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Chi era "Nichita Roncalli" ?

“… il segno lasciato da Roncalli nella storia dell’umanità supera di molto quello impresso dai vari Lenin e Stalin. Infatti se quelli hanno liquidato qualche milione di vite umane, Giovanni XXIII ha liquidato ben duemila anni di Chiesa cattolica.” ( Fabrizio Sarazani, vaticanista)

a cura di Arai Daniele 

Tra il libro “Nichitaroncalli» di Franco Bellegrandi, “Cameriere di Spada e Cappa di Sua Santità”, ora in seconda edizione con E.I.L.E.S., Roma, e l’altro libro di Arai Daniele in via di pubblicazione (con Christus Rex) «Giovanni XXIII: un enigma epocale?», abbiamo alcuni spunti sulla controvita di tale «Papa buono» che aprì la Chiesa ai suoi peggiori nemici.

Cominciamo dalle sue indigenti idee moderniste viste dall’insospetto Benedetto Croce, il quale, su «Il Giornale d’Italia» (15.X.07) rispondendo al futuro apostata don Minocchi scrisse: “Il Modernismo pretende di distinguere il contenuto reale del Dogma dalle sue espressioni metafisiche che egli considera come cosa del tutto accidentale, allo stesso modo che sono accidentali le varie espressioni di linguaggio, in cui può venire tradotto un medesimo pensiero. E in questo paragone è il primo e sommo sofisma dei modernisti. Infatti, è verissimo che un medesimo concetto può essere tradotto nelle più varie forme di linguaggio, ma il pensiero metafisico non è linguaggio, non è forma di espressione: è logica ed è concetto. Onde un dogma tradotto in altra forma metafisica, non è più lo stesso dogma, come un concetto trasformato in altro concetto non è più quello.


“Liberissimi i modernisti di trasformare i dogmi secondo le loro idee. Anch’io uso di questa libertà… Soltanto io ho coscienza, facendo questo, di essere fuori della Chiesa, anzi fuori di ogni religione; laddove i modernisti si ostinano a professarsi non solo religiosi, ma cattolici.

“Che se poi, per salvarsi dalla necessaria conseguenza dell’assunto principio, i modernisti, simpatizzando con i positivisti, con i pragmatisti e con gli empiristi di ogni risma, addurranno che essi non credono al valore del pensiero e della logica, cadranno di necessità nell’agnosticismo e nello scetticismo. Dottrine, queste, conciliabili con un vago sentimentalismo religioso, ma che ripugna affatto ad ogni religione positiva”. Concludeva: “non ci capiterà facilmente un’altra volta la fortuna di essere d’accordo con il Papa”.

Infatti, Croce non era cattolico, ma capiva quanto gli errori del modernismo fossero frutto di pensieri contaminati dal peggiore relativismo.

Tale spirito modernista, suscitato da qualcosa di molto segreto e astruso, porta a una nuova religiosità, una specie di profetismo che evoca «segni dei tempi», non riferibili alla spiritualità cristiana, ma a un progresso indefinito dell’umanità; uno spirito di riconciliazione gnostica e agnostica che ha attratto il modernista Roncalli a lavorare per il suo ideale mondialista e umanitarista, convocando il Vaticano II.

La banda dei quattro modernisti a Roma

Si pone la domanda: chi era in verità Roncalli, destinato a divenire Giovanni XXIII e occupare la cattedra di Vicario di Dio per il mutamento della Chiesa? Qual era la sua fede nei segni divini nella storia?

Nel suo citato libro «I quattro del Gesù. Storia di una eresia», Giulio Andreotti racconta che Angelo Roncalli, Giulio Belvederi, zio della moglie di Andreotti, Alfonso Manaresi ed Ernesto Buonaiuti erano quattro seminaristi, stretti da amicizia e dalla comune visione religiosa modernistica. Gli ultimi due hanno portato le loro idee eretiche così avanti da essere censurati e scomunicati (Manaresi e il Buonaiuti). Belvederi e Roncalli furono invece salvati dai loro protettori, nel caso di quest’ultimo dall’allora vescovo di Bergamo Giacomo Radini Tedeschi, in odore di modernismo. Un altro compagno di Roncalli a Bergamo fu Nicola Turchi, che tradusse in italiano lo storico Duchesne, anch’esso censurato.

Roncalli avrebbe dimostrato questo spirito durante tutta la sua lunga carriera, nonostante sia pure certo che abbia prestato il giuramento antimodernista. Si tratterebbe di uno spergiuro aggravato dal tradimento modernista che scomunica un cattolico, ma no il «Papa buono»! 

Ora, solo un apparato composto di chierici della sua stessa tendenza ha potuto ignorare il sospetto fondato di spergiuro in questioni di fede, sufficiente per squalificare qualsiasi cittadino, ma più ancora per annullare qualsiasi possibilità di beatificazione.

In Bulgaria e in Turchia, lo strano nunzio Roncalli operò proprio al contrario di quanto allora era insegnato nell’Enciclica «Quas primas», sulla regalità sociale di Gesù Cristo: la peste che infetta la società, la peste del nostro tempo, è il laicismo. Ma Roncalli era per il «principio basilare» della laicità dello stato: la Chiesa si guarderà bene dall’intaccare o discutere questa laicità .

La Massoneria mirava a un «Papa buono» furbo e relativista

Sì perché la Chiesa doveva chiedere scusa per i suoi «peccati» commessi in ogni tempo e direzione. In tal modo la nuova classe clericale non doveva far altro che screditare la Chiesa del passato e al limite, Gesù Cristo stesso, a favore della «bontà e comprensione» di quella chiesa del presente e dei suoi «umilissimi» e «buonissimi» pastori.

