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DOMENICA SECONDA DOPO L'EPIFANIA "Miracolo alle nozze di Cana".

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Le nozze di Cana

1Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino». 4E Gesù rispose: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora». 5La madre dice ai servi: «Fate quello che vi dirà».

6Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. 7E Gesù disse loro: «Riempite d'acqua le giare»; e le riempirono fino all'orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono. 9E come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un pò brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono».11Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
12Dopo questo fatto, discese a Cafarnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli e si fermarono colà solo pochi giorni.



Con tutte le situazioni tragiche, le morti, i drammi, le urgenze d’Israele, Gesù comincia quasi perdendo tempo a una festa, giocando con dell’acqua e con del vino. Una corte di malati lo assedierà per tutte le strade e Gesù comincia non da loro ma da una festa di nozze. Deve esserci qualcosa di molto importante se ha deciso così. 
È il primo di tutti i segni dice Giovanni, la prima fessura per guardare oltre, un indicatore, un segnale stradale, il primo, che indicano la direzione di Dio.
Quel matrimonio - strano in verità: la sposa non è nominata, lo sposo è del tutto marginale – quella festa racconta le nuove nozze tra Dio e l’umanità. La vecchia Alleanza si trascina stancamente, si va esaurendo, come il vino. Occorre qualcosa di nuovo, una rottura con il passato e un rilancio. Un nuovo volto di Dio.
La rottura, la novità è simboleggiata dal contenuto delle anfore: prima l’acqua per la purificazione, cioè un rapporto con Dio basato su di un concetto penitenziale, sul peccato; poi il vino buono, un rapporto nuziale con Dio, basato sulla grazia, sulla gioia del dono esuberante e immeritato.
“Gesù era lì con i suoi discepoli”. Si fa trovare a tavola, in mezzo a una festa di matrimonio. Dio nelle trame di un pranzo nuziale. Un Dio che è in mezzo a gente che ama, ride, scherza, balla. Un Dio che fa qualcosa di totalmente nuovo: si allea con la gioia degli uomini! E non solo con la gioia spirituale, ma con la gioia umana, fisica, sensibile, con il nudo piacere di vivere.
A lungo abbiamo pensato che Dio non amasse troppo le feste degli uomini e il cristianesimo ha subìto come un battesimo di tristezza. Al punto che un filosofo scrive: “I cristiani hanno dato il nome di Dio a cose che li costringono a soffrire!”. Invece a Cana c’è un Dio salva la festa con seicento litri di vino, che si mostra alleato della gioia umana, che è con noi quando gustiamo i momenti belli: un amore, un’amicizia, la nascita di un figlio, il ritrovarsi; ma anche i piccoli piaceri, un bicchiere di vino buono con gli amici, sentire il corpo sano, incantarsi davanti alla bellezza di un tramonto o di un quadro o di una musica... 
In quei momenti Dio è lì, come a Cana, gode della tua gioia, la approva, la apprezza, ne è coinvolto.
Bonhoeffer: Dobbiamo amare e trovare Dio precisamente nella nostra vita e nel bene che ci dà. Trovarlo e ringraziarlo nella nostra felicità terrena.
A un certo punto della festa viene a mancare il vino, l’abbiamo sperimentato tutti: l’amore è così poco, così a rischio, così raro! Finisce, e si spegne la festa della vita. 
Quante volte finisce la spinta. Quante volte ci viene a mancare un non-so-che, quel non so che di gioia, di passione, di amicizia, di entusiasmo che solo sa dare profumo e sapore alle cose e ai giorni, che fa navigare questa fragile barca di canne che è il nostro cuore! 
