Pio XI
lettera enciclica «Charitate Christi compulsi»
3 maggio 1932
Sulle preghiere ed espiazioni da offrire al Sacratissimo Cuore di Gesù nella presente stretta dell'umanità.
La carità di Cristo Ci spinse ad invitare, con l'Enciclica "Nova impendet" del 2 ottobre dell'anno scorso, tutti i figli della Chiesa Cattolica, anzi tutti gli uomini di cuore, a stringersi in una santa crociata di amore e di soccorso, onde alleviare alquanto le terribili conseguenze della crisi economica in cui si dibatte il genere umano. E veramente con mirabile e concorde slancio risposero al nostro appello la generosità ed operosità di tutti. Ma il disagio è andato crescendo, il numero dei disoccupati in quasi tutte le regioni è salito, e di ciò profittano i partiti sovversivi per la loro propaganda; onde l'ordine pubblico è sempre più minacciato e il pericolo del terrore o dell'anarchia incombe sempre più gravemente sulla società. In tale stato di cose la stessa carità di Cristo Ci stimola a rivolgerCi di nuovo a voi, Venerabili Fratelli, ai vostri fedeli, a tutto il mondo per esortare tutti ad unirsi ed opporsi con tutte le forze ai mali che opprimono l'intera umanità e a quelli ancora peggiori che la minacciano.
Se riandiamo con la mente la lunga e dolorosa serie di mali che, triste retaggio del peccato, hanno segnato all'uomo decaduto le tappe del pellegrinaggio terreno, dal diluvio in poi difficilmente c'incontriamo in un disagio spirituale e materiale così profondo, così universale, come quello che ora attraversiamo: anche i più grandi flagelli, che pure lasciarono tracce indelebili nella vita e nella memoria dei popoli, si abbattevano ora sopra una nazione, ora sopra l'altra. Ora invece l'umanità intera è così tenacemente stretta dalla crisi finanziaria ed economica, che quanto più si dimena, tanto più insolubili ne sembrano i lacci; non vi è popolo, non vi è Stato, non società o famiglia, che in un modo o in un altro, direttamente o indirettamente, più o meno, non ne senta il contraccolpo. Coloro stessi, assai pochi di numero, che sembrano avere nelle loro mani insieme con le ricchezze più ingenti le sorti del mondo; quegli stessi pochissimi uomini, che con le loro speculazioni sono stati e sono in gran parte la causa di tanto male, ne sono essi stessi ben sovente le prime e più clamorose vittime, trascinando seco nell'abisso le fortune di innumerevoli altri; verificandosi in modo terribile e per tutto il mondo quello che lo Spirito Santo aveva già proclamato per i singoli peccatori: "Per quelle cose per le quali uno pecca, per le medesime è tormentato" (Sap. XI, 17).
Lagrimevole condizione di cose, Venerabili Fratelli, che fa gemere il Nostro cuore paterno e Ci fa sentire sempre più intimamente il bisogno di imitare secondo la Nostra pochezza il sublime sentimento del Cuore SS. di Gesù: "Ho compassione di questo popolo" (Marc. VIII, 2). Ma ancor più lagrimevole è la radice da cui pullula questa condizione di cose: poiché, se è sempre vero quello che afferma lo Spirito Santo per bocca di San Paolo: "Radice di tutti i mali è la cupidigia" (I Tim. VI, 10), molto più ciò vale nel caso presente.
E non è forse quella cupidigia dei beni terreni, che il Poeta pagano chiamava già con giusto sdegno "l'esecranda fame dell'oro" (Virgilio, Eneide, 111, 57); non è forse quel sordido egoismo, che troppo spesso presiede alle mutue relazioni individuali e sociali; non è insomma la cupidigia, qualunque ne sia la specie e la forma, quella che ha trascinato il mondo all'estremo che tutti vediamo e tutti deploriamo? Dalla cupidigia, infatti, proviene la mutua diffidenza che inaridisce ogni commercio umano; dalla cupidigia, l'esosa invidia che fa considerare come proprio danno ogni vantaggio altrui; dalla cupidigia, il gretto individualismo che tutto ordina e subordina al proprio vantaggio senza badare agli altri, anzi conculcando crudelmente ogni diritto altrui. Di qui il disordine e lo squilibrio ingiusto, per cui si vedono le ricchezze delle nazioni accumulate nelle mani di pochissimi privati che regolano a loro capriccio il mercato mondiale, con danno immenso delle masse, come abbiamo esposto l'anno scorso nella Nostra Lettera Enciclica "Quadragesimo anno".
