Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

lunedì 8 gennaio 2018

Quando Dio si rivela


Conferenza tenuta dal rev.do François Knittel, nell’agosto 2009, alla scuola Sainte-Marie de Saint-Père-Marc-en-Poulet, in occasione della 4ª università estiva d’apologetica avente per tema: 
“Veramente quest’uomo era il Figlio di Dio!”
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Dopo aver dimostrato nelle precedenti università estive prima l’esistenza di Dio poi la spiritualità e l’immortalità dell’anima, una domanda si pone spontaneamente alla mente: esiste una relazione tra Dio e gli uomini diversa da quella tra il Creatore e le sue creature? In altre parole, Dio avrebbe parlato agli uomini? Ha un disegno particolare da svelare loro? Si sarebbe rivelato loro?

Per introdurre il tema che occuperà la nostra università estiva, cioè la rivelazione fatta da Gesù Cristo, è necessario definire cosa dobbiamo intendere per rivelazione. Procederemo in quattro tappe: prima preciseremo i rapporti tra l’ordine naturale e l’ordine soprannaturale (1), poi daremo una definizione della rivelazione (2), prima di esaminare se questa rivelazione sia possibile (3), se non necessaria (4)1 .

1. Rapporto tra ordine naturale e soprannaturale Essendo il nostro compito definire i rapporti tra ordine naturale e ordine soprannaturale, procederemo gradualmente spiegando prima ciò che s’intende per soprannaturale (1.1), poi per ordine soprannaturale (1.2), prima di concludere sui due corollari (1.3). 1.1 Che cos’è il soprannaturale? Innanzitutto occorre evitare un equivoco che consisterebbe nel fare del soprannaturale l’equivalente dello spirituale. In un mondo saturo di materialismo, in cui non esiste nulla se non la materia, c’è la forte tentazione di definire come soprannaturale tutto ciò che oltrepassa le forze materiali. Il termine soprannaturale si applicherebbe tale quale all’esercizio dell’intelligenza, alle pratiche vudu, alle possessioni, ecc. Non è difficile vedere come una tale definizione del soprannaturale non corrisponda alla realtà delle cose. In effetti, lo abbiamo visto nel corso dell’ultima università estiva, l’uomo è un composto sostanziale di materia e di spirito, di anima e di corpo. È quella la sua natura. Si può dire che tutto ciò che compete allo spirito nella vita umana, in particolare le operazioni dell’intelligenza e della volontà, non presuppone né l’esistenza né l’esercizio di facoltà soprannaturali, cioè superiori a quelle della natura umana.Dopo aver dissipato questo equivoco, ci è possibile dare una prima definizione, semplicemente nominale, del soprannaturale. È soprannaturale ciò che oltrepassa le leggi della natura, che si tratti di verità soprannaturali (che non possono essere conosciute dalle sole forze dell’intelligenza umana) o di effetti soprannaturali (che non possono essere prodotti dalle sole forze umane). Sulla base di questa definizione nominale, si potrebbe dire che parlare per gli animali sia un’azione soprannaturale: in effetti, non è nella natura degli animali accedere al linguaggio articolato e astratto. Se gli animali scambiano suoni e segnali, si tratta sempre di segni concreti legati alle necessità degli animali di difendersi, nutrirsi e riprodursi. Negli animali non si è mai visto un vertice per parlare della pace nel mondo, del dovere della solidarietà tra le varie specie o del miglioramento delle condizioni di vita! Un discorso articolato e astratto, come lo possiamo osservare tra gli uomini, presso gli animali è assente e sempre lo sarà, perché una simile capacità supera la natura degli animali. Si giunge a una conclusione simile quando si paragona l’intelligenza umana all’intelligenza angelica; se è vero che l’angelo e l’uomo hanno in comune l’intelligenza, bisogna tuttavia riconoscere che il modo di esercitare l’intelligenza presso gli uni e gli altri è totalmente differente: tanto l’uomo possiede un’intelligenza discorsiva, quanto l’angelo gode di un’intelligenza intuitiva; tanto l’uomo acquisisce faticosamente e progressivamente le conoscenze che gli sono necessarie, quanto l’angelo gode fin dalla sua creazione di un patrimonio d’idee che gli sono state infuse dal suo Creatore. Si potrebbe quindi dire che l’esercizio angelico dell’intelligenza è soprannaturale per l’uomo, perché supera la natura discorsiva della sua intelligenza. Esistono dunque delle facoltà o delle azioni che oltrepassano le capacità di alcuni esseri, ma non di tutti: il linguaggio articolato e astratto supera le capacità degli animali, ma non