Carissimi amici e lettori,
in questo Anno giubilare dedicato alla speranza spicca una ricorrenza molto significativa: sono infatti trascorsi 1700 anni dalla celebrazione del primo Concilio ecumenico, quello di Nicea, tenutosi nell'estate del 325. Questo anniversario ci invita a rendere grazie a Dio per questo evento fondatore che ha segnato profondamente la vita e la fede della Chiesa ancora nascente.
di Don Thibaud Favre
Carissimi, il Concilio di Nicea affrontò diverse questioni disciplinari, come il ruolo dei patriarchi in Oriente o la fissazione della data della Pasqua, ma il suo contributo essenziale fu di natura dottrinale. Mise fine all'eresia di Ario e proclamò solennemente la verità centrale della nostra fede, quella che cantiamo ogni domenica nel Credo: il Figlio è "della stessa sostanza del Padre". Affermando con lucida chiarezza la divinità di Nostro Signore Gesù Cristo, Nicea non solo ha
protetto la fede, ma ha anche consolidato le fondamenta della teologia della Chiesa ancora agli albori. Questo primo grande atto di unità dottrinale rimane un punto di riferimento fondamentale nella storia della cristianità.
Poiché gli ariani distorcevano il significato delle Scritture per adattarle alla loro dottrina, il Concilio volle usare un termine inequivocabile, che gli eretici rifiutarono con vigore: consustanziale (homoousios in greco). Questa parola afferma che il Figlio è della stessa sostanza del Padre. Certo, il termine sostanza non aveva ancora la precisione filosofica che avrebbe acquisito in seguito, ma l'intenzione dei Padri conciliari è molto chiara: il Figlio possiede la stessa sostanza del Padre. Come un uomo genera un uomo, così ciò che è generato da Dio è Dio. Il Figlio è quindi Dio in senso proprio, uguale al Padre, condividendo con Lui la pienezza della divinità. Il Padre e il Figlio sono distinti nelle loro persone, ma uno solo nella sostanza divina.
Del Concilio di Nicea ci restano solo atti incompleti. Quello che sappiamo proviene dalle testimonianze contemporanee – in particolare quelle di Eusebio di Cesarea e di Sant'Atanasio –nonché dagli scritti che riportano la condanna di Ario. Possediamo soprattutto il simbolo della fede, che oggi chiamiamo Credo niceno-costantinopolitano, in cui si esprime il cuore della dottrina definita a Nicea. Redatto nel 325 e completato a Costantinopoli nel 381, questo simbolo viene cantato ogni domenica e nelle grandi festività come solenne proclamazione della fede cattolica:
"Crediamo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create."
Queste parole di ammirevole precisione riassumono il cuore della fede cristiana: Gesù Cristo è veramente Dio, uguale al Padre per natura e non solo per dignità. Con questa affermazione, la Chiesa ha chiuso per sempre la porta alle ambiguità di Ario e ha consolidato, per i secoli a venire, la fede nella divinità del Salvatore.
Tra i grandi concili della storia della Chiesa, quello di Nicea brilla di una luce particolare. Ma ciò che colpisce soprattutto è la figura di sant'Atanasio, il giovane vescovo di Alessandria che, quasi solo contro molti, osò difendere la fede cattolica in tutta la sua purezza, mentre i compromessi e le pressioni politiche sembravano trionfare. Egli non cercava né la pace facile né l'approvazione dei potenti, ma la verità di Cristo. Messo in minoranza e poi condannato dal potere civile, preferì l'esilio al tradimento della fede. Il suo esempio ci ricorda che la verità non dipende dal numero di coloro che la professano, ma da Colui che ne è la fonte.
Ancora oggi, il coraggio di Atanasio rimane un richiamo. Difendere la fede non è mai facile, ma sempre necessario. In un mondo in cui la verità è negoziabile e la fedeltà disturba, il suo esempio ci insegna che la verità non si piega ai venti delle mode: va contemplata, vissuta e difesa, a volte a costo di tutto.
Il Concilio di Nicea rimane, sotto molti aspetti, un modello per la Chiesa. Uno dei primi a risolvere con tanta chiarezza le grandi questioni dottrinali, esso illustra ciò che è sempre stato fonte della sua fecondità: l'esposizione chiara della verità e la condanna esplicita dell'errore. Così ha sempre agito la Chiesa: prima la luce della dottrina, poi lo slancio dello zelo apostolico e pastorale.
La cura delle anime non si oppone mai alla chiarezza della fede, ma ne deriva. La luce precede il calore, come la verità precede la carità.