Se questo stesso egoismo - abusando del legittimo amor di patria e spingendo all'esagerazione quel sentimento di giusto nazionalismo, che il retto ordine della carità cristiana non solo non disapprova, ma regolando santifica e vivifica - si insinua nelle relazioni tra popolo e popolo, non vi è eccesso che non sembri giustificato; e ciò che tra individui sarebbe da tutti giudicato riprovevole, viene considerato ormai come lecito e degno d'encomio se si compie in nome di tale esagerato nazionalismo. Invece della grande legge dell'amore e della fraternità umana, che tutte le genti e tutti i popoli abbraccia e stringe in una sola famiglia con un solo Padre che sta nei Cieli, subentra l'odio che spinge tutti alla rovina. Nella vita pubblica si calpestano i sacri principi che erano la guida di ogni convivere sociale, vengono manomessi solidi fondamenti del diritto e della fedeltà su cui lo Stato dovrebbe basarsi, sono violate e chiuse le sorgenti di quelle antiche tradizioni che nella fede di Dio e nella fedeltà della Sua legge vedevano le basi più sicure del vero progresso dei popoli.
Approfittando di tanto disagio economico e di tanto disordine morale i nemici di ogni ordine sociale - si chiamino essi comunisti, o altro ne sia il nome - ed è questo il male più tremendo dei nostri tempi, audacemente si adoperano a rompere ogni freno, a spezzare ogni vincolo di legge divina o umana, ad ingaggiare apertamente e in segreto la lotta più accanita contro la Religione, contro Dio stesso, svolgendo il diabolico programma di schiantare dal cuore di tutti, perfino dei bambini, ogni sentimento religioso, poiché sanno molto bene che, tolta dal cuore dell'umanità la fede in Dio, essi potranno fare tutto quello che vorranno. E così vediamo oggi ciò che mai si vide nella storia, spiegate cioè al vento senza ritegno le sataniche bandiere della guerra contro Dio e contro la Religione in mezzo a tutti i popoli e in tutte le parti della terra.
Non mancarono mai gli empi, non mancarono mai neppure i negatori di Dio; ma erano relativamente pochi, singoli e singolari e non osavano o non credevano opportuno di svelare troppo apertamente il loro empio pensiero, come pare voglia insinuare lo stesso ispirato Cantore dei Salmi quando esclama: "Disse lo stolto in cuor suo: Dio non c'è " (Psal. LIII, 1). L'empio, l'ateo, uno fra la moltitudine, nega Dio, suo Creatore, ma nel segreto del suo cuore. Oggi invece l'ateismo ha già pervaso larghe masse di popolo; con le sue organizzazioni si insinua anche nelle scuole popolari, si manifesta nei teatri, e per diffondersi si vale di proprie pellicole cinematografiche, del grammofono, della radio; con tipografie proprie stampa opuscoli in tutte le lingue; promuove speciali esposizioni, pubblici cortei; ha costituito propri partiti politici, proprie formazioni economiche e militari. Questo ateismo organizzato e militante lavora instancabilmente per mezzo dei suoi agitatori con conferenze e illustrazioni, con tutti i mezzi di propaganda occulta e manifesta in tutte le classi, in tutte le strade, in ogni sala, dando a questa nefasta operosità l'appoggio morale delle proprie Università e stringendo gli incauti tra i vincoli potenti della sua forza organizzatrice. Al vedere tanta operosità posta al servizio di una causa cosi iniqua, Ci viene davvero spontaneo alla mente e al labbro il mesto lamento di Cristo: "I figli di questo secolo sono nel loro genere più avveduti dei figli della Luce" (Luc. XVI, 8).
I duci poi di questa campagna di ateismo, traendo partito dalla crisi economica attuale, con dialettica infernale cercano la causa di questa universale miseria. La Santa Croce del Signore, simbolo di umiltà e povertà, viene posta insieme con i simboli del moderno imperialismo, come se la Religione fosse alleata con quelle forze tenebrose che producono tanti mali in mezzo agli uomini. così tentano, e non senza effetto, di congiungere la guerra contro Dio con la lotta per il pane quotidiano, con la brama di possedere un terreno proprio, di avere salari convenienti, abitazioni decorose, una condizione di vita insomma che convenga all'uomo. I più legittimi e necessari desideri come gli istinti più brutali, tutto serve al loro programma antireligioso; come se l'ordine divino stesse in contraddizione col bene dell'umanità e non ne fosse, al contrario, l'unica sicura tutela; come se le forze umane con i mezzi della moderna tecnica potessero combattere le forze divine per introdurre un nuovo e migliore ordinamento di cose.
