di Luigi Santambrogio
Non sappiamo se, come titola il quotidiano Libero, il libro di Antonio Socci in uscita per Mondadori, davvero “agita il Vaticano”. É probabile che Oltretevere abbiano guai peggiori cui pensare che rispondere alle bordate antipapali dello scrittore e giornalista senese che, del resto, non è alle prime armi nel cannoneggiamento dei Sacri Palazzi. Quel che è certo, però, è che Non è Francesco (titolo che già anticipa quel che c’è nelle 296 pagine del libro) farà danni soprattutto tra i cattolici, tra il popolo della Chiesa che, piaccia o no a Socci, ha un solo e unico pastore: il Papa voluto da Cristo (mica da qualche ateo devoto alla Ferrara), in cima alla scala gerarchica di vescovi e sacerdoti che costituiscono l’ossatura oggettiva della comunità ecclesiale. Il libro, che il Foglio ha già definito come un poderoso “Manifesto antibergogliano”, non è ancora disponibile e converrà, dunque, aspettare (fino a domani) di poterlo leggere prima di avventurarsi in giudizi affrettatii. Comunque, qualche osservazione più nel metodo che nei contenuti, è già possibile avanzare. Ma prima, riassumiamo le tesi di Non è Francesco, con le stesse parole che Socci usa nell’introduzione e che Libero pubblica su due pagine.
L'improvvisa rinuncia di Papa Benedetto XVI. «Quali sono», si chiede Socci, «i motivi tuttora sconosciuti della storica rinuncia al Papato di Benedetto XVI? Qualcuno lo ha indotto a ritirarsi? Ma soprattutto: è stata una vera rinuncia? Perché non è tornato cardinale, ma è rimasto “Papa emerito”?». Benedetto, continua Socci, avrebbe rinunciato solo all’esercizio attivo del ministero, mentre quello petrino «è per sempre». E se una cosa è per sempre, non può essere revocata. Dunque, in Vaticano ci sono due Papa. O forse no: uno dei due sta occupando la cattedra di Pietro in modo abusivo. Come inizio non è incoraggianate, già pare di respirare una brutta aria alla Dan Brown.
L’elezione "illegittima" di Francesco. Socci affronta pure un’altra questione dirompente: durante il Conclave che elesse Bergoglio, dice, sono state violate le norme della Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis. Una giornalista argentina, Elisabetta Piqué, ha infatti svelato che Francesco fu eletto nella quinta votazione del 13 marzo (la sesta in totale), con una serie di procedure che avrebbero trasgredito quanto previsto dalla Costituzione apostolica, rendendo così «nulla e invalida l’elezione stessa». Questioni gravi, come si vede, e non soltanto di procedura, che finiscono nel giallo. Come quella relativa alla cancellazione dello scrutinio di una votazione dove spuntò una scheda in più rispetto ai votanti. I cardinali, senza pensarci troppo, decisero di bruciare tutto e di effettuare subito un nuovo scrutinio. Peccato che, ricorda Socci, le norme non lo consentano e quindi l’elezione è da considerarsi nulla per vizio di forma. Dunque, mai avvenuta. Le regole del Conclave, infatti, prescrivono al massimo quattro votazioni quotidiane, e non cinque come avvenuto. Davvero è così? Qualcuno ha fatto osservare che nella stesso regolamento per l’elezione dei Papi c’è un articolo che prescrive che nel caso il numero delle schede non corrisponda al numero degli elettori «bisogna bruciarle tutte e procedere subito ad una seconda votazione», come fu effettivamente fatto. Lo sapeva Socci? Forse no (meglio pensarla così), ma allora tutto il romanzo noir degno del più fanatico dei sedevacantisti vien giù come una pera cotta. Stranezze che lo scrittore prende per buone e che intreccia a inquietanti profezie sul futuro della Chiesa. «Molti fatti soprannaturali, dalle apparizioni di Fatima alla visione di Leone XIII, alle profezie della beata Anna Caterina Emmerich sull'epoca dei “due Papi”, sembrano concentrarsi sui giorni nostri annunciando eventi catastrofici per il Papato, per la Chiesa e per il mondo. Sono ineluttabili o si può ancora imboccare un'altra strada? E con quale Papa?». Beh, troppo anche per il più spregiudicato dei fanta thriller: siamo addirittura alle profezie apocalittiche, mancano solo i Maya.
