Ieri una pagina del “Corriere della sera” a firma Vittorio Messori (col titolo: “Ecco perché abbiamo davvero due papi”), ci ha fatto una rivelazione clamorosa: Benedetto XVI, rinunciando al suo mandato con certe particolari espressioni, ha lasciato “solo il suo potere di governo e di comando sulla Chiesa”.
Tuttavia mantiene “Il munus, l’ufficio papale” che “non è revocabile”. Ha rinunciato soltanto “alla sua esecuzione concreta”. Ne deriva che la Chiesa avrebbe addirittura “due Papi”, una diarchia.
La rivelazione è davvero clamorosa. Peccato che sia già stata fatta e commentata – a più riprese, con più dovizia di argomenti – tre mesi prima qui sulle colonne di “Libero” (quattro puntate di una mia inchiesta, a partire dal 9 febbraio).
Essendo arrivati in ritardo di tre mesi Messori e il Corriere hanno proposto il tutto come se fosse un loro scoop (prendono a pretesto uno dei saggi di canonisti usciti in questi giorni). Senza riferimenti a tutto quel che è successo fra febbraio e marzo.
GUARDIE SVIZZERE
Infatti quella mia inchiesta sulle dimissioni del papa, a un anno dalla rinuncia, provocò un’enorme bagarre: le “guardie svizzere” di “Vatican Insider-La Stampa” subito insorsero scandalizzate.
Andrea Tornielli, il più zelante, il 14 febbraio, dopo le prime tre puntate della mia inchiesta, la scomunicò con queste testuali e surreali parole:
“(a un anno dalle dimissioni) si sono letti tanti commenti e analisi. In alcuni – vi confesso che a leggerli sono rabbrividito – si adombra quasi l’idea di una diarchia, se non addirittura il fatto che il ‘vero’ Papa rimane Ratzinger. E purtroppo non mi riferisco soltanto alla galassia dei seguaci delle profezie – o delle pseudo-profezie – apocalittiche, ma anche a firme dalle quali nessuno si sarebbe potuto immaginare prese di posizione simili appena un anno fa. Per non parlare di quanti, non sentendosi oggi più così ‘confermati’ in certe loro visioni, battaglie culturali, strategie pastorali, presenzialismi da primi della classe e schemi mentali, invece di un salutare esame di coscienza finiscono per fare i nostalgici e per contrapporre – più o meno subdolamente – il magistero di Benedetto a quello di Francesco”.
Anche stavolta – per l’articolo di Messori – Tornielli rabbrividirà? Nel febbraio scorso, tale fu l’orrore del vaticanista, autoinvestitosi del ruolo di tutore dell’ordine pubblico delle idee, che egli si sentì in dovere perfino di importunare il povero Benedetto XVI – pur sapendo che aveva scelto la clausura – per chiedergli di smentire o confermare le mie tesi.
L’IRONIA DI RATZINGER
Il “papa emerito” ovviamente non poteva sottrarsi a questa petulante richiesta, altrimenti sarebbero state fatte chissà quali insinuazioni. Né poteva dire ciò che fino ad allora aveva taciuto. Così dette una risposta fantastica….
“La Stampa” esibì – come scoop mondiale, rilanciato in tutto il globo – quello strano biglietto di papa Ratzinger dove – a detta del giornale torinese – smentiva le mie argomentazioni. In modo particolare – secondo Tornielli – Ratzinger smentiva di essere “il Papa numero due, non partecipa a una ‘diarchia’ ”.
In realtà Ratzinger in quel biglietto non si occupò affatto di diarchia. Ma soprattutto il suo biglietto conteneva una sola, vera notizia: stava in una risposta enigmatica e raffinatissima del papa emerito che da sola avrebbe dovuto far saltare sulla sedia gli addetti ai lavori.
Dovendo spiegare perché aveva conservato il titolo di “papa emerito”, il nome “Sua Santità Benedetto XVI” e l’abito bianco, Ratzinger scrisse testualmente: “nel momento della rinuncia non c’erano a disposizione altri vestiti”.
Alla “Stampa-Vatican Insider” presero per buona una risposta così surreale. Nemmeno si resero conto della strepitosa ironia del papa che li aveva finemente elusi.
E’ infatti ovvio che una risposta simile significava che il papa non poteva o non voleva parlare né spiegare i motivi di quella scelta.