quelle degli uomini; il modo intuitivo dell’intelligenza supera le capacità degli uomini, ma non quella degli angeli. Le spiegazioni e gli esempi che abbiamo appena dato illustrano la definizione del soprannaturale relativo, in cui ciò che è naturale per alcuni esseri è ritenuto soprannaturale per altri. Ma esiste un soprannaturale assoluto che superi le capacità di qualunque essere creato o creabile? Il Magistero della Chiesa lo insegna esplicitamente quando parla delle verità soprannaturali, dette anche misteri soprannaturali. I suoi insegnamenti possono essere riassunti schematicamente così: Spieghiamolo passo dopo passo. (a) Se è possibile dimostrare l’esistenza di Dio grazie alla sola ragione, si può dire altrettanto della Trinità delle persone in Dio, della trasmissione del peccato originale o della presenza reale nella Eucarestia? In altre parole, è necessaria e indispensabile una rivelazione per conoscere quelle verità? Contro i naturalisti che negano l’esistenza di misteri che superano le capacità naturali della conoscenza umana, il Magistero della Chiesa ha risposto affermativamente a questa domanda. In effetti, il concilio Vaticano I condanna nel 3° canone del 2° capitolo della costituzione Dei Filius quelli che affermano “che l’uomo non può essere elevato da Dio a una conoscenza e a una perfezione che superano quelle che gli sono naturali, ma che egli può e deve da se stesso pervenire finalmente al possesso del vero e del bene, con un progresso continuo”2 . Così facendo, il Magistero insegna quindi che per l’uomo è impossibile conoscere l’esistenza di certe verità senza una rivelazione speciale di Dio. Perché? Perché quelle verità oltrepassano le forze dell’intelligenza umana. Ecco dunque il primo senso che occorre dare alla parola “soprannaturale” quando si parla di verità soprannaturali: esse oltrepassano le forze della natura prima della loro rivelazione. (b) Se è impossibile conoscere l’esistenza e la natura di queste verità soprannaturali (per es. Trinità, peccato originale, presenza eucaristica) prima di essere rivelate da Dio, cosa accade dopo la loro rivelazione? In altre parole, si può ritenere che queste verità, una volta rivelate, diventino comprensibili alle sole forze naturali dell’intelligenza umana? Contro i semirazionalisti che lo ritenevano, il Magistero della Chiesa nel capitolo 2 della costituzione Dei Filius del Vaticano I ha definito che “tuttavia [la ragione] non è mai resa capace di penetrarle come le verità che costituiscono il suo oggetto proprio. Perché i misteri divini, per loro natura, superano talmente l’intelligenza creata che, anche trasmessi dalla rivelazione e ricevuti tramite la fede, restano ancora ricoperti dal velo della fede e, come avvolti in una certa oscurità, tanto a lungo come, in questa vita mortale, ‘noi camminiamo lontano dal Signore: perché è nella fede che noi camminiamo e non nella visione’ (2 Cor 5,6 e sgg.)”3 . Questo insegnamento viene ripreso sotto forma di anatema dal 1° canone del capitolo 4 dello stesso documento: “Se qualcuno dice che la rivelazione divina non contiene alcun mistero vero e propriamente detto, ma che tutti i dogmi della fede possono essere compresi e dimostrati dalla ragione, convenientemente coltivata, a partire dai principi naturali, sia anatema”4. Ecco il secondo senso che bisogna dare alla parola “soprannaturale” quando parliamo di verità soprannaturali: esse continuano a oltrepassare le forze della natura (e le capacità naturali dell’intelligenza umana), anche dopo essere state rivelate. Queste verità sono soprannaturali quanto alla loro esistenza e quanto alla loro natura. (c) Se è impossibile conoscere sia l’esistenza sia la natura delle verità soprannaturali senza rivelazione speciale di Dio (aspetto oggettivo), si può almeno aderire loro con le sole forze dell’intelligenza umana (aspetto soggettivo)? Contro i pelagiani5 e i semi-pelagiani6 che erano inclini a questo significato, il Magistero della Chiesa ha definito nel 5° canone del concilio di Cartagine: “Chiunque avrà detto, che la grazia della giustificazione ci viene data per il motivo che quanto ci è comandato di fare mediante il libero arbitrio, per mezzo della grazia lo possiamo adempiere più facilmente, come se, non venendo elargita la grazia, potessimo tuttavia anche senza di essa, pur non con facilità, adempiere i comandamenti divini, sia anatema”7 . Ecco dunque precisato ancora un po’ di più il senso della parola “ soprannaturale” riferita alle verità soprannaturali: non soltanto queste verità sono