Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

sabato 22 aprile 2017

In Molise le campane suonano a morto in protesta contro la legge

"A freddo puoi chiedere anche di rinunciare alle terapie, ma quando ci si trova faccia a faccia con la morte, credetemi, prevale l'istinto di sopravvivenza. Ma se hai firmato per morire, a quel punto come puoi tornare indietro?".

C'è più senso comune che teologia o bioetica nelle parole di don Mario Fangio, parroco di Carovilli (Campobasso), che giovedì sera, un attimo dopo che la Camera dei deputati ha approvato la legge sul biotestamento, è corso in sacrestia e ha fatto suonare a morto le campane della sua chiesa. E come lui, più o meno all'unisono, hanno fatto i parroci di Duronia, Pietrabbondante, Salcito e Castropignano, altri paesi sparsi nel molisano.

La protesta di don Mario

Don Mario Fangio, parroco di Carovilli, è stato il primo a schierarsi contro la nuova legge, prima ancora che del voto alla Camera. «Se vedi una persona , salita sul parapetto di un ponte che vuole gettarsi nel fiume sottostante cosa fai, gli dai una spinta per rendergli meno difficile la cosa oppure cerchi di convincerlo a rinunciare a quell’atto drammatico e definitivo?» ha detto in occasione di una conferenza dell’associazione Provita alcuni giorni fa. Il dissenso è sfociato poi nella decisione di suonare le campane a morto della chiesa di Carovilli qualora la legge fosse stata approvata. Analoga protesta era stata adottata sempre da don Fangio e sempre a Carovilli quando venne approvata la legge sulle unioni civili. «Sono morti il matrimonio e la famiglia» era stata la frase che campeggiava sui manifesti fatti affiggere sui muri del paese quando il parlamento approvò la legge Cirinnà.

«Davanti alla morte c’è l’istinto di sopravvivenza»

«Suonando le campane ho voluto avvertire la popolazione che l’Italia sta approvando leggi contro la vita. Quando passò quella sulle unioni civili avvertii che presto avremmo avuto anche quella sull’eutanasia e l’utero in affitto. La prima è arrivata in tempi rapidi, di cui non hanno beneficiato altri provvedimenti più urgenti» racconta don Mario Fangio raggiunto al telefono. 
Che cosa non le piace del testo uscito da Montecitorio? 
«Prima di tutto il concetto che la vita sia un bene nella disponibilità del singolo: non è così, certe scelte non spettano a ognuno di noi. E poi il fatto che idratazione e alimentazione siano equiparate a terapie mediche: tutti sanno che acqua e cibo non sono terapie».
 Nella sua attività di sacerdote le sarà capitato di dover dare conforto a malati terminali, che magari vorrebbero porre fine alle loro sofferenze: cosa ha detto loro in quelle circostanze? 
«Con chi crede, ho cercato di dare loro il conforto della fede. E questo funziona sempre. Ma anche a chi non crede ho dovuto fare coraggio; perché , vedete, a freddo possiamo anche dire che rifiutiamo le cure ma poi, quando vediamo la morte in faccia, prevale l’istinto di sopravvivenza».

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