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In che consista la perfezione cristiana. Per acquistarla bisogna combattere. Quattro cose necessarie per questa battaglia(VI-VIII capitoli)



CAPITOLO VI

Altri avvisi, perché acquistiamo la diffidenza di noi stessi e la confidenza in Dio


Poiché tutta la forza di vincere i nostri nemici nasce principalmente dalla diffidenza di noi stessi e dalla confidenza in Dio, di nuovo ti provvedo di avvisi perché tu le consegua con il divino aiuto.
Devi sapere dunque e tenere per cosa certa che né tutti i doni, o naturali o acquisiti che siano, né tutte le grazie gratis date, né la conoscenza di tutta la Scrittura, né l'aver lungamente servito Dio e fatto in questo l'abitudine ci faranno compiere la sua volontà, se in qualunque opera buona e accetta agli occhi suoi che dobbiamo fare, e in qualunque tentazione che dobbiamo vincere, e in qualunque pericolo che dobbiamo fuggire, e in qualunque croce che dobbiamo portare secondo la sua volontà, se, dico, non è aiutato ed elevato il cuor nostro dal particolare aiuto di Dio, e anzi Dio stesso non ci tenda anche la mano per fare tutto questo. Dunque dobbiamo in tutta la nostra vita, in tutti i giorni, in tutte le ore e in tutti i momenti aver presente questa verità: che così per nessuna via o progetto potremo mai confidare in noi stessi.
Per quanto poi riguarda la confidenza in Dio, sappi che per lui non c'è niente di più facile che vincere i pochi come i molti nemici, i vecchi ed esperti come i fiacchi e inesperti. Perciò, sebbene un'anima sia carica di peccati, abbia tutti i difetti del mondo, anzi sia difettosa quanto mai si possa immaginare; benché abbia tentato quanto si voglia, usato qualunque mezzo e fatto qualunque esercizio per lasciare il peccato e operare il bene; benché non abbia mai potuto acquistare un minimo di bene, anzi sia precipitata più pesantemente nel male: con tutto ciò non deve mancare di confidare in Dio né deve mai lasciare le armi e gli esercizi spirituali, ma combattere sempre generosamente in quanto bisogna sapere che in questa battaglia spirituale non perde chi non smette di combattere e di confidare in Dio, il cui aiuto non manca mai ai suoi soldati anche se a volte permette che siano feriti. Si combatta pure, perché qui è tutto! La medicina per le ferite è pronta ed efficace per i soldati, che con confidenza cercano Dio e il suo aiuto; e quando meno ci pensano, i nemici si troveranno morti.

CAPITOLO VII

L'esercizio. 
E in primo luogo l'esercizio dell'intelletto, che va guardato dall'ignoranza e dalla curiosità


