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Nessun papa può dare la Comunione ai divorziati risposati




di Antonio Socci

C’è molta confusione nella Chiesa per  il Sinodo che si è aperto nei  giorni scorsi  e discute sulla Comunione ai divorziati risposati. Molti credenti sono smarriti di fronte alla via «rivoluzionaria» indicata dal cardinale Kasper, che fu incaricato da papa Francesco di lanciare la novità al Concistoro di febbraio e che dice sempre di parlare a nome di papa Francesco («Io ho parlato con il Santo Padre. Ho concordato tutto con lui»).

La schiacciante maggioranza dei cardinali è in totale dissenso da lui. Dunque ora cosa accadrà? Davvero il Papa può intraprendere una via che capovolge quanto la Chiesa, in base alle stesse parole di Gesù e ai testi paolini, ha costantemente insegnato per duemila anni? È possibile mettere in discussione i comandamenti, il Vangelo e i sacramenti? Qualcuno crede che i Papi possano farlo e i media alimentano questa aspettativa. In realtà non è affatto così, perché – come ha sempre ripetuto Benedetto XVI – la Chiesa è di Cristo e non dei papi, i quali sono temporanei amministratori e non padroni. Essi sono sottoposti alla legge di Dio e alla Parola di Dio e devono servire il Signore e custodire il depositum fidei loro affidato. Non possono impadronirsene o mutarlo secondo proprie idee personali.

Quello che tanti – anche fra i credenti – ignorano sono i limiti strettissimi che la Chiesa da sempre ha posto ai papi, mentre riconosceva l’«infallibilità» petrina nei pronunciamenti «ex cathedra» sui temi di fede e di morale. Proprio nella Costituzione dogmatica Pastor Aeternus con cui al Concilio Vaticano I si definiva l’infallibilità papale, si legge: «Lo Spirito Santo infatti, non è stato promesso ai successori di Pietro per rivelare, con la sua ispirazione, una nuova dottrina, ma per custodire con scrupolo e per far conoscere con fedeltà, con la sua assistenza, la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito della fede».

Il grande Joseph Ratzinger così spiegava questo principio ignorato dalla gran parte dei credenti: «Il papa non è il signore supremo – dall’epoca di Gregorio Magno ha assunto il titolo di “servo dei servi di Dio” – ma dovrebbe essere – amo dire – il garante dell’ubbidienza, della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, escludendo ogni arbitrio da parte sua. Il papa non può dire: La Chiesa sono io, oppure: La tradizione sono io, ma al contrario ha precisi vincoli, incarna l’obbligo della Chiesa a conformarsi alla parola di Dio. Se nella Chiesa sorgono tentazioni a fare diversamente, a scegliere la via più comoda, deve chiedersi se ciò è lecito. Il papa non è dunque un organo che possa dare vita a un’altra Chiesa, ma è un argine contro l’arbitrio».

Dopo queste chiare spiegazioni Ratzinger aggiungeva:


«Faccio un esempio: dal Nuovo Testamento sappiamo che il matrimonio sacramentale è indissolubile. Ci sono correnti d’opinione che sostengono che il Papa potrebbe abrogare quest’obbligo. Ma non è così. E nel gennaio del 2000, rivolgendosi ai giudici romani, il papa (Giovanni Paolo II) ha detto che, rispetto alla tendenza a voler vedere revocato il vincolo dell’indissolubilità del matrimonio, egli non può fare tutto ciò che vuole, ma deve anzi accentuare l’obbedienza, deve proseguire anche in questo senso il gesto della lavanda dei piedi».


