di don Pierpaolo Maria Petrucci
La prima cosa che la Chiesa ci fa chiedere, il giorno del nostro battesimo, è la fede per ottenere la vita eterna: questo ci mostra tutta l’importanza che tale virtù teologale riveste nell’illuminare la nostra vita per poi aprici le porte del Paradiso, ove essa scomparirà per lasciar posto alla visione beatifica. La crisi attuale nella Chiesa è una crisi dottrinale che riguarda la trasmissione e la professione della fede. Per questo è più che mai importante approfondire questa virtù così fondamentale per la nostra vita e indispensabile per la salvezza.
La fede oggi è particolarmente attaccata e si direbbe che in vaste parti del mondo stia scomparendo. Il 13 luglio 1917 la Madonna a Fatima iniziava la terza parte del segreto rivelato ai tre pastorelli con queste parole: «Nel Portogallo si conserverà sempre il dogma della fede», lasciando intendere così che essa sarebbe andata perduta altrove. Effettivamente viviamo un’epoca in cui l’uomo moderno, soprattutto in Europa, si sta allontanando sempre di più dalla concezione del mondo ispirata dalla fede. Le verità che hanno generato la civilizzazione cristiana sono certamente attaccate e stravolte in seguito ai cambiamenti della società negli ultimi decenni ma soprattutto a causa dei mutamenti dottrinali avvenuti nella Chiesa dopo l’ultimo concilio. Proprio in nome della fede, e per conservarla, alcuni vescovi e molti sacerdoti sono entrati in conflitto con le autorità ecclesiastiche in un’apparente disobbedienza. Ma cosa è precisamente la fede? Qual è la sua certezza? Quale influenza deve avere nella nostra vita? In ordine di tempo è la prima virtù che ci avvicina a Dio, facendocelo conoscere come è in se stesso. San Paolo la definisce come “la sostanza delle cose che speriamo”. Tramite essa infatti crediamo quelle verità che siamo chiamati a contemplare eternamente un giorno in so. Essa è già, in questo senso, l’inizio della vita eterna. Nell’attesa di contemplare Dio faccia a faccia, durante il nostro pellegrinaggio terreno, la fede ce ne dà una certa conoscenza, anche se oscura e lontana, e ci indica i mezzi per giungere a lui. Conoscere il vero Dio, ciò che ha fatto per noi e ciò che siamo per lui è la garanzia e la condizione stessa della vita eterna poiché, come ci dice Gesù: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo» . Per darci questa conoscenza che sorpassa le nostre capacità naturali Dio si è rivelato a noi. Dopo averci adottato come figli tramite la grazia santificante che trasforma radicalmente la nostra anima innestandola nella vita divina, egli si è fatto conoscere come è in se stesso, nel suo intimo mistero, poiché un padre nei confronti dei figli non ha segreti. La conoscenza che ci dà la fede è fondata sull’autorità di Dio, verità infallibile, e quindi ci comunica certezze superiori ad ogni conoscenza naturale ed è la condizione essenziale per giungere un giorno alla contemplazione di ciò che abbiamo creduto. Infatti per meritar il fine soprannaturale a cui siamo chiamati e che consiste nella visione beatifica, occorre porre in questa vita atti proporzionati al suo conseguimento. In questo senso S. Paolo afferma che «Chi si avvicina a Dio deve credere…» , e ancora «Senza la fede non si può piacere a Dio» poiché «la fede è la sostanza delle cose che speriamo di cui non abbiamo l’evidenza» .Questi primi elementi ci consentono già di analizzare la virtù di fede. Essa ci permette una conoscenza di verità che superano la nostra capacità intellettiva, perché soprannaturale nel suo oggetto che è Dio in se stesso, nel suo mistero ineffabile. Ma pur facendoci conoscere nel mistero e quindi in una certa oscurità, la fede produce in noi una certezza assoluta poiché fondata sull’autorità di Dio che rivela e che non può né ingannarsi né ingannarci.
