Hitler, nemico giurato della Chiesa cattolica.Ottant’anni fa Papa Pio XI faceva leggere nelle chiese tedesche la “Mit brennender Sorge”
L'opposizione delle Chiese al nazismo in Germania, in Italia come nel resto dell' Europa, come le opposizioni da parte di altri soggetti, diretta all'abbattimento del regime nazista fu, per quanto riguarda l'efficacia, limitata e irrilevante, ma di profonda importanza.
Gli ostacoli per lo sviluppo in Germania, di una fattiva opposizione al nazismo, fra il 1933 e il 1939, furono i successi del regime in politica interna, quelli in politica estera e la spietata opera di repressione nazista, di una durezza ed organicità eccezionali,a repressione, che assunse l'aspetto del terrore, decapitò drasticamente fin dall'inizio le opposizioni. L'opposizione, praticamente annientata, si manifestò con piccoli gruppi che diffondevano materiali clandestini e sabotavano l'industria bellica. La notizia l'11 ottobre dello stesso anno veniva pubblicata in evidenza sulla prima pagina dell'Osservatore Romano.
I vescovi cattolici tedeschi nell'agosto del 1932, durante i lavori della Conferenza episcopale tedesca, emanarono un documento ufficiale in cui si ribadiva in modo solenne l'interdizione dei cattolici a iscriversi al partito nazista, pena la scomunica e si metteva all`indice il Mein Kampf.
Ottant’anni fa Papa Pio XI faceva leggere nelle chiese tedesche la “Mit brennender Sorge”, l’enciclica in cui denunciava il razzismo e il regime nazista
Nei Paesi occupati dai tedeschi, durante la seconda guerra mondiale, rischiava la condanna a morte chi veniva trovato in possesso di una copia della Mit brennender Sorge ('Con bruciante preoccupazione'), il documento vaticano di condanna del razzismo. L’enciclica di Pio XI, letta a sorpresa il 21 marzo 1937, Domenica della Palme, da tutti i pulpiti della Germania, era diretta contro i principi e le pratiche del neopaganesimo nazista. Ottanta anni fa il Papa, a nome della Chiesa universale, espresse nei confronti del regime hitleriano la prima e unica condanna ufficiale dell’allora mondo civilizzato. Altre non se ne conoscono, mentre sono note le reticenze diplomatiche (sfociate nel vergognoso accordo di Monaco) delle contemporanee e timorose democrazie e le complicità fra le dittature di destra e di sinistra (il patto russo-tedesco sarà concluso di lì a poco).
Il titolo era inequivocabile: 'Sulla situazione della Chiesa cattolica in Germania', e fustigava energicamente le violazioni della dignità umana e quelle incessanti da parte del regime del Concordato firmato nel 1933, definendo la persecuzione religiosa come una «guerra di sterminio». Si esortavano i fedeli tedeschi a respingere, malgrado le pressioni esercitate su di loro, il culto «del suolo e del sangue» e i principi neopagani, mantenendo puri i principi della loro fede in Cristo e nella Chie- sa, e rifiutando l’alienazione e lo stravolgimento di senso delle parole e dei concetti sacri e il rovesciamento dell’ordine morale. Chi dell’esaltazione del popolo e della razza o della deificazione dello Stato faceva norma di ogni valore «tradisce – scriveva Pio XI – e falsifica l’ordine delle cose voluto da Dio». Tutto si era svolto in modo rapido. Da anni i vescovi tedeschi protestavano, senza che si rispondesse loro, per le violazioni degli impegni presi dal governo del Reich con la Santa Sede: sciolte le associazioni cattoliche, perseguitati i loro aderenti (il presidente dell’Azione Cattolica, Erich Klausener, era stato assassinato nella sanguinosa 'notte dei lunghi coltelli'), chiuse le scuole confessionali, processati, per presunti reati finanziari e sessuali, membri del clero, con larga pubblicità per comprometterne l’immagine.
Nel gennaio del 1937 una delegazione di cardinali tedeschi si era recata a Roma per sollecitare l’aiuto di Pio XI. Nel documento, concordato anche con il Segretario di Stato Eugenio Pacelli (esperto di problemi della Germania, dove era stato nunzio), su richiesta dei presuli non figurarono le parole 'nazionalsocialismo' e 'Hitler', per evitare maggiori frizioni: ma il contesto non si prestava a equivoci. Ai primi di marzo da Roma partì per la nunziatura di Berlino il testo dell’enciclica, redatta (con significativa eccezione) direttamente in tedesco. Le varie diocesi, segretamente, ne fecero stampare oltre 300 mila copie da tipografie di fiducia. E la Domenica delle Palme se ne dette lettura nelle chiese, suscitando risonanza mondiale e la rabbia di Hitler e dei suoi, che si ritennero beffati: vennero chiuse dodici tipografie, numerosi sacerdoti furono arrestati e vennero ripresi i processi pubblici contro i religiosi. Le proteste dell’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, Diego von Bergen, furono respinte.
La Radio Vaticana diffuse in molte lingue l’enciclica (è poco noto che in Italia fu pubblicata nel 1937 da una editrice cattolica) e, in polemica col capo della propaganda del regime Josef Goebbels che aveva deriso una manifestazione di solidarietà fra cattolici e protestanti nella fede in Cristo, aveva commentato: «L’illustre ministro può continuare a ridere, se vuole, senza rendersi conto che la sua ilarità porterà alla costituzione di un fronte unico di tutti i cristiani che si uniranno per difendersi dal paganesimo nazista». Un fronte unico che sarà espresso purtroppo soltanto dalla comunione nel martirio e nei Lager, testimonianza di quella fede cui la Mit brennender Sorge chiamava i credenti, uomini e donne, della Germania cristiana.
ENCICLICA
«MIT BRENNENDER SORGE»
«CON VIVA ANSIA»
«Sulla situazione della Chiesa
nel Reich germanico».
PIO PP. XI
Con viva ansia e con stupore sempre crescente veniamo osservando da lungo tempo la via dolorosa della Chiesa e il progressivo acuirsi dell’oppressione dei fedeli ad essa rimasti devoti nello spirito e nell’opera; e tutto ciò in quella terra e in mezzo a quel popolo, a cui San Bonifacio portò un giorno il luminoso e lieto messaggio di Cristo e del Regno di Dio.
Tale Nostra ansia non è stata alleviata dalle relazioni che i Reverendissimi Rappresentanti dell’Episcopato, conforme al loro dovere, Ci fecero secondo verità, visitandoCi durante la Nostra infermità. Accanto a molte notizie che Ci furono di consolazione e conforto sulla lotta sostenuta dai loro fedeli a causa della Religione, non poterono, nonostante l’amore al loro popolo e alla loro patria e la cura di esprimere un giudizio ben ponderato, passare sotto silenzio innumerevoli altri avvenimenti tristi e riprovevoli. Quando Noi udimmo le loro relazioni, con profonda gratitudine verso Dio potemmo esclamare con l’Apostolo dell’amore: "Non ho gioia più grande di quando sento: i miei Egli camminano nella verità" (III Joan. 4). Ma la franchezza che si addice alla grave responsabilità del Nostro ministero Apostolico, e la decisione di presentare davanti a voi e all’intero mondo cristiano la realtà in tutta la sua crudezza esigono anche che aggiungiamo: "Non abbiamo maggiore ansia né più crudele afflizione pastorale di quanto sentiamo: molti abbandonano il cammino della verità" (II Petr. II, 2).
I.
Quando Noi, Venerabili Fratelli, nell’estate del 1933, a richiesta del governo del Reich, accettammo di riprendere le trattative per un Concordato, in base ad un progetto elaborato già vari anni prima, e addivenimmo così ad un solenne accordo, che riuscì di soddisfazione a voi tutti, fummo mossi dalla doverosa sollecitudine di tutelare la libertà della missione salvatrice della Chiesa in Germania e di assicurare la salute delle anime ad essa affidate, e in pari tempo dal sincero desiderio di rendere un servizio d’interesse capitale al pacifico sviluppo e al benessere del popolo tedesco.
