La legge sul biotestamento, approvata ieri alla Camera, apre "derive pericolose" lontane dal testo della Costituzione che garantisce la salute come "un diritto". E' il giudizio espresso, in un'intervista alla 'Repubblica', dal presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Angelo Bagnasco. "E' un testo nel quale non possiamo riconoscerci, pur rilevando l'impegno con cui alcuni hanno cercato di migliorarne singoli aspetti", spiega, un testo "adatto a un soggetto che si interpreta a prescindere dalle relazioni, considerandosi padrone assoluto di una vita che non si è dato. Inoltre, spezza il legame tra medico e paziente".
Quanto all'introduzione del divieto all'accanimento terapeutico e del riconoscimento del diritto del paziente di abbandonare le terapie, il presidente dei vescovi italiani ricorda che "la Chiesa non ha mai sostenuto l'accanimento, considerandolo una situazione precisa da escludere; l'attenzione alla persona, però, ci porta con altrettanta forza a contestare l'abbandono terapeutico. Il malato chiede di essere accompagnato in ogni momento sia sotto il profilo delle terapie che delle relazioni: questa prossimità fa la differenza".
"L'obiezione di coscienza - osserva ancora Bagnasco - è un punto qualificante, decisivo, che come tale non è preoccupazione semplicemente della Chiesa, ma di ogni società democratica, che sia realmente rispettosa dell'insindacabilità delle scelte della persona. Naturalmente, anche quando questa libertà fosse garantita, non cambierebbe il nostro giudizio sull'impostazione della legge". Sul punto che impedisce alle cliniche private, in particolare a quelle cattoliche, convenzionate con il sistema sanitario nazionale, di essere esonerate dall'applicazione delle norme, il presidente Cei giudica "il mancato riconoscimento della peculiarità di tali strutture una grave lacuna" e chiede "che questa carenza possa essere colmata, nel rispetto della natura di strutture sorte con una precisa missione di cura della vita in ogni suo momento".
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