Orbene, tanti milioni di uomini, credendo di lottare per l'esistenza, si aggrappano purtroppo a tali teorie con un totale capovolgimento della verità, e schiamazzano contro la Religione. Né questi assalti sono solamente diretti contro la Religione cattolica, ma contro quanti riconoscono ancora Dio come Creatore del Cielo e della terra e come assoluto Signore di tutte le cose. E le società segrete che sono sempre pronte ad appoggiare la lotta contro Dio e contro la Chiesa, da qualunque parte venga, non mancano di rinfocolare sempre più questo odio insano, che non può dare né la pace né la felicità a veruna classe sociale, ma condurrà certamente tutte le nazioni alla rovina.
Così questa nuova forma di ateismo, mentre scatena i più violenti istinti dell'uomo, con cinica impudenza proclama che non ci sarà né pace né benessere sulla terra finché non sia sradicato fino all'ultimo avanzo di Religione e non sia soppresso l'ultimo suo rappresentante. Come se con ciò potesse venir soffocato il mirabile concerto nel quale la creatura canta la gloria del Creatore (Cfr. Psal. XVIII, 2).
Sappiamo molto bene, Venerabili Fratelli, che vani sono tutti questi sforzi, e che nell'ora da Lui stabilita "si leverà Iddio e si disperderanno i suoi nemici" (Psal. LXVIII, l); sappiamo che "non prevarranno le porte dell'inferno" (Matth. XVI, 18); sappiamo che il nostro Divin Redentore, come fu di Lui predetto, "con la verga della sua bocca percuoterà la terra e col soffio delle sue labbra darà morte all'empio" (Is. XI, 4) e terribile soprattutto sarà per quegl'infelici l'ora in cui cadranno "nelle mani di Dio vivo" (Hebr. X, 31). E questa fiducia inconcussa nel finale trionfo di Dio e della Chiesa Ci viene, per l'infinita bontà del Signore, ogni giorno confermata dalla vista consolante dello slancio generoso di innumerevoli anime verso Dio in tutte le parti del mondo e in tutte le classi sociali. E' davvero un soffio potente dello Spirito Santo quello che ora passa su tutta la terra, attirando specialmente le anime giovanili ai più alti ideali cristiani, elevandole al di sopra di ogni rispetto umano, rendendole pronte ad ogni anche più eroico sacrificio; un soffio divino, che scuote tutte le anime anche loro malgrado, e fa sentire un interno travaglio, una vera sete di Dio anche a quelle che non osano confessarla. Anche il Nostro invito ai laici di partecipare all'apostolato gerarchico nelle file dell'Azione Cattolica è stato dappertutto docilmente e generosamente accolto; va crescendo continuamente nelle città e nelle campagne il numero di coloro che con tutte le forze si adoprano alla propaganda dei principi cristiani e alla loro attuazione pratica anche nella vita pubblica, mentre essi stessi si studiano di confermare le loro parole con gli esempi della loro vita intemerata.
Ma nondimeno, davanti a tanta empietà, a tanta rovina di tutte le più sante tradizioni, a tanta strage di anime immortali, a tanta offesa della Divina Maestà non possiamo, Venerabili Fratelli, non effondere tutto l'acerbo dolore che ne proviamo; non possiamo non alzare la Nostra voce e con tutta l'energia del petto apostolico prendere le difese dei conculcati diritti di Dio e dei più sacri sentimenti del cuore umano che Dio ha in assoluto bisogno. Tanto più che queste falangi invase dallo spirito diabolico non si contentano di schiamazzare, ma uniscono tutte le loro forze per eseguire quanto prima i loro nefasti disegni. Guai all'umanità, se Dio, sì vilipeso dalle Sue creature, lasciasse nella Sua giustizia libero corso a questa fiumana devastatrice e si servisse di essa come di flagello per castigare il mondo!