Nonostante molte e gravi preoccupazioni, pervenimmo, allora, non senza sforzo, alla determinazione di non negare il Nostro consenso. Volevamo risparmiare ai Nostri fedeli, ai Nostri figli e alle Nostre figlie della Germania, secondo le umane possibilità, le tensioni e le tribolazioni che in caso contrario si sarebbero dovute con certezza aspettare, date le condizioni dei tempi. E volevamo dimostrare col fatto a tutti che Noi, cercando solo Cristo e ciò che appartiene a Cristo, non rifiutiamo ad alcuno, se egli stesso non la respinge, la mano pacifica della Madre Chiesa.
Se l’albero di pace da Noi piantato in terra tedesca con puro intento, non ha prodotto i frutti da Noi bramati nell’interesse del vostro popolo, non ci sarà alcuno nel mondo intero, che abbia occhi per vedere e orecchie per sentire, il quale potrà dire ancor oggi la colpa essere della Chiesa e del suo Capo Supremo. L’esperienza degli anni trascorsi mette in luce le responsabilità e svela macchinazioni, che già dal principio non si proposero altro se non una lotta fino all’annientamento. Nei solchi, in cui Ci eravamo sforzati di gettare la semenza della vera pace, altri sparsero — come l’"inimicus homo" della Sacra Scrittura (Matth. XIII, 25) — la zizzania della sfiducia, della discordia, dell’odio, della diffamazione, di un’avversione profonda, occulta e palese, contro Cristo e la sua Chiesa, scatenando una lotta che si alimentò a mille fonti diverse e si servì di tutti i mezzi. Su di essi e solamente su di essi e sui loro protettori, occulti o palesi, ricade la responsabilità, se sull’orizzonte della Germania appare non l’arcobaleno della pace, ma il nembo minaccioso delle dissolvitrici lotte religiose.
Venerabili Fratelli, Noi non Ci siamo stancati di far presente ai reggitori, responsabili delle sorti della vostra Nazione, le conseguenze che sarebbero necessariamente derivate dalla tolleranza, o peggio ancora dal favoreggiamento di quelle correnti. Abbiamo fatto di tutto per difendere la santità della parola solennemente data, la inviolabilità degli obblighi volontariamente contratti, contro teorie e pratiche, le quali, se ufficialmente ammesse, avrebbero dovuto spegnere ogni fiducia e svalutare intrinsecamente ogni parola data anche per l’avvenire. Se verrà il momento di esporre agli occhi del mondo questi Nostri sforzi, tutti i ben pensanti sapranno dove son da cercarsi i tutori della pace e dove i suoi perturbatori. Chiunque abbia conservato nel suo animo un residuo di amore per la verità, e nel suo cuore anche un’ombra del senso di giustizia, dovrà ammettere che negli anni difficili e gravi di vicende susseguitisi al Concordato, ciascuna delle Nostre parole e delle Nostre azioni ebbe per norma la fedeltà agli accordi sanciti. Ma dovrà anche riconoscere, con stupore e con intima ripulsa, come dall’altra parte si sia eretto a norma ordinaria lo svisare arbitrariamente i patti, l’eluderli, lo svuotarli e finalmente il violarli più o meno apertamente.
La moderazione da Noi finora mostrata, nonostante tutto ciò, non Ci è stata suggerita da calcoli di interessi terreni né tanto meno da debolezza, ma semplicemente dalla volontà di non strappare, insieme con la zizzania, anche qualche buona pianta; dalla decisione di non pronunziare pubblicamente un giudizio, prima che gli animi fossero maturi per riconoscerne l’ineluttabilità; dalla determinazione di non negare definitivamente la fedeltà di altri alla parola data, prima che il duro linguaggio della realtà avesse strappato i veli con i quali si è saputo e si cerca anche adesso di mascherare, secondo un piano prestabilito, l’attacco contro la Chiesa. Anche oggi, che la lotta aperta contro le scuole confessionali, tutelate dal Concordato, e l’annientamento della libertà di voto per coloro che hanno diritto all’educazione cattolica, manifestano, in un campo particolarmente vitale per la Chiesa, la tragica serietà della situazione e una non mai vista pressione spirituale dei fedeli, la sollecitudine paterna per il bene delle anime, Ci consiglia di non lasciare senza considerazione le prospettive, per quanto scarse, che possano ancora sussistere, di un ritorno alla fedeltà dei patti e ad una intesa permessa dalla Nostra coscienza.
Seguendo le preghiere dei Reverendissimi Membri dell’Episcopato non Ci stancheremo anche nel futuro di difendere il diritto leso presso i reggitori del vostro popolo, incuranti del successo o dell’insuccesso del momento, ubbidienti solo alla Nostra coscienza e al Nostro Ministero pastorale, e non cesseremo di opporCi ad una mentalità, che cerca, con aperta o occulta violenza, di soffocare il diritto, autenticato da documenti.
Lo scopo però della presente Lettera, o Venerabili Fratelli, è un altro. Come voi Ci avete visitato amabilmente durante la Nostra infermità, così Noi Ci rivolgiamo oggi a voi e, per mezzo vostro, ai fedeli cattolici della Germania, i quali, come tutti i figli sofferenti e perseguitati, stanno molto vicini al cuore del Padre comune. In questa ora in cui la loro fede viene provata, come vero oro, nel fuoco della tribolazione e della persecuzione, insidiosa o aperta, ed essi sono accerchiati da mille forme di organizzata repressione della libertà religiosa, in cui l’impossibilità di aver informazioni conformi a verità, e di difendersi con mezzi normali molto li opprime, hanno un doppio diritto ad una parola di verità e d’incoraggiamento morale da parte di Colui, al cui primo Predecessore il Salvatore diresse quella parola densa di significato: "Io ho pregato per te, affinché la tua fede non vacilli, e tu a tua volta corrobora i tuoi fratelli" ( Luc. XXII, 32).
II.
E anzitutto, Venerabili Fratelli, abbiate cura che la fede in Dio, primo e insostituibile fondamento di ogni religione, rimanga pura e integra nelle regioni tedesche. Non si può considerare come credente in Dio colui che usa il nome di Dio retoricamente, ma solo colui che unisce a questa venerata parola una vera e degna nozione di Dio.
Chi, con indeterminatezza panteistica, identifica Dio con l’universo, materializzando Dio nel mondo e deificando il mondo in Dio, non appartiene ai veri credenti.
Né è tale chi, seguendo una sedicente concezione precristiana dell’antico germanismo, pone in luogo del Dio personale il fato tetro e impersonale, rinnegando la sapienza divina e la sua provvidenza, la quale "con forza e dolcezza domina da un’estremità all’altra del mondo" (Sap. VIII, 1), e tutto dirige a buon fine. Un simile uomo non può pretendere di essere annoverato fra i veri credenti.
Se la razza o il popolo, se lo Stato o una sua determinata forma, se i rappresentanti del potere statale o altri elementi fondamentali della società umana hanno nell’ordine naturale un posto essenziale e degno di rispetto; chi peraltro li distacca da questa scala di valori terreni, elevandoli a suprema norma di tutto, anche dei valori religiosi, e divinizzandoli con culto idolatrino perverte e falsifica l’ordine da Dio creato e imposto, è lontano dalla vera fede in Dio e da una concezione della vita ad essa conforme.