C’era «bisogno» di un chierico di “semplicità geniale”, come Jean Guitton aveva definito Roncalli. L’ora opportuna si ripresentò col conclave che seguì alla morte di Pio XII. Era l’occasione della scalata finale alla Chiesa da parte dei poteri occulti che, per meglio dominare il mondo materiale, avevano bisogno di una «chiesa globale». E Angelo Roncalli da giovane si era dimostrato addatto a operare tale mutazione religiosa sostenendo il principio che si deve cercare prima quel che unisce piuttosto che le visioni soprannaturali, dogmatiche e storiche, costitutive della Fede, come la Santissima Trinità, che invece dividono. Come professore modernista gli era stato perciò interdetto d’insegnare una storia priva di quel soprannaturale che fonda la religione, ma divide. Ecco i connotati dello «spirito conciliarista» svelatosi nella nuova «prassi pastorale», intenta a sostituire la professione di fede della Chiesa, i suoi princìpi, norme e azione sociale, con l’«amore per il mondo moderno»; amore che ha per norma l’umanitarismo, per speranza l’evoluzione della coscienza, per carità il soggettivismo che adatta i Vangeli ai «bisogni» dei tempi; e questa «nuova pastorale» si svolge con una nuova liturgia orizzontale, ecumenista e mondialista, tutte contraffazioni modernistiche per introdurre subdolamente nella Chiesa lo spirito del relativismo ecumenista, foriero del nuovo ordine mondiale voluto ora da Benedetto XVI.

Divenuto Giovanni XXIII, Roncalli attuò subito «il metodo di don Beauduin… quello buono», ecumenista, mettendo in moto la macchina conciliare chiamata a «consacrare» il relativismo ecumenista. Così ha operato nel senso di promuovere quella liturgia… per una nuova uguaglianza tra le chiese. Tre giorni prima dell’indizione del Vaticano II, Roncalli confidò ad Andreotti: “Molte delle anticipazioni di allora [del modernismo] erano poi divenute feconde realtà. Il Concilio le avrebbe costituzionalizzate” («I quattro del Gesù Storia di un’eresia», pagina 104). Ecco la conferma testimoniale di quale sia, sin dalle sue origini, l’ «intenzione conciliare» di Giovanni XXII, che continua a essere predicata come cattolica. Lo vediamo anche da come si esprimeva il cardinale Ratzinger ieri e da come lo fa oggi Benedetto XVI, riguardo al programma del Vaticano II iniziato da quel suo predecessore. Di tale «aggiornamento» l’allora prefetto della Congregazione per la Fede, è stato tanto promotore quanto esecutore, avendo rivelato a Vittorio Messori («Inchiesta sul Cristianesimo», SEI, Torino, 1987, pagina 152): «Il problema degli anni sessanta era di acquisire i migliori valori espressi in due secoli di cultura liberale. Ci sono, infatti, dei valori che, depurati e corretti, anche se nati fuori della Chiesa, possono trovare il loro luogo nella visione del mondo. Questo é stato fatto» (con il Vaticano II). 

Dai primi giorni del suo pontificato Roncalli sconvolse, come mai prima era avvenuto, la vita tradizionale del Vaticano. Con battute spiritose si rese il protagonista della cronaca e personaggio di prima pagina dei giornali del mondo. La grande comunicazione passò a disporre di un pastore giocondo secondo i suoi bisogni perché solito scherzare sugli argomenti più seri e sacri. L’atteggiamento di fiducia nel mondo e nelle proprie forze, che traspariva nell’«ottimismo» di Roncalli, già indicava un pensiero con radici pelagiane, che fu notato nel mondo cattolico ed espresso da alcuni noti scrittori.

«Qualcuno in Vaticano aveva definito Giovanni XXIII l’Ermete Zacconi (attore della fine del secolo che passava dal dramma alla commedia) della Chiesa moderna, per quella sua innata abilità di presentarsi sotto gli aspetti più disparati. Roncalli infatti aveva due volti che dominava perfettamente. Quello per tutti e per l’ufficialità, amabile e semplice, l’altro,quello che contava tremendamente, fermo e deciso, ostinato e definitivo. A tratti, a chi gli stava a un metro di distanza, poteva capitare di afferrare, dietro la maschera bonaria e al sorriso per tutti, un lampo del volto autentico. In una boutade nel corso di una conversazione, in un cenno delle sue mani… erano le rivelazioni del suo carattere che sapeva essere duro, a volte, fino a sfiorare la spietatezza». Padre Pio «Un esempio ignoto ai più: sobillato dai suoi consiglieri negò al povero padre Pio la benedizione apostolica in occasione del cinquantesimo sacerdotale del frate, nell’agosto 1960, e gli impedì di impartire ai fedeli accorsi a San Giovanni Rotondo la benedizione papale. L’anticomunismo del cappuccino dalle stimmate era ben noto in Vaticano, e la Casa ‘Sollievo della Sofferenza’ il grande ospedale realizzato con le offerte da tutto il mondo, solleticava la cupidigia ardente di tanti tonacati». («Nichitaroncalli», pg. 180)



La politica comunisteggiante di Giovanni XXIII

Per ricordare la politica di Roncalli riprendiamo la testimonianza di Franco Bellegrandi nel suo «NichitaRoncalli».

