Monsignor Luca Lorusso, 52 anni, lascia non solo la nunziatura in Italia ma anche la diplomazia pontificia, per tornare nella sua diocesi di origine, quella di Taranto. Al suo posto, quello di numero due della rappresentanza pontificia guidata dall’arcivescovo Adriano Bernardini (ex nunzio in Argentina dove notoriamente non aveva un buon rapporto con l’allora cardinale arcivescovo di Buenos Aires), arriva un altro pugliese: monsignor Giorgio Chezza, 44 anni, della diocesi di Nardò-Gallipoli, proveniente dalla martoriata Siria dove era arrivato nel 2012.
È questa la mossa più eclatante della girandola di trasferimenti che tradizionalmente all’inizio dell’estate interessa il personale subalterno delle nunziature pontificie sparse nel mondo e la segreteria di Stato.
Eclatante ma non inattesa. In quanto pubblicamente preannunciata dallo stesso papa Francesco lo scorso 6 marzo, nell’aula Nervi, davanti ai vescovi e al clero della diocesi di Roma lì convocati per il tradizionale incontro d’inizio quaresima.
Nell’occasione – a sorpresa – il pontefice, subito dopo il saluto del cardinale vicario Agostino Vallini e prima di iniziare il discorso vero e proprio, aveva detto:
“Sono stato molto colpito e ho condiviso il dolore di alcuni di voi, ma di tutto il presbiterio, per le accuse fatte contro un gruppo di voi; ho parlato con alcuni di voi che sono stati accusati e ho visto il dolore di queste ferite ingiuste, una pazzia, e voglio dire pubblicamente che io sono vicino al presbiterio, perché qui gli accusati non sono sette, otto o quindici, è tutto il presbiterio. Voglio chiedere scusa a voi, non tanto come vescovo vostro, ma come incaricato del servizio diplomatico, come papa, perché uno degli accusatori è del servizio diplomatico. Ma questo non è stato dimenticato, si studia il problema, perché questa persona sia allontanata. Si sta cercando la via, è un atto grave di ingiustizia e vi chiedo scusa per questo”.
Francesco non aveva fatto nomi, ma i riferimenti a fatti e persone erano lampanti.
Nella primavera del 2013 un ex prete dimesso dallo stato clericale e già condannato a cinque anni di carcere per reati di natura sessuale su minori, Patrizio Poggi, aveva denunciato ai carabinieri una decina di ecclesiastici romani (compreso il segretario particolare del cardinale vicario) accusandoli di analoghi comportamenti delittuosi.
Alla denuncia diede sostegno monsignor Lorusso, amico di Poggi e suo avvocato canonico nella causa per il suo reintegro nello stato clericale, presentata presso la congregazione per la dottrina della fede. Lorusso sostenne che le accuse erano attendibili e fondate.
Ma le conclusioni delle indagini furono opposte. Alla magistratura le accuse risultarono false e parte di un “sordido complotto”, che comportò la custodia cautelare di Poggi.
Monsignor Lorusso il 18 febbraio aveva partecipato, assieme al nunzio Bernardini, al tradizionale ricevimento ospitato dall’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede in occasione dell’anniversario dei Patti Lateranensi. Il 6 marzo è arrivata la irrituale condanna pubblica del papa. Ora la sentenza è stata eseguita.
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