C'è un adagio nel diritto canonico - usato anche nel diritto civile - che dice che le leggi odiose, cioè che limitano un diritto o una libertà, devono essere interpretate restrittivamente, a favore di coloro che vi sono soggetti. Al contrario, le leggi favorevoli devono essere interpretate in senso ampio.
Questo adagio, che deriva dal diritto romano, è così formulato in latino: "odiosa sunt restringenda, favores sunt amplianda". Esprime sia benevolenza che preoccupazione per l'equità, soprattutto per evitare sentimenti di vendetta. Il diritto canonico lo ha ripreso ed è una fonte importante per interpretare le leggi della Chiesa. Si tratta di un'espressione della sua misericordia, che però non esclude la giustizia.
La grande idea di questo pontificato si colloca proprio sotto il tema della misericordia. Ma il duplice esempio appena dato dal motu proprio Traditionis custodes e soprattutto dall'interpretazione data da mons. Arthur Roche, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, sono tutt'altro che misericordiosi.
Sembra persino considerare la Messa tridentina come "odiosa" in sé, poiché deve essere limitata in qualsiasi modo.
Un esempio caratteristico è dato dalla risposta circa l'autorizzazione a celebrare la messa tridentina per i sacerdoti ordinati dopo la pubblicazione del motu proprio. La risposta ricorda che il vescovo è "moderatore, promotore e custode di tutta la vita liturgica", ma è obbligato – secondo la lettera di Traditionis custodes, all'art. 4 - a consultare la Santa Sede per concedere tale autorizzazione.
Custode e promotore, certo, ma sotto stretta sorveglianza.
L'unità della nuova liturgia
Uno degli elementi centrali, spesso ripetuto, è la preoccupazione per l'unità liturgica. Ma di quale unità liturgica si tratta?
In passato un cattolico poteva recarsi in qualunque parrocchia del suo rito, in tutto il mondo, e seguire facilmente la messa che vi si celebrava. Oggi non è più possibile. Innanzitutto per la lingua: è stato abbandonato il latino che dava una meravigliosa unità.
Poi per le innumerevoli variazioni che si sono sviluppate nel rito. Sia dalla moltiplicazione delle parti lasciate alla scelta del celebrante, sia dalla profusione di nuovi testi, come i canoni di cui a stento si conosce il numero esatto.
Infine, per la “creatività” del celebrante, più o meno incoraggiata con l'obiettivo di facilitare la partecipazione “attiva”. In verità, la liturgia non è mai stata così disparata nei vari luoghi, anche in un dato territorio nazionale.
Un abbandono programmato
Si dice e si ripete quanto già apparso nel motu proprio: i nuovi provvedimenti sono semplici concessioni temporanee che non hanno altro scopo che permettere ai fedeli legati al rito tridentino di passare gradualmente alla nuova liturgia. E nient'altro.
Tutto ciò che potrebbe anche in qualche modo andare in un altro senso è proibito. Quindi, poiché non esiste un Lezionario dei testi del rito tridentino, nelle traduzioni approvate dagli episcopati, è lecito - e anzi necessario come riconosce la risposta - utilizzare direttamente la Bibbia, in una traduzione approvata.
Ma il vescovo non deve consentire la pubblicazione di "Lezionari in volgare che riproducono il ciclo di letture del rito precedente". È difficile essere più meschini.
Un'altra marcata meschinità vieta a un sacerdote che celebra nel novus ordo di binare - durante la settimana - celebrando il rito tridentino. La motivazione addotta merita di essere citata:
"Non è possibile binare perché non esiste “giusta causa” o “necessità pastorale” come richiesto dal can. 905 §2: il diritto dei fedeli a celebrare l'Eucaristia non è loro negato, perché è offerta loro la possibilità di partecipare all'Eucaristia nella sua forma rituale attuale."
I fedeli interessati apprezzeranno l'assenza di “necessità pastorali”.
Quanto a quelli che avevano ancora la speranza che le cose non andassero oltre e che, forse, un'applicazione misericordiosa portasse a una certa pace: possono rinunciarvi.
Una spiegazione odiosa
Una risposta che va oltre lo stesso motu proprio, o quanto meno dà una spiegazione molto restrittiva, secondo un'interpretazione che il diritto canonico caratterizzerebbe come "odiosa" secondo la spiegazione data sopra.
Riferendosi agli articoli 1 e 8 di Traditionis custodes, questa risposta vieta l'uso dell'antico Rituale - cioè vieta di dare gli altri sacramenti che non siano l'Eucaristia - al di fuori delle parrocchie personali erette prima del nuovo motu proprio. Il vescovo può poi concedere loro questa celebrazione degli altri sacramenti.
Ma il precedente Pontificale non potrà essere utilizzato in nessun caso. Questa spiegazione va ancora nella direzione di una restrizione del diritto o della libertà.
Ma a pensarci bene, queste risposte non fanno che sviluppare la legge del motu proprio e ne mostrano l'intenzione profonda. Permettono di togliere ogni dubbio sulla volontà di porre fine alla messa tradizionale a lungo termine. Applicano, con tutto il loro rigore, la condanna a morte pronunciata contro l'uso del rito tridentino.
È questa l'occasione per ricordare un altro adagio del diritto latino: "Summum jus, summa injuria", che si può tradurre "l'eccessiva giustizia diventa ingiustizia". Questa è la lezione lasciataci dal Prefetto della Congregazione per il Culto Divino.
(Fonti: Saint-Siège – FSSPX.Actualités)
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