«Dopo la «Pacem in terris», la visita degli Ajubei in Vaticano e le elezioni italiane del 28 aprile 1963 che videro i comunisti guadagnare un milione di voti rispetto alle elezioni politiche di cinque anni prima, Papa Giovanni ricevette un certo John McCone, arrivato in aereo a Roma dagli Stati Uniti un paio di giorni prima. L’udienza fu annotata sul bollettino ufficiale della Santa Sede, ma nessuno degli osservatori vaticani, allora, ci fece caso. Qualche tempo dopo si seppe nella stretta cerchia della famiglia pontificia chi fosse quel personaggio e si scoprì che era un capo servizio delle “informazioni segrete” degli Stati Uniti, un alto funzionario della CIA. Quando venni a sapere l’identificazione di quel misterioso americano, un altro piccolo spazio vuoto del vasto e poliedrico mosaico giovanneo tracciato negli appunti dei miei tacquini, ebbe finalmente il suo tassello chiarificatore. Infatti, proprio verso i primi di maggio del 1963, se ben ricordo, al termine di una cappella papale, mentre mi avviavo all’uscita laterale della basilica, insieme al cardinale Tisserant che era in gruppo con i cardinali Speilman e Mclntyre, sentii Spellman esprimere all’arcivescovo di Los Angeles le sue preoccupazioni per un passo urgente che il papa gli aveva ordinato di compiere presso la Casa Bianca “…because after receiving that personality, the pope have had the impression to be controlled by american cops and he absolutely did not tolerate…”. Adesso quella battuta si coloriva di un suo significato. Così pure alla luce del poi assunsero una loro precisa dimensione quei brani di conversazione fra il papa e monsignor Capovilla, che mi fecero a lungo riflettere. Il papa parlava di Kruscev. “Bisogna amarlo e aiutarlo quell’uomo”, diceva, “perché forse è l’anello di congiunzione che da tanto tempo aspettavamo fra il comunismo e il cristianesimo… Gesù Cristo, anche lui, a suo modo, era un comunista bello e buono… e fu vittima dell’imperialismo romano… quante analogie con oggi… si, bisogna pregare il Signore per Kruscev… bisogna che ci avviciniamo a lui il più possibile.., a lui e alla Russia sovietica che sarà la protagonista.., del futuro del mondo…”. Quel giorno, appena terminato il servizio, mentre la Chrysler nera della Corte mi riaccompagnava a casa, annotai sul tacquino, come era mia abitudine, quelle parole di Giovanni XXIII che mi schiudevano un orizzonte che in quei giorni ancora non avevo ben messo a fuoco, ma i cui contorni andavo lentamente identificando con crescente stupore. Poche settimane dopo quel mercoledi, da Luciano Casimirri, direttore del Servizio Stampa Vaticano, seppi l’intenzione del papa di invitare in Vaticano il giornalista russo Ajubei genero di Krusciov. Misi immediatamente in relazione quella notizia d’anteprima con le parole di Giovanni XXIII, quel mercoledi di udienza generale.I giorni trascorsero uno dopo l’altro, poi, la notizia del ricevimento di Ajubei fu data ufficialmente e il genero di Krusciov fu ricevuto dal papa. In quei giorni, in uno di quei soliti discorsetti domenicali dalla finestra, Giovanni XXIII disse alla gente raggruppata in piazza San Pietro in attesa della benedizione: “…amate Krusciov, Dio lo ama…” gli rispose il delirio dei comunisti italiani. Si rese conto Giovanni XXIII di come fu strumentalizzata dal PCI la sua opera e la sua persona? Certamente sì. Perché per un lungo tratto la sua politica spiano studiatamente la strada al comunismo in Italia, e in generale, alle sinistre nel mondo occidentale. Anzi, sembra evidente che ogni sua azione, ogni sua parola, ogni suo gesto, sia stato calcolato con assoluto tempismo da Roncalli proprio perché fosse strumentalizzato, fino alle sue più estreme conseguenze, dai comunisti. Sul finire del suo pontificato, probabilmente Roncalli ebbe qualche attimo di ravvedutezza critica nei confronti della sua politica rivoluzionaria e filocomunista…

«Analizzando i fatti di quel breve scorcio di anni in cui si centra il pontificato rivoluzionario di Giovanni XXIII, sembra che la Storia si sia data appuntamento con Roncalli, spianando la strada, nel grande insieme del giuoco politico internaziona le, alla realizzazione del suo programma. Negli Stati Uniti, il presidente Kennedy non aveva trovato da ridire al programma che le sue “teste d’uovo” avevano preparato per l’Italia. Non pareva giusto, a costoro, che l’Italia, liberata anche a costo di sangue americano dal fascismo, continuasse a essere governata da un partito, il democratico cristiano di quei tempi, caratterizzato da una solida impostazione di centro-destra saldamente ancorata al conservatorismo vaticano. E avevano suggerito al giovane ed entusiasta presidente, l’esportazione, in Italia, di quella formula di centrosinistra che, scompigliando i loro calcoli, avrebbe aperto la via all’avvento del comunismo nell’area di potere di quel Paese. La formula, studiata in tutti i possibili dettagli dagli esperti della Casa Bianca, fu spedita ben confezionata in Italia. E piovve, come il cacio sui maccheroni,proprio nel momento piu opportuno, in cui, appunto Giovanni XXIII cominciava ad “aprire” al marxismo, e le parole “distensione” e “dialogo” sembravano le formule magiche indispensabili per risolvere tutti i contrasti e tutte le problematiche con l’Est comunista. La democrazia cristiana italiana, detentrice del potere dalla conclusione del ventennio fascista fino ad allora, fiutando le nuove direzioni del vento, d’oltre Atlantico e d’oltre Tevere, e soprattutto preoccupata, come è buona norma di tutti i partiti politici di quasi tutte le democrazie “approssimative” che rallegrano l’uomo moderno, a mantenere a tutti i costi la sua egemonia, varo subito quella formula semplicemente inconcepibile per l’Italia di allora. Il Vaticano aveva scelto Amintore Fanfani, come il politico più adatto, secondo lui, a realizzare l”apertura” a sinistra. Quella scelta era stata il frutto di una accorta e abilissima opera di persuasione esercitata dai “monsignori scaltri” di Loris Capovilla e dai “nunzi laici” del “visionario” sindaco di Firenze, La Pira.

«Perché l’uomo dei nostri giorni dimentica con tanta facilita? Perché l’uomo della strada non va a rileggersi le collezioni dei giornali? Quante menzogne salterebbero fuori e quanti politici si meriterebbero la qualifica di falsari. Ricordo con esattezza quei tempi. Quando si cominciò a parlare di centro-sinistra, in tutti i circoli più attendibili della nazione si considerava semplicemente follia la realizzazione di una eventualita del genere. Ci si rideva addirittura sopra. Ma dietro alle quinte, lontano dagli occhi dell’opinione pubblica, si lavorava, e come, per imporre la nuova formula. Gli Stati Uniti avevano dato ingenuamente il “la”. Il Vaticano roncalliano, come era ovvio, appoggio con tutto il suo rilevantissimo peso, l’iniziativa politica. Comunisti e socialisti – questi ultimi avrebbero spartito il potere coi democraticicristiani, diventando le punte avanzate del PCI al governo, premettero con tutta la loro forza in quella direzione. E una mattina gli italiani si svegliarono col centro-sinistra bello che fatto. Fanfani era stato il realizzatore ufficiale, da parte democraticocristiana, della storica pensata, legando il suo nome alla iniziativa politica che avrebbe portato l’Italia allo sfacelo dei giorni nostri, e Capovilla manovro con lui e con un altro ristretto entourage di marxisti cattolici italiani per tirar fuori a forza, col forcipe,quel tristo e mal nato esperimento da una Italia che era stata purcapace di quel miracolo economico che aveva fatto stupire il mondo. E che da quel preciso momento cominciò inesorabilmente a tramontare, su un fosco orizzonte di crisi economica, di scioperi e di violenze. Come si vede, nessun momento storico sarebbe stato più propizio di quello, per la politica rivoluzionaria di Roncalli. Egli portò a Roncalli, quel momento storico, su un gran piatto d’argento, l’opportunità da tanto accarezzata, di stabilire finalmente contatti diretti e amichevoli con i rappresentanti ufficiali dei senza Dio.