Rivolgete, o Venerabili Fratelli, l’attenzione all’abuso crescente, che si manifesta in parole e per iscritto, di adoperare il tre volte santo nome di Dio quale etichetta vuota di senso per un prodotto più o meno arbitrario di ricerca o aspirazione umana, e adoperatevi affinché tale aberrazione incontri tra i vostri fedeli la vigile ripulsa che merita. Il nostro Dio è il Dio personale, trascendente, onnipotente, infinitamente perfetto, Uno nella Trinità delle Persone e Trino nell’Unità della Essenza Divina, Creatore dell’universo, Signore, Re e ultimo fine della storia del mondo, il quale non ammette né può ammettere altre divinità accanto a Sé.
Questo Dio ha dato i Suoi comandamenti in maniera sovrana: comandamenti indipendenti da tempo e spazio, da regione e razza. Come il sole di Dio splende indistintamente su tutto il genere umano, così la Sua Legge non conosce privilegi né eccezioni. Governanti e governati, coronati e non coronati, grandi e piccoli, ricchi e poveri dipendono ugualmente dalla Sua parola. Dalla totalità dei Suoi diritti di Creatore promana essenzialmente la Sua esigenza di un’ubbidienza assoluta da parte degli individui e di qualsiasi società. E tale esigenza dell’ubbidienza si estende a tutte le sfere della vita, nelle quali le questioni morali richiedono l’accordo con la Legge divina e con ciò stesso l’armonizzazione dei mutevoli ordinamenti divini.
Solamente spiriti superficiali possono cadere nell’errore di parlare di un Dio nazionale, di una religione nazionale, e intraprendere il folle tentativo di imprigionare nei limiti di un solo popolo, nella ristrettezza etnica di una sola razza, Dio, Creatore del mondo, Re e Legislatore dei popoli, davanti alla grandezza del quale le nazioni sono piccole come gocce in un catino d’acqua (Is. XL, 15).
I Vescovi della Chiesa di Cristo "preposti a quelle cose che riguardano Dio" (Hebr. V, 1) devono vigilare perché non si affermino tra i fedeli tali perniciosi errori, ai quali sogliono tener dietro pratiche ancora più perniciose. Spetta al loro sacro ministero far tutto il possibile, affinché i comandamenti di Dio siano considerati e praticati quali obbligazioni inconcusse di una vita morale e ordinata, sia privata sia pubblica; i diritti della Maestà Divina, il nome e la parola di Dio non vengano profanati (Tit. II, 5); le bestemmie contro Dio in parole, scritti e immagini, numerose talvolta come la rena del mare, vengano ridotte al silenzio, e di fronte allo spirito caparbio e insidioso di coloro che negano, oltraggiano e odiano Dio, non si illanguidisca mai la preghiera espiatrice dei fedeli, la quale sale ad ogni ora come incenso all’Altissimo, trattenendone la mano punitrice.
Noi ringraziamo, Venerabili Fratelli, voi, i vostri sacerdoti e tutti i fedeli che, nella difesa dei diritti della Divina Maestà contro un provocante neopaganesimo, appoggiato purtroppo spesso da personalità influenti, avete adempiuto e adempite il vostro dovere di cristiani. Questo ringraziamento è particolarmente intimo e unito ad una riconoscente ammirazione per coloro i quali nel compimento di questo loro dovere si sono resi degni di sopportare per la causa di Dio sacrifici e dolori.
III.
La fede di Dio non si manterrà a lungo andare pura e incontaminata, se non si appoggerà nella fede in Gesù, Cristo. "Nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui a cui il Figlio lo vuole rivelare" (Matth. II, 27). "Questa è la vita eterna che essi riconoscano, Te, unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo" (Ioan. XVII, 3). A nessuno dunque è lecito dire: io credo in Dio e ciò è sufficiente per la mia religione. La parola del Salvatore non lascia posto a scappatoie di simil genere: "Chi rinnega il Figlio non ha neanche il Padre; chi riconosce il Figlio ha anche il Padre" (Joan. II, 23).
In Gesù Cristo, incarnato Figlio di Dio, è apparsa la pienezza della Rivelazione divina. "In varie maniere e in diverse forme Dio un giorno parlò ai padri per mezzo dei profeti. Nella pienezza dei tempi ha parlato a noi per mezzo del Figlio" (Hebr. I, 1 e segg.). I Libri Santi dell’Antico Testamento sono tutti parole di Dio, parte organica della Sua Rivelazione. Conforme allo sviluppo graduale della Rivelazione, su di essi si posa il crepuscolo del tempo che doveva preparare il pieno meriggio della Redenzione. In alcune parti si narra dell’imperfezione umana, della sua debolezza e del peccato, come non può accadere diversamente, quando si tratta di libri di storia e di legislazione. Oltre a innumerevoli cose alte e nobili, essi parlano della tendenza superficiale e materiale, che appariva a varie riprese nel popolo dell’antico patto, depositario della Rivelazione e delle promesse di Dio. Ma per ogni occhio, non accecato dal pregiudizio o dalla passione, risplende ancora più luminosamente, nonostante la debolezza umana di cui parla la storia biblica, la luce divina del cammino della salvezza, che trionfa alla fine su tutte le debolezze e i peccati.
E proprio su questo sfondo, spesso cupo, la pedagogia della salute eterna si allarga in prospettive, le quali nello stesso tempo dirigono, ammoniscono, scuotono, sollevano e rendono felici. Solo cecità e caparbietà possono far chiudere gli occhi davanti ai tesori di salutari insegnamenti, nascosti nell’Antico Testamento. Chi quindi vuole banditi dalla Chiesa e dalla scuola la storia biblica e i saggi insegnamenti dell’Antico Testamento, bestemmia la parola di Dio, bestemmia il piano della salute dell’Onnipotente ed erige a giudice dei piani divini un angusto e ristretto pensiero umano. Egli rinnega la fede in Gesù Cristo, apparso nella realtà della Sua carne, il quale prese natura umana da un popolo, che doveva poi configgerlo in croce. Non comprende nulla del dramma mondiale del Figlio di Dio, il quale oppose al misfatto dei Suoi crocifissori, qual sommo sacerdote, l’azione divina della morte redentrice e fece così trovare all’Antico Testamento il suo compimento, la sua fine e la sua sublimazione nel Nuovo Testamento.
La rivelazione culminata nell’Evangelo di Gesù Cristo è definitiva e obbligatoria per sempre, non ammette appendici di origine umana e, ancora meno, succedanei o sostituzioni di "rivelazioni" arbitrarie, che alcuni banditori moderni vorrebbero far derivare dal così detto mito del sangue e della razza. Da quando Cristo, l‘Unto del Signore, ha compiuto l’opera di Redenzione, infrangendo il dominio del peccato e meritandoci la grazia di diventare figli di Dio, da allora non è stato dato agli uomini alcun altro nome sotto il cielo, per diventare beati, se non il nome di Gesù (Act. IV, 12).Anche se un uomo identifichi in sé ogni sapere, ogni potere e tutta la possanza materiale della terra, non può gettare fondamento diverso, da quello che Cristo ha gettato (I Cor. III, 11). Colui quindi che con sacrilego disconoscimento della diversità essenziale tra Dio e la creatura, tra l’Uomo-Dio e il semplice uomo, osasse porre accanto a Cristo e ancora peggio, sopra di Lui o contro di Lui, un semplice mortale, fosse anche il più grande di tutti i tempi, sappia che è un profeta di chimere, al quale si applica spaventosamente la parola della Scrittura: "Colui che abita nel Cielo, ride di loro"(Psal. II, 4).
IV.