Ci vuole poco per capirlo, anche perché la rinuncia fu decisa un anno prima e fu annunciata venti giorni prima della sua entrata in vigore, quindi è impossibile che “al momento della rinuncia” non vi fossero disponibili “altri vestiti”.
Del resto nessuno potrebbe credere che uno resti papa per motivi sartoriali…
Infatti due giorni dopo, il 28 febbraio, il fidato don Georg Gaenswein, segretario di Ratzinger, in una intervista all’ “Avvenire”, dette la risposta vera che Benedetto non poteva o non voleva dare di persona. Ecco come don Georg ha spiegato perché egli ha tenuto il titolo di papa emerito: “Ritiene che questo titolo corrisponda alla realtà”.
Chiunque capisce che questa affermazione è di eccezionale importanza: significa che Ratzinger si veste da papa perché “è” papa.
Così Tornielli, che si era fatto pompiere per spegnere l’incendio da me provocato, ha finito involontariamente per appiccarne uno maggiore. Era sempre più evidente che Benedetto XVI non si è dimesso dal ministero petrino, ma solo dal suo “esercizio attivo”.
Se e come questo sia possibile e cosa implichi è questione del tutto irrisolta, anzitutto teologicamente.
Infatti, il 7 aprile scorso, Sandro Magister, il più autorevole e attendibile dei vaticanisti, nel suo famosissimo sito internet, ha rievocato la mia inchiesta e la “risposta” data da “Vatican Insider” dicendo che – a suo giudizio – essa non scioglieva affatto gli interrogativi da me sollevati.
Gli stessi tg avevano dato notizia della controversia e dello straordinario biglietto del papa. Perfino il “Corriere della sera” (sia pure con un articolo superficiale e borioso).
E’ sorprendente che di tutto questo, nella pagina di ieri del quotidiano di via Solferino, non si facesse il minimo accenno.
CONTRADDIZIONI
Ma soprattutto è sorprendente che Messori concludesse il suo articolo con un (apparentemente) ingenuo inno alla bellezza dell’avere due papi “nel recinto di Pietro”, recinto che – spiega entusiasticamente Messori – non è solo luogo geografico, ma anche “luogo” teologico.
Evidentemente Messori non ricorda una sua intervista di un anno fa, proprio ad AndreaTornielli il quale non è mai parso entusiasta del fatto che Ratzinger sia rimasto papa emerito.
In quella intervista Messori – sollecitato dalle domande di Tornielli – si diceva molto perplesso per il fatto che Benedetto avesse deciso di restare in Vaticano.
E lo diceva assai bruscamente: “Ciò che già a suo tempo mi aveva sorpreso è stata la decisione di Benedetto XVI di rimanere ‘nel recinto di San Pietro’… Ricordo sempre questo motto di Casa Savoia: ‘Qui si governa uno alla volta’. L’impressione che si può ricavare dall’esterno è che l’emerito possa in qualche modo influenzare suo malgrado il successore”.
Ieri Messori ha scritto qualcosa che sembra l’esatto opposto: “Per la prima volta dunque la Chiesa avrebbe davvero due Papi, il regnante e l’emerito? Pare proprio che questa sia stata la volontà di Joseph Ratzinger stesso, con quella rinuncia al solo esercizio attivo che è stato ‘un atto solenne del suo magistero’… Se davvero è così, tanto meglio per la Chiesa: è un dono che ci sia, uno accanto all’altro anche fisicamente, chi dirige e insegna e chi prega e soffre, per tutti, ma anzitutto per sorreggere il confratello nell’ufficio pontificale quotidiano”.
Tutto bene dunque, tutti contenti? Esattamente il contrario. Messori infatti – che è un addetto ai lavori – non può ignorare che questa situazione – come lui la tratteggia – non ha alcun fondamento teologico (né canonico).
Per la divina costituzione della Chiesa infatti uno solo può essere il papa. E se – come dice Messori – Benedetto XVI “non ha inteso rinunciare al munus pontificale” che “non è revocabile”, che dimissioni sono le sue?
Messori sa bene che tutto il suo articolo induce a farsi una domanda drammatica (chi è il papa?), ma evita accuratamente di formularla, lasciando che se la ponga il lettore. Perché? E questo articolo è il segnale che negli ambienti della Chiesa se la stanno ponendo in tanti?
Antonio Socci
Da “Libero”, 29 maggio 2014
Commenti
Posta un commento