E' dunque necessario, Venerabili Fratelli, che instancabilmente "ci poniamo di contro qual muro per la casa d'Israele" (Ezech. XIII, 5), unendo anche noi tutte le forze nostre in un'unica e solida fronte compatta contro le malvagie falangi, nemiche di Dio non meno che del genere umano. Difatti in questa lotta si discute veramente il problema fondamentale dell'universo e si tratta la più importante decisione proposta alla libertà umana: per Iddio o contro Dio, è questa di nuovo la scelta che deve decidere le sorti di tutta l'umanità; nella politica, nella finanza, nella moralità, nelle scienze, nelle arti, nello Stato, nella società civile e domestica, in Oriente, in Occidente, dappertutto si affaccia questo problema come decisivo per le conseguenze che ne derivano. Sicché gli stessi rappresentanti di una concezione del tutto materialistica del mondo vedono sempre ricomparirsi davanti la questione dell'esistenza di Dio che credevano già soppressa per sempre e sono sempre costretti a riprenderne la discussione. Noi quindi scongiuriamo nel Signore tanto i singoli che le nazioni a voler deporre, davanti a tali problemi e in tempi di sì accanite lotte vitali per l'umanità, quel gretto individualismo e basso egoismo che accieca anche le menti più perspicaci e fa inaridire ogni anche più nobile iniziativa, per poco che questa esca dai limiti del ristrettissimo cerchio di piccoli e particolari interessi: si uniscano tutti anche con gravi sacrifici per salvare se stessi e l'intera umanità. In tale unione di animi e di forze devono naturalmente essere i primi quelli che si gloriano del nome cristiano memori della gloriosa tradizione dei tempi apostolici, quando "la moltitudine dei credenti formava un sol cuore e un'anima sola" (Act. IV, 32); ma vi concorrano lealmente e cordialmente anche tutti gli altri che ancora ammettono un Dio e Lo adorano per allontanare dall'umanità il grande pericolo che minaccia tutti. Difatti il credere in Dio è il fondamento incrollabile di ogni ordinamento sociale e di ogni responsabilità sulla terra: e perciò tutti quelli che non vogliono l'anarchia e il terrore, devono energicamente adoperarsi perché i nemici della Religione non raggiungano lo scopo da loro così apertamente proclamato.
Sappiamo, Venerabili Fratelli, che in questa lotta per la difesa della Religione si devono usare anche tutti i legittimi mezzi umani che sono in nostra mano. Perciò Noi, seguendo le orme luminose del Nostro Predecessore Leone XIII di s. m., con la Nostra Enciclica "Quadragesimo anno" abbiamo con tanta energia propugnato una più equa ripartizione dei beni della terra e abbiamo indicato i mezzi più efficaci che dovrebbero ridonare la sanità e la forza all'ammalato corpo sociale e ridare la tranquillità e la pace ai suoi membri addolorati. Poiché l'irresistibile aspirazione a raggiungere una conveniente felicità anche sulla terra è posta nel cuore dell'uomo dal Creatore di tutte le cose, e il Cristianesimo ha sempre riconosciuto e promosso con ogni impegno i giusti sforzi della vera cultura e del sano progresso per il perfezionamento e lo sviluppo dell'umanità.
Ma di fronte a questo odio satanico contro la Religione, che ricorda il "mistero d'iniquità" di cui parla San Paolo (II Thess. 11, 7), i soli mezzi umani e le provvidenze degli uomini non bastano e Noi crederemmo, Venerabili Fratelli, di venir meno al Nostro Apostolico Ministero se non volessimo additare all'umanità quei meravigliosi misteri di luce, che soli nascondono in sé la forza di soggiogare le scatenate potenze delle tenebre. Quando il Signore, scendendo dagli splendori del Tabor, risanò il giovinetto malmenato dal demonio, che i discepoli non avevano potuto guarire, all'umile loro domanda: "Per qual motivo non lo abbiamo potuto scacciar noi?", rispose con le memorande parole: "Questo genere non si scaccia se non per orazione e digiuno" (Matth. XVII, 18-20). Ci pare, Venerabili Fratelli, che queste divine parole si devono appunto applicare ai mali dei nostri tempi, che solo per mezzo della preghiera e della penitenza possono essere scongiurati.
Memori dunque della nostra condizione di esseri essenzialmente limitati e assolutamente dipendenti dall'Essere Supremo, ricorriamo innanzi tutto alla preghiera. Sappiamo per fede quanta sia la potenza dell'umile, confidente, perseverante preghiera: a nessuna altra pia opera furono mai annesse dall'Onnipotente Signore così ampie, così universali, così solenni promesse come alla preghiera: "Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto: ché chiunque chiede, riceve: chi cerca trova: e a chi picchia, sarà aperto" (Matth. VII, 7-8). "In verità, in verità vi dico: quanto domanderete al Padre in nome mio, ve lo concederà" (Ioan. XVI, 23).