La fede in Gesù Cristo non resterà pura e incontaminata se non sarà sostenuta e difesa dalla fede nella Chiesa, colonna e fondamento della verità (I Tim. III, 15). Cristo stesso, Dio benedetto in eterno, ha innalzato questa colonna della fede; il Suo comandamento di ascoltare la Chiesa (Matth. XVIII, 17) e di sentire, attraverso le parole e i comandamenti della Chiesa, le Sue parole stesse e i Suoi stessi comandamenti (Luc. X, 16) vale per gli uomini di tutti i tempi e di tutte le regioni. La Chiesa, fondata dal Salvatore, è unica per tutti i popoli e per tutte le nazioni, e sotto la sua volta, la quale si inarca come il firmamento sull’universo intero, trovano posto e asilo tutti i popoli e tutte le lingue, e possono svolgersi tutte le proprietà, qualità, missioni e compiti, che sono stati assegnati da Dio Creatore e Salvatore agli individui e alle società umane. L’amore materno della Chiesa è tanto largo da vedere nello sviluppo, conforme al volere di Dio, di tali peculiarità e compiti particolari piuttosto la ricchezza della varietà che il pericolo di scissioni; gode dell’elevato livello spirituale degli individui e dei popoli, scorge con gioia e alterezza materna nelle loro genuine attuazioni frutti di educazione e di progresso, che benedice e promuove, ogni qualvolta lo può secondo verità. Ma sa pure che a questa libertà son segnati limiti dal comandamento della Divina Maestà, che ha voluto e fondato questa Chiesa come unità inseparabile nelle sue parti essenziali. Chi attenta a questa inscindibile unità toglie alla Sposa di Cristo uno dei diademi, con cui Dio stesso l’ha coronata; sottomette l’edificio divino, che posa su fondamenta eterne, al riesame e alla trasformazione da parte di architetti ai quali il Padre Celeste non ha concesso alcun potere.
La divina missione, che la Chiesa compie tra gli uomini e deve compiere per mezzo di uomini, può essere dolorosamente oscurata dall’umano, talvolta troppo umano, che, in certi tempi, ripullula quasi zizzania in mezzo al grano del regno di Dio. Chi conosce la parola del Salvatore sopra gli scandali e sopra coloro che li danno, sa come la Chiesa e ciascun individuo deve giudicare su ciò che fu ed è peccato. Ma chi, fondandosi su questi lamentevoli contrasti tra fede e vita, tra parola e azione, tra il contegno esteriore e l’interno sentire di alcuni — e fossero anche molti — pone in oblio, o coscientemente passa sotto silenzio, l’immenso capitale di genuino sforzo verso la virtù, lo spirito di sacrificio, l’amore fraterno, l’eroismo di santità di tanti membri della Chiesa, manifesta una cecità ingiusta e riprovevole. E quando poi si vede che quella rigida misura, con cui egli giudica la odiata Chiesa, viene messa da canto se si tratta di altre società a lui vicine per sentimento o interesse, allora riesce evidente che, ostentandosi colpito nel suo presunto senso di purezza, si appalesa simile a coloro i quali, secondo la tagliente parola del Salvatore, osservano la pagliuzza nell’occhio del fratello, ma non scorgono la trave nel proprio. Altrettanto men pura è l’intenzione di coloro i quali pongono a scopo della loro vocazione proprio quel che vi è di umano nella Chiesa, talvolta facendone persino un losco affare: e sebbene la potestà di colui che è insignito della dignità ecclesiastica, posando in Dio, non sia dipendente dalla sua elevatezza umana e morale, non vi è però epoca alcuna, né individuo, né società che non debba esaminarsi onestamente la coscienza, purificarsi inesorabilmente, rinnovarsi profondamente nel sentire e nell’operare. Nella Nostra Enciclica sopra il Sacerdozio, in quella sull’Azione Cattolica abbiamo con implorante insistenza attirato l’attenzione di tutti gli appartenenti alla Chiesa, e soprattutto degli Ecclesiastici, dei Religiosi e dei laici, i quali collaborano nell’apostolato, al sacro dovere di mettere fede e condotta in quell’armonia richiesta dalla legge di Dio e domandata con instancabile insistenza dalla Chiesa. Anche oggi Noi ripetiamo con profonda gravità: non basta essere annoverati nella Chiesa di Cristo, bisogna essere in ispirito e verità membri vivi di questa Chiesa. E tali sono solamente coloro che stanno nella grazia del Signore e continuamente camminano alla Sua presenza, sia nell’innocenza, sia nella penitenza sincera e operosa. Se l’Apostolo delle Genti, "il vaso di elezione", teneva il suo corpo sotto la sferza della mortificazione affinché, dopo aver predicato agli altri, non venisse egli stesso riprovato, può darsi forse, per coloro nelle cui mani è posta la custodia e l’incremento del regno di Dio, via diversa da quella dell’intima unione dell’apostolato e della santificazione propria? Solo così si mostrerà agli uomini di oggi, e in prima linea agli oppositori della Chiesa, che il sale della terra e il lievito del Cristianesimo non sono diventati inefficaci, ma sono potenti e pronti a portare rinnovamento spirituale e ringiovanimento a coloro che vivono nel dubbio e nell’errore, nell’indifferenza e nello smarrimento spirituale, nel rilassamento della fede e nella lontananza da Dio, del quale essi — l’ammettano o lo neghino — hanno più bisogno che mai. Una Cristianità in cui tutti i membri vigilino su se stessi, che espella ogni tendenza a ciò che è puramente esteriore e mondano, si attenga seriamente ai comandamenti di Dio e della Chiesa e si mantenga quindi nell’amore di Dio e nella solerte carità verso il prossimo, potrà e dovrà essere esempio e guida al mondo profondamente infermo, che cerca sostegno e direzione, se non si vuole che sopravvenga un immane disastro o un indescrivibile decadimento.
Ogni riforma genuina e duratura ha avuto propriamente origine dal santuario, da uomini infiammati e mossi dall’amore di Dio e del prossimo; i quali per la loro grande generosità nel rispondere ad ogni appello di Dio e nel metterlo in pratica anzitutto in se stessi, cresciuti in umiltà e con la sicurezza di chi è chiamato da Dio, hanno illuminato e rinnovato i loro tempi. Dove lo zelo di riforma non scaturì dalla pura sorgente dell’integrità personale, ma fu effetto dell’esplosione di impulsi passionali, invece di illuminare ottenebrò, invece di costruire distrusse, e fu sovente punto di partenza di errori ancora più funesti dei danni, ai quali si volle o si pretese portare rimedio. Certamente lo spirito di Dio spira dove vuole (Joan. III, 8), dalle pietre può suscitare gli esecutori della Sua volontà secondo i Suoi piani, non secondo quelli degli uomini. Ma Egli, che ha fondato la Chiesa e l’ha chiamata in vita nella Pentecoste, non spezza la struttura fondamentale della salutare istituzione da Lui stesso voluta. Chi è mosso dallo spirito di Dio ha perciò stesso un contegno esteriore ed interiore rispettoso verso la Chiesa, nobile dell’albero della Croce, dono dello Spirito della Pentecoste al mondo bisognoso di guida.