La fede oggi è particolarmente attaccata e si direbbe che in vaste parti del mondo stia scomparendo. Il 13 luglio 1917 la Madonna a Fatima iniziava la terza parte del segreto rivelato ai tre pastorelli con queste parole: «Nel Portogallo si conserverà sempre il dogma della fede», lasciando intendere così che essa sarebbe andata perduta altrove. Effettivamente viviamo un’epoca in cui l’uomo moderno, soprattutto in Europa, si sta allontanando sempre di più dalla concezione del mondo ispirata dalla fede. Le verità che hanno generato la civilizzazione cristiana sono certamente attaccate e stravolte in seguito ai cambiamenti della società negli ultimi decenni ma soprattutto a causa dei mutamenti dottrinali avvenuti nella Chiesa dopo l’ultimo concilio. Proprio in nome della fede, e per conservarla, alcuni vescovi e molti sacerdoti sono entrati in conflitto con le autorità ecclesiastiche in un’apparente disobbedienza. Ma cosa è precisamente la fede? Qual è la sua certezza? Quale influenza deve avere nella nostra vita? In ordine di tempo è la prima virtù che ci avvicina a Dio, facendocelo conoscere come è in se stesso. San Paolo la definisce come “la sostanza delle cose che speriamo”. Tramite essa infatti crediamo quelle verità che siamo chiamati a contemplare eternamente un giorno in so. Essa è già, in questo senso, l’inizio della vita eterna. Nell’attesa di contemplare Dio faccia a faccia, durante il nostro pellegrinaggio terreno, la fede ce ne dà una certa conoscenza, anche se oscura e lontana, e ci indica i mezzi per giungere a lui. Conoscere il vero Dio, ciò che ha fatto per noi e ciò che siamo per lui è la garanzia e la condizione stessa della vita eterna poiché, come ci dice Gesù: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo» . Per darci questa conoscenza che sorpassa le nostre capacità naturali Dio si è rivelato a noi. Dopo averci adottato come figli tramite la grazia santificante che trasforma radicalmente la nostra anima innestandola nella vita divina, egli si è fatto conoscere come è in se stesso, nel suo intimo mistero, poiché un padre nei confronti dei figli non ha segreti. La conoscenza che ci dà la fede è fondata sull’autorità di Dio, verità infallibile, e quindi ci comunica certezze superiori ad ogni conoscenza naturale ed è la condizione essenziale per giungere un giorno alla contemplazione di ciò che abbiamo creduto. Infatti per meritar il fine soprannaturale a cui siamo chiamati e che consiste nella visione beatifica, occorre porre in questa vita atti proporzionati al suo conseguimento. In questo senso S. Paolo afferma che «Chi si avvicina a Dio deve credere…» , e ancora «Senza la fede non si può piacere a Dio» poiché «la fede è la sostanza delle cose che speriamo di cui non abbiamo l’evidenza» .Questi primi elementi ci consentono già di analizzare la virtù di fede. Essa ci permette una conoscenza di verità che superano la nostra capacità intellettiva, perché soprannaturale nel suo oggetto che è Dio in se stesso, nel suo mistero ineffabile. Ma pur facendoci conoscere nel mistero e quindi in una certa oscurità, la fede produce in noi una certezza assoluta poiché fondata sull’autorità di Dio che rivela e che non può né ingannarsi né ingannarci.
Nell’ordine puramente naturale vi sono dei misteri per la nostra intelligenza come per esempio l’origine della vita, la causa di certe malattie, la dimensione dell’universo. Non dobbiamo essere sorpresi che in Dio vi siano misteri che superano la nostra ragione, senza però contraddirla. La nostra intelligenza può giungere alla conoscenza certa anche quando una proposizione non è evidente né in sé, né nei suoi princìpi, ma ci è fatta conoscere attraverso una persona competente e degna di fede. Affinchè l’assenso dell’intelligenza sia prudente occorre quindi verificare prima di tutto la scienza e la veridicità della persona che parla, poi il fatto stesso della sua affermazione, cioè che sia proprio questa persona degna di fede ad aver parlato. Questa doppia considerazione produce in noi ciò che si chiama un giudizio di credibilità . L’atto dell’intelletto che aderisce in queste circostanze è chiamato fede. Essa può essere umana, o divina. La fede umana è l’assenso che la nostra intelligenza da, per esempio, ad un professore di geografia che ci parla dell’Australia. È una persona competente, credibile, quindi anche se non abbiamo mai visto l’Australia ne crediamo l’esistenza. La differenza con la fede divina è che le verità che crediamo sulla testimonianza di Dio sorpassano la nostra ragione e non possiamo comprenderle, anche se come detto non la contraddicono. Poiché poi si tratta di una virtù soprannaturale le nostre facoltà devono essere elevate dalla grazia, essa ci rende capaci di atti che superano le possibilità della nostra natura. Per quel che riguarda la fede divina l’adesione è determinata dal fatto che Dio ci ha parlato e quindi dobbiamo credergli, poiché egli è la verità suprema che non può né ingannarsi né ingannarci, anche se la nostra ragione limitata non può comprendere perfettamente i misteri che ci fa conoscere. In altre parole l’oggetto della fede ed il motivo per cui crediamo è Dio in quanto ci rivela delle verità che superano la ragione naturale dell’uomo. Dalla rivelazione divina nasce nell’uomo l’obbligo morale di aderivi. Il rigettare le verità rivelate, una volta conosciute, è un peccato gravissimo poiché comporta il rifiuto di Dio come nostro fine ultimo e quindi ci allontana da lui in questa vita e ci preclude la l’accesso alla beatitudine in quella futura. Gesù infatti ammonisce categoricamente nel Vangelo: «Chi non crederà sarà condannato».