oggettivamente soprannaturali sia prima (a) che dopo (b) la loro rivelazione, ma presuppongono un particolare aiuto soprannaturale perché la nostra intelligenza possa aderirvi (c). (d) Se le verità soprannaturali oltrepassano le forze della natura sia prima che dopo la rivelazione, sia oggettivamente che soggettivamente, vi si può almeno scorgere un’esigenza della natura? La rivelazione di queste verità soprannaturali corrisponde forse a un’esigenza della natura? L’uomo sarebbe forse frustrato se Dio non gli rivelasse queste verità? I cosiddetti pseudo-naturalisti, che fanno del soprannaturale un’esigenza della natura, sono uno stuolo. Le reazioni del Magistero nei loro confronti sono sempre state negative. Qui basta ricordare le condanne del Magistero: • di Baio, al tempo di san Pio V: “L’elevazione e l’innalzamento della natura umana alla compartecipazione della natura divina fu dovuta all’integrità della condizione primitiva, e per questo deve dirsi naturale e non soprannaturale” (proposizione condannata)8 ; • dei modernisti, al tempo di san Pio X: “[I modernisti sembrano] ammettere nella natura umana non pure una capacità o una convenienza per l’ordine soprannaturale, ciò che gli apologisti cattolici, colle debite restrizioni, dimostraron sempre, ma una stretta e vera esigenza”9 ; • della Nuova Teologia, al tempo di Pio XII: “Altri snaturano il concetto della gratuità dell’ordine sovrannaturale, quando sostengono che Dio non può creare esseri intelligenti senza ordinarli e chiamarli alla visione beatifica”10. Ecco l’ultima precisazione data dal Magistero del senso della parola “soprannaturale”: il soprannaturale oltrepassa non soltanto le forze della natura, ma anche le sue esigenze. Come dire quanto queste verità rivelate siano soprannaturali! Si sarà notata la sorprendente vicinanza tra le opinioni naturaliste o razionaliste (a, b, c) e la posizione pseudo-soprannaturalista (d): tale vicinanza non sorprende quando ci si ricordi di quel principio logico che vuole che due errori contrari abbiano sempre un punto in comune. Qual è qui questo punto in comune? È la confusione tra il naturale e il soprannaturale: il naturalista riporta tutto alla natura, lo pseudo-soprannaturalista fa del soprannaturale un’esigenza della natura. Alla fine di questi rapidi cenni sugli insegnamenti del Magistero, possiamo definire il soprannaturale assoluto come ciò che oltrepassa le forze e le esigenze di qualunque natura creata o creabile. 1.2 Che cos’è l’ordine soprannaturale? Si chiama “ordine” la disposizione gerarchica delle cose in rapporto a un principio: in questo senso si parla dell’Ordine dei medici che organizza la professione medica, o dell’Ordine dei benedettini che regge una certa forma di vita religiosa. La nozione di ordine presuppone un principio d’ordine e la gerarchizzazione dei mezzi in rapporto a questo principio. Nella misura in cui il naturale e il soprannaturale vengono considerati principio di vita, si potrà parlare: • di un ordine naturale, che è la disposizione conveniente dei mezzi naturali in rapporto al fine naturale dell’uomo; • di un ordine soprannaturale, che è la disposizione conveniente di ciò che sorpassa la proporzione della natura creata in rapporto a Dio, che ne è l’autore e il fine. Le relazioni tra ordine naturale e ordine soprannaturale possono essere definiti con tre parole: • distinzione • non separazione • unione La distinzione tra gli ordini naturale e soprannaturale è stata ampiamente illustrata quando abbiamo definito il soprannaturale. Il fatto che questi due ordini non possano essere totalmente estranei l’uno all’altro diviene evidente quando si considerano il soggetto unico (l’uomo) che si inserisce nei due ordini e il termine stesso “soprannaturale”, che presuppone il temine “naturale”. L’unione dei due ordini è evidente nella misura in cui Dio, sia pure considerato sotto due ragioni formali differenti, è il fine di entrambi gli ordini11. 