Nelle vostre contrade, Venerabili Fratelli, si elevano voci in coro sempre più forte, che incitano ad uscire dalla Chiesa, e sorgono banditori, i quali per la loro posizione ufficiale cercano di risvegliare l’impressione che tale distacco dalla Chiesa, e conseguentemente l’infedeltà verso Cristo Re, sia una testimonianza particolarmente persuasiva e meritoria della loro fedeltà al regime presente. Con pressioni occulte e palesi, con intimidazioni, con prospettive di vantaggi economici, professionali, civili o d’altra specie, l’attaccamento alla fede dei Cattolici e specialmente di alcune classi di funzionari cattolici viene sottoposto ad una violenza tanto illegale quanto inumana. Con commozione paterna Noi sentiamo e soffriamo profondamente con coloro che hanno pagato a sì caro prezzo il loro attaccamento a Cristo e alla Chiesa; ma si è ormai giunti a un tal punto, che è in giuoco il fine ultimo e più alto, la salvezza o la perdizione, e quindi unico cammino di salute per il credente resta la via di un generoso eroismo. Quando il tentatore o l’oppressore gli si accosterà con le traditrici istigazioni a uscire dalla Chiesa, allora egli non potrà che contrapporgli, anche a prezzo dei più gravi sacrifici terreni, la parola del Salvatore: "Allontanati da me, o Satana, perché sta scritto: adorerai il Signore Dio tuo e a Lui solo servirai" (Matth. IV, 10; Luc. IV, 8). Alla Chiesa invece rivolgerà queste parole: O tu, che sei madre mia fin dai giorni della prima fanciullezza, mio conforto in vita, mia avvocata in morte, si attacchi la lingua al mio palato, se io, cedendo a terrene lusinghe o minacce, dovessi tradire il mio voto battesimale. A coloro poi, i quali si lusingassero di potere conciliare con l’esterno abbandono della Chiesa la fedeltà interiore ad essa, sia di monito severo la parola del Salvatore: "Chi mi rinnega davanti agli uomini, lo rinnegherò davanti al Padre mio, che è nei Cieli" (Luc. XII, 9).
V.
La fede nella Chiesa non si manterrà pura e incontaminata, se non sarà appoggiata nella fede al Primato del Vescovo di Roma. Nello stesso momento in cui Pietro, prevenendo gli altri Apostoli, professò la sua fede in Cristo, figlio del Dio vivente, l’annunzio della fondazione della Sua Chiesa, dell’unica Chiesa, su Pietro, la roccia (Matth. XVI, 18), fu la risposta di Cristo, che lo ricompensò della sua fede e di averla professata. La fede in Cristo, nella Chiesa o nel Primato stanno perciò in un sacro legame di interdipendenza. Un’autorità genuina e legale è dappertutto un vincolo di unità e una sorgente di forza, un presidio contro lo sfaldamento e la disgregazione, una garanzia dell’avvenire. E ciò si verifica nel senso più alto e nobile, dove, come nel caso della Chiesa, a tale autorità venne promessa l’assistenza soprannaturale dello Spirito Santo e il suo appoggio invincibile. Se persone, che non sono neanche unite nella fede in Cristo, vi adescano e vi lusingano con il fantasma di una "chiesa tedesca nazionale", sappiate ciò non essere altro se non un rinnegamento dell’unica Chiesa di Cristo, un’apostasia manifesta dal mandato di Cristo di evangelizzare tutto il mondo, che solo una Chiesa universale può attuare. Lo sviluppo storico di altre Chiese nazionali, il loro irrigidimento spirituale, il loro soffocamento e asservimento da parte dei poteri laici mostrano la desolante sterilità, che colpisce con ineluttabile sicurezza il tralcio separatosi dal ceppo vitale della Chiesa. Colui che a questi erronei sviluppi fin da principio oppone il suo vigile e irremovibile no, rende un servizio non solo alla purezza della sua fede, ma anche alla sanità e forza vitale del suo popolo.
VI.
Venerabili Fratelli, abbiate un occhio particolarmente vigile, quando nozioni religiose vengono svuotate del loro contenuto genuino e applicate a significati profani.
Rivelazione, in senso cristiano, significa la parola di Dio agli uomini. Usare questo stesso termine per suggestioni provenienti dal sangue e dalla razza, per le irradiazioni della storia di un popolo è, in ogni caso, causare disorientamento. Tali false monete non meritano di passare nel tesoro linguistico di un fedele cristiano.
La fede consiste nel tener per vero ciò che Dio ha rivelato e mediante la Chiesa impone di credere: è "dimostrazione di cose che non si vedono" (Hebr. XI, 1). La fiducia gioiosa e altera nell’avvenire del proprio popolo, cosa cara ad ognuno, significa ben altra cosa che la fede in senso religioso. L’usare l’una per l’altra, il volere sostituire l’una con l’altra e pretendere con ciò di essere riconosciuto come "credente" da un convinto cristiano, è un vuoto gioco di parole, una consapevole confusione di termini, o anche peggio.
L’immortalità in senso cristiano è la sopravvivenza dell’uomo dopo la morte terrena, come individuo personale, per l’eterna ricompensa o per l’eterno castigo. Chi con la parola immortalità non vuole indicare altro che una sopravvivenza collettiva nella continuità del proprio popolo, per un avvenire di indeterminata durata in questo mondo, perverte e falsifica una delle verità fondamentali della fede cristiana, e scuote le fondamenta di qualsiasi concezione religiosa, la quale richiede un ordinamento morale universale. Chi non vuole essere cristiano dovrebbe almeno rinunziare a volere arricchire il lessico della sua miscredenza con il patrimonio linguistico cristiano.
Il peccato originale è la colpa ereditaria, propria, sebbene non personale, di ciascuno dei figli di Adamo, che in lui hanno peccato (Rom. V, 12): perdita della grazia e, conseguentemente, della vita eterna, con la concupiscenza che ciascuno deve soffocare e domare per mezzo della grazia, della penitenza, della lotta e dello sforzo morale. La passione e la morte del Figlio di Dio hanno redento il mondo dal maledetto retaggio del peccato e della morte. La fede in queste verità, fatte oggi bersaglio del basso scherno dei nemici di Cristo nella vostra patria, appartiene all’inalienabile deposito della Religione cristiana.
La Croce di Cristo, anche se il suo solo nome sia diventato per molti follia e scandalo (I Cor. I, 23), resta per il cristiano il segno sacrosanto della Redenzione, il vessillo di grandezza e di forza morale. Nella sua ombra viviamo, nel suo bacio moriamo; sul nostro sepolcro starà come annunziatrice della nostra fede, testimonio della nostra speranza protesa verso la vita eterna.
L’umiltà nello spirito del Vangelo e l’implorazione dell’aiuto di Dio si accordano bene con la propria dignità, con la fiducia in sé e coll’eroismo. La Chiesa di Cristo, che in tutti i tempi, fino a quelli a noi vicinissimi, conta più confessori e martiri eroici di qualsiasi altra società morale, non ha certo bisogno di ricevere da tali capi insegnamenti sul sentimento e l’azione eroica. Nel rappresentare stoltamente l’umiltà cristiana come avvilimento e meschinità, la ripugnante superbia di questi innovatori rende irrisoria soltanto se stessa.
Grazia, in senso largo, può chiamarsi ciò che proviene alla creatura dal Creatore. La grazia, nel senso propriamente cristiano della parola, comprende però le gratificazioni soprannaturali dell’amore divino, la degnazione e l’opera per mezzo della quale Dio eleva l’uomo a quell’intima comunione della Sua vita, che il Nuovo Testamento chiama figliolanza di Dio: "Vedete quale grande amore il Padre ci ha mostrato: noi ci chiamiamo figliuoli di Dio, e siamo realmente tali" (I Joan. III, 1). Il ripudio di questa elevazione soprannaturale alla grazia a causa di una pretesa peculiarità del carattere tedesco è un errore, un’aperta dichiarazione di guerra ad una verità fondamentale del Cristianesimo. L’equiparare la grazia soprannaturale con i doni della natura, significa violentare il linguaggio creato e santificato dalla Religione. I pastori e i custodi del popolo di Dio faranno bene a opporsi a questo furto sacrilego e a questo lavorio di traviamento degli spiriti.
VII.