Ancora una volta, guarda il caso, gli Stati Uniti: nelle prime fasi di disgelo e dell’avvicinamento fra Vaticano e mondo sovietico,aveva fra gli altri,avuto una parte importante un giornalista americano, tale Norman Cousins, direttore della “Saturday Review”, amico personale di John Kennedy. La missione mediatrice di Cousins cominciò ad Andover, nel Maryland, nell’ottobre del 1962, durante la crisi di Cuba. La cittadina americana era l’unico luogo al mondo nel quale scienziati statunitensi e scienziati sovietici si trovavano insieme per un congresso. Cousins, ricevuto un messaggio di Kennedy, fece da tramite fra un prete cattolico, padre Felix Morlion, e i sovietici Shumeiko e Feodorov,amici di Kruscev. Dal contatto fra il religioso e i due russi scocco la scintilla del messaggio di pace di Giovanni XXIII, al cui messaggio taluni fanno attribuire l’improvviso invertimento di rotta delle navi sovietiche che puntavano sulle Antille con i cannoni pronti a sparare. A questo punto Cousins era entrato nel giuoco e volentieri continuo ad agire come mediatore tra il Vaticano e l’Unione Sovietica.

«Era in Vaticano ai primi di settembre del 1962. Dovendosi recare a Mosca, chiese ai monsignori Dell’Acqua e Igino Cardinale, che con i cardinali Cicognani, Bea, Koening, il nunzio in Turchia Lardone e poi Casaroli furono fra i piu stretti collaboratori di Giovanni XXIII nella politica distensiva verso l’Est, quale fosse a loro avviso l’iniziativa che si potesse chiedere a Kruscev per l’apertura di un dialogo. I due prelati, che erano al corrente dei passi compiuti dal cardinale Testa presso Borovoi e Kotilarov al Concilio risposero: “La liberazione dell’arcivescovo Slipyi”. Il 13 dicembre 1962 Norman Cousins fece il suo ingresso nello studio di Kruscev al Cremlino. Dal rapporto che poi Cousins consegno a papa Giovanni è possibile ricostruire nei particolari l’incontro. La conversazione cominciò sul filo dei ricordi familiari e di brevi battute scherzose. Poi Kruscev disse: “Il Papa ed io possiamo avere opinioni divergenti su molte questioni, ma siamo uniti nel desiderio della pace. La cosa piu importante è vivere e lasciar vivere. Tutti i popoli vogliono vivere e tutti i Paesi hanno il diritto di vivere. Specie oggi che la scienza può fare un bene immenso e un male immenso”.

«Il colloquio si protrasse per tre ore. Alla conclusione, la sostanza di esso fu fissata in cinque punti:

“1) La Russia desidera la mediazione del papa e Kruscev ammette che non si tratta solo di mediazione utile all’ultimo momento di una crisi, ma anche del continuo lavoro del papa per la pace;

2) Kruscev desiderauna linea di comunicazione attraverso contatti privati con la Santa Sede; 3) Kruscev riconosce che la Chiesa rispetta il principio di separazione fra Stato e Chiesa in diversi stati; 4) Kruscev riconosce che la Chiesa serve tutti gli esseri umani per i valori sacri della vita e che non si interessa soltanto dei cattolici; 5) Kruscev riconosce che il papa ha avuto un grande coraggio ad agire come ha agito, sapendo che il papa stesso ha problemi all’interno della Chiesa, come Kruscev ha problemi all’interno dell’Unione Sovietica”.

«Roncalli lesse il documento e di suo pugno vi traccio a margine: “Letto da Sua Santità (!) nella notte 22-23/XII/962”. Si potrebbero scrivere volumi per commentare e contestare, fatti alla mano, una per una, le parole dette da Kruscev in quel suo incontro col giornalista americano. Il totale asservimento della Chiesa del Silenzio allo stato comunista, di lì a pochi anni, accettato e riconosciuto dal Vaticano, l’invasione della Cecoslovacchia da parte degli eserciti del Patto di Varsavia, la persecuzione degli ebrei, dei dissidenti rinchiusi nei manicomi e nei lager, parlano da soli e gridano “bugiardo!” a Nikita Kruscev. Dal giorno di quell’incontro trascorse un mese. Il 25 gennaio 1963 alle ore 21 l’ambasciatore sovietico in Italia, Kozyrev, consegnava a Fanfani una nota da parte di Kruscev con la preghiera di comunicarne il contenuto in Vaticano. Nella nota si diceva che all’arcivescovo Slipyi era stata concessa la libertà. Ma da parte sovietica si chiedevano garanzie: soprattutto quella di non sfruttare a fini di propaganda antisovietica il presule restituito. Quando il vescovo ucraino, ridotto il fantasma di se stesso dalla disumana prigionia nel lager sovietico, scese dal treno, nella stazione di Roma, sotto alla pensilina, ad attenderlo, c’era solo il segretario di Roncalli, il marxista Loris Capovilla.

