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SICUT IN CŒLO ET IN TERRA




Mons. Carlo Maria Viganò
SICUT IN CŒLO ET IN TERRA

Omelia nel Santissimo Natale
di Nostro Signore Gesù Cristo





Lux fulgebit hodie super nos: quia natus est nobis Dominus:
et vocabitur Admirabilis, Deus, Princeps pacis,
Pater futuri sæculi: cujus regni non erit finis.

Intr. ad Missam in Aurora



DIXIT DOMINUS DOMINO MEO: Sede a dextris meis; donec ponam inimicos tuos scabellum peduum tuorum (Ps 109, 1). La Chiesa ripete questo Salmo ai vesperi di tutte le domeniche e tutte le feste: Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi. L’eterno Padre, nell’eternità del tempo, si rivolge al Verbo eterno Incarnato, sancendo la Sua eterna Signoria – Siedi alla mia destra – e la Sua definitiva vittoria su Satana e sui suoi servi. E questa vittoria è domenicale, si compie nel giorno quam fecit Dominus, quando con la Resurrezione dagl’inferi Nostro Signore porta a compimento la Redenzione del genere umano sconfiggendo la morte, subìta nella Passione per riscattarci dal peccato e dal giogo infernale dell’Avversario.

Nell’eternità del tempo, secondo alcuni Padri, gli Angeli furono messi alla prova mostrando loro il Mistero dell’Incarnazione, decretato dalla Santissima Trinità per riparare alla tentazione a cui avrebbero ceduto i nostri Progenitori tentati dal Serpente. Fu dinanzi a questo prodigio di Carità e di Misericordia infinite e divine, dinanzi al Verbo che si fa carne e assume la nostra natura umana, che l’orgoglio di Satana e degli angeli apostati si rifiutò di inchinarsi alla volontà di Dio e lanciò il proprio grido Non serviam in risposta all’Ecce, venio della Sapienza incarnata, al Fiat mihi secundum verbum tuum della Madre di Dio, al Quis ut Deus? dell’Arcangelo Michele e degli Angeli fedeli. Obbedienza e disobbedienza. Umiltà e orgoglio. Adorante gratitudine e arrogante ribellione.

Nell’eternità del tempo il Figlio eterno risponde all’eterno Padre e si cala nella Storia, irrompe nel fluire dei giorni, nell’avvicendarsi delle stagioni, nel ciclo degli anni e dei secoli, per ripristinare l’ordine divino che i nostri Progenitori hanno infranto. E questa inimicizia tra Dio e Satana, tra la stirpe della Donna e la progenie del Serpente, è annunciata nel Protoevangelo della Genesi, quasi a mostrarci il senso della nostra vita terrena, le ragioni del nostro peregrinare, la meta che ci attende. Felix culpa: la caduta di Adamo ed Eva ci ha meritato, assieme alla cacciata dal Paradiso terrestre, la promessa di un nuovo Adamo e di una nuova Eva, della Seconda Persona della Santissima Trinità che si fa uomo e di una Vergine Immacolata che per opera dello Spirito Santo è fatta Tabernacolo dell’Altissimo, Arca dell’Alleanza, Reggia del Re, Madre di Dio.

La Chiesa celebra il Natale di Nostro Signore Gesù Cristo secundum carnem perché in questo giorno di duemilaventiquattro anni fa, come annunciato dai Profeti, la Maestà divina scende sulla terra, la Luce risplende nelle tenebre, la Parola risuona per essere ascoltata, il chicco di grano è gettato nel terreno per germogliare. E quella promessa fatta ai nostri Progenitori, rinnovata ai nostri padri in cammino verso la terra promessa, inizia con il vagito di un Re, avvolto in fasce, deposto in una mangiatoia, esposto al rigore del freddo di una notte della Palestina. Ai pastori è concesso di scorgere un riflesso della Sua divinità nel canto degli Angeli, mentre i Magi Lo riconoscono come Dio scrutando gli astri e seguendo la stella dall’Oriente.

Il cosmo è cristocentrico: omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est nihil, quod factum est (Gv 1, 3). Tutto è stato fatto per mezzo di Lui. Per ipsum, cum ipso, et in ipso. Per lui, con lui e in lui. Ut in nomine Jesu omne genu flectatur cœlestium, terrestrium, et infernorum (Fil 2, 10). Anche la Storia riconosce il discrimen tra un prima e un dopo, segnando il computo degli anni a partire dal Natale di Cristo. E la Santa Chiesa, che di Cristo Capo è Mistico Corpo, è la nuova Gerusalemme, il nuovo Israele, il popolo dell’eterna Alleanza che custodisce sui suoi altari l’Emmanuele, il Dio con noi, nel Santissimo Sacramento, fino alla fine dei tempi.