Maria se ne accorge per prima. Lei, cuore attento: “Non hanno più vino”, loro, gli sposi, tenerezza per loro due che non hanno meriti da vantare, diritti da reclamare. Hanno solo la loro povertà! Sono povera gente perché ai ricchi non viene certo a mancare il vino. E Dio guarda alla loro povertà, come ha guardato a quella di Maria, come guarda alla nostra.
A noi però sono richieste due condizioni, semplici ed essenziali. 
- Un cuore attento a tutto ciò che si muove nella mia porzione di vita, a ciò che accade nel mio angolo e tutto attorno a me.
- Non dire ma fare il vangelo: “Fate quello che vi dirà.” Sono le ultime parole di Maria, poi non parlerà più. Sono le prime e le ultime rivolte a noi: Fate le sue parole, fate il suo Vangelo, non solo ascoltatelo, ma fatelo, cioè diventate vangelo! E si riempiranno le anfore vuote della vita. Così fanno i servi che riempiono d’acqua le anfore; notate: fino all’orlo le riempiono, senza risparmio, con entusiasmo, completamente, che poi attingono e portano. 
E io, cosa posso portare davanti al Signore? In tutta la mia vita poco; solo acqua, nient’altro che acqua. Eppure la vuole tutta, fino all’orlo.
Ho solo poche cose, un po’ d’amore, ma poco. Un po’ di fede, ma poca. Ma non importa: quel poco è un luogo di miracoli, è fino all’orlo un’occasione di prodigi.
A patto però di non fare come il direttore di sala, un superficiale che prima non si accorge del vino che finisce e poi non si interroga da dove viene quella bontà, quel sapore eccellente che pure lo sorprende. 
Quanta bontà, quante sorprese belle, nella nostra esistenza, da riconoscere, e di cui essere riconoscenti! Ma noi corriamo il rischio di non vederle, di fermarci alla superficie della vita, di non scorgere segni d’altro, di guardare senza intravedere una ulteriorità, una fessura sul mistero, senza interrogarci da dove viene? Questo amore oggi da dove? Questo bene, da dove viene? Fessura aperta sull’infinito è il bene.
Nella Messa si ripete qualcosa di Cana quando versiamo un po’ d’acqua nel vino, un gesto da nulla e un significato strepitoso: la nostra unione con Colui che si è unito a noi, la nostra povertà nella sua ricchezza. Ed ecco che non distingui più l’acqua dal vino, che non puoi più tornare indietro, non li puoi più separare, e sono un’unica cosa, un unico sapore, indissolubili per sempre.
Sono le nozze di Dio con l’umanità, irrevocabili, Dio in me, io in Dio. Sapore di Dio. Sapore buono. Per sempre.
Allora quando le anfore della mia umanità, dura come la pietra e povera come l’acqua, saranno offerte a Lui, colme fino all’orlo di tutto ciò che è umano, sarà Lui a mutare questa povera acqua nel migliore dei vini.
Il Dio in cui credo è il Dio delle nozze di Cana. Il Dio in cui credo è il Dio della festa, del gioioso amore danzante. Il Dio in cui credo è un Dio felice che sta dalla parte del vino migliore, dalla parte del profumo di nardo, un Rabbi che amava i banchetti, venuto a dare gioia ai poveri. Un Dio felice che dona il nudo piacere di esistere, e di credere. 
Non importa quali sono stati gli amori che hanno nutrito la tua esistenza, fecondi o sterili, stabili o lacerati, gloriosi o miseri, o forse entrambe le cose al tempo stesso. Anfore di pietra. Quali che siano stati, un giorno Gesù se ne farà carico, anzi se ne è già fatto carico, se solo tu li hai deposti davanti e a Lui. E li trasformerà in una realtà infinitamente migliore, con grande sorpresa mia e di tutti i commensali: pensavamo di avere gustato il vino migliore all’inizio, di averlo già finito; quello bevuto ieri pensavamo fosse il vino migliore. Invece no! Ancora una volta, un’altra volta, per un’ultima volta Gesù ripeterà il miracolo di Cana trasfigurando ogni nostro amore. 
Avrà conservato il vino migliore per dopo, e per i secoli dei secoli. E’ questa la speranza grande, la fede salda che accende in me il segno di Cana.

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