«Come accadde, anni dopo, al Primate d’Ungheria, cardinale Mindszenty, fatto tornare a Roma con un inganno per essere destituito da Montini, ligio all’ultimatum di Kadar, quell’eroico vescovo ucraino fu emarginato nel silenzio. Visse isolato nella sua piccola comunita sulla Via Aurelia, alle porte di Roma. In alcune stanze del Collegio Ucraino di piazza degli Zingari ignoto ai piu, sono conservati sotto vetro gli stracci e i poveri oggetti personali con cui l’arcivescovo Slipyi visse e soffrì la sua prigionia in Siberia.

«Nikita Kruscev aveva gettato l’amo. L’esca ignara era quella larva di uomo di Slipyi. Subito, Roncalli abboccò. Attraverso quei “contatti privati” auspicati dal russo, arrivo al Cremlino l’invito del papa alla figlia del premier sovietico Rada e a suo marito, il giornalista Alexei Ajubei, direttore dell’«Izvestia», di recarsi da lui, in Vaticano. Fu una botta dritta alla Roncalli anni venti. La parte più conservatrice del Vaticano insorse e fece sapere al papa la propria disapprovazione. Il cardinale Ottaviani gli espresse, in un drammatico tu per tu il proprio dissenso. Roncalli non ascoltò nessuno e marciò dritto sulla sua decisione. Nel marzo di quell’anno i due coniugi russi dietro a cui si muove la lunga mano del Cremlino mettono piede in Vaticano. Il comunismo internazionale esulta, il PCI è alle stelle. I due ospiti si intrattennero col papa, nella sua biblioteca, senza che nessun membro del collegio cardinalizio fosse presente al colloquio. Quella visita farà da “pendant” all’altra di qualche anno più tardi, quando – nel giorno del Corpus Domini! – Paolo VI accoglierà a braccia spalancate l’ungherese Kadar, e stringerà fra le sue le mani insanguinate del boia di Budapest. Per qualche giorno la polemica infuria in Vaticano.

«Alla fine la grossa mano del prete di Sotto il Monte si abbatte a ridurre i più coraggiosi al silenzio. Il 20 marzo 1963 Roncalli scrive: “L’assoluta chiarezza del mio linguaggio, dapprima in pubblico e poi nella mia biblioteca privata, merita di venir rilevata e non sottaciuta artificialmente. Bisogna dire che non c’e bisogno di difendere il Papa. Ho detto e ripetuto a Dell’Acqua e Samorè che si pubblichi la nota redatta da padre Kulic (l’interprete), l’unico testimone della udienza concessa a Rada e Alexei Ajubei. La prima sezione non ci sente da questo verso e me ne dispiace”. Quando un papa scrive che una cosa “lo dispiace”, vuoi dire che quella cosa l’ha terribilmente irritato.

«l 22 novembre di quell’anno, a Dallas un cecchino aveva posto termine alla vita del presidente Kennedy. Gli era succeduto Lyndon Johnson che aveva tirato le briglie rimettendo al trotto riunito il galoppo del suo predecessore che correva a rompicollo sulla via di una illusoria, pericolosa nuova politica mondiale. E, puntuale, dopo la visita dei familiari di Kruscev a Roncalli, la “Pacem in Terris” e le elezioni italiane, la CIA varcherà, come s’e detto, il Portone di Bronzo. Ma Giovanni XXIII non si arresta. Anzi, quel tentativo U.S.A. di mettere il morso, come a un cavallo che ha preso la mano, al papa, irrita Roncalli e lo fa correre con maggiore precipitazione sulla sua strada. Vuoi ricevere, adesso Nikita Kruscev. L’incontro e preparato con una serie di contatti coperti dalla segretezza diplomatica e dal piu stretto riserbo del Vaticano. I due figli di contadini dovranno stringersi la mano un giorno memorabile di quell’estate 1963. Anche questa volta, un’agenzia di stampa tedesca capta il “bisbiglio” e spara al mondo la notizia, che suscita reazioni vastissime e non sempre positive. Il quotidiano romano “Il Tempo” scrivera a questo proposito il 20 marzo 1963 che “… nei circoli vaticani si è espressa una certa meraviglia riguardo al termine di ‘coesistenza tattica’ con il quale l’agenzia tedesca definisce lo scopo dell’incontro fra Giovanni XXIII e Nikita Kruscev. Si fa notare che nessuna “tattica comune” sarebbe possibile fra il Vaticano e la Russia, mentre “la coesistenza non è né tattica né strategica, ma semplice riconoscimento della esistenza reciproca che può essere o non essere accompagnata da contatti fra le parti”.

«E, sempre sullo stesso argomento, la rivista dei Gesuiti statunitensi, “America” scrivera che non vi sono ostacoli di principio allo stabilimento di relazioni fra il Vaticano e i sovietici: “Il papa e i suoi collaboratori sentono, dall’altra parte, acutamente le necessità della Chiesa universale, e gli speciali problemi dei Paesi dominati dal comunismo”. Ma la morte, in gara col tempo e con i frenetici programmi di Giovanni XXIII vinse di varie misure. Quella visita memorabile non ci fu più. Rimase per traverso anche a Nikita Kruscev che ormai considerava Roncalli un prezioso strumento per l’espansione “pacifica” del comunismo nel mondo occidentale. Tanto che in un’intervista concessa al giornalista americano Drew Pearson subito dopo la firma del patto nucleare, e pubblicata il 29 agosto 1963 dal quotidiano di Düsseldorf, “Mittag”, il premier sovietico così si espresse su Roncalli: “Il defunto papa Giovanni era un uomo del quale si poteva dire: “Egli sentiva il polso del tempo. Era certamente più saggio del suo predecessore e capiva l’epoca nella quale viviamo”. Per un capo di stato sovietico non è poco! Ma ormai l’esaltazione rivoluzionaria ha preso la mano a Roncalli. Il giorno di giovedì santo, 11 aprile 1963, viene resa nota la sua enciclica “Pacem in Terris”. L’Enciclica papale segnerà la fortuna del PCI. Alle Botteghe Oscure dove già erano noti alcuni passi piu scottanti del documento, la leggono tutta d’un fiato ed esultano.

