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Quelle 233 Ostie senesi che illuminano il mondo…di Antonio Socci -

EGLI È QUI

Tutto si è svolto riservatamente, attorno al 10 settembre scorso. Ma la notizia più importante, quella sul risultato della ricognizione, è trapelata e ve la proponiamo. A cento anni dall’ultima analisi c’è la conferma che le Sacre Particole conservate nella basilica di San Francesco, a Siena, si stanno ancora mantenendo miracolosamente intatte, contro ogni legge naturale. Nel contenitore sono state rinvenute – com’era prevedibile – muffe e batteri, ma incredibilmente nessuna ostia è stata intaccata. Un fenomeno inspiegabile perché per la loro composizione (come derivati del grano) le particole sono deperibilissime, molto vulnerabili da microrganismi e muffe. Sembra che su queste 233 ostie conservate a Siena le leggi di natura non possano nulla.




Molti decenni fa un arcivescovo di Siena, Tiberio Borghese, volle fare una sorta di controprova: fece sigillare alcune particole non consacrate in un contenitore. Dopo dieci anni una Commissione scientifica andò a vedere il loro stato e trovò solo frammenti decomposti e vermi. Questo è infatti l’iter naturale delle materie organiche. Tutto si corrompe e si decompone. Ma sfuggono a questa inesorabile legge fisica e chimica quelle ostie consacrate che si conservano nella Basilica di san Francesco, nella città di Santa Caterina, mirabile punto d’incontro dei due patroni d’Italia. Nei diversi miracoli eucaristici, avvenuti soprattutto in Italia, solitamente si è verificata una trasformazione delle particole in carne (spesso del miocardio) e in sangue, quello di Siena si caratterizza perché il miracolo sono le stesse ostie che misteriosamente sfidano il tempo e le leggi naturali, rendendo così evidente la presenza permanente di Colui che è Signore della storia e dell’eternità. Il grande Thomas S. Eliot cantava il “punto di intersezione del senza tempo col tempo”. Eccolo qua. Un altro poeta, Eugenio Montale nella sua laica “queste” della salvezza cercava “il varco” nella prigione della quotidianità, “la smagliatura nella rete” dell’esistenza, “l’anello che non tiene” nella concatenazione delle circostanze… Ecco dunque, nell’evento di Siena, il segno del grande varco che spalanca l’eternità qui nel tempo.

COME ACCADDE

Tutto comincia nell’anno 1730. Era il 14 agosto, la vigilia dell’Assunta. Tutto il popolo senese era accorso in Cattedrale per i primi vespri e l’offerta del cero votivo in onore della Madre di Dio. Per questo dei ladri poterono entrare indisturbati nella Basilica di San Francesco e rubare la pisside d’argento piena di particole consacrate. Per la città fu uno choc. Furono fatte preghiere e processioni per riparare l’atto sacrilego. Probabilmente gli stessi ladri restarono colpiti. Fatto sta che tre giorni dopo, il 17 agosto, le particole furono rinvenute nel vicino Santuario di Santa Maria in Provenzano, dentro una cassetta delle elemosine. La città fece festa. Processioni solenni e atti di adorazione si susseguirono anche nelle parrocchie, ripetutamente. Per questo al momento era stato deciso di non consumare quelle ostie. Finché ci si rese conto che, con il tempo, queste particole non subivano alcuna alterazione. Devotamente custodite continuavano a restare incorrotte. Dunque si cominciò a constatare che un miracolo era in corso.