Sulla genuina e pura fede in Dio si fonda la moralità del genere umano. Tutti i tentativi di staccare la dottrina dell’ordine morale dalla base granitica della fede, per costruirla sulla sabbia mobile di norme umane, portano, tosto o tardi, individui e nazioni al decadimento morale. Lo stolto che dice nel suo cuore: "Non c’è Dio", si avvierà alla corruzione morale (Psal. XIII, 1, segg.). E questi stolti, che presumono di separare la morale dalla Religione, sono oggi divenuti legione. Non si accorgono, o non vogliono accorgersi, che con il bandire l’insegnamento confessionale, ossia chiaro e determinato dalle scuole e dall’educazione, con l’impedirgli di contribuire alla formazione della società e della vita pubblica, si percorrono sentieri di impoverimento e di decadenza morale. Nessun potere coercitivo dello Stato, nessun ideale puramente terreno, per quanto grande e nobile, potrà sostituire a lungo andare i più profondi e decisivi stimoli, che provengono dalla fede in Dio e in Gesù Cristo. Se a chi è chiamato ai più ardui cimenti, al sacrificio del suo piccolo io in bene della comunità, si toglie il sostegno morale che gli viene dall’eterno e dal divino, dalla fede elevante e consolatrice in Colui che premia ogni bene e punisce ogni male, allora il risultato finale per innumerevoli uomini non sarà l’adesione al dovere, ma piuttosto la diserzione. L’osservanza coscienziosa dei dieci comandamenti di Dio e dei precetti della Chiesa, i quali ultimi non sono altro che regolamenti derivati dalle norme del Vangelo, è per ogni individuo una incomparabile scuola di disciplina organica, di rinvigorimento morale e di formazione di carattere. È una scuola che esige molto; ma non oltre le forze. Dio misericordioso, quando ordina come legislatore: "tu devi", dà con la Sua grazia la possibilità di eseguire il Suo comando. Il lasciar quindi inutilizzate energie morali di così potente efficacia, o sbarrare coscientemente ad esse il cammino nel campo dell’istruzione popolare, è opera da irresponsabili, che tende a produrre deficienza religiosa nel popolo. Il connettere la dottrina morale con opinioni umane, soggettive e mutevoli nel tempo, invece di ancorarle nella santa volontà dell’eterno Iddio e dei Suoi comandamenti, significa spalancare le porte alle forze dissolvitrici. Perciò il promuovere l’abbandono delle eterne direttive di una dottrina morale per la formazione delle coscienze, per la nobilitazione di tutti i campi della vita e di tutti gli ordinamenti, è attentato peccaminoso contro l’avvenire del popolo, i cui tristi frutti amareggeranno le generazioni future.
VIII.
È una caratteristica nefasta del tempo presente il volere distaccare non solo la dottrina morale, ma anche le fondamenta del diritto e della sua amministrazione dalla vera fede in Dio e dalle norme della rivelazione divina. Il Nostro pensiero si rivolge qui a quello che si suole chiamare diritto naturale, che il dito dello stesso Creatore impresse nelle tavole del cuore umano (Rom. II, 14 segg.), e che la ragione umana sana e non ottenebrata da peccati e passioni può in esse leggere. Alla luce delle norme di questo diritto naturale, ogni diritto positivo, qualunque ne sia il legislatore, può essere valutato nel suo contenuto etico e conseguentemente nella legittimità del comando e nella obbligatorietà dell’adempimento. Quelle leggi umane, che sono in contrasto insolubile col diritto naturale, sono affette da vizio originale, non sanabile né con le costrizioni né con lo spiegamento di forza esterna. Secondo questo criterio va giudicato il principio: "diritto è ciò che è utile alla nazione". Certo a questo principio può darsi un senso giusto, se si intende che ciò che è moralmente illecito non può essere mai veramente vantaggioso al popolo. Persino l’antico paganesimo ha riconosciuto che, per essere giusta, questa frase dovrebbe essere capovolta e suonare: "Non vi è mai alcunché di vantaggioso, se in pari tempo non sia moralmente buono; e non perché è vantaggioso è moralmente buono, ma perché moralmente buono è anche vantaggioso"(Cicerone, De officiis, III, 30). Quel principio, staccato dalla legge etica, significherebbe, per quanto riguarda la vita internazionale, un eterno stato di guerra tra le nazioni; nella vita nazionale poi misconosce, confondendo interesse e diritto, il fatto fondamentale che l’uomo, in quanto persona, possiede diritti dati da Dio, che devono essere tutelati da ogni attentato della comunità, che avesse per scopo di negarli, di abolirli e di impedirne l’esercizio. Disprezzando questa verità si perde di vista che il vero bene comune, in ultima analisi, viene determinato e conosciuto mediante la natura dell’uomo con il suo armonioso equilibrio fra diritto personale e legame sociale, come anche dal fine della società determinato dalla stessa natura umana. La società è voluta dal Creatore come mezzo per il pieno sviluppo delle facoltà individuali e sociali di cui l’uomo ha da valersi, ora dando, ora ricevendo per il bene suo e quello degli altri. Anche quei valori più universali e più alti che possono essere realizzati non dall’individuo, ma solo dalla società, hanno per volontà del Creatore come ultimo scopo l’uomo, il suo sviluppo e il suo perfezionamento naturale e soprannaturale. Chi si allontana da questo ordine scuote i pilastri sui quali riposa la società, e ne pone in pericolo la tranquillità, la sicurezza e l’esistenza.
Il credente ha un diritto inalienabile di professare la sua fede e di praticarla in quella forma che ad essa conviene. Quelle leggi che sopprimono o rendono difficile la professione e la pratica di questa fede, sono in contrasto con il diritto naturale.
I genitori coscienziosi e consapevoli della loro missione educativa hanno prima di ogni altro il diritto essenziale all’educazione dei figli, loro donati da Dio, secondo lo spirito della vera Fede e in accordo con i suoi principi e le sue prescrizioni. Leggi, o altre simili disposizioni, le quali non tengano conto nella questione scolastica della volontà dei genitori o la rendano inefficace con le minacce e con la violenza, sono in contraddizione con il diritto naturale e nella loro intima essenza immorali.
La Chiesa, che ha la missione di custodire ed interpretare il diritto naturale, non può fare altro che dichiarare essere effetto di violenza, e quindi prive di ogni valore giuridico, le iscrizioni scolastiche avvenute in un recente passato in un’atmosfera di notoria mancanza di libertà.
IX.
Rappresentanti di Colui che nell’evangelo disse a un giovane: "Se vuoi entrare nella vita eterna, osserva i comandamenti" (Matth. XIX, 17), Noi indirizziamo una parola particolarmente paterna alla gioventù.
Da mille bocche viene oggi ripetuto al vostro orecchio un evangelo che non è stato rivelato dal Padre Celeste, migliaia di penne scrivono a servizio di una larva di cristianesimo, che non è il Cristianesimo di Cristo. Tipografia e radio vi inondano giornalmente con produzioni di contenuto avverso alla Fede e alla Chiesa e, senza alcun riguardo e rispetto, assaltano ciò che per voi deve essere sacro e santo. Sappiamo che moltissimi tra voi, a causa dell’attaccamento alla Fede e alla Chiesa e dell’appartenenza ad associazioni religiose, tutelate dal Concordato, hanno dovuto e devono attraversare periodi tenebrosi di disconoscimento, di molteplici danni nella loro vita professionale e sociale. E ben sappiamo come molti ignoti soldati di Cristo si trovino nelle vostre file, che con cuore affranto, ma a testa alta, sopportano la loro sorte e trovano conforto solo nel pensiero che soffrono contumelie nel nome di Gesù (Act. V, 41).
Ed oggi, che nuovi pericoli e nuove tensioni incombono, Noi diciamo a questa gioventù: "Se alcuno vi volesse annunziare un Evangelo diverso da quello che avete ricevuto sulle ginocchia d’una pia madre, dalle labbra di un padre credente, dall’insegnamento di un educatore fedele a Dio e alla sua Chiesa, costui sia anatema" (Gal. I, 9). Se lo Stato organizza la gioventù in associazione nazionale obbligatoria per tutti, allora, salvi sempre i diritti delle associazioni religiose, i giovani hanno il diritto ovvio e inalienabile, e con essi i genitori responsabili di loro dinanzi a Dio, di esigere che questa associazione sia mondata da ogni tendenza ostile alla Fede cristiana e alla Chiesa: tendenza che sino al recentissimo passato, anzi anche presentemente, stringe i genitori credenti in un insolubile conflitto di coscienza, poiché essi non possono dare allo Stato ciò che viene loro richiesto in nome dello Stato, senza togliere a Dio ciò che appartiene a Dio.