Le attese e le speranze deluse. Scrive Socci nella sua introduzione: «Ammetto di essere uno dei tanti che hanno accolto Bergoglio - il 13 marzo 2013 - a braccia spalancate, com’era giusto fare ritenendolo il Papa legittimamente eletto. E anche per una serie di amicizie comuni (a me molto care), che mi avevano indotto a nutrire benevole speranze nel nuovo Pontefice. Gli comunicai perfino (e convintamente) che - fra tanti altri - poteva contare pure sulla preghiera mia e della mia famiglia, e sull’offerta delle nostre croci per il compimento della sua alta missione. Mi piaceva quel suo stile dimesso. I giornali lo rappresentavano come il vescovo che girava per Buenos Aires con i mezzi pubblici, che abitava in un modesto appartamento anziché nel palazzo vescovile, che frequentava i miseri quartieri delle periferie come un padre buono, desideroso di portare ai più infelici la carezza del Nazareno. Tutto questo poteva essere una formidabile ventata di aria fresca per il Vaticano e per l’intera Chiesa… Ho sostenuto papa Francesco come potevo, per mesi, da giornalista, sulla stampa. Mi sembrava un apostolo del confessionale, devoto della Madonna». In un altro passo, lo scrittore dichiara di volere rompere un silenzio ipocrita per indagare su domande «così destabilizzanti e “proibite” dal mainstream che tutti evitano di dirle in pubblico». Insomma, un libro nato per scoperchiare la pentola delclerically correct. Ma ancora di più per rispondere «al grido della mia coscienza», per l’urgenza di ristabilire evidenze e verità a lungo fraintese e calpestate. Insomma, quasi un cattolico j’accuse alla Emile Zola e rivolto ai fedeli frastornati e confusi da quel che esce da San Pietro. Ma a volte, anche la coscienza più pura e illuminata rischia di prendere terribii cantonate: è un pericolo che riguarda pure Socci.
C’è anche questo in Non è Francesco: la confessione di un amore tradito e deluso, di una primavera mai sbocciata. Tutto questo non significa affatto che lo svolgersi della critica e le argomentazioni sviluppate nel libro siano solo un pretesto, tutt’altro. Sono sincere (crediamo) e appassionate le mancanze che Socci rimprovera a Papa Bergoglio: la rivoluzione fallita della Curia vaticana («speravo la rovesciasse come un calzino, quasi col fuoco di Giovanni Battista. Invece bisogna amaramente riconoscere che poco o nulla è stato fatto, solo qualche rimozione, in certi casi anche ingiusta»), lo Ior che non è stato chiuso («non solo Bergoglio non l’ha chiuso… ma, dicono gli osservatori più informati, ha moltiplicato commissioni, burocrazie e spese»), l’incompiuta opera di pulizia nella Chiesa, intrapresa da Ratzinger, la resa morale e culturale alle ideologie del mondo («Ma come dobbiamo interpretare il segnale dato al mondo di lassismo e di resa nei confronti dei nuovi costumi sessuali della società e dello sfascio dei principi morali e delle famiglie?»).
Le obiezioni non finiscono qui: nell’introduzione Socci anticipa anche le profonde riserve pastorali sul Pontificato, spingendosi fino al dubbio sulla coerenza di Francesco con il magistero dei predecessori. É forse questa la parte più “dura” e acuminata dell’intero libro. A cominciare dal mancato appoggio di Francesco ai cristiani perseguitati e uccisi dai tagliagole del Califfato islamico in Iraq e Siria per arrivare alla reticenza papale nel denunciare le complicità e le responsabilità dei capi musulmani nel genocidio. «… Mai il Papa si è rivolto a un mondo islamico che in genere umilia ogni minoranza, mai una sferzata contro il terrorismo islamista, mai ha chiesto esplicitamente quell’ingerenza umanitaria che disarmasse, anche con la forza, i carnefici e impedisse massacri come pure imploravano i vescovi dell’Iraq». Invece «ha continuato a confidare in un dialogo senza condizioni e senza precauzioni, esponendosi a dolorosi incidenti come quello dell’8 giugno 2014, quando ha chiamato a pregare in Vaticano, fra gli altri, un imam che, lì sul suolo bagnato dal sangue di tanti martiri cristiani, infischiandosene dei discorsi concordati, ha invocato Allah perché aiuti i musulmani a schiacciare gli infedeli (“dacci la vittoria sui miscredenti”)». Espressioni durissime e combattive, che vorrebbero assegnare al Papa la responsabilità di una “controffensiva religiosa” e di un “cattolicesimo militante” che dovrebbero forse impegnare più i laici e la politica. Bisognerà leggere questi capitoli con attenzione.