La genesi dell’atto di fede
All’obbligo di credere corrisponde la necessità di poter riconoscere con certezza l’origine divina della rivelazione. Perché il nostro atto di fede sia prudente, dobbiamo essere certi che sia veramente Dio che parla. Molte religioni si presentano come rivelate ma una sola può essere autentica poiché Dio, che è la verità stessa, non può proporre alla nostra credenza dottrine contraddittorie. Il Creatore non poteva lasciarci nell’ambiguità su di un punto così importante per il nostro destino eterno. Richiedendo da un parte l’adesione totale alla sua rivelazione, doveva, dall’altra, darci tutti i segni necessari per poterla riconoscere senza alcun’ombra di dubbio. Per questo accompagna la sua rivelazione con segni sensibili soprannaturali che ne mostrano l’origine divina e ne sono come un sigillo di veracità: i miracoli. Il miracolo è un fatto sensibile, soprannaturale, ovvero la sospensione delle leggi della natura, che soltanto Dio, autore della natura, può realizzare. Gesù durante tutta la sua vita pubblica ha affermato di essere il Messia, il figlio di Dio e lo ha provato, realizzando le profezie dell’Antico Testamento pronunciate centinaia di anni prima, compiendo numerosi miracoli sugli elementi naturali, sulle malattie e persino sulla morte, profetizzando eventi futuri che si realizzeranno puntualmente, come la distruzione di Gerusalemme e del tempio. Tutti questi miracoli manifestano in maniera irrecusabile la divinità di Gesù Cristo e della sua dottrina. Il ruolo dell’apologetica consiste nel rendere ragione della nostra fede e mostrare, tramite i segni di credibilità che le verità soprannaturali sono credibili e devono essere credute, anche se non ne abbiamo l’evidenza. Esse sono infatti garantite dall’autorità di Dio che ne sigilla l’autenticità tramite i miracoli che ne accompagnano la rivelazione.
Fede, ragione e libertà
La nostra ragione può provare in maniera scientifica che Dio esiste, nel senso filosofico della scienza, cioè una conoscenza certa a partire dalle cause. Dalla contemplazione dell’universo e del mondo e dall’ordine che esiste nella natura, si deduce con certezza che vi è all’origine di essa una essere intelligente, poiché ogni effetto ha una causa proporzionata e non vi è ordine senza intelligenza che governa. Quest’essere, dirà S. Tommaso, è colui che tutti chiamiamo comunemente Dio. La stessa ragione ci permette di concludere che il Creatore, in quanto intelligente, può rivelarsi all’uomo, ed è conveniente che lo faccia accompagnando appunto la rivelazione con segni sensibili soprannaturali perché l’uomo possa riconoscerla come tale. Interviene poi l’aiuto interno della grazia che eleva l’intelligenza e fortifica la volontà dell’uomo per aiutarlo a dare l’assenso soprannaturale della fede. Ma anche sotto l’influenza della grazia rimaniamo liberi. Ecco perché la fede è un dono…. che si può purtroppo anche rifiutare. Per dare un esempio concreto basti ricordare che quando Gesù resuscitò Lazzaro giacente nel sepolcro da quattro giorni e già in decomposizione, molti fra i giudei testimoni del miracolo si convertirono, ma altri non vollero convertirsi e decisero di uccidere Gesù ed anche Lazzaro, per evitare che tutti credessero nel Signore . È il mistero della libertà umana, che può opporsi a questo dono gratuito di Dio, che è la fede, malgrado la forza dei segni soprannaturali. Possiamo così definire la fede, in maniera più precisa, come la virtù per la quale l’intelligenza sotto la spinta della
volontà e della grazia, aderisce alle verità soprannaturali che Dio ha rivelato. San Tommaso ci spiega che la sua sede è l’intelletto, ma poiché non vi è l’evidenza delle verità credute, la volontà ha una grande parte nell’atto di fede ed è proprio essa che ordina l’assenso all’intelligenza, sotto la spinta della grazia. L’oggetto della fede è essenzialmente soprannaturale: Dio nei sui misteri in quanto superano la ragione umana, come per esempio il mistero della SS. Trinità e quello dell’Incarnazione.
