la volontà di Dio, che è la vostra santificazione.
XVI. Fausti voti
37. Ardenti preghiere per il Clero
Questi
sono i principali nostri pensieri e le cose, che ci stanno maggiormente
a cuore; perciò levati gli occhi al cielo, sovente ripetiamo sopra
tutto al clero le parole supplichevoli di Cristo nostro Signore: " Padre
Santo... santificali! " (Gv 17,11-17). Ed è per noi una gioia
l'avere molti dei fedeli di ogni ceto, che si uniscono a noi in questa
preghiera, appassionatamente solleciti del bene vostro e della Chiesa;
ed è pure gradito balsamo al nostro animo che non poche sono le anime di
più generosa virtù, le quali non solo nei sacri chiostri, ma altresì in
mezzo al mondo per la stessa causa vanno a gara nell'offrirsi a Dio
perenni vittime votive. Accolga il sommo Dio le pure e preziose loro
preci in profumo di soavità, né rigetti le umilissime preci nostre,
clemente e provvido, Egli, come imploriamo, ci esaudisca; e dal Cuore
sacratissimo del diletto suo Figlio diffonda sopra tutto il clero tesori
di grazia, di carità e di ogni virtù.
38. Ringraziamenti per il suo Giubileo - Ricambio per " Mariam, Reginam Cleri "
Benedizione finale
In
ultimo ci è caro rendervi grazie sincere, o diletti figli, degli auguri
fausti che ci offriste in occasione del nostro Giubileo sacerdotale: e
poniamo i nostri voti per voi sotto il patrocinio della Vergine Madre,
Regina degli Apostoli, affinché si verifichino appieno. Ella col suo
esempio insegnò alle felici primizie del sacerdozio come, coll'esempio
di lei, dovessero perseverare, concordi nella preghiera, per essere
rivestiti della virtù dall'alto; virtù, che assai più copiosa impetrò ad
essi con le sue preghiere, e accrebbe e fortificò col consiglio, perché
le loro fatiche fossero coronate dai più lieti successi.
Desideriamo
intanto, diletti figli, che la pace di Cristo esulti nei vostri cuori
col gaudio dello Spirito Santo, auspice l'Apostolica Benedizione che con
amantissimo animo vi impartiamo.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 4 agosto del 1908, sesto del nostro Pontificato.
PIUS PP. X
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