Al contrario, la storia recente dimostra quanto un concilio che si vuole esclusivamente "pastorale" rischi di indebolire tale chiarezza. Paolo VI, nella sua lettera del 29 giugno 1975 a Mons. Marcel Lefebvre, scriveva: "Come potrebbe oggi qualcuno paragonarsi a Sant'Atanasio osando combattere un concilio come il Concilio Vaticano II, che non ha meno autorità e che, sotto certi
aspetti, è persino più importante di quello di Nicea?".
Affermazione sorprendente! Perché il Concilio Vaticano II, per sua stessa ammissione, non ha voluto definire alcun dogma, ma solo parlare all'uomo del suo tempo. Questa scelta rivela quello che potremmo definire il suo errore di partenza: aver voluto insegnare senza condannare, parlare senza decidere, illuminare senza giudicare. Ma la Chiesa non è mai cresciuta nella confusione, bensì nella chiarezza. È la luce della verità, non l'ambiguità del linguaggio, che attira e converte le anime.
La forza di Nicea, e quella di sant'Atanasio, fu di aver preferito la verità alla popolarità, la fedeltà alla pace dei compromessi.
Cari fedeli della Svizzera, e di quanti leggono queste righe nel mondo intero, questa luce che il Concilio di Nicea ha donato alla Chiesa, dobbiamo
lasciarla risplendere anche in noi. La chiarezza dottrinale non è riservata ai concili o ai teologi: deve vivere in ogni anima cristiana. Abbiamo il dovere di formarci, di approfondire, di studiare, di conoscere meglio i tesori della nostra fede. Questa formazione intellettuale deve essere accompagnata da un'uguale fermezza nella difesa contro l'errore. L'una non può stare senza l'altra: è amando la verità che si impara a respingere ciò che la distorce.
A questa chiarezza della fede deve unirsi lo zelo apostolico, il desiderio di convertire le anime e di condurle a Dio. La verità senza carità inaridisce, ma la carità senza verità si smarrisce. Insieme, esse formano l'equilibrio soprannaturale del cristiano fedele.
In questo mese di novembre, rivolgiamo le nostre preghiere alle anime del purgatorio, e in particolare a quelle che hanno combattuto la buona battaglia della fede. Che esse ottengano per noi di mantenere, in questo tempo di confusione, lo stesso ardore nel difendere la verità, la stessa chiarezza nella fede e lo stesso amore per Dio.
in questo Anno giubilare dedicato alla speranza spicca una ricorrenza molto significativa: sono infatti trascorsi 1700 anni dalla celebrazione del primo Concilio ecumenico, quello di Nicea, tenutosi nell'estate del 325. Questo anniversario ci invita a rendere grazie a Dio per questo evento fondatore che ha segnato profondamente la vita e la fede della Chiesa ancora nascente.
di Don Thibaud Favre
Carissimi, il Concilio di Nicea affrontò diverse questioni disciplinari, come il ruolo dei patriarchi in Oriente o la fissazione della data della Pasqua, ma il suo contributo essenziale fu di natura dottrinale. Mise fine all'eresia di Ario e proclamò solennemente la verità centrale della nostra fede, quella che cantiamo ogni domenica nel Credo: il Figlio è "della stessa sostanza del Padre". Affermando con lucida chiarezza la divinità di Nostro Signore Gesù Cristo, Nicea non solo ha
protetto la fede, ma ha anche consolidato le fondamenta della teologia della Chiesa ancora agli albori. Questo primo grande atto di unità dottrinale rimane un punto di riferimento fondamentale nella storia della cristianità.
Poiché gli ariani distorcevano il significato delle Scritture per adattarle alla loro dottrina, il Concilio volle usare un termine inequivocabile, che gli eretici rifiutarono con vigore: consustanziale (homoousios in greco). Questa parola afferma che il Figlio è della stessa sostanza del Padre. Certo, il termine sostanza non aveva ancora la precisione filosofica che avrebbe acquisito in seguito, ma l'intenzione dei Padri conciliari è molto chiara: il Figlio possiede la stessa sostanza del Padre. Come un uomo genera un uomo, così ciò che è generato da Dio è Dio. Il Figlio è quindi Dio in senso proprio, uguale al Padre, condividendo con Lui la pienezza della divinità. Il Padre e il Figlio sono distinti nelle loro persone, ma uno solo nella sostanza divina.
Del Concilio di Nicea ci restano solo atti incompleti. Quello che sappiamo proviene dalle testimonianze contemporanee – in particolare quelle di Eusebio di Cesarea e di Sant'Atanasio –nonché dagli scritti che riportano la condanna di Ario. Possediamo soprattutto il simbolo della fede, che oggi chiamiamo Credo niceno-costantinopolitano, in cui si esprime il cuore della dottrina definita a Nicea. Redatto nel 325 e completato a Costantinopoli nel 381, questo simbolo viene cantato ogni domenica e nelle grandi festività come solenne proclamazione della fede cattolica:
"Crediamo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create."