1.3 Due corollari A titolo di corollari e di illustrazioni, ricordiamo che dalle relazioni tra l’ordine naturale e l’ordine soprannaturale possiamo dedurre le relazioni tra la ragione e la fede e quelle tra lo Stato e la Chiesa. Le relazioni tra la ragione e la fede sono perfettamente descritte nella costituzione Dei Filius del Vaticano I: “L’ininterrotto pensiero della Chiesa cattolica sostenne e sostiene che esiste un duplice ordine di cognizioni, distinto non solo quanto al principio, ma anche riguardo all’oggetto: • quanto al principio, perché in uno conosciamo con la ragione naturale, nell’altro con la fede divina; • quanto all’oggetto perché, oltre le cose a cui la ragione naturale potrebbe arrivare, ci viene proposto di credere misteri nascosti in Dio: misteri che non possono essere conosciuti senza la rivelazione divina. “Per questo l’Apostolo, il quale asserisce che Dio è conosciuto dalle genti ‘attraverso le cose che sono state create’ (Rm 1,20), trattando poi della grazia e della verità che ci sono venute da Gesù Cristo (Gv 1,17), afferma: ‘Noi parliamo di una sapienza di Dio, misteriosa, che è nascosta: di una sapienza che Dio ha ordinato prima dei secoli per la nostra gloria, e che nessuno dei principi di questa terra ha conosciuto. A noi è stata rivelata da Dio per mezzo del Suo Spirito: quello Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le cose profonde di Dio’ (1 Cor 2,7-9). Lo stesso Figlio Unigenito ringrazia il Padre di aver tenuto nascoste queste cose ai sapienti e di averle rivelate ai pargoli (Mt 11,25)”12. Le relazioni tra lo Stato e la Chiesa sono stati enunciati chiaramente nell’enciclica Immortale Dei di Leone XIII: “Dunque Dio volle ripartito tra due poteri il governo del genere umano, cioè il potere ecclesiastico e quello civile, l’uno preposto alle cose divine, l’altro alle umane. Entrambi sono sovrani nella propria sfera; entrambi hanno limiti definiti alla propria azione, fissati dalla natura e dal fine immediato di ciascuno”13 

Definizione della Rivelazione Dopo aver stabilito cosa bisogna intendere per soprannaturale, passiamo a considerare la rivelazione. Il termine latino revelatio, proprio come il suo equivalente greco apocalypsis, ci orienta già verso una prima definizione: “rivelare” è togliere il velo, scoprire, manifestare, portare alla luce ciò che era nascosto, sconosciuto, oscuro. La Sacra Scrittura allude frequentemente a una siffatta rivelazione. Cristo ne parla quando si felicita con san Pietro per la sua confessione di fede: “Felice te, Simone, figlio di Giovanni, perché non sono la carne e il sangue che te l’hanno rivelato, ma è il Padre mio che è nei cieli!” (Mt 16,16); san Paolo vi fa riferimento nella sua corrispondenza con i Corinzi: “È a noi che Dio ha rivelato (queste cose che ha preparato per coloro che lo amano) per mezzo del suo Spirito; lo spirito, infatti, penetra tutto, anche le profondità di Dio” (1 Cor 2,10). Questo disvelamento di ciò che è oscuro o nascosto si può intendere in due sensi: • una rivelazione naturale, per la quale Dio manifesta le sue perfezioni attraverso la creazione: “Ciò che si può conoscere di Dio è loro manifesto: Dio lo ha manifestato loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, la sua eterna potenza e la sua divinità sono, dalla la creazione in poi, rese visibili per mezzo delle sue opere” (Rm 1,19); • una rivelazione soprannaturale, attraverso la quale Dio scopre all’uomo i misteri soprannaturali nascosti da sempre in Lui: “Noi predichiamo una sapienza di Dio misteriosa e nascosta, che Dio, prima di tutti i secoli, aveva predestinato per la nostra glorificazione. Questa saggezza nessuno dei principi di questo secolo l’ ha conosciuta (…). È a noi che Dio ha rivelato (queste cose che ha preparato per coloro che lo amano) per mezzo del suo Spirito” (1 Cor 2,7-8 e 10). Avendo già esaminato questa rivelazione naturale durante le ultime università estive, oggi concentreremo la nostra attenzione sulla rivelazione soprannaturale, vale a dire sul disvelamento da parte di Dio delle verità inaccessibili all’intelligenza umana. Il fatto che Dio sveli agli uomini verità soprannaturali (nel senso più alto del termine) suppone una comunicazione indirizzata agli uomini da parte di Dio in forma di insegnamento. La Sacra Scrittura brulica di testi che illustrano questa libera iniziativa di Dio per comunicare agli uomini verità che sorpassano le forze e le esigenze della loro natura. Nell’Antico Testamento, il profeta Isaia ci informa di questa comunicazione che riceve dal Signore: “Il Signore mi ha dato la lingua dei discepoli, perché io sappia fortificare mediante la mia parola colui che è stato abbattuto. Egli sveglia ogni mattina il mio orecchio perché io ascolti come un discepolo” (Is 50,4). L’iniziativa presa da Dio di comunicare verità soprannaturali agli uomini non si limita all’Antico Testamento; gli evangelisti non fanno che dare atto di questo fatto quando parlano della vita del Cristo: “Avendo Gesù finito di parlare, il popolo restava ammirato della sua dottrina. Infatti Egli insegnava loro come qualcuno che ha autorità, e non come i loro