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MEDITAZIONE PER LUNEDÌ Di PASSIONE.





Del sudore di sangue ed agonia di Gesù nell'orto. I. Il nostro amante Redentore, venuta l'ora della sua morte, si portò nell'orto di Getsemani, in cui da se stesso diede principio alla sua amarissima Passione con dar licenza al timore, al tedio e alla mestizia, che venissero a tormentarlo: Coepit pavere, taedere et maestus esse (Marc. XIV, 33; Matth. XXVI, 37).1 Cominciò dunque a sentire un gran timore e tedio della morte e delle pene che doveano accompagnarla. Se gli rappresentarono allora i flagelli, le spine, i chiodi, la croce, e non già l'uno dopo l'altro, ma tutti insieme vennero ad affliggerlo, e specialmente se gli fece innanzi quella morte desolata, che dovea patire abbandonato da ogni conforto umano e divino. Sicché atterrito alla vista dell'orrido apparato di tanti strazi ed ignominie, prega l'Eterno Padre che ne lo liberi: Pater mi, si possibile est, transeat a me calix iste (Matth. XXVI, 29). Ma come? non era Gesù quegli che tanto avea desiderato di patire e morire per gli uomini, dicendo: Baptismo habeo baptizari, et quomodo coarctor usquedum perficiatur? (Luc. XII, 50). E come poi così teme queste pene e questa morte? Ah che ben egli volea morire per noi: ma acciocché non pensassimo ch'esso per virtù della sua divinità morisse senza pena, perciò fece quella preghiera al Padre, per farci conoscere che non solo moriva per nostro amore, ma moriva con una morte sì tormentosa, che grandemente lo spaventava. II. Si aggiunse allora a tormentare l'afflitto Signore una gran mestizia, ond'egli giunse a dire che quella bastava a dargli morte: Tristis est anima mea usque ad mortem (Matth. XXVI, 38). -- Ma, Signore, dalla morte che vi apparecchiano gli uomini, a voi sta liberarvene, se vi piace: perché tanto v'affliggete? --Ah che non tanto furono i tormenti della Passione, quanto i nostri peccati che così afflissero il Cuore del nostro amante Salvatore. Egli per togliere i peccati era venuto in terra; ma vedendo poi che con tutta la sua Passione, pure si avean a commettere tante scelleraggini nel mondo, questa fu la pena che prima di morire lo ridusse a morte e lo fe' sudare vivo sangue in tanta copia, che giunse a bagnare la terra: Et factus est sudor eius sicut guttae sanguinis decurrentis in terram (Luc. XXII, 44). Sì, perché Gesù allora vide innanzi tutt'i peccati che avean da fare gli uomini dopo la sua morte, tutti gli odi, disonestà, furti, bestemmie, sacrilegi, e ogni colpa venne allora colla sua malizia, come una fiera crudele, a lacerargli il Cuore. Ond'egli diceva allora: Questa dunque, o uomini, è la vostra ricompensa al mio amore? Ah s'io vi vedessi a me grati, oh come allegramente anderei ora a morire! ma il vedere, dopo tante mie pene, tanti peccati, dopo tanto mio amore, tanta ingratitudine; questo è quello che mi fa mesto fino alla morte, e mi fa sudar sangue. Dunque, amato mio Gesù, i peccati miei furono quelli che allora tanto vi afflissero. Se meno io avessi peccato, meno voi avreste patito. Quanto più di piacere io mi ho preso in offendervi, tanto più d'affanno io allora v'accrebbi. E come ora non muoio di dolore, pensando che ho pagato l'amor vostro con aggiungervi pena e mestizia? Io dunque ho afflitto quel Cuore che tanto mi ha amato! Colle creature io sono stato ben grato, con voi solo sono stato un ingrato. Gesù mio, perdonatemi, ch'io me ne pento con tutto il cuore. III. Vedendosi Gesù carico de' nostri peccati, procidit in faciem suam (Matth. XXVI, 39), si prostrò colla faccia a terra, come vergognandosi d'alzare gli occhi in cielo; e posto in agonia di morte pregò lungamente: Factus in agonia, prolixius orabat (Luc. XXII, 43). Allora, Signor mio, voi pregaste per me l'Eterno Padre che mi perdonasse offerendovi a morire in soddisfazione delle mie colpe. Anima mia, come non ti arrendi a tanto amore? Come ciò credendo puoi amare altri che Gesù? Su via, buttati a' piedi del tuo agonizzante Signore e digli: Caro mio Redentore, e come avete potuto amare chi tanto vi ha offeso? Come avete potuto soffrire la morte per me, vedendo l'ingratitudine mia? Deh fatemi parte di quel dolore che sentiste nell'orto pe' peccati miei. Ora io gli abborrisco ed unisco questo mio abborrimento a quello che allora ne aveste voi. O amore del mio Gesù, tu sei l'amor mio. Signore, io v'amo, io v'amo, io v'amo, e per amor vostro mi offerisco a patire ogni pena, ogni morte. Deh, per li meriti dell'agonia che soffriste nell'orto, datemi la santa perseveranza. Maria, speranza mia, pregate Gesù per me. 
1 Coepit pavere et taedere. Marc. XIV, 33. - Coepit contristari et maestus esse. Matt. XXVI, 37.

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