Anche il cardinale Caffarra, un’autorità sui temi morali già dal pontificato di Giovanni Paolo II, opponendosi alla proposta di Kasper, ha sottolineato che nemmeno i pontefici possono sciogliere il vincolo del primo matrimonio, quindi la Chiesa non può riconoscere un secondo matrimonio, né di diritto, né di fatto, come prospetta Kasper con l’ammissione all’Eucarestia dei divorziati risposati. Caffarra ha anche voluto ricordare la parole di Giovanni Paolo II in un’allocuzione alla Sacra Rota: «Emerge con chiarezza che la non estensione della potestà del romano Pontefice ai matrimoni rati e consumati, è insegnata dal magistero della Chiesa come dottrina da tenersi definitivamente anche se essa non è stata dichiarata in forma solenne mediante atto definitorio». Il cardinale di Bologna ha spiegato il peso di queste parole di papa Wojtyla: «La formula è tecnica, “dottrina da tenersi definitivamente” vuol dire che su questo non è più ammessa la discussione fra i teologi e il dubbio tra i fedeli». In pratica questa verità non può nemmeno essere messa in discussione fra i credenti. Conseguentemente non è possibile nemmeno mutare la disciplina relativa all’accesso all’Eucaristia.
Kasper aggiunge: «L’affermazione che l’unità e la comunione sono possibili soltanto nel segno della croce ne include un’altra, e cioè che l’eucaristia non è possibile senza il sacramento del perdono. La Chiesa antica era pienamente cosciente di questo nesso. Nella Chiesa antica la struttura visibile del sacramento della penitenza consisteva nella riammissione del peccatore alla comunione eucaristica. Communio, excommunicatio e reconciliatio costituivano tutt’uno. Dietrich Bonhoeffer, il teologo luterano giustiziato dai nazisti nel 1945, ha messo giustamente in guardia dalla grazia a buon mercato. “Grazia a buon mercato è sacramento in svendita, è la cena del Signore senza la remissione dei peccati, è l’assoluzione senza confessione personale”. La grazia a buon mercato è per Bonhoeffer la causa della decadenza della Chiesa».C’è un libro significativo dello stesso cardinale Kasper, un volume oggi introvabile e dimenticato da tutti che fu pubblicato appena dieci anni fa da Herder e Queriniana e s’intitolavaSacramento dell’unità. Eucaristia e Chiesa. Fu scritto e pubblicato in occasione dell’anno eucaristico indetto da Giovanni Paolo II fra 2004 e 2005. Quel libro di Kasper che tocca vari punti spinosi e contestati e sembra davvero in linea col magistero di sempre della Chiesa e di papa Wojtyla. Per quanto riguarda l’accesso alla comunione sacramentale, Kasper sottolinea che non può essere per tutti: «non possiamo invitare tutti a riceverla». Non vi si può accedere in stato di peccato grave, ma solo quando – tramite la confessione – si è in grazia di Dio per «non mangiare e bere indegnamente il corpo e il sangue del Signore».

La «concezione superficiale» dell’eucaristia, spiegava Kasper, «disgiunta dalla croce e dal sacramento della penitenza conduce alla banalizzazione di tali aspetti e alla crisi dell’eucaristia quale quella a cui oggi assistiamo nella vita della Chiesa». Il cardinale tedesco arrivava a scrivere giustamente: «La crisi della concezione dell’eucaristia è il nucleo stesso della crisi della Chiesa odierna».

Ognuno può facilmente valutare la contraddizione fra questo Kasper dell’altroieri e il Kasper di oggi. Gli «innovatori» del Sinodo, di cui egli è uno dei capifila, ovviamente non hanno il coraggio di mettere in discussione apertamente la dottrina, perché questo significherebbe mettere in soffitta il Vangelo stesso. Essi sostengono che non si tratta di cambiare la dottrina, ma solo la pastorale sull’accesso all’eucaristia.

Ma nella Chiesa dogma e pastorale non possono assolutamente essere separate. La ragione teologica della loro unione indissolubile l’ha spiegata ancora una volta Joseph Ratzinger: «pastorale e dogma s’intrecciano in modo indissolubile: è la verità di Colui che è a un tempo “Logos” e “pastore”, come ha profondamente compreso la primitiva arte cristiana che raffigurava il Logos come pastore e nel pastore scorgeva il Verbo eterno, che è per l’uomo la vera indicazione della via».

In sostanza Gesù Buon Pastore è anche il Logos, il Verbo eterno di Dio. Non è possibile separare la misericordia dalla verità.

Ciò significa che non si può mutare l’accesso all’eucaristia per una categoria particolare di persone come i divorziati risposati (per i quali vale la legge che vale per tutti), ma vuol dire pure che verso di loro la Chiesa – come hanno ripetuto papa Wojtyla e Benedetto XVI – intende manifestare in mille altri modi la sua amorosa accoglienza di madre.

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