LO STUPORE

Le ostie, oltre ad essere esposte al deperimento organico e agli agenti atmosferici, avevano subito travasi di contenitori, contatti fisici per i periodici conteggi, scuotimenti. Eppure quando le Sacre Particole vengono analizzate si trovano sempre “fresche, intatte, fisicamente incorrotte, chimicamente pure e non presentano alcun principio di corruzione”. Erano passati quasi due secoli, così, nel 1914, si decise di sottoporle all’analisi scientifica. Alla fine il verbale degli scienziati reciterà: “Le Sante Particole di Siena sono un classico esempio della perfetta conservazione di particole di pane azzimo consacrate nell’anno 1730, e costituiscono un fenomeno singolare, palpitante di attualità che inverte le leggi naturali della conservazione della materia organica. E’ un fatto unico consacrato negli annali della scienza”. Nel corso degli anni seguirono poi nuovi trasferimenti di contenitori e un altro tentativo di furto nel 1951. Ma il miracolo è continuato. Lo scrittore danese Joergensen, convertito al cattolicesimo, lo definì “una delle più grande meraviglie di Cristo sulla terra”. Circa venti anni fa mi trovai ad accompagnare io stesso l’allora cardinale Ratzinger alla Basilica di San Francesco e ricordo il suo stupore e la sua commozione per queste Sacre Particole. Anche Giovanni Paolo II, in visita a Siena il 14 settembre 1980, aveva voluto sostare in adorazione davanti ad esse e alla fine, commosso, aveva sussurrato: “È la Presenza!”.


EGLI RIMANE


In effetti, la caratteristica del miracolo eucaristico di Siena è la sua continuità nel tempo, un segno che chiaramente rende evidente la permanenza della presenza di Cristo nell’ostia consacrata. È la conferma soprannaturale e straordinaria di una verità che il cattolicesimo proclama. Ha scritto don Divo Barsotti: “Alcune confessioni protestanti non negano la presenza reale del Cristo nell’Eucarestia, ma negano che questa Presenza reale sia permanente: Gesù è presente nell’istante in cui si dona (…). La differenza sostanziale, si direbbe, con la dottrina eucaristica così come il Cattolicesimo l’ha sempre insegnata è precisamente questa: la presenza del Cristo nell’Eucarestia è permanente”. Negli ultimi decenni il pensiero protestante si è infiltrato nella Chiesa cattolica. Infatti Paolo VI, già nell’enciclica “Mysterium fidei” del 1965, metteva in guardia da queste false dottrine sull’eucarestia che stavano circolando nella Chiesa. Una di queste sosteneva proprio che Cristo non sarebbe più presente nelle Ostie consacrate e rimaste dopo la celebrazione della Messa. Idea fatta propria da un cattoprogressismo sociologico, tutto centrato sulla dimensione orizzontale. Idea falsissima. Non a caso il Concilio di Trento insiste nell’esortare all’adorazione eucaristica anche al di fuori della liturgia. E Paolo VI in quella sua enciclica – sottolineava il cardinale Dulles – “ha parlato chiaramente e decisamente in favore della custodia del Santissimo Sacramento in un posto d’onore in chiesa” e poi “ha esortato i pastori a esporre il Sacramento per la solenne adorazione e a fare processioni eucaristiche”. Così come “Giovanni Paolo II ha cercato di promuovere la devozione dell’Eucarestia al di fuori della Messa” perché è “di valore inestimabile per la vita della Chiesa”. Lo stesso papa Wojtyla dedicava molte ore all’adorazione e “molte delle sue migliori intuizioni scaturivano da questi momenti di preghiera”. Benedetto XVI ha proseguito sulla stessa linea e il popolo cristiano ha riscoperto la bellezza e la ricchezza dell’adorazione eucaristica. Eppure se questo è sempre stato il magistero della Chiesa, poi una sorta di magistero parallelo (e abusivo) ha seminato la sua zizzania. E oggi tornano gli errori degli anni Sessanta, quando – scriveva il cardinale Dulles – “ai fedeli veniva ripetuto, da educatori all’avanguardia in fatto di religione, che lo scopo del Santissimo Sacramento era di essere ricevuto nella comunione e non di essere adorato, come se le due cose si escludessero a vicenda”. Un riflesso di queste idee lo si ritrova oggi in quelle chiese cattoliche dove il tabernacolo con il Santissimo Sacramento non è più nel luogo nobile e importante della casa di Dio, ma in qualche sgabuzzino marginale e talora addirittura è stato estromesso fuori dalla chiesa. Eppure è solo quel tabernacolo che caratterizza una chiesa cattolica. Edith Stein, filosofa ebrea tedesca, si convertì al cattolicesimo proprio perché – dopo aver visitato dei templi protestanti – un giorno entrò in una Chiesa cattolica e si rese conto che “qui c’è Qualcuno”. Divenne suora carmelitana e poi – uccisa ad Auschwitz – fu proclamata santa. Perché si era innamorata di quella Presenza.

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