scribi” (Mt 7,28). Cristo non è un semplice ripetitore, come erano gli scribi: Egli insegna con autorità una dottrina che suscita l’ammirazione delle folle. Egli stesso ne è cosciente al punto di affermare: “Voi mi chiamate il maestro e il Signore; e dite bene, poiché io lo sono” (Gv 8,13). San Paolo stesso constatava questo fatto all’inizio delle sua epistola agli Ebrei: “Anticamente Dio ha parlato ai nostri padri molte volte e in molti modi attraverso i profeti; in questi giorni, gli ultimi, ci ha parlato attraverso Suo Figlio” (Eb 1,1). Fondandosi su queste testimonianze e altre ancora, il concilio Vaticano I insegna riguardo a Dio che “piacque alla Sua bontà e alla Sua sapienza rivelare se stesso e i decreti della Sua volontà al genere umano attraverso un’altra via, la soprannaturale...”14. Ci si potrebbe legittimamente chiedere come Dio che è spirito possa parlare all’uomo. Non si tratterebbe qui di un antropomorfismo, che attribuisce a Dio ciò che è proprio dell’uomo? Se Dio non è né materia né corpo, come si può dire che parli? Trattando della collera di Dio, san Tommaso d’Aquino dice che “si parla di furore e di concupiscenza nei demoni in modo metaforico, allo stesso modo in cui si attribuisce la collera a Dio, a causa della similitudine degli effetti”15. E altrove: “Quando si attribuisce la collera a Dio, non è sotto forma di una passione, ma come una determinazione della sua giustizia, in quanto Egli vuole che il peccato sia punito”16. È in virtù della stessa analogia che si può parlare della parola di Dio rivolta agli uomini: come la parola umana è segno del pensiero umano, così la parola di Dio manifesta agli uomini i misteri nascosti in Dio attraverso l’intermediazione di uomini scelti e ispirati. Questa parola di Dio non è un vano balbettio, ma la comunicazione di una verità soprannaturale: Dio non fa che parlare, mediante questa parola intende insegnare a noi. Ora, “si può dire di un uomo che è veramente dottore, che insegna la verità e illumina lo spirito, non nel senso che egli comunicherebbe la luce alla ragione, ma nel senso che aiuta mediante il suo insegnamento esterno la luce della ragione a giungere alla scienza perfetta”17. Ogni insegnamento presuppone dunque, secondo san Tommaso d’Aquino, due elementi: 1) la presentazione di una verità; 2) una luce proporzionata per coglierla. Ne segue che l’insegnamento dei misteri soprannaturali presuppone: 1) oggettivamente: una proposizione soprannaturale della verità da credere; 2) soggettivamente: una luce soprannaturale proporzionata. Non insisteremo più su questi due elementi, necessari a ogni insegnamento di una verità soprannaturale, poiché li abbiamo già illustrati ampiamente nella prima parte di questo lavoro (punti b e c dell’insegnamento del Magistero). 3. Possibilità della Rivelazione Dopo aver definito il termine di rivelazione, conviene ora esaminare se una tale rivelazione è possibile. Questo esame verterà sui diversi elementi che una rivelazione di Dio agli uomini presuppone, per vedere se uno di essi nasconde una qualche impossibilità o contraddizione. Le tappe di questo esame ci vengono date dalla definizione stessa di rivelazione, che è una comunicazione di verità soprannaturali (3.1) da Dio (3.2) agli uomini (3.3). 3.1 Dalla parte dell’oggetto (esistenza di un ordine di verità soprannaturali) Grazie alla sua intelligenza, l’uomo può conoscere naturalmente, oltre all’esistenza di Dio, due specie di perfezioni divine: • quelle che sono comuni a Dio e alle creature (essere, intelligenza, amore) e che l’intelligenza umana conosce per analogia; • quelle che sono proprie di Dio e che l’intelligenza umana conosce per via di negazione (Dio è l’essere in-finito, im-mutabile, in-temporale, ecc.) o di eminenza (Dio è l’essere supremo, primo, perfetto, ecc.). La conoscenza di Dio che l’uomo può acquistare attraverso la sua ragione naturale è sempre legata al modo umano di conoscenza, che va dall’imperfetto al perfetto, dal sensibile all’intelligibile, dal creato all’Increato. La ragione naturale, invece, non ha alcun mezzo per conoscere positivamente Dio nella sua divinità a partire dalle creature. Esiste dunque sicuramente un ordine di verità su Dio che oltrepassa le capacità naturali dell’intelligenza umana. Dato che Dio è atto puro, la natura divina è infinitamente più immateriale di quella umana e dunque della conoscenza umana.È perciò assolutamente concepibile che tali verità esistano e che esse possano essere l’oggetto di una rivelazione di Dio agli uomini. 