Il testo del Nostro vuole mostrare l’atteggiamento della Santa Scrittura verso le false religioni, che di certo non è tenero, nel Vecchio come nel Nuovo Testamento. A me, in questa breve introduzione, spetta di ricordare come la Chiesa, nella sua liturgia e nei suoi atti, prima ancora che in specifici documenti sull’argomento (peraltro citati nel seguito dell’opera), abbia tenuto verso le false religioni un atteggiamento tutt’altro che accomodante.
La Chiesa non ha mai avuto cognizione di un dialogo con i non cristiani. Eventuali discussioni erano esplicitamente finalizzate alla conversione; l’ascolto dell’altro era volto a una più efficace confutazione dei suoi errori; l’atteggiamento normale era combattivo, a livello dialettico o anche militare, se necessario e possibile. Nel caso in cui non si potesse convertire o prevalere, l’opzione normale non era l’adattarsi all’interlocutore, ma il martirio, esso stesso considerato il più completo trionfo della fede sull’errore.
Il Pontificale romano definisce, nel rito dell’ordinazione dei diaconi, la Chiesa di Dio come quae semper in procinctu posita, incessabili pugna contra inimicos dimicat: Una schiera ordinata nella sua gerarchia spirituale, capace di dotarsi di tutte le armi visibili e invisibili per una lotta contro le potenze spirituali e contro i nemici terreni. Seguace di Colui che approvò l’uso della spada, anzi ordinò agli Apostoli di comprarne una vendendo il mantello, la Chiesa, società perfetta, non ha esitato a mettere a esecuzione il Satis est uscito dalla bocca del Cristo a proposito delle due spade, ogni volta che lo ha potuto e dovuto, votandosi al martirio in tutti gli altri casi.
La liturgia abbonda di espressioni guerresche contro i nemici della fede. Il Papa benediva i vessilli bellici perché fossero temibili ai nemici del popolo cristiano, perché i condottieri cristiani penetrassero come un cuneo le schiere ostili, a lode e gloria del Nome di Dio; il Messale Romano pregava che Dio sottomettesse agli Imperatori cristiani le barbare nazioni che non conoscevano la verità (nel Venerdì santo); e contiene una Messa contra paganos, perché questi siano schiacciati dalla destra di Dio, che fa il paio con quella per la propagazione della Fede, che invoca il progresso constante della vera religione dall’oriente all’occidente e la conversione di tutte le genti.
L’atteggiamento dei Papi verso i non cristiani è stato costantemente quello della missione o della guerra, o nel caso si trovassero all’interno di stati cattolici, quello della repressione o della ri-conversione. Possono sembrare parole scritte dalla propaganda anticattolica, ma al di là degli eccessi leggendari della pubblicistica ottocentesca anticlericale, dobbiamo assumere come fatto normale che la Chiesa sia una società che deve diffondere la verità, e tutelare la trasmissione di questa verità con i mezzi che una società perfetta ha a sua disposizione, ogni volta che lo può. Che la Chiesa avesse nei suoi canoni leggi penali contro gli eretici è la normalità, che scendesse in guerra con i propri mezzi a difendere i cristiani in pericolo o a eliminare gli ostacoli alla diffusione del Vangelo, è la normalità in qualsiasi epoca in cui non c’è persecuzione ma Cristianità. Sant’Ambrogio non esitava a spingere l’Imperatore a negare a Milano qualsiasi luogo di culto agli ariani, occupando con i fedeli l’unica chiesa rimasta nelle loro mani; quando una sinagoga fu incendiata dai cristiani in Asia, il santo condannò l’atto, ma obbligò Teodosio a non imporre la ricostruzione, per di più a spese dei cristiani.
Non ci deve stupire che Lucio III ordinasse di consegnare gli eretici al braccio secolare, o che Innocenzo III chiedesse ai signori laici di intervenire eliminando dalle loro terre tutti gli eretici segnalati dalla Chiesa; e che nella bolla dogmatica che condanna gli errori di Lutero, Leone X ricordi che bruciare gli eretici non è contro la volontà dello Spirito Santo. Anche la tolleranza verso l’errore, quando avviene, è sempre temporanea e dovuta a circostanze particolari, qualora l’applicazione rigorosa del diritto fosse controproducente rispetto al fine.
Un discorso tutto a sé meriterebbe la vita di quei santi che hanno fatto dell’atteggiamento anti-ecumenico il senso della loro stessa santità, riconosciuta dalla Chiesa. Se abbiamo citato sant’Ambrogio, flagello degli eretici, avremmo dagli Apostoli in poi tantissimi esempi di quella che oggi chiameremmo, secondo un linguaggio sgradevole, intolleranza; e che in realtà si deve dire vera carità. Non faremo esempi, perché solo persone in mala fede potrebbero trovare in un qualsiasi santo “preconciliare” la minima traccia di spirito ecumenico. Non si contano i santi che hanno scritto contro gli eretici, che li hanno avversati, che hanno distrutto templi pagani, che hanno sostenuto o personalmente guidato spedizioni militari contro gli infedeli. E non si contano i santi morti martiri per mancanza di spirito ecumenico. Mi limiterò a citare il Beato John Ogilvie, gesuita scozzese, catturato a Glasgow dai calvinisti per aver detto la Messa “in una città riformata”, e messo a morte da Giacomo VI per aver sostenuto il potere del Papa sui Re durante il processo.
Questi, condotto all’impiccagione, dichiarò quanto dovrebbe far impallidire un Giovanni Paolo II, un Benedetto XVI o un Francesco: «If there be here any hidden Catholics, let them pray for me; but the prayers of heretics I will not have» («Se ci sono qui dei cattolici nascosti, che preghino per me; ma le preghiere degli eretici io non le avrò»). Atteggiamento veramente cattolico agli antipodi degli incontri di Assisi o delle preghiere a per la pace nei giardini del Vaticano: le preghiere degli eretici non solo sono inefficaci, ma blasfeme e pericolose.
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