E quale oggetto più degno della nostra preghiera e più corrispondente alla persona adorabile di Colui che è l'unico "Mediatore tra Dio e gli uomini, uomo Cristo Gesù" (I Tim. 11, 5), che l'implorare la conservazione in terra della fede nel solo Dio vivo e vero? Una tale preghiera porta già in sé una parte del suo esaudimento: poiché dove un uomo prega, là egli si unisce con Dio, e per cosi dire mantiene già sulla terra l'idea di Dio. L'uomo che prega con la sua stessa umile posizione, professa davanti al mondo la sua fede nel Creatore e Signore di tutte le cose: unendosi poi con gli altri in preghiera comune, con ciò solo riconosce che non solamente l'individuo, ma anche la umana società ha un supremo Signore assoluto sopra di sé.
Quale spettacolo non è mai per il cielo e per la terra la Chiesa che prega! Da secoli ininterrottamente, da una mezzanotte all'altra si ripete sulla terra la divina salmodia dei canti ispirati; non c'è ora del giorno che non sia santificata dalla sua liturgia speciale; non c'è un periodo grande o piccolo della vita che non abbia un posto nel ringraziamento, nella lode, nella orazione, nella riparazione della preghiera comune del Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa. Cosi la preghiera stessa assicura la presenza di Dio tra gli uomini, come lo promise il Divin Redentore: "Dove sono due o tre persone congregate nel nome mio ci sono io in mezzo ad esse" (Matth. XVIII, 20).
La preghiera poi toglierà di mezzo appunto la causa stessa delle odierne difficoltà, da Noi sopra accennate, cioè l'insaziabile cupidigia dei beni terreni. L'uomo che prega guarda in alto, ai beni cioè del Cielo che egli medita e desidera; tutto il suo essere si immerge nella contemplazione del mirabile ordine posto da Dio, che non conosce la smania dei successi e non si perde in futili gare di sempre maggiore velocità e così quasi da sé si ristabilirà quell'equilibrio tra il lavoro e il riposo che con grave danno della vita fisica, economica e morale, manca del tutto all'odierna società. Se coloro che per la soverchia produzione industriale sono caduti nella disoccupazione e nella povertà, volessero dare il tempo conveniente alla preghiera, il lavoro e la produzione rientrerebbero ben presto entro i limiti ragionevoli, e la lotta che ora divide l'umanità in due grandi campi di combattimento per gli interessi passeggeri resterebbe assorbita nella nobile pacifica lotta per l'acquisto dei beni Celesti ed eterni.
In tal modo si aprirebbe la via anche alla tanto sospirata pace, come bellamente accenna San Paolo là dove congiunge appunto il precetto della preghiera con i santi desideri della pace e della salute di tutti gli uomini: "Raccomando adunque prima di tutto che si facciano suppliche, orazioni, voti, ringraziamenti fra tutti gli uomini: per i re e per tutti i costituiti in posto sublime, affinché meniamo vita quieta e tranquilla con tutta pietà ed onestà. Poiché questo è ben fatto e grato nel cospetto del Salvatore Dio nostro, il quale vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino al conoscimento della verità" (I Tim. 11, 1-4). Per tutti gli uomini si implori la pace, ma specialmente per quelli che nell'umana società hanno le gravi responsabilità del governo: come potrebbero essi dare la pace ai loro popoli, se non l'hanno essi in se stessi? Ed è precisamente la preghiera quella che, secondo l'Apostolo, deve apportare il dono della pace: la preghiera che si rivolge al Padre Celeste che è Padre di tutti gli uomini; la preghiera, che è l'espressione comune dei sentimenti di famiglia, di quella grande famiglia che si estende al di là dei confini di qualunque paese e di qualunque continente.
Uomini che in ogni nazione pregano lo stesso Dio per la pace sulla terra non possono essere insieme i portatori della discordia tra i popoli; uomini che si rivolgono nella preghiera alla Divina Maestà, non possono fomentare quell'imperialismo nazionalistico che di ciascun popolo fa il proprio Dio; uomini che guardano al "Dio della pace e della carità" (II Cor. XIII, 11), che a Lui si rivolgono per mezzo di Cristo, che è "nostra pace" (Eph. 11, 14), non si daranno posa finché finalmente la pace che il mondo non può dare, discenda dal Datore di ogni bene sopra "gli uomini di buona volontà" (Luc. 11, 14).