3.2 Dalla parte dell’agente (Dio) Che un ordine di verità soprannaturali, che sorpassano le possibilità naturali dell’intelligenza umana, esista non significa automaticamente che Dio le voglia rivelare. Ma perché Dio non potrebbe liberamente far conoscere la sua vita intima alle sue creature? 3.3 Dalla parte del beneficiario (l’uomo) Nell’esame della possibilità della rivelazione le maggiori difficoltà potrebbero venire dall’uomo. Che esista un ordine di verità soprannaturali che l’uomo non saprebbe conoscere mediante la sua intelligenza naturale, che Dio possa liberamente decidere di farle conoscere agli uomini, tutto ciò non significa che l’uomo sia idoneo a ricevere una tale comunicazione che oltrepassa le forze e le esigenze della sua natura. In altri termini, esiste da parte dell’uomo una controindicazione assoluta al suo essere beneficiario di una rivelazione di verità soprannaturali da parte di Dio? Una tale controindicazione potrebbe provenire nell’uomo dall’incapacità radicale del suo spirito: 1) a illustrare analogicamente e propriamente i misteri soprannaturali; 2) a ricevere una luce soprannaturale per aderirvi; 3) a conoscere verità che non siano tratte dal sensibile per mezzo dell’astrazione. Ora, bisogna constatare che: 1) l’uso dei concetti umani di processione, di filiazione, di spirazione (processione dello Spirito Santo), di relazione, di natura, di sostanza e di accidenti per definire propriamente e analogicamente le verità soprannaturali corrispondono alle capacità dell’intelligenza umana e non implicano alcuna imperfezione in Dio; 2) l’infusione nell’uomo di una luce soprannaturale per permettergli di aderire ai misteri soprannaturali non è contraddittoria con la natura umana18; 3) l’intelligenza umana ha per oggetto, in quanto umana, l’essere intelligibile tratto dal sensibile, e in quanto intelligenza, tutto l’essere; ha anche il desiderio di conoscere non soltanto l’esistenza della causa suprema, ma anche la sua natura19. Poiché non si dà alcuna delle tre controindicazioni, bisogna concluderne che la rivelazione di verità soprannaturali non comporta alcuna impossibilità dalla parte dell’uomo20. Bisogna infine che Dio si decida a una tale rivelazione! 4. Necessità della Rivelazione L’ultima questione che ci resta da trattare è quella della necessità della rivelazione. Non si tratta per noi di dimostrare che esiste in Dio una qualche necessità che lo costringa a rivelarci i misteri soprannaturali. La sovrana libertà di Dio non ci permette affatto di porre una qualunque necessità alla creazione, all’Incarnazione, alla Redenzione… o alla rivelazione.In realtà, partendo dal fatto che la rivelazione di Dio all’uomo abbraccia tanto verità naturali (esistenza di Dio, spiritualità dell’anima, legge naturale riassunta nel decalogo) quanto verità soprannaturali (Trinità, Incarnazione, Redenzione, peccato originale, sacramenti, ecc.), noi ci interroghiamo sulla necessità di una tale rivelazione. Che necessità vi è di rivelare le verità naturali? E quelle soprannaturali? Cominciamo col ricordare qualche insegnamento del Magistero (4.1), prima di ricercarne la comprensione (4.2). 4.1 Insegnamento del Magistero Il papa Pio IX in una lettera all’arcivescovo di Monaco insegna che la rivelazione di verità soprannaturali è assolutamente necessaria: “Trasmettendo la dottrina della Chiesa, i santi Padri hanno sempre prestato attenzione a distinguere ciò che nelle cose divine è alla portata di qualunque intelligenza naturale dalla conoscenza di queste cose ricevuta dallo Spirito Santo; hanno sempre insegnato che ci si trova i misteri a noi rivelati dal Cristo, che sorpassano non solamente la filosofia umana, ma anche l’intelligenza naturale degli angeli i quali, anche conosciuti tramite la divina rivelazione, devono esser creduti di fede e dimorano coperti e circondati dal velo oscuro della fede, finché camminiamo in questa vita mortale verso il Signore”21. In altri termini, senza rivelazione di Dio è impossibile all’uomo conoscere le verità soprannaturali. La loro rivelazione, pertanto, è assolutamente necessaria. Qualche anno più tardi, il concilio Vaticano I, nella sua costituzione Dei Filius consacrata alla rivelazione, alla fede e ai rapporti tra fede e ragione, distingue nella rivelazione due specie di necessità, a seconda che essa concerna le verità naturali o le verità soprannaturali. Quanto alle verità naturali, la loro rivelazione è moralmente necessaria, date le condizioni presenti dell’umanità. “È proprio grazie a questa rivelazione che tutti gli uomini possono, nella