«Al Cremlino non si crede ai propri occhi, leggendo il testo immediatamente tradotto e divulgato alle direzioni per gli “affari religiosi”. Roncalli da quel momento è il papa dei comunisti. Il partito comunista italiano fa stampare a sue spese e diffondere milioni di copie del Capitolo V dell’Enciclica, che si rivolge, per la prima volta nella storia di questi documenti pontifici, non soltanto all’Episcopato, al clero e ai fedeli della Chiesa di Roma, ma anche a “tutti gli uomini di buona volonta”. La lettera enciclica che abbattera l’ultimo diaframma che separa cristianesimo e marxismo segna, storicamente, l’inizio del confondersi insieme delle due dottrine e del grande equivoco che minerà le fondamenta della Chiesa. L’invito al dialogo è esplicito nei passi in cui l’Enciclica dice”… chi in particolare momento della sua vita non ha chiarezza di fede, o aderisce ad opinioni erronee, può essere domani illuminato e credere alla verità. Gli incontri e le intese, nei vari settori dell’ordine temporale, fra credenti e quanti non credono o credono in modo non adeguato, perché aderiscono ad errori, possono essere occasione per scoprire la verità e per renderle omaggio.

«E la sdrammatizzazione del pericolo marxista vibra e s’innalza la dove il documento giovanneo spiega con rasserenante bonomia che “… va altresi tenuto presente che non si possono neppure identificare false dottrine filosofiche sulla natura, l’origine e il destino dell’universo e dell’uomo, con movimenti storici a finalità economiche, sociali, culturali e politiche, anche se questi movimenti sono stati originati da quelle dottrine e da esse hanno tratto e traggono tuttora ispirazione. Giacché le dottrine, una volta elaborate e definite, rimangono sempre le stesse; mentre i movimenti suddetti, agendo sulle situazioni storiche incessantemente evolventisi, non possono non subire gli influssi e quindi non possono non andare soggetti a mutamenti anche profondi”. Mentre il riconoscimento del valore del marxismo nella misura in cui concorre a risolvere i problemi dell’umanità, Roncalli lo esprime subito appresso, là dove scrive: “inoltre chi può negare che in quei movimenti, nella misura in cui sono conformi ai dettami della retta ragione e si fanno interpreti delle giuste aspirazioni della persona umana, vi siano elementi positivi e meritevoli di approvazione?” E segue, immediato, l’esplicito invito all’incontro, al dialogo, all’accettazione: “Pertanto, puo verificarsi che un avvicinamento o un incontro di ordine pratico, ieri ritenuto non opportuno o non fecondo, oggi invece sia o lo possa divenire domani”.

In quel periodo, un parroco cosi scriveva al periodico “Settimana del Clero”: “…I comunisti nei loro appelli giunti in tutte le case hanno ripetuto con grande gioia: “Vedete, il Papa è con noi. Questo lo ha detto nella sua ultima enciclica. Poi, non lo sapete? Ha ricevuto il genero e la figlia di Kruscev e ormai tra cristianesimo e comunismo la pace è fatta.. Votate per noi che rispetteremo i vostri sentimenti”. Fuori delle chiese, attivisti comunisti, con fare compunto, distribuirono il seguente volantino:

“Cattolici e comunisti: è possibile incontrarsi. Una svolta di grande significato va maturando in questo periodo al vertice della Chiesa cattolica. In numerosi discorsi, e soprattutto in occasione del Concilio ecumenico, il Pontefice Giovanni XXIII ha sottolineato questi elementi: 1) l’esigenza di un grande e sincero impegno di tutti per salvare la pace, per stabilire un clima di convivenza e di reciproca comprensione fra tutti i popoli senza distinzione di fede religiosa, di tendenze ideologiche, di sistema sociale; 2) la necessità di abbandonare le vecchie crociate anticomuniste, di superare l’epoca delle scomuniche per ricercare nel dialogo, “nella misericordia anziché nella severita” (come ha detto appunto il Papa) la via che consente all’umanità di allontanare dalla propria testa la minaccia di una catastrofe atomica; 3) la tendenza a non impegnare direttamente la Chiesa nelle competizioni politiche, al contrario di quanto è avvenuto in passato, allorché il Clero e l’Azione Cattolica arrivavano ad identificare la religione con un solo partito e utilizzavano anche il pulpito per imporre il voto alla democrazia cristiana. Ajubei dal Papa. Il nuovo spirito che anima la Chiesa ha avuto una conferma nella cordiale simpatia con cui nei giorni scorsi il Papa ha ricevuto in Vaticano uno dei massimi dirigenti dell’URSS, Alexei Ajubei. Pur partendo da diverse posizioni ideologiche, cattolici e comunisti possono e debbono incontrarsi per allontanare la minaccia di un conflitto atomico, per instaurare un nuovo clima di distensione e di progresso… La realtà di oggi, la stessa svolta, in atto nella Chiesa, dimostrano che i tempi cambiano e che oggi più di ieri è possibile battere la conservazione per rinnovare il paese in senso democratico e socialista. Cammina coi tempi, cammina con noi. Vota comunista”.

«La trappola del “comunismo clericale” era, adesso, pronta e tesa nella direzione dei “comunistelli delle sagrestie”, sempre smaniosi di intrecciare dialoghi, alla continua ricerca della collaborazione con i marxisti, pungolati dal complesso d’inferiorità verso i “laici aperti” e, ben presto, quella trappola scatto, imprigionando democristiani e cattolici nel giro vizioso del “frontismo”. Tanto per citare uno dei mille esempi che prepararono il clima del “comunismo clericale”, a Vicenza i giovani comunisti affissero manifesti del seguente contenuto:

“Le barriere della paura e della diffidenza cominciano a cadere. Il sindaco cattolico di Firenze (La Pira) accoglie il sindaco comunista di Mosca… In tutto il mondo si sviluppano iniziative per favorire la causa della distensione internazionale… Insieme oggi? Noi giovani comunisti e cattolici dobbiamo agire nell’interesse della nostra patria e della causa della distensione internazionale.., grandi responsabilità sono di fronte a noi giovani comunisti e cattolici…”.

