Il New York Times scrive un editoriale di fuoco contro la santificazione di papa Giovanni Paolo II, in programma per domenica prossima a Roma.
Vaticano, il New York Times contro la santificazione di papa Wojtyla: "Non fece nulla per le vittime di pedofilia"
Il New York Times scrive un editoriale di fuoco contro la santificazione di papa Giovanni Paolo II, in programma per domenica prossima a Roma. Il commento dal titolo "Non era un santo" ("A saint, he ain't") prende spunto dai numerosi casi di pedofilia scoppiati duranti il papato di Wojtyla e che scossero anche molte diocesi americane senza ricevere adeguata attenzione dal Vaticano.
"La Chiesa sta dando il premio più alto alla persona che avrebbe potuto fermare questa macchia e non fece nulla", scrive l'editorialista Maureen Dowd che già nel 2011 si era scagliata dalle colonne del prestigioso quotidiano statunitense contro la beatificazione di Wojtyla. "È orribile e ferisce il fatto che per la Chiesa quelle migliaia di vittime tradite e danneggiate siano date per scontate come un asterisco che lentamente scompare".
Per Dowd, dunque, papa Giovanni Paolo II non dovrebbe diventare santo: "Può essere considerato una figura rivoluzionaria nella storia, ma un uomo che fece finta di non vedere la crisi morale non può essere descritto come un santo". Infine, l'affondo: "Quando la Chiesa lo eleva, è come se facesse l'occhiolino all'inferno che causò a numerosissimi bambini e ragazzi".
Washington Post: "Abbiamo ancora bisogno di santi?". Più interlocutorio - ma comunque critico - il commento del Washington Post a firma di James Martin, gesuita americano editorialista di "America", il più importante magazine cattolico degli Stati Uniti e autore del libro "Gesù, un pellegrinaggio".
"Per centinaia di milioni di cattolici la festa di domenica sarà un'occasione di grande gioia", scrive Martin, ricordando che Giovanni XXIII "mise in moto il processo di aggiornamento della Chiesa", mentre Giovanni Paolo II, "l'unico Papa che i cattolici più giovani hanno conosciuto prima di Benedetto XVI e Francesco, è stato "un colosso della Chiesa, che ha esercitato la sua influenza non solo in quanto instancabile evangelizzatore, ma anche sulla scena mondiale, giocando un ruolo decisivo nella caduta del comunismo".
Ciò premesso, il gesuita sottolinea come "per alcuni la reazione alla doppia canonizzazione sia: chi se ne importa? Anche tra i cattolici ci sono quelli che pensano il processo di canonizzazione sia disperatamente arcano, che il 'culto dei santi' sia superato, che credere nei miracoli sia assurdo e, in questo caso, che la canonizzazione sia una cattiva idea". Quindi, la domanda è: "Abbiamo ancora bisogno di santi?". La risposta del gesuita, dopo l'elencazione di tutte le critiche che riguardano il processo di canonizzazione, è semplice: "Non è la Chiesa che crea i santi, ma Dio, la Chiesa soltanto li riconosce. Naturalmente il processo di canonizzazione è imperfetto, la Chiesa dovrebbe riconoscere più santi laici e sposati, tuttavia, in complesso funziona". "E fino a quando Dio continuerà a darci santi, che siano papi o altro - chiosa - la Chiesa dovrà riconoscerli. Dunque, in fondo, la domanda non è, 'abbiamo ancora bisogno di santi', ma, 'quale lezione possiamo imparare dai santi che Dio ci manda'?".
La difesa di Joaquin Navarro: "Wojtyla visse con dolore notizie abusi". Il tuono del New York Times non è rimasto inascoltato in Vaticano. A rispondere interviene lo storico portavoce del pontefice polacco, Joaquin Navarro-Valls: "'È un'opinione che non tiene conto dei fatti. Per il caso Maciel, ad esempio, la procedura penale canonica è cominciata nel Pontificato di Giovanni Paolo II. Ed è finita nel primo anno del Pontificato di Benedetto XVI".
Secondo Navarro, "la procedura per far accertare quanto accaduto smentisce la teoria per la quale il fondatore dei Legionari era intoccabile durante il Pontificato wojtyliano". Giovanni Paolo II viveva le vicende relative a abusi sessuali compiuti da sacerdoti delle quali aveva notizia "con grande dolore e partecipazione e sentendo il dovere di farsene carico, portando a Roma la competenza sui casi di abuso affinché non potessero esserci attenuanti ne insabbiamenti di nessun tipo. Fu lui che dieci anni fa volle riunire in Vaticano tutti i cardinali degli Stati Uniti, per affrontare nel modo più autorevole questo tema".