condizione attuale del genere umano, conoscere facilmente, con ferma certezza e senza alcuna commistione d’errore (san Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, I, q. 1, a. 122) ciò che, nelle cose divine, non è in sé inaccessibile alla ragione”. Quanto alle verità soprannaturali, la loro rivelazione è assolutamente necessaria: “Non è tuttavia per questa ragione che la rivelazione deve essere detta assolutamente necessaria, ma perché Dio, nella sua infinita bontà ha ordinato l’uomo a un fine soprannaturale, affinché egli partecipi ai beni divini che oltrepassano assolutamente ciò che può cogliere lo spirito umano. Poiché ‘l’occhio non ha mai visto, l’occhio non ha mai ascoltato, né il cuore dell’uomo concepito ciò che Dio ha preparato per quelli che lo amano’ (1 Cor 2,9)”23. Infine papa Pio XII nella sua enciclica Humani generis torna su questo punto insistendo in particolare sulla rivelazione moralmente delle verità naturali: “Benché la ragione umana, assolutamente parlando, con le sue forze e con la sua luce naturale possa effettivamente arrivare alla conoscenza, vera e certa, di Dio unico e personale, che con la sua Provvidenza sostiene e governa il mondo, e anche alla conoscenza della legge naturale impressa dal Creatore nelle nostre anime, tuttavia non pochi sono gli ostacoli che impediscono alla nostra ragione di servirsi con efficacia e con frutto di questo suo naturale potere. Le verità che riguardano Dio e le relazioni tra gli uomini e Dio trascendono del tutto l’ordine delle cose sensibili; quando poi si fanno entrare nella pratica della vita e la informano, allora richiedono sacrificio e abnegazione. Nel raggiungere tali verità, l’intelletto umano incontra ostacoli della fantasia, sia per le cattive passioni provenienti dal peccato originale. Avviene che gli uomini in queste cose volentieri si persuadono che sia falso, o almeno dubbio, ciò che essi non vogliono che sia vero. “Per questi motivi si deve dire che la Rivelazione divina è moralmente necessaria affinché quelle verità che in materia religiosa e morale non sono per sé irraggiungibili, si possano da tutti conoscere con facilità, con ferma certezza e senza alcun errore”24. Per finire, cerchiamo di comprendere le ragioni profonde di questo insegnamento sfumato del Magistero sulla necessità della rivelazione. 4.2 Perché la rivelazione delle verità naturali è moralmente necessaria? Che la rivelazione delle verità soprannaturali sia assolutamente necessaria, risulta da ciò che abbiamo spiegato più sopra circa il soprannaturale che oltrepassa le forze e le esigenze di tutta la natura creata. Ma le verità naturali che sono oggetto di rivelazione (per es. esistenza di Dio, spiritualità e immortalità dell’anima, legge naturale riassunta nel decalogo) non sono fuori della portata dell’intelligenza naturale: si tratta di verità che l’uomo potrebbe conoscere senza aver bisogno di una rivelazione particolare. Perché, allora, una tale rivelazione è moralmente necessaria? Il concilio Vaticano I parla di “condizione attuale del genere umano”; san Tommaso d’Aquino insegna che una “conoscenza razionale di Dio è stata alla portata soltanto di un piccolo numero, ha richiesto molto tempo e si è mischiata con molti errori”; Pio XII rincara la dose dicendo che “lo spirito umano, per acquistare verità verosimili, soffre difficoltà da parte dei sensi e dell’immaginazione, come pure dei cattivi desideri nati dal peccato originale”. Ecco la ragione profonda di questa rivelazione moralmente necessaria delle verità naturali: il peccato originale. In effetti, il peccato originale non soltanto ha fatto perdere all’uomo i doni soprannaturali (grazia santificante e virtù soprannaturali) e preternaturali (integrità, immortalità, impassibilità), ma ha anche ferito la sua natura. È sufficiente leggere l’epistola di san Paolo ai Romani per illustrare due delle ferite inflitte all’uomo dal peccato originale: • la ferita dell’ignoranza: “Essi sono dunque inescusabili, poiché, avendo conosciuto Dio, non l’hanno glorificato come Dio e non gli hanno reso grazie; ma sono diventati vani nei loro pensieri, e il loro cuore senza intelligenza si è ottenebrato. Si vantano di essere sapienti, ma sono divenuti folli; e hanno cambiato la maestà del Dio incorruttibile con immagini rappresentanti l’uomo corruttibile, uccelli, quadrupedi e rettili” (Rm 1,21-23); • la ferita della malizia: “Io non so quello che faccio: non faccio quello che voglio, ma faccio quello che detesto. (…) Non faccio, infatti, il bene che voglio. Io