(su Conciliovaticanosecondo.it) Pubblichiamo la traduzione a cura di Mauro Faverzani di un articolo di mons. Rogelio Livieres Plano, già vescovo di Ciudad del Este in Paraguay, uscito sul sito spagnolo Adelantelafe(http://adelantelafe.infovaticana.com/adelante-la-fe/esperanza-frente-al-peligro-de-cisma-articulo-de-monsenor-livieres/)
Nella S. Messa di apertura del Sinodo Straordinario sulla Famiglia, Papa Francesco ha chiamato i Vescovi a collaborare col piano di Dio ed a formare così un popolo santo. Offro queste riflessioni col desiderio di servire il Papa nel modo migliore che io possa.
La Chiesa, fondata sulla roccia di Pietro, si attende dal Sinodo la promozione della famiglia cristiana. Però quel che la Bibbia chiama «il mondo» ha un’aspettativa assai diversa: i media chiedono ogni giorno che la Chiesa «si rinnovi». Un eufemismo, attraverso il quale esigere che benedica e non condanni le deviazioni morali sempre più frequenti – tra gli altri motivi, a causa della loro promozione sistematica fatta dalla stampa e dall’industria dell’intrattenimento.
La Chiesa, tuttavia, non venne fondata per sancire quanto preteso dal mondo, bensì per insegnare ciò che Dio vuole da noi e per accompagnarci nel cammino verso la santità. Perché è nella volontà di Dio, che tutto sa e che non può ingannare né essere ingannato, che troviamo l’autentica pace e la vera felicità. Né la Dottrina della fede, né la pratica pastorale – conseguenza di tale Dottrina – sono il risultato del consenso dei sacerdoti, quand’anche questi siano Cardinali o Vescovi.
Fin dalle origini del Cristianesimo, gli Apostoli ed i loro successori subirono pressioni ad opera delle potenti élites religiose e politiche, affinché travisassero la Verità e la missione evangelica che avevano ricevuto da Cristo. Invece d’inchinarsi di fronte ad altri dei, tuttavia, ci diedero una testimonianza di fedeltà incondizionata alla Verità, versando il proprio sangue. Perché «bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5, 29). In questi giorni mi è di conforto pensare all’esempio di sant’Atanasio. E’ stato espulso non una, ma cinque volte dalla sua Diocesi, a causa delle macchinazioni dei suoi confratelli Vescovi ariani, con i quali non era «in comunione», proprio perché voleva promuovere «la fede cattolica ed apostolica», come recita la preghiera eucaristica I, il Canone Romano.
Benedire e accettare «ciò che tutti chiedono» non è né misericordia, né amore pastorale. Piuttosto è pigrizia e convenienza, poiché stiamo rinunciando ad evangelizzare e ad educare. E’ anche rispetto umano, poiché c’importa più quel che diranno piuttosto che vivere profeticamente nell’obbedienza a Dio. Già san Benedetto riassunse, in un’altra epoca pure segnata da grande confusione, il principio di vita eterna dell’obbedienza: «La mia parola si rivolge ora a te, chiunque tu sia, che, avendo deciso di rinunciare alla tua propria volontà, impugni le fortissime e valorose armi dell’obbedienza…», «… in modo che tu possa tornare mediante la solerzia dell’obbedienza a Colui dal quale ti sei allontanato per l’ignavia della disobbedienza» (Regola, Prologo).
All’interno della Chiesa – e recentemente ad alcuni dei suoi più alti livelli – «soffiano venti nuovi» che non sono però dello Spirito Santo. Lo stesso Cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, tra gli altri, ha criticato il tentativo utopistico di apportare modifiche sostanziali nella pratica pastorale, senza con ciò intaccare anche la Dottrina cattolica sulla famiglia. Senza giudicare le loro intenzioni, che presumo essere le migliori, e con la tristezza di doverli citare per nome, poiché sono di pubblico dominio, il card. Kasper e la rivista gesuitica “Civiltà Cattolica” sono attivi promotori di tale confusione. Quel che un tempo era proibito come una grave disobbedienza contro la legge di Dio, ora potrebbe esser benedetto nel nome della Sua misericordia. Giustificano l’ingiustificabile per mezzo di sottili interpretazioni dei testi e degli eventi storici. Ma coloro che conoscono veramente queste materie hanno ridotto in polvere tali sofismi. Non dimentichiamo ciò che ci ha assicurato il Signore: «I cieli e la terra passeranno, ma le mie Parole non passeranno» (Mt 24, 35).
Accogliamo la straordinaria opportunità che ci offre il Sinodo di riaffermare in modo positivo ciò che la Chiesa sempre ed ovunque ha creduto sul tema della famiglia ed ha messo in pratica nella Sua disciplina. Questo ci impone, nel medesimo tempo, di difendere la Verità da coloro che stanno dividendo e confondendo il popolo di Dio. La situazione è gravissima ed io non sono il primo a far notare che disgraziatamente ci troviamo di fronte al pericolo di un grande scisma. Esattamente ciò che il Signore e la Santissima Sua Madre hanno profetizzato nel corso delle apparizioni riconosciute ed approvate dall’autorità della Chiesa.
Contro coloro che sono desiderosi di «ridisegnare» i consensi e di manipolare le statistiche, come se il popolo di Dio stesse chiedendo ciò che in realtà gli si vuole imporre con la forza di un’autorità abusiva, ricordiamo che la Chiesa non vive, né viene definita a partire dalle opinioni degli uomini e dei tempi che cambiano, bensì da ogni Parola che esce dalla bocca di Dio. La storia degli esiti cui si giunse, imponendo a tutto il popolo cattolico lo scisma della Chiesa d’Inghilterra, assieme alla testimonianza del martirio di san Giovanni Fischer e di san Tommaso Moro, rappresenta una lezione che oggi val molto la pena approfondire.
Preghiamo per il Papa, per i Cardinali ed i Vescovi, affinché tutti noi siamo disposti a versare il nostro sangue in difesa e per la promozione della famiglia contro le tempeste dell’inganno e dell’idolatria di una pretesa libertà sessuale dell’uomo davanti a Dio. Non ci dobbiamo ingannare, né allontanarci dalla fede e dalla pratica morale che Gesù Cristo ci ha insegnato. Sappiamo che il mondo ha odiato Nostro Signore. Il servitore non può esser da più del suo padrone. Il mondo ci perseguiterà, anche invocando falsamente il nome di Dio. E gli ecclesiastici, che parlano come il mondo vuole, verranno applauditi ed amati, «poiché sono dei loro», non di Dio.
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