La trasmissione della fede
Poiché il deposito rivelato, contenuto nella S. Scrittura e nella Tradizione, si è chiuso con la morte dell’ultimo Apostolo san Giovanni, il ruolo della Chiesa è quello di trasmettere intatto l’insieme delle verità di fede, senza la possibilità di aggiungervi niente di nuovo, ma approfondendo sempre di più e rendendo esplicito ciò che è già rivelato. La rivelazione infatti è esplicita quando è espressa a chiare lettere, come il mistero della Santissima Trinità manifestatosi al Battesimo di Gesù, ma può essere anche implicita quando cioè è inclusa in un’altra verità rivelata. Per esempio è rivelato esplicitamente che Gesù ha assunto una vera natura umana ed implicitamente che ha un corpo ed un’anima come noi, poiché il corpo e l’anima fanno parte integrante della natura umana. Si parla poi di verità virtualmente rivelata quando da due premesse, una di fede e l’altra di ragione, si giunge ad una conclusione chiamata teologica, perché fondata sulla fede con l’apporto, appunto, della ragione. È il caso dell’esistenza del Limbo.
La fede ci dice che senza il battesimo non si può giungere alla salvezza. La ragione constata che alcuni bambini muoiono senza battesimo, prima dell’età di ragione, e quindi senza peccati personali. La conclusione è l’esistenza di un luogo della vita futura distinto dal Paradiso e dall’Inferno propriamente detto. La conclusione teologica può essere definita dalla Chiesa (come è avvenuto per il Limbo al Concilio di Firenze e tramite il Magistero ordinario universale), ma anche quando non lo è obbliga comunque ad un assenso poiché negarla significherebbe mettere in discussione anche la premessa di fede. Si commetterebbe così un peccato grave contro la fede, anche se non si tratta ancora di un’eresia .
Che cosa è necessario credere
La fede è esplicita quando si credono tutte le verità che Dio ha rivelato, conosciute tramite una buona formazione catechistica. Essa può essere anche implicita quando, pur non conoscendo tutte le verità rivelate da Dio, si è disposti a crederle. Per giungere alla salvezza eterna è necessario credere, almeno implicitamente, tutto ciò che Dio ha rivelato. Secondo San Tommaso, dopo la venuta di Cristo, occorre la fede esplicita nel Mistero della SS. Trinità e in quello dell’Incarnazione e la Chiesa insegna che per poter battezzare o assolvere anche un morente ancora cosciente, occorre istruirlo almeno su questi due principali della fede . In ogni caso la fede necessaria alla salvezza deve essere una virtù soprannaturale, proporzionata alla visione beatifica che dobbiamo meritare e che supera tutte le esigenze della nostra natura. Non è quindi sufficiente un’adesione a Dio, conosciuto tramite la ragione e ancora meno si può affermare che un “supposto ateo può avere un rapporto implicito con Dio che lo conduce alla salvezza” come certi teologi sostengono dopo il Concilio Vaticano II . Questa dottrina è già stata condannata dalla Chiesa .
La salvezza degli infedeli
Si pone così il problema della salvezza di coloro che non hanno mai conosciuto, senza propria colpa, Gesù Cristo e la sua Chiesa. Dio nella sua Provvidenza accorda ad ognuno le grazie sufficienti per giungere alla salvezza. Resta fermo comunque il principio che occorre la fede soprannaturale per poter meritare il Paradiso. A colui che fa ciò che può, Dio non nega la sua grazia. Il pagano che vive lontano dal mondo civilizzato e dalla Chiesa ma cerca di seguire la luce della ragione per evitare il male e fare il bene, avrà dal Signore sicuramente, a un dato momento, la grazia per giungere alla fede. Dio potrà servirsi di una ispirazione interiore o di un missionario come ha fatto con il centurione Cornelio inviandogli san Pietro; oppure potrà utilizzare il ministero degli Angeli. Egli non abbandona nessuno e se qualcuno si perde è per propria colpa . Tutte queste grazie sono concesse sempre per mezzo della Chiesa Cattolica, di cui è necessario essere membri per giungere alla salvezza, tramite il sacramento del Battesimo oppure per il desiderio esplicito o almeno implicito di riceverlo, poiché “fuori dalla Chiesa non vi è salvezza” . Si oppongono quindi alla dottrina cattolica le nuove affermazioni del Concilio Vaticano II, secondo cui vi sarebbero valori di salvezza in altre religioni.