Nessuno pensa di porre alla gioventù tedesca pietre di inciampo, sul cammino che dovrebbe condurre all’attuazione di una vera unità nazionale e fomentare un nobile amore per la libertà e un’incrollabile devozione alla patria. Quello contro cui Noi Ci opponiamo e Ci dobbiamo opporre è il contrasto voluto e sistematicamente inasprito, mediante il quale si separano queste finalità educative da quelle religiose. Perciò Noi diciamo a questa gioventù: cantate i vostri inni di libertà, ma non dimenticate che la vera libertà è la libertà dei figli di Dio. Non permettete che la nobiltà di questa insostituibile libertà scompaia nei ceppi servili del peccato e della concupiscenza. A chi canta l’inno della fedeltà alla patria terrena non è lecito divenire transfuga e traditore con l’infedeltà al suo Dio, alla sua Chiesa e alla sua patria eterna. Vi parlano molto di grandezza eroica, contrapponendola volutamente e falsamente all’umiltà e alla pazienza evangelica: ma perché vi nascondono che si dà anche un eroismo nella lotta morale? e che la conservazione della purezza battesimale rappresenta un’azione eroica, che dovrebbe essere apprezzata meritevolmente nel campo sia religioso, sia naturale? Vi parlano delle fragilità umane nella storia della Chiesa: ma perché vi nascondono le grandi gesta che l’accompagnarono attraverso i secoli, i Santi che essa produsse, il vantaggio che provenne alla cultura occidentale dall’unione vitale tra questa Chiesa e il vostro popolo? Vi parlano molto di esercizi sportivi, i quali, usati secondo una ben intesa misura, danno una gagliardia fisica che è un beneficio per la gioventù. Ma ad essi oggi viene assegnata spesso un’estensione che non tiene conto né della formazione integrale ed armonica del corpo e dello spirito, né della conveniente cura della vita di famiglia, né del comandamento di santificare il giorno del Signore. Con un’indifferenza che confina col disprezzo, si toglie al giorno del Signore il suo carattere sacro e raccolto. Attendiamo fiduciosi dai giovani tedeschi cattolici che essi nel difficile ambiente delle organizzazioni obbligatorie dello Stato rivendichino esplicitamente il loro diritto a santificare cristianamente il giorno del Signore, che la cura di irrobustire il corpo non faccia loro dimenticare la loro anima immortale, che non si lascino sopraffare dal male e cerchino piuttosto di vincere il male con il bene (Rom. XII, 21), che quale loro altissima e nobilissima meta ritengano quella di conquistare la corona della vittoria nello stadio della vita eterna (I Cor. IX, 24 e segg.).
X.
Una parola di particolare riconoscimento, di incoraggiamento, di esortazione rivolgiamo ai sacerdoti della Germania, ai quali, in sottomissione ai loro Vescovi, spetta il campito, in tempi difficili e circostanze dure, di mostrare al gregge di Cristo i retti sentieri con la dottrina e con l’esempio, con la dedizione quotidiana, con la pazienza apostolica. Non vi stancate, figli diletti e partecipi dei divini misteri, di seguire l’eterno Sommo Sacerdote Gesù Cristo nel Suo amore e nel Suo ufficio di buon samaritano. Camminate ognora in condotta immacolata davanti a Dio, in incessante disciplinatezza e perfezionamento, in amore misericordioso verso quanti sono a voi affidati, specialmente i pericolanti, i deboli e i vacillanti. Siate guida ai fedeli, appoggio ai titubanti, maestri ai dubbiosi, consolatori degli afflitti, disinteressati soccorritori e consiglieri per tutti. Le prove e le sofferenze per le quali il vostro popolo è passato nel periodo del dopoguerra, non sono trascorse senza lasciar tracce nella sua anima. Vi hanno lasciato tensioni e amarezze, che solo lentamente potranno guarirsi ed essere superate nello spirito di un amore disinteressato e operante. Questo amore, che è l’armatura indispensabile dell’apostolato, specialmente nel mondo presente, agitato e sconvolto, Noi lo desideriamo e lo imploriamo per voi da Dio in misura copiosa. L’amore apostolico vi farà, se non dimenticare, almeno perdonare molte immeritate amarezze, che sul vostro cammino di sacerdoti e di pastori di anime sono più numerose che in qualsiasi altro tempo. Quest’amore intelligente e misericordioso verso gli erranti e gli stessi oltraggiatori non significa peraltro, né può per nulla significare, rinunzia a proclamare, a far valere e a difendere coraggiosamente la verità e ad applicarla liberamente alla realtà che vi circonda. Il primo e il più ovvio dono d’amore del sacerdote al mondo consiste nel servire la verità, tutta intera la verità, smascherare e confutare l’errore, qualunque sia la sua forma o il suo travestimento. La rinunzia a ciò sarebbe non solo un tradimento verso Dio e la vostra santa vocazione, ma un delitto nei riguardi del vero benessere del vostro popolo e della vostra patria. A tutti coloro che hanno mantenuto verso i loro Vescovi la fedeltà promessa nell’ordinazione, a coloro i quali nell’adempimento del loro ufficio pastorale hanno dovuto e devono sopportare dolori e persecuzioni — e alcuni sino ad essere incarcerati e mandati ai campi di concentramento — vada il ringraziamento e l’encomio del Padre della Cristianità. E il Nostro ringraziamento paterno si estende ugualmente ai religiosi di ambo i sessi: un ringraziamento congiunto ad una partecipazione intima per il fatto, che, in seguito a misure contro gli Ordini e le Congregazioni religiose, molti sono stati strappati dal campo di un’attività benedetta e a loro cara. Se alcuni hanno mancato e si sono mostrati indegni della loro vocazione, i loro falli, condannati anche dalla Chiesa, non diminuiscono i meriti della stragrande maggioranza di essi, che con disinteresse e povertà volontaria si sono sforzati di servire con piena dedizione il loro Dio e il loro popolo. Lo zelo, la fedeltà, lo sforzo di perfezionarsi, l’operosa carità verso il prossimo e la prontezza soccorritrice di quei religiosi, la cui attività si svolge nella cura pastorale, negli ospedali e nella scuola, sono e restano un glorioso contributo al benessere privato e pubblico, a cui un tempo futuro più tranquillo renderà giustizia più che il turbolento presente. Noi abbiamo fiducia che i superiori delle comunità religiose trarranno argomento dalle difficoltà e prove presenti per implorare dall’Onnipotente nuovo rigoglio e nuova fertilità sul loro duro campo di lavoro, per mezzo di uno zelo raddoppiato, di una vita spirituale approfondita, di genuina disciplina regolare.
Davanti ai Nostri occhi sta l’immensa schiera dei Nostri diletti figli e figlie, a cui le sofferenze della Chiesa in Germania e le proprie nulla hanno tolto della loro dedizione alla causa di Dio, nulla del loro tenero affetto verso il Padre della Cristianità, nulla della loro ubbidienza verso Vescovi e sacerdoti, nulla della gioiosa prontezza a rimanere anche in futuro, qualunque cosa avvenga, fedeli a ciò che essi hanno creduto e che hanno ricevuto in prezioso retaggio dagli avi. Con cuore commosso inviamo loro il Nostro paterno saluto.