L'ultimo papa re
Due suoi predecessori fatti santi invece di uno solo. La conferenza episcopale italiana annichilita. Gli uomini della vecchia guardia sempre al vertice dello IOR. Tutto come Francesco comanda
di Sandro Magister
ROMA, 25 aprile 2014 – Con Francesco il papato è finito in un cono d'ombra. La luce è tutta per lui, il papa. Non l'istituzione ma la persona.
Dalle norme canoniche egli si sente libero. In un solo anno ha già derogato sei volte dalla regola ferrea che esige un nuovo miracolo prima che un beato sia proclamato anche santo. Giovanni XXIII è l'ultimo di questi sei. Francesco voleva a tutti i costi che Giovanni Paolo II fosse canonizzato non da solo, ma bilanciato da un altro papa con un diverso profilo, meno guerresco, più misericordioso.
E così sarà fatto, domenica 27 aprile. La congregazione per le cause dei santi si è inchinata al suo volere e ha simulato di aver chiesto lei a Francesco la deroga, subito benevolmente concessa.
Anche il cardinale Angelo Bagnasco, che ancora figura come presidente della conferenza episcopale italiana, ha domandato a Francesco che sia lui, il papa, a tenere il discorso inaugurale all'assemblea plenaria dei vescovi convocata a maggio, cosa che nessun pontefice ha mai fatto.
La richiesta del cardinale, si è letto nel comunicato ufficiale, "ha incontrato la pronta disponibilità del Santo Padre, che ha confidato di aver avuto in animo la medesima intenzione". Infatti. Si sapeva da almeno un mese che Francesco aveva deciso così.
Da quando lui è papa la CEI è come annichilita. Francesco ha chiesto ai vescovi italiani di dirgli come preferirebbero che avvenga la nomina del loro presidente e del segretario, se ad opera del papa, come è sempre stato in Italia, o con libere votazioni come avviene in tutti gli altri paesi. Capita l'antifona, l'intenzione di quasi tutti i vescovi è di lasciare la nomina al papa. E se proprio egli vorrà che vi sia prima una votazione consultiva, la si farà, ma in segreto e senza spoglio delle schede. Le si consegneranno al papa ancora chiuse e lui ne farà quello che vuole.
La CEI è la smentita vivente dei propositi di decentramento e "democratizzazione" della Chiesa attribuiti a Jorge Mario Bergoglio.
Nella conferenza episcopale italiana, l'unico oggi dotato di autorità effettiva è il segretario generale Nunzio Galantino, vescovo di Cassano all'Jonio. Ma la sua autorità è puro riflesso di quella del papa, che l'ha insediato e sovrintende a ogni sua mossa.
Il primo atto di governo compiuto da Galantino, poche ore dopo una sua udienza con papa Francesco, è stato il licenziamento di Dino Boffo, storico direttore dei media della CEI nella stagione del cardinale Camillo Ruini e da tre anni direttore di TV 2000, ultimamente premiata da notevoli ascolti.
Era il 14 febbraio. Da allora sono passati più di due mesi e lo strumento di comunicazione numero uno della CEI continua a restare privo di guida, senza che della cacciata di Boffo sia ancora stata data una spiegazione.
Viceversa, se si sposta lo sguardo dentro le mura vaticane, capita di trovare sempre in sella e con tutti gli onori dei tipi che in qualunque altra azienda sarebbero stati spediti via da un pezzo.
Sono i membri del consiglio di sovrintendenza dello IOR, l'americano Carl Anderson, il tedesco Ronaldo Hermann Schmitz, lo spagnolo Manuel Soto Serrano e l’italiano Antonio Maria Marocco.
Sono cioè la banda dei quattro che il 24 maggio 2012, con la benedizione del cardinale Tarcisio Bertone, defenestrò brutalmente l'allora presidente dell'istituto finanziario vaticano Ettore Gotti Tedeschi, uomo di punta del rinnovamento, per far blocco invece con la vecchia guardia rappresentata dai due direttori Paolo Cipriani e Massimo Tulli, nonostante le incombenti indagini giudiziarie che costrinsero entrambi l'anno dopo a ingloriose dimissioni.
Oggi Cipriani e Tulli sono sotto processo da parte della magistratura italiana, che ha invece riconosciuto impeccabile la condotta di Gotti Tedeschi. Ma i quattro del board sono sempre lì come nulla fosse accaduto.
Non solo. È anche da loro quattro che Francesco ha accolto il consiglio di tenere in vita lo IOR – nel mesi scorsi dato più volte per moribondo dallo stesso papa – e di farlo operare come da loro indicato.
Il nuovo corso di papa Bergoglio è ancora tutto da decifrare.
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