«E i dirigenti nazionali del PCI scrissero, con la piu viva chiarezza:

“Bisogna comprendere che, quando il nostro partito parla di un’intesa con i cattolici, non lo fa per disporre di facili ritorsioni polemiche, per fini esclusivamente di parte, ma perché di questa intesa ha bisogno la classe operaia e il popolo italiano, la causa della pace, della democrazia e del socialismo… affinché si possa mandare avanti con piu forza e con maggiore ampiezza la nostra azione unitaria”.

«Uno dei più “duri” parlamentari del PCI, Arturo Colombi, non indugiò a prender la penna, allora, per scrivere una esaltazione delle ACLI, il sindacato cattolico, i cui capilega e attivisti si erano trovati insieme a quelli del sindacato unitario (comunista) a organizzare e dirigere la lotta… Gomito a gomito si erano trovati nelle assemblee, organizzate negli Oratori e nelle Camere del Lavoro, nei comizi… E certo che molte prevenzioni sono cadute da una parte e dall’altra e che una nuova atmosfera di fraterna fiducia e nata nel fuoco della lotta”. Per far si che la trappola tesa ai cattolici, in sincronia perfetta con l’azione politica di Giovanni XXIII, funzionasse nel modo più efficace e totale, lo stesso segretario del PCI, Palmiro Togliatti se ne uscì con questa affermazione: “Vogliamo sottolineare l’enorme portata ideale e pratica del riconoscimento, esplicitamente fatto da questo Pontefice, che alla pace, alla comprensione e collaborazione fra i popoli si può e si deve giungere anche quando si parte da posizioni diverse e lontane.

«La liquidazione operata in questo modo di vecchi ingombranti ostacoli alla conquista della pace e dell’amicizia fra tutti gli uomini, e stato un servizio inestimabile reso a tutto il genere umano e di cui tutti debbono essere grati all’opera illuminata di questo Pontefice”. Parole abili, pronunciate con tempismo ben calcolato, dalla vecchia volpe comunista che pure non ha avuto indugi a scrivere, rivelando i suoi autentici convincimenti, su “Momenti della Storia d’Italia”, in merito alla collaborazione fra Stato laico e Chiesa cattolica:

“Consapevole del nuovo reale pericolo che minaccia la società capitalistica, del pericolo della ribellione delle masse lavoratrici, la Chiesa cattolica, dopo aver assimilato una parte del metodo liberale, assimila una parte del metodo socialista e si pone… sul terreno della organizzazione delle masse lavoratrici, della mutualita,della difesa economica, del miglioramento sociale… Su questo nuovo piano non soltanto i rapporti fra lo Stato e la Chiesa si configurano in forme nuove, ma si precisano la figura e la funzione della Chiesa stessa e del papato come forze che lottano per la difesa dell’ordine capitalistico ,ora in prima linea, ora come riserva, ora con una tattica, ora con l’altra, a seconda delle circostanze e della particolare situazione internazionale e di ogni paese, ora coprendosi di una maschera democratica, ora mostrando apertamente un volto reazionario. Questo, oggi, e il vero potere temporale dei Papi”.

«Diciasette giorni dopo la promulgazione dell’Enciclica applaudita dai marxisti, si svolsero le elezioni in Italia. La risposta inequivocabile alla “Pacem in Terris” fu l’aumento di un milione tondo di voti per il partito comunista, rispetto alle elezioni politiche di cinque anni prima.

«La distensione intrapresa all’Est, l’udienza degli Ajubei in Vaticano, la “Pacem in Terris” a diciasette giorni dalle elezioni politiche in Italia: Tre colpi di maglio formidabili dell’escalation roncalliana che butteranno all’aria l’equilibrio politico italiano e rimbomberanno sull’Europa, come il primo, lungo, fragoroso tuono, foriero di tempesta. Come si può non pensare a un preciso programma studiato a tavolino e concordato nei suoi più piccoli particolari? Quel primo risultato, quel milione di voti “regalato” con una bella benedizione ai rappresentanti dell’ateismo ufficiale, insieme a quell’enciclica che sarà la chiave che servirà a spalancare la porta inviolata della cittadella cristiana alla penetrazione dei senza Dio, fara aprire gli occhi a quanti ancora si illudono. A quanti ancora si rifiutano di pensare e di credere a un programma di sovversione graduale e rapido. Fatto di colpi di mano. Uno diverso dall’altro. Ma tutti diretti verso lo stesso obiettivo. La trasformazione della Chiesa in un organismo essenzialmente sociologico, in linea con le più avanzate teorie sociologiche e antropologiche dei nostri giorni. Quando sarà noto l’esito di quelle elezioni, una folla di scalmanati sventolanti bandiere rosse si accalcherà in Piazza San Pietro acclamando Giovanni XXIII. Un’altra pagina della Storia era stata voltata, con un gran fruscio e una lunga, gelida ventata d’aria. Le Guardie Svizzere vegliavano, immobili, come da secoli, sulle frontiere del Vaticano, mentre il colonnato del Bernini stringeva nelle sue braccia di pietra il nereggiante clamore di quella moltitudine. Ma da quella sera il significato del loro servizio si era di colpo annullato. Dietro alle loro alabarde, infatti, l’antica Chiesa e la Tradizione non c’erano più. Da quella sera avevano abbandonato per sempre, insalutate ospiti, le undicimila stanze del piccolo Stato.

«All’incirca nove mesi prima di quegli eventi, il papa era stato assalito dal male che lo porterà alla tomba. L’archiatra e i medici che lo coadiuvano, a una precisa domanda di Roncalli gli avevano risposto che gli sarebbe restato, piu o meno, un anno di vita.