L’ordine divino – il κόσμος, appunto – vede Cristo come Alfa e Omega, Principio e Fine: e questo vale per la natura, per ogni uomo, per le società civili, per la Chiesa: sine ipso factum est nihil, quod factum est. Nostro Signore stesso ce lo ha insegnato: Adveniat regnum tuum; fiat voluntas tua, sicut in cœlo et in terra. Non è dunque il mondo che si plasma i suoi idoli, ma il cielo che rivela Dio agli uomini e che dà loro il modello cui conformarsi. Lo ripetono gli Angeli: Gloria in excelsis Deo, et in terra pax hominibus bonæ voluntatis.

Tutto rimanda a Cristo, tutto annuncia la Sua venuta, la Sua Incarnazione, la Sua Nascita, la Sua predicazione, la Sua Passione e Morte, la Sua Resurrezione. Tutto prepara il Suo ritorno trionfale nel giorno del Giudizio: et iterum venturus est cum gloria, judicare vivos et mortuos; cujus regni non erit finis. Tutto si compie in Cristo, Re e Pontefice, donec ponam inimicos tuos scabellum peduum tuorum, finché il Padre non avrà umiliato l’orgoglio dei nemici del Figlio ponendoli sotto i Suoi piedi. Dominare in medio inimicorum tuorum.

Vi sono quindi dei nemici di Cristo, e lo sappiamo bene. Nemici spirituali – gli spiriti apostati cacciati nell’abisso da San Michele – e nemici in carne e ossa, ad iniziare da Erode, che per timore di perdere potere giunge a far massacrare le vite innocenti dei neonati. E i farisei e gli scribi del popolo, che tramano per uccidere quel Galileo che con la Sua predicazione e i Suoi miracoli contraddice i piani politici di ribellione all’invasore romano. E i Sommi Sacerdoti, illegittimi nella loro autorità di nomina imperiale, bramosi di conservare il prestigio della propria carica. E poi i pagani, feroci persecutori dei Cristiani; e gli eretici di tutti i tempi, i barbari, gli adepti delle logge e i massoni, i rivoluzionari, i socialisti e i comunisti, i liberali, i globalisti, i fautori del Great Reset e del Nuovo Ordine Mondiale

Cosa accomuna quelli che la Sacra Scrittura chiama “operatori di iniquità”, ossia i malvagi di tutti i tempi? L’odio a Cristo: un odio implacabile, feroce, spietato, cieco, folle, superbo. Odio verso il Santo Bambino appena nato a Betlemme: Crudelis Herodes Deum Regem venire quid times?, chiede la prosa dell’inno dell’Epifania. Erode crudele, perché temi che venga il Dio Re? Eppure non eripit mortalia, qui regna dat cœlestia, colui che dà i regni spirituali non toglie le cose terrene. Ma è proprio per questo che Cristo è temuto dai Suoi nemici, da Erode a Klaus Schwab, da Caifa a Bergoglio: perché quelle cose terrene, quei poteri economici e politici, quelle ricchezze e quel successo mondano pretendono di sostituirsi e di eclissare i regna cœlestia, le potestà del cielo, prima fra tutte la Regalità universale di quel Re Bambino, che allarga le Sue piccole braccia nel gelo della mangiatoia già preludendo alla Croce che Lo attende: regnavit a ligno Deus, da quel trono di dolore e di umiliazione, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani (1Cor 1, 23). E quella divina Regalità è intrinsecamente sacerdotale, perché il regno di Cristo è conquistato nel Suo Sangue mediante l’immolazione di Sé, e di sangue è l’unzione regale e sacerdotale della Vittima immacolata.

Potremmo dire che i primi a confermare la centralità di Nostro Signore Gesù Cristo sono proprio i Suoi nemici, che si scagliano solo e sempre contro Cristo, contro i discepoli di Cristo, contro chi di Cristo porta impresso il segno benedetto della salvezza, contro le membra del Suo Corpo Mistico. Non vi è religione, né superstizione, né idolatria, né culto pagano che siano fatti oggetto dell’odio dei malvagi, che riconoscono in essi il marchio del loro padrone, la frode del Principe della menzogna.

L’odio dei nemici di Cristo nasce dall’orgoglio, quell’orgoglio luciferino che si rifiuta di riconoscere nell’Uomo-Dio Colui per quem omnia facta sunt, e al Quale l’ordine divino necessariamente impone di inchinarsi e genuflettersi, perché non può essere altrimenti, e perché non riconoscendo Cristo come Signore si finisce per erigere la creatura a idolo, a simulacro, in quel blasfemo sovvertimento del κόσμος che è il χάος, ossia la Rivoluzione, l’anima infernale della ribellione a Dio.