La professione della fede
Secondo San Tommaso il primo atto umano di cui l’uomo è responsabile è o un atto di amore nei confronti di Dio o un peccato mortale, da ciò si deduce il precetto divino di porre un atto interno di fede appena si ha l’uso della ragione. Si comprende così l’importanza di amministrare il battesimo al più presto e di quanto sia essenziale l’educazione cristiana per orientare subito il bambino verso Dio suo fine ultimo. In varie occasioni durante la vita, quando si riceve un sacramento, nelle prove, nelle tentazioni e soprattutto al momento della morte, è necessario ricorrere a Dio con atti di ardente fede. Se si è tentati non è il momento di cercare argomenti, ma è necessario resistere con fermezza, in seguito, con il rappacificarsi dell’anima, è il momento di approfondire i motivi di credibilità del dogma. Soprattutto oggi, a causa degli attacchi che la fede subisce pubblicamente, è fondamentale incrementare la propria formazione cristiana e cercare le ragioni della nostra fede, attraverso lo studio dell’apologetica. La terribile crisi dottrinale attuale ci obbliga ad essere particolarmente vigilanti e a conoscere ciò che la Chiesa ha insegnato nel suo magistero perenne, in modo da non essere vittima di quello che Mons. Lefebvre chiamava “il colpo maestro di Satana”: disubbidire a Dio e allontanarsi dalla fede di sempre, in nome dell’obbedienza all’autorità religiosa. Non dimentichiamo che l’autorità è in funzione della fede e non il contrario. S. Paolo ammonisce nell’epistola ai Galati: «Anche se noi stessi o un angelo del Cielo venisse ad annunziarvi un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunziato, sia egli anatema» . La professione esterna della fede poi è necessaria tutte le volte che il nostro silenzio potrebbe essere interpretato come una negazione di essa. Non dobbiamo nasconderla per rispetto umano, poiché la franca affermazione della fede è una grande testimonianza di amore verso Nostro Signore. Gesù dice nel Vangelo: «Se uno mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli. Se invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli» . Ogni volta che il nascondere, o il tacere la nostra fede può sottrarre onore a Dio, farci passare da non cristiani e scandalizzare, si offende gravemente il nostro Creatore. Al contrario il primo apostolato, molto fruttuoso ed efficace, è quello di manifestare pubblicamente la fede e confermarla con una vita vissuta in maniera coerente. Se l’autorità pubblica o privata vuol farci porre degli atti contro la fede, come nel caso degli imperatori romani, che volevano far bruciare ai cristiani qualche grano d’incenso agli idoli, è obbligo morale rifiutare, anche se si tratta di perdere la vita, come hanno fatto i martiri. Non si può neppure fingere come facevano coloro che sono stati chiamati “libellatici” ai tempi delle prime persecuzioni. Costoro non sacrificavano, ma compravano il libello, decreto che testificava che avevano sacrificato agli idoli, commettendo così ugualmente un grave peccato di scandalo. Oggi, di fronte agli errori penetrati nella Chiesa, è fondamentale reagire con una pubblica professione di fede nei confronti dell’autorità, soprattutto se si ha il dovere di insegnare e si fa parte della gerarchia ecclesiastica. Questo dovere incombe anche se ciò dovesse comportare conseguenze per la propria carriere o eventualmente persecuzioni da parte dei superiori. È la strada che prese coraggiosamente Mons. Lefebvre nei confronti delle novità distruttrici, professate nell’ultimo concilio, e riguardo alla nuova liturgia a tendenza protestante. Il tacere su questi errori che stanno distruggendo la fede nelle anime e paralizzano la forza missionaria della Chiesa.