«L’appuntamento con la morte sorprende Giovanni XXIII. Sta di fatto che già qualche mese dopo quell’annuncio, l’estroversissimo papa appare a chi gli vive e lavora vicino, più silenzioso, talvolta soprappensiero. Gli avvenimenti messi in moto dalla sua volontà rivoluzionaria, gli precipitano intorno. La forza scatenata dalla sua politica acquisita, per la sua sola forza di inerzia, subisce un’accelerazione sempre maggiore, che sconvolge programmi, e scompiglia pazzamente i confini ella politica europea stabilitisi da oltre trent’anni di dopoguerra, con un disegno a volte tormentato e sofferto. Il conto alla rovescia che lo avvicina giorno dopo giorno alla partenza per l’ultimo viaggio fa destare Roncalli dal suo sogno durato tutta una vita e la realtà uscita dalle sue mani di contadino e di inflessibile rinnovatore, adesso lo fà rabbrividire e, forse, agghiacciare. Qualcuno di quelli che gli sono intorno mi racconta che il papa, a volte, piange in segreto. Ed è diventato taciturno. Ma ormai Roncalli e, come dice il detto orientale, a cavallo alla tigre, che, suo malgrado, lo trascina avanti sorda ai suoi probabili ripensamenti. In quegli ultimi mesi di vita il male l’ha aguantato alla gola. Tutti ce ne siamo accorti, intorno a lui. È assente. Disfatto. Eppure i comunisti continuano a manovrare quel papa che diventato un fantoccio nelle loro mani.

«L’ultimo “amaro tè” che il prete di Sotto il Monte dovra trangugiare per conto del marxismo italiano e internazionale soltanto venticinque giorni prima di morire, è quella torbida invenzione propagandistica delle sinistre, il Premio Balzan per la pace. Roncalli adesso non ne vuol sapere. Tenta il rifiuto e si attacca al pretesto, del resto drammaticamente valido, della sua malattia che l’ha condotto ormai alle soglie della morte. Ma tutto l’apparato creato e voluto da lui, che gli respira intorno, perfettamente congegnato e sincronizzato, tutto quell’apparato che serve il comunismo internazionale, la massoneria, il progressismo, e che ha già belle pronto nella manica il nuovo papa, Montini, gli fà violenza col sorriso sulle labbra. Viene tirato letteralmente giù dal letto. Rivestito dei paramenti papali, portato di peso nella Cappella Sistina perché farlo scendere in San Pietro, in quelle condizioni, equivarrebbe ad ucciderlo.

«Il caso volle che quella mattina, venerdì 10 maggio, fossi intimato di servizio e così scortai quel condannato, questa fu la mia precisa impressione, insieme alle Guardie Nobili e a tutto il fastoso seguito della Corte. Era pallido e sconvolto dal male. Aveva lo sguardo fisso nel vuoto. Una volta posto a sedere sul trono, tremò a lungo, scosso da brividi. Ma c’erano gli altri, intorno a quel trono, a sorridere per lui. C’erano i rappresentanti di quel premio messo insieme col danaro di morti ammazzati sotto il piombo dei rossi nel 1945, c’era il tetro monsignor Capovilla con il luccichio dei suoi denti sotto i grandi occhiali funerei, che sorridevano ai fotografi al posto del papa. Che quando rientrò nelle sue stanze non volle veder più nessuno. Fuori di quella stanza da letto, che di lì a pochi giorni sarebbe stata visitata dall’Angelo della morte, un mare di carta stampata sommerse il mondo, pubblicizzando ai quattro venti quell’evento in cui ancora una volta, l’ultima, Angelo Giuseppe Roncalli, Giovanni XXIII, il papa dei comunisti, era stato prezioso e poderoso strumento nelle mani abili del burattinaio marxista.

«Certamente sul punto di morire Roncalli ebbe un ravvedimento… Prima di rendere l’ultimo respiro, sillabò parola dopo parola la sua professione di fede alla religione cattolica, ed ebbe la forza e la lucidità di dare una sua versione, drammatica, alla sua morte con le parole: “muoio sacrificato come l’Agnello”. Nessuno dei suoi predecessori, in punto di morte, aveva creduto opportuno di esprimere ad alta voce quella professione di fede, per lo meno singolare in un pontefice, capo della Chiesa cattolica e Vicario di Cristo in terra. E poi, quel “muoio sacrificato come l’Agnello”. A cosa voleva alludere il morente Roncalli? La risposta era lì fuori, nel PCI che attendeva quella morte a fauci spalancate. L’afferrò infatti famelico e la fece sua. In Sicilia, dove era in corso la campagna elettorale per le “regionali”, ordinò la sospensione dei comizi di partito in “segno di lutto”; nelle fabbriche, le commissioni interne ordinarono la sospensione del lavoro per alcuni minuti, per ricordare Giovanni XXIII; a Livorno gli operai furono incolonnati e condotti al porto affinche vedessero che un mercantile sovietico ivi ormeggiato aveva esposto la bandiera rossa a mezz’asta per la morte del Pontefice; a Genova e nelle altri grandi città, gli attivisti comunisti andavano di casa in casa per distribuire volantini e ciclostilati in cui si affermava che “l’immensa opera di pace di Giovanni XXIII corre tanti pericoli per la spinta capitalistica verso la guerra” e si sottolineava che l’opera del Papa non era stata facile perche “Egli non è stato risparmiato dagli attacchi più o meno velati, perfino provenienti dalle alte gerarchie ecclesiastiche.., che osteggiano la distensione, per che sanno che essa rappresenterebbe la loro sconfitta politica e ideologica”. «Nemmeno per la morte di Giuseppe Stalin le rotative del PCI lavorarono tanto quanto per quella di Giovanni XXIII. Era arrivata l’ora di compiere il “miracolo”. Sferragliavano adesso giorno e notte per costruire su tonnellate e tonnellate di carta stampata il mito di Angelo Giuseppe Roncalli, il papa dei marxisti. Precipitosamente il Vaticano dette inizio al processo di beatificazione del papa appena defunto.» Ecco il «papa» dei marxisti e dei massoni.

Per la gente di memoria corta ecco la conclusione:

«Sulla pericolosità delle idee e iniziative di Giovanni XXIII, il più celebre vaticanista italiano, il romano conte Fabrizio Sarazani, sul pontificato di Giovanni XXIII e sulle sue conseguenze dice: “… il segno lasciato da Roncalli nella storia dell’umanità supera di molto quello impresso dai vai Lenin e Stalin. Infatti se quelli hanno liquidato qualche milione di vite umane, Giovanni XXIII ha liquidato ben duemila anni di Chiesa cattolica.”

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