"Pace a voi" (Ioan. XX, 19, 26) fu il saluto pasquale del Signore ai Suoi Apostoli e primi discepoli; e questo benedetto saluto da quei primi tempi sino a noi non è mai venuto meno nella sacra Liturgia della Chiesa, ed oggi più che mai esso deve confortare e risollevare gli esulcerati ed oppressi cuori umani.
Ma alla preghiera bisogna aggiungere anche la penitenza, lo spirito di penitenza, e la pratica della penitenza cristiana. così ci insegna il Divin Maestro, la cui prima predicazione fu appunto la penitenza: "Cominciò Gesù a predicare e a dire: Fate penitenza" (Matth. IV, 17). Così c'insegna pure tutta la tradizione cristiana, tutta la storia della Chiesa: nelle grandi calamità, nelle grandi tribolazioni della Cristianità, quando era più urgente la necessità dell'aiuto di Dio, i fedeli, o spontaneamente o più spesso dietro l'esempio e le esortazioni dei sacri Pastori, hanno sempre posto mano a tutte le validissime armi della vita spirituale: l'orazione e la penitenza. Per quel sacro istinto da cui quasi inconsapevolmente si lascia guidare il popolo cristiano, quando non è traviato dai seminatori di zizzania, e che non è poi altro se non quel "senso di Cristo" (1 Cor. 11, 16) di cui parla l'Apostolo, i fedeli hanno sempre sentito subito in tali casi il bisogno di purificare le loro anime dal peccato con la contrizione, e di placare la Divina Giustizia anche con esterne opere di penitenza.
Sappiamo bensì e con voi, Venerabili Fratelli, deploriamo che ai nostri giorni l'idea e il nome di espiazione e di penitenza hanno presso molti perduto in gran parte la virtù di suscitare quegli slanci di cuore e quegli eroismi di sacrificio che in altri tempi sapevano infondere presentandosi agli occhi degli uomini di fede come sigillati da un carattere divino ad imitazione di Cristo e dei Santi Suoi: né mancano alcuni che vorrebbero mettere da parte le mortificazioni esterne come cose di tempi passati; senza parlare poi del moderno "uomo autonomo" che disprezza la penitenza come espressione di indole servile. Ed è ovvio difatti che quanto più si affievolisce la fede in Dio, tanto più si confonda e svanisca l'idea di un peccato originale e di una primitiva ribellione dell'uomo contro Dio, e quindi ancor più si perda il concetto della necessità della penitenza e della espiazione.
Ma noi invece, o Venerabili Fratelli, dobbiamo per obbligo dell'ufficio pastorale tenere in alto questi nomi e questi concetti e conservarli nel loro vero significato, nella loro genuina nobiltà e ancor più nella loro pratica e necessaria applicazione alla vita cristiana.
A questo Ci spinge la stessa difesa di Dio e della Religione, che stiamo propugnando, poiché la penitenza è di natura sua un riconoscimento e ristabilimento dell'ordine morale nel mondo che si fonda nella legge eterna, cioè nel Dio vivente. Chi dà soddisfazione a Dio per il peccato riconosce con ciò stesso la santità dei supremi principi della moralità, la loro interna forza di obbligazione, la necessità di una sanzione contro la violazione. Ed è certo uno dei più pericolosi errori dell'età nostra l'aver preteso di separare la moralità dalla Religione, togliendo cosi ogni solida base a qualunque legislazione. Questo errore intellettuale poteva forse passare inosservato ed apparire meno pericoloso quando si limitava a pochi, e la fede in Dio era ancora un patrimonio comune dell'umanità e tacitamente si presupponeva anche da quelli che più non ne facevano aperta professione. Ma oggi, quando l'ateismo si diffonde nelle masse popolari, le conseguenze pratiche di quell'errore diventano terribilmente tangibili ed entrano nel mondo delle tristissime realtà. Invece delle leggi morali, che svaniscono insieme con la perdita della fede in Dio, si impone la forza violenta che conculca ogni diritto. L'antica fede e correttezza nell'agire e nel mutuo commercio tanto decantata perfino dai rètori e poeti del paganesimo, ora cede il posto a speculazioni senza coscienza tanto nei propri come negli affari altrui. E difatti come può sostenersi un contratto qualsiasi e quale valore può avere un trattato, dove manchi ogni garanzia di coscienza? E come si può parlare di garanzia, di coscienza, dove è venuta meno ogni fede in Dio, ogni timor di Dio? Tolta questa base, ogni legge morale cade con essa e non vi è più nessun rimedio che possa impedire la graduale ma inevitabile rovina dei popoli, delle famiglie, dello Stato, della stessa umana civiltà.