Se la diffidenza di noi e la confidenza in Dio tanto necessarie in questa battaglia saranno sole, non solamente non avremo vittoria su noi stessi, ma precipiteremo in molti mali. Perciò, oltre a queste, ci è necessario l'esercizio, che è la terza cosa proposta sopra. Questo esercizio si deve fare principalmente con l'intelletto e con la volontà. Quanto all'intelletto deve essere da noi guardato da due cose che sogliono combatterlo.
L'una è l'ignoranza, che lo oscura e gli impedisce la conoscenza del vero, che è il suo oggetto proprio. Perciò con l'esercizio lo si deve rendere lucido e chiaro, perché possa vedere e discernere bene quanto ci è necessario per purificare l'anima dalle passioni disordinate e ornarla delle sante virtù. Questo lume in due modi si può ottenere.
Il primo e più importante è l'orazione, pregando lo Spirito Santo che si degni infonderlo nei nostri cuori. Questo lo farà sempre, se in verità cercheremo Dio solo; se cercheremo di fare la sua santa volontà e se sottoporremo ogni cosa insieme al nostro giudizio alla decisione del padre spirituale.
L'altro modo è un continuo esercizio di profonda e leale considerazione delle cose per vedere come siano, se buone o cattive: e ciò secondo come insegna lo Spirito Santo e non come appaiono all'esterno, si rappresentano ai sensi e giudica il mondo.
Questa considerazione, fatta come si conviene, ci fa chiaramente conoscere che si debbono avere per nulla, per vanità e bugia tutte quelle cose che il cieco e corrotto mondo ama e desidera, e che con vari modi e mezzi si va procurando; che gli onori e i piaceri terreni non sono altro che vanità e afflizione di spirito; che le ingiurie e le infamie, che il mondo ci dà, portano vera gloria e le tribolazioni quiete; che perdonare i nemici e fare loro del bene è magnanimità e una delle maggiori somiglianze con Dio; che vale più il disprezzo del mondo che l'esserne padrone; che l'obbedire volentieri per amore di Dio alle più vili creature è cosa più magnanima e generosa del comandare ai grandi prìncipi; che l'umile conoscenza di noi stessi si deve apprezzare più dell'altezza di tutte le scienze; che il vincere e mortificare i propri appetiti, per piccoli che siano, merita maggior lode che l'espugnare molte città (cfr. Pro 16,32), superare potenti eserciti con le armi in mano, fare miracoli e risuscitare i morti.

CAPITOLO VIII

Le cause per cui non discerniamo rettamente le cose.
Il metodo che si deve usare per conoscerle bene


La causa per cui non discerniamo rettamente tutte le cose suddette insieme a molte altre è che al primo loro apparire vi attacchiamo o l'amore o l'odio. Da questi oscurato, l'intelletto non le giudica con rettitudine per quelle che sono.
Tu, perché in te non trovi luogo questo inganno, sii accorta nel tenere sempre quanto più puoi la tua volontà purificata e libera dall'affetto disordinato a qualunque cosa. E quando ti viene posto innanzi qualunque oggetto, osservalo bene con l'intelletto e consideralo con maturità prima che da odio, se si tratta di cosa contraria alle nostre naturali inclinazioni, o da amore, se ti apporta diletto, tu sia mossa a volerlo oppure a rifiutarlo. Perché allora l'intelletto, non essendo ingombrato da passione, è libero e chiaro; può conoscere il vero e penetrare dentro al male, che è nascosto sotto il falso piacere, e al bene coperto dall'apparenza del male.
Ma se la volontà si è prima inclinata ad amare la cosa o l'ha presa in aborrimento, l'intelletto non la può ben conoscere, perché quell'affetto, che si è interposto, lo offusca in modo da fargliela stimare diversamente da quella che è, e per tale rappresentandola alla volontà, essa si muove più ardentemente di prima ad amarla oppure a odiarla contro ogni ordine e legge di ragione. Da tale affetto viene a essere oscurato maggiormente l'intelletto e, così oscurato, fa di nuovo sembrare alla volontà la cosa più che mai amabile o odiosa. Perciò, se non si osserva la regola che ho detto (il che in tutto questo esercizio è di somma importanza), queste due potenze tanto nobili ed eccellenti, intelletto e volontà, vengono miseramente a camminare sempre, come in un vortice, di tenebre in più folte tenebre e di errore in errore maggiore.
Guardati dunque, figliuola, con ogni vigilanza da ogni non bene ordinato affetto a qualsiasi cosa, che prima non sia da te ben esaminata e riconosciuta per quella che è veramente con il lume dell'intelletto, e principalmente con quello della grazia e dell'orazione e con il giudizio del tuo padre spirituale. Il che intendo che tu debba osservare, talora più che nelle altre cose, in alcune opere esteriori che sono buone e sante, perché in queste, per essere tali, vi è più che in quelle pericolo di inganno e di indiscrezione da parte nostra. Onde per qualche circostanza di tempo, di luogo e di misura, o per rispetto dell'obbedienza, alcune volte ti potrebbero recare non piccolo danno, come di molti si sa che nei lodevoli e santissimi esercizi hanno corso pericolo.

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