Proprietà della fede soprannaturale
L’atto di fede è una libera adesione alle verità rivelate e la Chiesa ha sempre condannato le conversioni forzate. Questo però non significa che non vi sia l’obbligo morale di credere e neppure che lo Stato non possa impedire la pubblica diffusione degli errori delle false religioni. Infatti, come insegnava Papa Pio XII: «Ciò che non corrisponde alla verità e alla legge morale non ha il diritto oggettivo all'esistenza, alla propaganda o all'azione» . Se la Chiesa insegna che nessuno deve essere costretto ad abbracciare la fede con violenza, le false religioni non hanno in se nessun diritto a propagare i loro errori nella società civile, anche se, per evitare un male maggiore, possono essere tollerate . Questa dottrina cattolica fu totalmente abbandonata dalla Dichiarazione sulla Libertà religiosa del concilio Vaticano II, che riconosce alle false religioni un diritto fondato sulla natura a non essere impedite di propagare i loro errori . La fede, quando è animata dalla carità, si dice formata ed è questa che ci condurrà alla salvezza. Il peccato mortale priva della vita soprannaturale, della carità e della grazia di Dio, ma non distrugge la fede (a meno che non sia un atto diretto contro questa virtù). Essa allora rimane in noi, ma diviene informe e non è sufficiente per la salvezza poiché, come dice l’Apostolo san Giacomo, senza le opere la fede è morta .
I vizi opposti alla fede
Si può peccare contro la fede per omissione quando l’atto interno ed esterno è richiesto, come abbiamo visto in precedenza, ma anche per ignoranza colpevole (detta anche crassa o supina) quando si è negligenti nell’istruirsi o, ancora peggio, si rifugge l’istruzione religiosa per non voler sottostare agli obblighi morali che essa comporta ed essere così più liberi di gestire la propria vita senza costrizioni morali (ignoranza affettata). Questo atteggiamento, gravemente colpevole, porta alla cecità spirituale ed ha per conseguenza quasi inevitabile la dannazione eterna. Vi sono poi i peccati di atto contro la fede. Per eccesso, abbiamo la credulità che si manifesta per esempio con la corsa alle apparizioni private, senza alcun discernimento; la sete del contatto diretto con il soprannaturale tramite la ricerca di carismi straordinari, come avviene nei movimenti cosiddetti carismatici (parlare in lingua, dono dei miracoli, etc). Lo Spirito Santo e le sue grazie ci sono concessi solamente nella Chiesa tramite i sacramenti che ne sono la via ordinaria. I grandi mistici hanno messo in guardia contro una ricerca disordinata del soprannaturale che può aprire la porta a molte illusioni ed anche al preternaturale diabolico, come spiega molto bene san Giovanni della Croce . L’Apostolo san Giovanni, nella sua prima epistola, ci insegna di non credere ad ogni spirito, ma prima di provare se essi vengono da Dio, «poiché molti pseudo profeti sono venuti nel mondo». Altro peccato contro la fede è la superstizione, che consiste nel prestare un culto divino a delle creature, oppure un falso culto al vero Dio. Non è mai lecito per un cattolico partecipare attivamente a riti di false religioni, perché questo farebbe pensare che si aderisce alle erronee dottrine che essi manifestano. La nuova liturgia realizzata a scopo ecumenico non solo non esprime più in modo chiaro la dottrina cattolica sulla Messa, ma propone positivamente nei suoi riti una nuova concezione della stessa Messa, del sacerdozio e dell’eucaristia, che si avvicina più al credo protestante. Per questo essa è pericolosa per la fede e quindi il dovere di proteggere e professare la retta dottrina ci obbliga a non parteciparvi. Altra grave mancanza contro la fede è l’infedeltà, cioè il non credere. Ovviamente quando qualcuno, senza propria colpa, ignora le verità della fede, si trova nell’ignoranza invincibile e quindi non è colpevole. Ma quando si rigetta la fede conosciuta, come per esempio il pagano dopo averne ascoltato la predicazione o il giudeo che non riconosce la divinità di Gesù Cristo, malgrado le prove che Egli ha dato, allora l’infedeltà è gravemente colpevole.