La penitenza dunque è come un'arma salutare posta in mano dei prodi soldati di Cristo, che vogliono combattere per la difesa e il ristabilimento dell'ordine morale dell'universo. E' un'arma che si porta proprio alla radice di tutti i mali, alla concupiscenza cioè delle materiali ricchezze e dei dissoluti piaceri della vita. Per mezzo di volontari sacrifici, per mezzo di rinunce pratiche, anche dolorose, per mezzo delle varie opere di penitenza, il cristiano generoso soggioga le basse passioni che tendono a trascinarlo alla violazione dell'ordine morale. Ma se lo zelo della divina legge e la carità fraterna sono in lui tanto grandi quanto devono esserlo, allora non solo si dà all'esercizio della penitenza per sé e per i suoi peccati ma si addossa anche l'espiazione dei peccati altrui ad imitazione dei Santi che spesso eroicamente si facevano vittime di riparazione per i peccati di intere generazioni, anzi ad imitazione del Redentore Divino, che si è fatto "Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo" (Ioan. 1, 29).
Non c'è forse, o Venerabili Fratelli, in questo spirito di penitenza anche un dolce mistero di pace? "Non c'è pace per gli empi" (Is. XLVIII, 22), dice lo Spirito Santo, perché vivono in continua lotta ed opposizione con l'ordine stabilito dalla natura e dal Creatore di essa. Solamente quando questo ordine venga ristabilito, quando tutti i popoli fedelmente e spontaneamente lo riconoscano e lo professino, quando le interne condizioni dei popoli e le esterne relazioni con le altre nazioni si fondino sopra questa base, allora soltanto sarà possibile una pace stabile sopra la terra. Ma non basteranno a creare quest'atmosfera di pace duratura né i trattati di pace, né i patti più solenni, né i convegni e, le conferenze internazionali, né gli sforzi anche nobili e disinteressati di qualunque uomo di Stato, se prima non siano riconosciuti i sacri diritti della legge naturale e divina. Nessun dirigente della economia pubblica, nessuna forza organizzatrice potrà mai condurre le condizioni sociali a pacifica soluzione, se prima nel campo stesso dell'economia non trionfi la legge morale basata in Dio e nella coscienza. Questo è il valore fondamentale di ogni valore tanto nella vita politica quanto in quella economica delle nazioni; questa è la valuta più sicura, tenuta ben salda la quale, anche tutte le altre saranno stabili, essendo garantite dall'immutabile ed eterna legge di Dio.
Ed anche ai singoli uomini la penitenza è fondamento e apportatrice di vera pace, distaccandoli dai beni terrestri e caduchi, sollevandoli ai beni eterni, donando loro anche in mezzo alle privazioni ed alle avversità una pace che il mondo con tutte le sue ricchezze e piaceri non può dare. Uno dei cantici più sereni e giulivi che mai si siano uditi in questa valle di lacrime non è forse il celebre "Cantico del sole" di San Francesco? Ebbene, chi lo compose, chi lo scrisse, chi lo cantò era uno dei più grandi penitenti: il Poverello d'Assisi, che non possedeva assolutamente nulla sulla terra e portava nel suo corpo estenuato le dolorose Stimmate del suo Signore Crocifisso.
La preghiera dunque e la penitenza sono i due potenti spiriti che in questo tempo ci sono dati da Dio perché riconduciamo a Lui la smarrita umanità che vagola qua e là senza guida: sono gli spiriti che devono dissipare e riparare la prima e principale causa di ogni ribellione e di ogni rivoluzione, la ribellione cioè dell'uomo contro Dio. Ma i popoli stessi sono chiamati a decidersi ad una scelta definitiva: o essi si affidano a questi benevoli e benefici spiriti e si convertono, umili e pentiti, al loro Signore e Padre delle misericordie, oppure abbandonano se stessi e il poco che ancora resta di felicità sulla terra in balia del nemico di Dio, cioè allo spirito di vendetta e di distruzione.
Non Ci resta quindi altro che invitare questo povero mondo che ha sparso tanto sangue, che ha aperto tanti sepolcri, che ha distrutto tante opere, che ha privato di pane e di lavoro tanti uomini, non Ci resta, diciamo, che invitarlo con le tenere parole della sacra Liturgia: "Convertiti al Signore Dio tuo!".
