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Vescovi americani in subbuglio


Il problema americano di Francesco, come era facilmente intuibile(era sufficiente leggere il discorso ai vescovi pronunciato nella cattedrale di Washington) non s’è risolto con il viaggio dello scorso settembre negli Stati Uniti. Mentre al Sinodo romano si duella in punta di fioretto a colpi di teologia sull’annosa questione della riammissione alla comunione dei divorziati risposati – per farsene un’idea basta considerare la mole di interventi sul tema di cui ha dato conto padre Federico Lombardi – oltreoceano c’è chi va avanti per conto suo. L’arcivescovo di Newark, mons. John J. Myers, ha infatti spedito a tutti i sacerdoti della propria diocesi nel New Jersey un documento di due pagine in cui ribadisce che è severamente vietato loro far accostare al sacramento dell’eucaristia quanti si trovano in unioni irregolari (la fattispecie classica è quella dei divorziati e risposati) e contrarie all’insegnamento cattolico. Non solo, perché la comunione non va data neppure a chi sostiene candidati abortisti o che difendono i diritti degli omosessuali, compresa la rivendicazione di poter convolare a nozze. Un’istruzione che ufficialmente è stata inoltrata in vista dell’imminente tornata elettorale, ma che è capitata nel cuore del confronto sinodale, alimentando il dibattito già aspro anche negli Stati Uniti. Mons. Myers si è anche raccomandato che le istituzioni cattoliche poste sotto la sua giurisdizione non ospitino “persone od organizzazioni contrarie agli insegnamenti della chiesa”. Il documento, intitolato “Princìpi d’aiuto nel preservare e proteggere la fede cattolica in mezzo a una cultura sempre più secolare”, datato 22 settembre, è stato spedito solo questa settimana, ha scritto il Religion News Service.


Ma anche a Roma sono gli americani (assieme a polacchi e africani) a far sentire con maggiore forza la propria voce, senza cedere al forbito quanto spesso fumoso linguaggio diplomatico-ecclesiastico. E’ il caso, ad esempio, di quanto scritto sul Wall Street Journal dall’arcivescovo di Philadelphia, mons. Charles J. Chaput, che ha fatto gli onori di casa per l’Incontro mondiale delle famiglie, lo scorso settembre. “Come supremo pastore della chiesa cattolica – ha sottolineato Chaput parlando di Francesco – egli può ascoltare il consiglio (dei padri, ndr), ignorarlo o fare qualcosa tra queste due strade. Ma sarebbe raro che un vescovo di Roma non tenesse in considerazione il consenso dei suoi fratelli”, visto che è così che “i sinodi hanno un valore collegiale”. Chaput è anche il relatore del circolo minore (Anglicus D, moderato dal cardinale canadese Thomas Collins) che più duramente si è espresso contro l’Instrumentum laboris, il testo che fa da guida ai lavori nell’Aula nuova, arrivando a mettere nero su bianco che “l’Instrumentum laboris non offre alcuna definizione di matrimonio” e che questa è “una grave mancanza che provoca ambiguità in tutto il testo”.

Che il cuore del dibattito sia rappresentato dalla questione dei divorziati risposati lo dimostra anche quanto detto dal cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, che in assemblea plenaria ha ribadito che “si dovrebbe prendere in seria considerazione la possibilità – relativamente al singolo caso e non in modo generalizzato – di consentire ai divorziati e risposati l’accesso al sacramento della penitenza e della santa comunione”. Il vescovo di Orano, Jean-Paul Vesco, ha invitato i padri a prendere atto che “non si riuscirà mai a evitare che alcuni matrimoni falliscano”. Così, ha aggiunto, “dobbiamo guardare in faccia questa realtà”. Dal fronte opposto è arrivata però la netta presa di posizione del prefetto della congregazione per i vescovi, il cardinale Marc Ouellet. Solitamente misurato nei toni e poco propenso a interventi pubblici, il porporato canadese ha detto a Radio Vaticana che “la posizione di Familiaris Consortio è la dottrina tradizionale della chiesa, confermata da san Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI”. “Se il vincolo coniugale e sacramentale indissolubile c’è– ha aggiunto – lì non possiamo, senza cambiare la dottrina, proporre un accesso ai sacramenti, perché questo è un punto dottrinale”.

Fonte: Il Foglio

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