E in primo luogo ai membri delle associazioni cattoliche, che strenuamente e a prezzo di sacrifici spesso dolorosi si sono mantenuti fedeli a Cristo, e non sono stati mai disposti a cedere quei diritti, che una solenne Convenzione aveva autenticamente garantito alla Chiesa e a loro. Un saluto particolarmente cordiale va anche ai genitori cattolici. I loro diritti e i loro doveri nell’educazione dei figli, da Dio donati, stanno, al momento presente, nel punto cruciale di una lotta, della quale appena si può immaginare altra più grave. La Chiesa di Cristo non può cominciare a gemere e a deplorare, solo quando gli altari vengono spogliati e mani sacrileghe mandano in fiamme santuari. Quando si cerca di profanare il tabernacolo dell’anima del fanciullo, santificata dal battesimo, con un’educazione anticristiana; quando viene strappata da questo vivo tempio di Dio la fiaccola della fede e viene posta in suo luogo la falsa luce di un succedaneo della fede, che non ha più nulla in comune con la fede della Croce, allora la profanazione spirituale del tempio è vicina e ogni credente ha il dovere di scindere chiaramente la sua responsabilità da quella della parte contraria e la sua coscienza da qualsiasi peccaminosa collaborazione a tale nefasta distruzione. E quanto più i nemici si sforzano di negare od orpellare i loro tetri disegni, tanto più necessaria è una diffidenza oculata e una vigilanza diffidente, stimolata da una amara esperienza. La formalistica conservazione di un’istruzione religiosa, per di più controllata e inceppata da gente incompetente, nell’ambito di una scuola la quale in altri rami dell’istruzione lavora sistematicamente e astiosamente contro la stessa Religione, non può mai presentare titolo giustificato al fedele cristiano, perché liberamente acconsenta a una tal sorta di scuola, deleteria per la Religione. Sappiamo, diletti genitori cattolici, che non è il caso di parlare riguardo a voi di un tale consenso e sappiamo che una libera votazione segreta tra voi equivarrebbe ad uno schiacciante plebiscito in favore della scuola confessionale. E perciò non Ci stancheremo neanche nell’avvenire di rinfacciare francamente alle autorità responsabili l’illegalità delle misure violente prese finora e il dovere di permettere la libera manifestazione della volontà. Intanto non vi dimenticate di ciò: nessuna potestà terrena può sciogliervi dal vincolo di responsabilità voluto da Dio, che unisce voi con i vostri figli. Nessuno di coloro che oggi opprimono il vostro diritto all’educazione e pretendono sostituirsi a voi nei vostri doveri di educazione, potrà rispondere per voi al Giudice eterno, quando egli vi rivolgerà la domanda: dove sono coloro che io vi ho dati? Possa ciascuno di voi essere in grado di rispondere: non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dati (Joan. XVIII, 9).
Venerabili Fratelli! Siamo certi che le parole che rivolgiamo a voi, e per mezzo vostro ai Cattolici del Reich germanico in quest’ora decisiva, troveranno nel cuore e nelle azioni dei Nostri fedeli figliuoli un’eco corrispondente alla sollecitudine amorosa del Padre comune. Se vi è cosa che Noi imploriamo dal Signore con particolare fervore, essa è che le Nostre parole pervengano anche all’orecchio e al cuore di coloro che hanno già cominciato a lasciarsi prendere dalle lusinghe e dalle minacce dei nemici di Cristo e del Suo santo Vangelo, e li facciano riflettere.
Abbiamo pesato ogni parola di questa Enciclica sulla bilancia della verità e insieme dell’amore. Non volevamo con silenzio inopportuno essere colpevoli di non aver chiarita la situazione, né con rigore eccessivo di aver indurito il cuore di coloro che, essendo sottoposti alla Nostra responsabilità pastorale, non sono meno oggetto del Nostro amore, perché ora camminano sulle vie dell’errore e si sono allontanati dalla Chiesa. Anche se molti di questi, conformatisi alle abitudini del nuovo ambiente, non hanno se non parole di infedeltà, di ingratitudine, e persino di ingiuria, per la casa paterna abbandonata e per il padre stesso, anche se dimenticano quanto prezioso sia ciò di cui essi hanno fatto getto, verrà il giorno in cui il raccapriccio che sentiranno della lontananza da Dio e della loro indigenza spirituale graverà su questi figli oggi perduti, e il rimpianto nostalgico li ricondurrà a Dio, che allietò la loro giovinezza, e alla Chiesa, la cui mano materna loro insegnò il cammino verso il Padre Celeste. L’affrettare quest’ora è l’oggetto delle nostre incessanti preghiere.
Come altre epoche della Chiesa, anche questa sarà preannunziatrice di nuovi progressi e di purificazione interiore, quando la fortezza nella professione della Fede e la prontezza nell’affrontare i sacrifici parte dei fedeli di Cristo saranno abbastanza grandi da contrapporre alla forza materiale degli oppressori della Chiesa l’adesione incondizionata alla Fede, l’inconcussa speranza, ancorata nell’eterno, la forza travolgente di amore operoso. Il sacro tempo della Quaresima e di Pasqua, che predica raccoglimento e penitenza e fa rivolgere più che mai lo sguardo del cristiano alla Croce, ma insieme anche allo splendore del Risorto, sia per tutti e per ciascuno di voi un’occasione che saluterete con gioia e sfrutterete con ardore, per riempire tutto l’animo dello spirito eroico, paziente e vittorioso che si irradia dalla croce di Cristo. Allora i nemici di Cristo — di ciò siamo sicuri — che vaneggiano sulla scomparsa della Chiesa, riconosceranno che troppo presto hanno giubilato e troppo presto hanno voluto seppellirla. Allora verrà il giorno, in cui invece dei prematuri inni di trionfo dei nemici di Cristo, si eleverà al Cielo dai cuori e dalle labbra dei fedeli il "Te Deum" della liberazione: un "Te Deum" di ringraziamento all’Altissimo, un "Te Deum" di giubilo, perché il popolo tedesco anche nei suoi membri erranti avrà ritrovato il cammino del ritorno alla Religione, con una fede purificata dal dolore, piegherà di nuovo il ginocchio dinanzi al Re del tempo e dell’eternità, Gesù Cristo, e si accingerà, in lotta contro i rinnegatori e i distruttori dell’Occidente cristiano, in armonia con tutti gli uomini ben pensanti delle altre nazioni, a compiere la missione che i piani dell’eterno gli hanno assegnato.
Conclusione.
Egli, che scruta i cuori e i petti (Psal. VII, 10), Ci è testimonio che Noi non abbiamo aspirazione più intima che quella del ristabilimento di una vera pace tra la Chiesa e lo Stato in Germania. Ma se, senza colpa Nostra, la pace non verrà, la Chiesa di Dio difenderà i suoi diritti e le sue libertà, in nome dell’Onnipotente, il cui braccio anche oggi non si è abbreviato. Pieni di fiducia in Lui, "non cessiamo di pregare e di invocare" (Coloss. I, 9) per voi, figli della Chiesa, affinché i giorni della tribolazione vengano accorciati e voi siate trovati fedeli nel dì della prova; e anche ai persecutori e agli oppressori possa il Padre di ogni luce e di ogni misericordia concedere l’ora del ravvedimento per sé e per i molti che insieme con loro hanno errato ed errano.
Con questa implorazione nel cuore e sulle labbra, Noi impartiamo, quale pegno del divino aiuto, quale appoggio nelle vostre decisioni difficili e piene di responsabilità, quale corroboramento nella lotta, quale conforto nel dolore, a voi Vescovi, pastori del vostro fedele popolo, ai sacerdoti, ai religiosi, agli apostoli laici dell’Azione Cattolica e a tutti i vostri diocesani, e non ultimi agli ammalati e ai prigionieri, con amore paterno la Benedizione Apostolica.
Dato in Vaticano, nella Domenica di Passione, 14 Marzo 1937, anno XVI del Nostro Pontificato.
PIO PP. XI.
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