Non eripit mortalia qui regna dat cœlestia: ma le cose mortali, terrene, non ci sono tolte ed anzi ci sono date in sovrabbondanza e al centuplo solo se riconosciamo Nostro Signore Gesù Cristo come nostro principio, nostro fine e nostro mezzo, Che il Padre ha voluto sovranamente innalzare, e al Quale ha voluto dare un nome che al di sopra di ogni nome (Fil 2, 9). Questa necessità ontologica e indefettibile trova la propria ragione nell’obbedienza e nell’umiltà di Cristo, factus obœdiens usque ad mortem, mortem autem crucis (ibid., 8), e nel precetto evangelico: Si quis vult venire post me, abneget semetipsum et tollat crucem suam quotidie, et sequatur me (Lc 9, 22). E Cristo è stato il primo, nell’eternità del tempo come Verbo del Padre e nella storia come Uomo-Dio, a dare l’esempio di questo rinnegamento, di questa obbedienza, di questa umiltà. In capite libri scriptum est de me, ut facerem voluntatem tuam (Ps 39, 8).

Ma se questa umiltà e questa obbedienza sono il marchio, per così dire, dell’opera redentrice di Nostro Signore; se l’Incarnazione e il Natale di Cristo segnano l’incipit del grande rito del Sacrificio con il quale Dio ci riconcilia a Dio; vi è un’altra venuta che completerà la Liturgia eterna. È la seconda venuta del Signore, alla fine del mondo, quando quello scorcio di gloria che hanno contemplato i pastori nella Notte santa si squarcerà nel trionfo della vittoria e nella restaurazione della universale Signoria di Cristo Re, Pontefice e Giudice. Non vedremo più il Puer avvolto in fasce, né l’Uomo dei dolori sfigurato dai tormenti della Passione, ma il Rex tremendæ majestatis, Colui al Quale il Padre restituirà lo scettro temporale: Dominabit in nationibus, implebit ruinas, conquassabit capita in terra multorum… confregit in die iræ suæ reges. Le terribili parole del Salmista, divinamente ispirate, devono suonare come severo monito per tutti noi, ma soprattutto per coloro che in questo mondo ribelle – e in questa Chiesa travagliata dalla Passione a immagine del proprio Capo – ancor oggi si rifiutano di adorare Nostro Signore, di riconoscerLo come Re divino e di conformare la loro volontà alla Sua santa Legge. Il pacifismo eunuco e vile dei tempi presenti non vuole sentir parlare di un Dio che domina tra le nazioni, che distrugge e semina rovina, che schianta le teste orgogliose, che rivescia i potenti nel giorno della Sua ira. Ma questo è il destino ineluttabile dei malvagi, dei superbi, di chi si crede dio e pretende di decidere ciò che è bene e ciò che è male, di chi rifiuta di accogliere la Luce che è venuta nelle tenebre. L’ha ricordato, nel Magnificat, anche la Vergine Madre: Fecit potentiam in brachio suo, dispersit superbos mente cordis sui; deposuit potentes de sede, et exaltavit humiles; esurientes implevit bonis, et divites dimisit inanes.

Seguiamo l’esempio dei pastori e dei Magi, cari fratelli: inginocchiamoci in adorazione dinanzi al Re Bambino, nel Cui sguardo possiamo vedere la tenerezza e la dolcezza dell’Emmanuele. Inginocchiamoci ai piedi della Croce, contemplando lo sguardo sofferente e straziato di Cristo Sommo Sacerdote che Si immola per noi al Padre. Inginocchiamoci ai piedi dell’altare, sul quale si rinnova il Sacrificio del Calvario per la salvezza di molti. Perché a quanti Lo hanno accolto, il Signore ha dato il potere di diventare figli di Dio, a coloro che credono nel Suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati (Gv 1, 12-13). Vedremo così compiersi le parole di Maria Santissima: misericordia ejus a progenie in progenies timentibus eum, la sua misericordia si stende di generazione in generazione su quelli che lo temono.

Cari fratelli, permettetemi di rivolgere a tutti voi le parole del Signore ai Suoi Discepoli: Coraggio, sono io; non abbiate paura! (Mt 14, 27). Fate del vostro cuore la mangiatoia in cui la Vergine Santissima ponga il Neonato Gesù: quanto più essa sarà spoglia e povera, tanto più vi risplenderà l’Ospite divino e la Sua augusta Madre. Non sia turbato il vostro cuore (Gv 14, 1), nonostante l’apparente trionfo del Nemico e dei suoi servi, nonostante il tradimento della Gerarchia. Quando queste cose cominceranno ad avvenire, dice la Scrittura, rialzatevi, levate il capo, perché la vostra redenzione è vicina (Lc 21, 28). E così sia.

+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo







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