Queste parole di ammirevole precisione riassumono il cuore della fede cristiana: Gesù Cristo è veramente Dio, uguale al Padre per natura e non solo per dignità. Con questa affermazione, la Chiesa ha chiuso per sempre la porta alle ambiguità di Ario e ha consolidato, per i secoli a venire, la fede nella divinità del Salvatore.
Tra i grandi concili della storia della Chiesa, quello di Nicea brilla di una luce particolare. Ma ciò che colpisce soprattutto è la figura di sant'Atanasio, il giovane vescovo di Alessandria che, quasi solo contro molti, osò difendere la fede cattolica in tutta la sua purezza, mentre i compromessi e le pressioni politiche sembravano trionfare. Egli non cercava né la pace facile né l'approvazione dei potenti, ma la verità di Cristo. Messo in minoranza e poi condannato dal potere civile, preferì l'esilio al tradimento della fede. Il suo esempio ci ricorda che la verità non dipende dal numero di coloro che la professano, ma da Colui che ne è la fonte.
Ancora oggi, il coraggio di Atanasio rimane un richiamo. Difendere la fede non è mai facile, ma sempre necessario. In un mondo in cui la verità è negoziabile e la fedeltà disturba, il suo esempio ci insegna che la verità non si piega ai venti delle mode: va contemplata, vissuta e difesa, a volte a costo di tutto.
Il Concilio di Nicea rimane, sotto molti aspetti, un modello per la Chiesa. Uno dei primi a risolvere con tanta chiarezza le grandi questioni dottrinali, esso illustra ciò che è sempre stato fonte della sua fecondità: l'esposizione chiara della verità e la condanna esplicita dell'errore. Così ha sempre agito la Chiesa: prima la luce della dottrina, poi lo slancio dello zelo apostolico e pastorale.
La cura delle anime non si oppone mai alla chiarezza della fede, ma ne deriva. La luce precede il calore, come la verità precede la carità.
Al contrario, la storia recente dimostra quanto un concilio che si vuole esclusivamente "pastorale" rischi di indebolire tale chiarezza. Paolo VI, nella sua lettera del 29 giugno 1975 a Mons. Marcel Lefebvre, scriveva: "Come potrebbe oggi qualcuno paragonarsi a Sant'Atanasio osando combattere un concilio come il Concilio Vaticano II, che non ha meno autorità e che, sotto certi
aspetti, è persino più importante di quello di Nicea?".
Affermazione sorprendente! Perché il Concilio Vaticano II, per sua stessa ammissione, non ha voluto definire alcun dogma, ma solo parlare all'uomo del suo tempo. Questa scelta rivela quello che potremmo definire il suo errore di partenza: aver voluto insegnare senza condannare, parlare senza decidere, illuminare senza giudicare. Ma la Chiesa non è mai cresciuta nella confusione, bensì nella chiarezza. È la luce della verità, non l'ambiguità del linguaggio, che attira e converte le anime.
La forza di Nicea, e quella di sant'Atanasio, fu di aver preferito la verità alla popolarità, la fedeltà alla pace dei compromessi.
Cari fedeli della Svizzera, e di quanti leggono queste righe nel mondo intero, questa luce che il Concilio di Nicea ha donato alla Chiesa, dobbiamo
lasciarla risplendere anche in noi. La chiarezza dottrinale non è riservata ai concili o ai teologi: deve vivere in ogni anima cristiana. Abbiamo il dovere di formarci, di approfondire, di studiare, di conoscere meglio i tesori della nostra fede. Questa formazione intellettuale deve essere accompagnata da un'uguale fermezza nella difesa contro l'errore. L'una non può stare senza l'altra: è amando la verità che si impara a respingere ciò che la distorce.
A questa chiarezza della fede deve unirsi lo zelo apostolico, il desiderio di convertire le anime e di condurle a Dio. La verità senza carità inaridisce, ma la carità senza verità si smarrisce. Insieme, esse formano l'equilibrio soprannaturale del cristiano fedele.
In questo mese di novembre, rivolgiamo le nostre preghiere alle anime del purgatorio, e in particolare a quelle che hanno combattuto la buona battaglia della fede. Che esse ottengano per noi di mantenere, in questo tempo di confusione, lo stesso ardore nel difendere la verità, la stessa chiarezza nella fede e lo stesso amore per Dio.
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