Infine, le accuse sull’ortodossia e la dottrina. Attacca Socci: «Bergoglio, sempre così critico con i cattolici, non si contrappone mai nemmeno alle lobby laiciste sui temi della vita, del gender, dei principi non negoziabili che papa Benedetto individuò come pilastri della “dittatura del relativismo”». Nel mirino quella frase diventata il must, il tormentone delle tifoserie pro e contro il papa argentino, quel “Chi sono io per giudicare” stravolto e manipolato fino al parossismo e alla caricatura. Per non dire, continua Socci, «di quando lo stesso Bergoglio si avventura nelle sue sconcertanti affermazioni, tipo “se uno non pecca non è uomo”, una tesi sorprendente che nemmeno si avvede così di negare di fatto l’umanità di Gesù e Maria, i quali furono esenti dal peccato e proprio per questo sono il modello ideale supremo dell’uomo e della donna… O quando ha attribuito erroneamente a san Paolo la frase “mi vanto dei miei peccati”… Evidentemente in Vaticano, e in particolare a Santa Marta, non si conosce quanto afferma san Tommaso d’Aquino: “È peccato mortale quando uno si vanta di cose che offendono la gloria di Dio”». E ancora, sulla debolezza dell’annuncio cristiano, soprattutto ai giovani smarriti e incerti su tutto («Rischia di essere fuorviante sentir dire da papa Bergoglio che “il proselitismo è una solenne sciocchezza” e che lui non ha “nessuna intenzione” di convertire i suoi interlocutori»), fino all’accusa di favorire l’odierna deriva nichilista («… papa Bergoglio rischia di assecondare proprio questa tragica deriva dicendo che ”ciascuno ha una sua idea di bene e di male” e noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il bene”»). E poi l’affondo forse più bruciante, quello di annacquare il Vangelo per «avere il plauso dei ricchi e dei potenti salotti snob e anticattolici della Repubblica. Dove tutti ora esultano ritenendo di avere finalmente un Papa scalfariano». Mah, un Papa "scalfariano" o uno Scalfari sedicente "francescano"?
Esagerazioni ingiuste, estrapolazioni maliziose e conclusioni infondate? Sicuramente, così come è possibile che certe ingenuità e contraddizioni nella comunicazione di Papa Francesco abbiano autorizzato lo scrittore a tirare questi giudizi così impietosi. Spiace, perché Socci è una bravo e intelligente giornalista e certo qui non è in dubbio la sua (buona) fede: non è questo il punto. La questione, semmai, sta nelle ragioni che lo hanno spinto a mettere in pagina e dare alle stampe le sue personali opinioni sul capo della Chiesa cattolica, fino a misconoscerne l’oggettiva autorità a rappresentare Cristo agli uomini di oggi. Cioè, a noi. Facile prevedere che Non è Francesco dividerà i cattolici e non solo. Qualche ultrà devoto del Foglio, sempre in prima fila quando c’è da menare il turibolo sulla testa del Papa e a insegnare il mestiere alla Chiesa, ha già tessuto le sue interessate lodi al libro di Socci. E c’è da credere che ne farà un altro formidabile assist nel suo personale campionato anti Bergoglio. Ognuno fa il gioco che più gli pare e piace, per fortuna. In quanto ai cattolici, Socci (in qualche modo) li costringe a qualche impegnativa domanda: chi è il “custode” del bene della Chiesa? Come non scandalizzarsi dei presunti errori di chi guida e stare, con la ragione e il cuore, dentro la comunità cristiana per proporla agli uomini di oggi?
Nella Vita di San Francesco, scritta da san Bonaventura da Bagnoregio nel 1260, si racconta questo episodio: «Spesso, pensando allo scandalo che veniva dato ai piccoli, Francesco provava una tristezza immensa, al punto da ritenere che ne sarebbe morto di dolore, se la bontà divina non l’avesse sorretto con il suo conforto. Una volta, turbato per i cattivi esempi, con grande ansietà di spirito, pregava per i suoi figli il Padre Misericordioso, ma si ebbe dal Signore questa risposta: “Perché ti turbi, tu, povero omuncolo? Forse che io ti ho costituito pastore della mia Religione, senza farti sapere che il responsabile principale sono io? Ho scelto te, uomo semplice, proprio per questo: perché le opere che io compirò siano attribuite non a capacità umane, ma alla Grazia celeste. Io ho chiamato, io conserverò e io pascerò e, al posto di quelli che si perdono, altri ne farò crescere; e per quanto gravi possano essere le procelle da cui questa Religione poverella sarà sbattuta, essa, col mio sostegno sarà sempre salva». Ci si può credere o no, ma questo “è Francesco”.
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