(di Cristina Siccardi) L’ultima opera pubblicata del teologo Padre Serafino Lanzetta F.I. è un vero e propriochef-d’œuvre, un capolavoro che arricchisce, con tasselli nuovi e argomentazioni convincenti, gli approfondimenti che da diversi anni vanno sviluppandosi, con sempre maggiore intensità e determinazione speculativa, su quell’evento che ha prodotto un vero e proprio sisma nella Chiesa, riconosciuto tale anche da coloro che ne tessono le lodi per le novità introdotte: il Concilio Vaticano II.
Ma quelle novità furono soltanto pastorali oppure anche dottrinali? La Fede è ancora quella dei nostri padri, annunciata da Cristo, da San Pietro, da San Paolo, tramandata di Dottore in Dottore della Chiesa, di Concilio in Concilio… oppure è cambiata? Ecco che il laborioso impegno del raffinato teologo Padre Lanzetta viene in soccorso in questi tempi tanto confusi quanto sovvertitori. «Lo studio di P. Lanzetta fornisce un approccio di grande respiro, attento alle fonti storiche e alle varie proposte d’interpretazione negli ultimi decenni. (…) è una trattazione brillante del tema scelto.
L’autore conosce bene la discussione temporanea e le fonti del Vaticano II. La tesi porta un contributo originale nuovo sia dal punto di vista storico (…) sia dal lato della riflessione sistematica. L’autore non si accontenta di presentare le varie posizioni (ciò avviene in maniera precisa), ma fa anche delle proposte chiarificatrici che possono illuminare il dibattito attuale. Vengono toccati dei temi centrali (la discussione sulle fonti della Rivelazione, l’ecclesiologia, la mariologia, l’ermeneutica delle affermazioni magisteriali…). Tutti i vari aspetti sono finalizzati a capire meglio il significato e la portata della dottrina conciliare», così scrive il Professor Don Manfred Hauke dell’Università di Lugano nella sua presentazione del volume Il Vaticano II. Un Concilio pastorale. Ermeneutica delle dottrine conciliari, edito in questi giorni da Cantagalli (pp. 490, € 25.00).
Il libro nasce come tesi di abilitazione alla libera docenza, conseguita da Padre Lanzetta alla Facoltà Teologica di Lugano, in Svizzera, presso la quale l’autore diede inizio al suo poderoso lavoro di ricerca nel maggio 2011, sotto la direzione dello stesso Hauke. Fra la documentazione emersa negli archivi si trova un importante intervento di Paolo VI sulla Dei Verbum, così come dalla consultazione all’Archivio Segreto Vaticano Lanzetta ha trovato un prezioso carteggio con il Cardinale Ottaviani dove emerge la preoccupazione di Papa Montini per l’imminente approvazione del De Divina Revelatione, manifestando l’esplicito desiderio di sottolineare il ruolo della Tradizione costitutiva della Fede (p. 245).
Lo stesso Paolo VI, l’8 dicembre 1966, ad un anno dalla chiusura del Vaticano II, in un discorso che ricorda quello che pronuncerà alla Curia romana, 39 anni più tardi, Benedetto XVI (22 dicembre 2005) condannò chi presentava il Vaticano II come «una rottura con la tradizione dottrinale e disciplinare che lo precede, quasi ch’esso sia tale novità da doversi paragonare ad una sconvolgente scoperta, ad una soggettiva emancipazione, che autorizzi il distacco, quasi una pseudo-liberazione, da quanto fino a ieri la Chiesa ha con autorità insegnato e professato, e perciò consenta di proporre al dogma cattolico nuove e arbitrarie interpretazioni, spesso mutuate fuori dell’ortodossia irrinunciabile, e di offrire al costume cattolico nuove ed intemperanti espressioni, spesso mutuate dallo spirito del mondo; ciò non sarebbe conforme alla definizione storica e allo spirito autentico del Concilio, quale lo presagì Papa Giovanni XXIII. Il Concilio tanto vale quanto continua la vita della Chiesa; esso non la interrompe, non la deforma, non la inventa; ma la conferma, la sviluppa, la perfeziona, la “aggiorna”».
Il problema, dunque, era emerso fin da allora: il dubbio serpeggiava ovunque, si era interrotto qualcosa nella trasmissione della Fede? L’auspicio di Paolo VI sopra esposto non poteva avverarsi poiché le ambiguità interne ai documenti conciliari e le linee pastorali degli “aggiornamenti”, che per forza di cose hanno influito sulla dottrina stessa, portando la prassi del mondo (cultura e mentalità) dentro la prassi ecclesiale e catechetica, non potevano essere soffocate e continuano a reclamare risposte. Lo stesso processo metodologico con cui si è tenuto il Concilio, fin dal suo esordio, provoca non soltanto perplessità, ma critiche storiche e teologiche facilmente identificabili se si conoscono i fatti, quelli che, grazie a studiosi come Lanzetta, oggi possono essere di pubblico dominio.
Con scrupolo metodologico ed epistemologico viene illustrato il rapporto Scrittura-Tradizione nella Dei Verbum: l’autore parte dal primo schema De fontibus per approdare alla promulgazione della Costituzione sulla Divina Rivelazione. Nessun passaggio viene omesso: si parte dalla preparazione del Concilio, passando attraverso il grande esame teologico delle Commissioni e delle Sottocommissioni, per arrivare allo svolgimento dei lavori conciliari fino alle decisioni definitive, che in molte occasioni contrastano con i lavori preparatori.
I cattolici che continuano a vivere secondo la Tradizione della Chiesa e la Fede dei loro padri non si riconoscono più in quegli «aggiornamenti» che hanno di fatto mutato il volto della Chiesa. «Cosa veramente voleva dire il Vaticano II? Cosa ha rappresentato? Uno “spirito del Concilio”, molto spesso confuso con lo spirito del mondo, prese il sopravvento, e i testi magisteriali furono semplicemente tralasciati per fare spazio ad una “primavera” costruita a tavolino da alcuni esperti della pastorale. Si agitava la questione del Concilio come “un tutto” per la fede, come nuova stagione per la Chiesa, come via di non ritorno, dal lato opposto, lo si presentava come un incidente di percorso, un errore di valutazione. Per molti una partenza. Per altri un arresto. Cos’è l’ultimo Concilio per la Chiesa? La domanda divide la Chiesa forse come non mai prima» (p. 26).
Padre Lanzetta, in definitiva, ha interrogato il Concilio, volendo scoprire soprattutto la sua mens, una mens che poi determinò le scelte e le decisioni e dai risultati raccolti emerge che non sempre è chiaramente distinto il campo pastorale da quello dottrinale «per il semplice fatto che non si dà né una definizione dell’uno né dell’altro, ma spesso, i due lemmi impiegati nella loro accezione tradizionale, servono ora a confermare la sana teologia, ora a lasciare ancora il dato dottrinale alla teologia, ora a provocare uno sviluppo che necessariamente coinvolge la fede e la sua dottrina» (p. 32).
Ciò che accadde in San Pietro fra il 1962 e il 1965 viene sempre più, teologicamente e storicamente, reso noto, perché la Chiesa appartiene a Cristo, che è la Verità e la Verità appartiene a Dio. Nella Lettera agli Ebrei San Paolo dichiara: «Non v’è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto» (Eb 4, 13). (Cristina Siccardi)
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