E quale più opportuna occasione possiamo Noi indicarvi, o Venerabili Fratelli, per tale unione di preghiere e di riparazione, se non la prossima Festa del Sacro Cuore di Gesù? Lo spirito proprio di tale solennità, come abbiamo quattro anni or sono ampiamente dimostrato nella Nostra Lettera Enciclica "Miserentissimus", è appunto spirito di amorosa riparazione, e perciò abbiamo voluto che in tal giorno ogni anno in perpetuo si faccia, in tutte le chiese dell'orbe, pubblico atto di ammenda per tante offese che feriscono quel Cuore divino.
Sia dunque quest'anno la Festa del Sacro Cuore per tutta la Chiesa una santa gara di riparazione e di impetrazione. Accorrano numerosi i fedeli alla Mensa eucaristica, accorrano ai piedi degli altari ad adorare il Salvatore del mondo sotto i veli del Sacramento, che voi, Venerabili Fratelli, procurerete sia in tal giorno solennemente esposto in tutte le chiese; effondano in quel Cuore misericordioso, che tutte ha conosciute le pene del cuore umano, la piena del loro dolore, la fermezza della loro fede, la fiducia della loro speranza, l'ardore della loro carità. Lo preghino, interponendo anche il potente patrocinio di Maria Santissima Mediatrice di tutte le grazie, per sé e per le loro famiglie; per la loro patria e per la Chiesa; Lo preghino per il Vicario di Cristo in terra e per gli altri Pastori, che con Lui dividono il formidabile peso del governo spirituale delle anime; Lo preghino per i fratelli credenti, per i fratelli erranti, per gli increduli, per gli infedeli; e finalmente per gli stessi nemici di Dio e della Chiesa, affinché si convertano.
E questo spirito di preghiera e di riparazione si mantenga poi intensamente vivo ed operoso in tutti i fedeli anche per l'intera Ottava, del qual privilegio liturgico Noi abbiamo voluto fosse insignita; durante quei giorni si facciano, nel modo che ciascuno di voi, Venerabili Fratelli, secondo le circostanze locali crederà opportuno di prescrivere o suggerire, pubbliche preghiere ed altri devoti esercizi di pietà alle intenzioni da Noi brevemente toccate qui sopra, "al fine di ottenere misericordia e trovare grazia per opportuno sovvenimento" (Hebr. IV, 16).
Sia quella davvero per tutto il popolo cristiano una Ottava di riparazione e di santa mestizia; siano giorni di mortificazione e di preghiera. Si astengano i fedeli dagli spettacoli e dai divertimenti anche leciti; i più agiati sottraggano anche volontariamente in spirito di cristiana austerità qualche cosa dalla sia pure moderata misura del consueto metodo di vita, largheggiando piuttosto con i poveri il frutto di tale sottrazione, essendo anche l'elemosina un ottimo mezzo per soddisfare alla divina Giustizia e attirare le divine misericordie. E i poveri, e tutti coloro che in questo tempo sono sotto la dura prova dello scarso lavoro e dello scarso pane, offrano con eguale spirito di penitenza, con maggiore rassegnazione le privazioni loro imposte dai tempi difficili e dalla condizione sociale che la Divina Provvidenza, con imperscrutabile ma pur sempre amoroso disegno, ha loro assegnato: accettino con animo umile e confidente dalla mano di Dio gli effetti della povertà, resi più duri dalle strettezze in cui si dibatte attualmente l'umanità, si elevino più generosamente fino alla divina sublimità della Croce di Cristo ripensando che, se il lavoro è tra i maggiori valori della vita, è però stato l'amore di un Dio paziente quello che ha salvato il mondo: si confortino nella certezza che i loro sacrifici e le loro pene cristianamente sopportate concorreranno efficacemente ad affrettare l'ora della misericordia e della pace.
Il Cuore divino di Gesù non potrà non commuoversi alle preghiere ed ai sacrifici della Sua Chiesa, e finirà col dire alla Sua Sposa che geme ai Suoi piedi sotto il peso di tante pene e di tanti mali: "Grande è la tua Fede; ti sia fatto come tu desideri" (Matth. XV, 28).
Con questa fiducia, avvalorata dal ricordo della Croce, sacro segno e prezioso strumento della nostra santa redenzione, di cui oggi celebriamo la gloriosa Invenzione, a voi, Venerabili Fratelli, al vostro clero e popolo, a tutto l'orbe cattolico impartiamo con paterno affetto l'Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro, nella festa dell'Invenzione della Santa Croce, 3 maggio dell'anno 1932, XI del Nostro Pontificato.
Commenti
Posta un commento