acconsento alla legge di Dio, secondo l’uomo interiore; ma vedo nelle mie membra un’altra legge che lotta contro la legge della mia ragione, e che mi rende prigioniero della legge del peccato che è nelle mie membra. Sciagurato che sono! Chi mi libererà da questo corpo destinato alla morte?” (Rm 7,15-19). In realtà, secondo san Tommaso d’Aquino, le ferite conseguenti al peccato originale sono in numero di quattro. Le enumera semplicemente nel suo Commentario all’epistola ai Galati: “La legge antica è stata data per quattro motivi corrispondenti alle quattro conseguenze del peccato enumerate da Beda il Venerabile, cioè a causa della malizia, della debolezza, della concupiscenza e dell’ignoranza”25. Le sviluppa un po’ più diffusamente nella sua Somma Teologica: “Tutte le facoltà dell’anima permangono in qualche modo destituite del loro rispettivo ordine che le porta naturalmente alla virtù. E questa stessa destituzione si può considerare una ferita inflitta alla natura. Ma nell’anima ci sono quattro potenze che possono essere la sede delle virtù, cioè: la ragione dove risiede la prudenza, la volontà dove risiede la giustizia, l’irascibile dove si situa la forza, il concupiscibile dove si trova la temperanza. Di conseguenza: • in quanto la ragione è frustrata nel suo adattamento al vero, si ha la ferita d’ignoranza; • in quanto la volontà è frustrata nel suo adattamento al bene, si ha la ferita di malizia; • in quanto l’irascibile è frustrato nel suo adattamento a ciò che è arduo, si ha una ferita di debolezza; • in quanto il concupiscibile è frustrato nel suo adattamento ai piaceri moderati dalla ragione, si ha una ferita di concupiscenza”26. Da questo insegnamento generale sull’uomo ferito dal peccato originale, il Dottore Angelico trae due conseguenze che ci interessano qui particolarmente: 1) è difficile per l’uomo conoscere le verità dell’ordine naturale: “Anche relativamente a ciò che la ragione è capace di cogliere riguardo a Dio bisognava istruire l’uomo mediante rivelazione; infatti una conoscenza razionale di Dio non è stata alla portata che di pochi, ha richiesto molto tempo e si è mischiata con molti errori. Nondimeno dalla sua verità dipende interamente la salvezza dell’uomo, giacché questa salvezza risiede in Dio. Come dunque non era necessario, se si voleva procurare questa salvezza con ampiezza e certezza, istruirci sulle cose divine attraverso una rivelazione divina!”27; 2) è difficile per l’uomo praticare la legge naturale: “Nello stato di natura ferita, l’uomo non può osservare l’insieme dei precetti divini senza la grazia che guarisce”28. Data questa condizione attuale dell’umanità, sottomessa al peccato originale, ferita dall’ignoranza e dalla malizia, sofferente per le difficoltà da parte sia dei sensi e dell’immagina zione che dei cattivi desideri, dove la conoscenza delle verità naturali ha richiesto tanto tempo e si è mischiata con tanti errori, si comprende meglio che la rivelazione delle verità naturali fosse moralmente necessaria. Ci sia permesso a mo’ di conclusione fare una similitudine per far cogliere bene la differenza tra necessità assoluta e necessità morale applicata alla rivelazione delle verità naturali e soprannaturali. Giorgia è segretaria a Parigi presso un’impresa import-export con la Cina. Mentre ha una conoscenza perfetta del francese, è però del tutto inadatta all’apprendimento del cinese. Per redigere la sua posta si serve del suo computer. A seconda che scriva un testo in francese o in cinese, Giorgia deve ricorrere a due funzioni distinte del suo computer. Quando scrive in francese utilizza solo la funzione “correzione ortografica”. In effetti, dato che padroneggia perfettamente la lingua di Molière, Giorgia in linea di principio dovrebbe evitare tutti gli errori di battitura, di ortografia e di grammatica; ma, cosciente della fragilità umana, Giorgia preferisce premunirsi contro ogni errore ricorrendo all’opzione “correzione ortografica”, la cui utilizzazione le è moralmente necessaria per scrivere senza errori in francese. Quando scrive in cinese, Giorgia deve assolutamente ricorrere ai servizi di traduzione simultanea in cinese integrati nel suo computer. Non c’è altra soluzione per lei, se vuol fare il suo lavoro di segretaria. Non conoscendo il cinese, ed essendo incapace di assimilarne le migliaia di ideogrammi, deve dunque utilizzare assolutamente i servizi di traduzione in cinese per poter redigere la sua posta in cinese. rev.do François Knittel

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