L’apostasia dalla fede e l’eresia
Il termine eresia viene dal greco e significa scelta, infatti l’eretico è colui che, negando pertinacemente anche una sola verità di fede, sceglie cosa credere, fondando così la sua adesione non più sull’autorità di Dio che rivela, ma sul proprio giudizio. La virtù soprannaturale di fede è distrutta dall’eresia che è punita dalla Chiesa anche con la scomunica. Nel caso di conversione, prima di potersi avvicinare ai sacramenti, è necessaria un’abiura dagli errori e l’assoluzione al foro esterno dalla pena incorsa. Si parla invece di apostasia quando vi è il rigetto volontario della fede cristiana a cui si aderiva, ad indicare ciò che si abbandona per propria scelta. Questi peccati gravissimi privano l’anima della virtù primordiale donataci per avvicinarci a Dio.
I pericoli per la fede
La Chiesa, che è madre, ha sempre voluto proteggere i suoi figli mettendoli in guardia dalla comunicazione con gli infedeli e gli eretici. Per questo ha stabilito per esempio degli impedimenti matrimoniali con i non cattolici, ben conscia dei pericoli che tali unioni comportano. Anche su questo punto ha soffiato il vento del concilio. La nuova disciplina canonica per concedere la dispensa nei matrimoni misti, non prevede più l’obbligo per la parte non cattolica di battezzare i figli e di educarli nella fede della Chiesa, mentre nell’antico Codice di Diritto Canonico era considera una condizione sine qua non . Sempre per proteggere i fedeli, la Chiesa aveva stabilito un catalogo di libri condannati come dannosi, l’indice dei libri proibiti. Data la diffusione della stampa malvagia un tale catalogo è diventato impossibile. Rimane però l’obbligo, dettato dalla stessa legge naturale, di fuggire tutto ciò che negli scritti può essere dannoso per la nostra anima. Colui che di sua libera volontà, senza un proporzionato motivo, frequenta cattive letture, si mette volontariamente nel pericolo e quindi è segno che vuole il peccato e ne è responsabile. Fra i pericoli maggiori di perversione per la fede per i giovani vi è la scuola. La dottrina della Chiesa è chiara: non è mai lecito frequentare una scuola acattolica nella quale non si possa rimuovere il pericolo di perversione della fede. Le autorità religiose hanno sempre cercato di fondare scuole che potessero dare una buona formazione intellettuale, morale, e religiosa, in armonia con le famiglie. È questo un compito dal quale, sacerdoti e genitori, non possiamo esimerci, soprattutto oggi, data la corruzione intellettuale e morale a cui sono spesso esposti i figli, fin dalla più tenera età. Per terminare dobbiamo ricordare i pericoli che soggiacciono alla nostra natura ferita dal peccato originale, primo fra tutti la superbia. La fede infatti esige l’umile sottomissione della nostra intelligenza ai misteri che la sovrastano, e benché sia fondata sull’autorità di Dio che ne garantisce la verità, essa rimane molto difficile per l’uomo superbo, mentre l’umiltà ci dispone al riconoscimento dei nostri limiti e ad una semplice sottomissione al nostro Creatore, secondo il detto del Vangelo: «Ti ringrazio, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate agli umili» . Altro grave ostacolo è l’impurità. L’uomo animale infatti, come ci ricorda S. Paolo, non può capire le cose di Dio, mentre Gesù, nel Vangelo, ci ricorda che solo i puri di cuore vedranno Dio. Una vita vissuta nell’osservanza della legge del Signore dispone alla fede ed è garanzia di perseveranza. San Giovanni Crisostomo ci ricorda che «come l’alimento è necessario al corpo, così la vita retta alla fede, come la nostra natura corporea non può durare senza cibo, così neppure la fede senza le buone opere» .
Conclusione
Il sacramento della Cresima fa di noi i soldati di Gesù Cristo e ci garantisce la grazia di professare pubblicamente e senza vergogna la fede, anche di fronte alla persecuzione e alla morte. Questa professione è oggi tanto più necessaria, quanto la fede si sta spegnendo nel mondo, anche a causa della terribile crisi che sta attraversando la Chiesa. Ogni cristiano è chiamato ad essere apostolo, soldato di Gesù Cristo e quindi a lottare per instaurare il suo regno, prima di tutto nella propria anima, poi nella famiglia, nel luogo di lavoro e nella scuola, per riconquistare la società intera a Colui che l’ha redenta col proprio sangue. Questo è l’ideale che dovrebbe animare ogni cristiano, condizione indispensabile per generare quella che sant’Agostino chiamava “la città di Dio”, una vera civiltà modellata secondo i principi della fede, per preparare gli uomini alla contemplazione eterna di quei misteri che hanno creduto.
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