In che consista la perfezione cristiana. Per acquistarla bisogna combattere. Quattro cose necessarie per questa battaglia (I e II capitolo)
CAPITOLO I
Volendo tu, figliuola in Cristo amatissima, conseguire l'altezza della perfezione e, accostandoti al tuo Dio, diventare uno stesso spirito con lui (cfr. 1Cor 6,17), dal momento che questa è la maggiore e la più nobile impresa che si possa dire o immaginare, devi prima conoscere in che cosa consista la vera e perfetta vita spirituale.
Molti infatti, senza troppo riflettere, l'hanno posta nel rigore della vita, nella macerazione della carne, nei cilizi, nei flagelli, nelle lunghe veglie, nei digiuni e in altre simili asprezze e fatiche corporali.
Altri, e particolarmente le donne, credono di aver fatto molto cammino se dicono molte preghiere vocali; se partecipano a parecchie messe e a lunghe salmodie; se frequentemente vanno in chiesa e si ritemprano al banchetto eucaristico.
Molti altri (tra cui talvolta se ne ritrova qualcuno che, vestito dell'abito religioso, vive nei chiostri) si sono persuasi che la perfezione dipenda del tutto dal frequentare il coro, dal silenzio, dalla solitudine e dalla regolata disciplina: e così chi in queste e chi in altre simili azioni ritiene che sia fondata la perfezione.
Il che però non è così! Siccome dette azioni sono ora mezzo per acquistare spirito e ora frutto di spirito, così non si può dire che in esse solo consistano la perfezione cristiana e il vero spirito.
Sono senza dubbio mezzo potentissimo per acquistare spirito per quelli che bene e discretamente le usano, per prendere vigore e forza contro la propria malizia e fragilità; per armarsi contro gli assalti e gli inganni dei nostri comuni nemici; per provvedersi di quegli aiuti spirituali che sono necessari a tutti i servi di Dio e massimamente ai principianti.
Sono poi frutto di spirito nelle persone veramente spirituali, le quali castigano il corpo perché ha offeso il suo Creatore e per tenerlo sottomesso e umile nel suo servizio; tacciono e vivono solitarie per fuggire qualunque minima offesa del Signore e per conversare nei cieli (cfr. Fíl 3,20 Volgata); attendono al culto divino e alle opere di pietà; pregano e meditano la vita e la passione di nostro Signore non per curiosità e gusti sensibili, ma per conoscere ancora di più la propria malizia e la bontà misericordiosa di Dio, onde infiammarsi sempre più nell'amore divino e nell'odio di se stesse, seguendo con la loro abnegazione e la croce in spalla il Figliuolo di Dio; frequentano i santissimi sacramenti a gloria di sua divina Maestà, per congiungersi più strettamente con Dio e per prendere nuova forza contro i nemici.
Ma ad altri poi che pongono nelle suddette opere esteriori tutto il loro fondamento, possono, non per difetto delle cose in sé (che sono tutte santissime) ma per difetto di chi le usa, porgere talvolta occasione di rovina più che i peccati fatti apertamente. Mentre sono intenti solo in esse, abbandonano il cuore in mano alle inclinazioni e al demonio occulto, il quale, vedendo che questi già sono fuori del retto sentiero, li lascia non solamente continuare con diletto nei suddetti esercizi ma anche spaziare secondo il loro vano pensiero per le delizie del paradiso, dove si persuadono di essere sollevati tra i cori angelici e di sentire Dio dentro di sé. Questi si trovano talora tutti assorti in certe meditazioni piene di alti, curiosi e dilettevoli punti e, quasi dimentichi del mondo e delle creature, par loro di essere rapiti al terzo cielo.
Ma in quanti errori si trovino questi avviluppati e quanto siano lontani da quella perfezione che noi andiamo cercando, facilmente si può comprendere dalla vita e dai loro costumi: infatti questi vogliono in ogni cosa grande e piccola essere preferiti agli altri e avvantaggiati su di loro, sono radicati nella propria opinione e ostinati in ogni loro voglia. Ciechi nei propri, sono invece solleciti e diligenti osservatori e mormoratori dei detti e dei fatti altrui. Se tu li tocchi anche un poco in una certa loro vana reputazione, in cui essi si tengono e si compiacciono di essere tenuti dagli altri, e li levi da quelle devozioni che usano passivamente, si alterano tutti e s'inquietano moltissimo. E se Dio, per ridurli alla vera conoscenza di se stessi e sulla strada della perfezione, manda loro travagli e infermità o permette persecuzioni (che non vengono mai senza sua volontà, così volendo o permettendo, e che sono la pietra di paragone della lealtà dei suoi servi), allora scoprono il loro falso fondo e l'interno corrotto e guasto a causa della superbia. Infatti in ogni avvenimento, triste o lieto che sia, non vogliono rassegnarsi e umiliarsi sotto la mano divina acquietandosi nei sempre giusti benché segreti giudizi di Dio (cfr. Rm 11,33); né sull'esempio del suo Figliuolo, il quale umiliò se stesso e volle patire (cfr. Fil 2,8), si sottomettono a tutte le creature considerando come cari amici i persecutori, che effettivamente sono strumenti della divina bontà e cooperano alla loro mortificazione, perfezione e salvezza.
Perciò è cosa certa che questi tali sono posti in grave pericolo: avendo l'occhio interno ottenebrato e mirando con quello se medesimi e le azioni esterne che sono buone, si attribuiscono molti gradi di perfezione e così insuperbiti giudicano gli altri: ma per loro non c'è chi li converta, fuorché uno straordinario aiuto di Dio. Per tale motivo assai più agevolmente si converte e si riduce al bene il peccatore pubblico, anziché quello occulto e coperto con il manto delle virtù apparenti.
Tu vedi dunque assai chiaramente, figliuola, che la vita spirituale non consiste nelle suddette cose, come ti ho dichiarato.
Devi sapere che essa non consiste in altro che nella conoscenza della bontà e della grandezza di Dio, e della nostra nullità e inclinazione a ogni male; nell'amore suo e nell'odio di noi stessi; nella sottomissione non solo a lui, ma a ogni creatura per amor suo; nella rinuncia a ogni nostro volere e nella totale rassegnazione al suo divino beneplacito: inoltre essa consiste nel volere e nel fare tutto questo semplicemente per la gloria di Dio, per il solo desiderio di piacere a lui, e perché così egli vuole e merita di essere amato e servito.
Questa è la legge d'amore impressa dalla mano dello stesso Signore nei cuori dei suoi servi fedeli. Questo è il rinnegamento di noi stessi, che da noi ricerca (cfr. Lc 9,23). Questo è il giogo soave e il peso suo leggero (cfr. Mt 11, 30). Questa è l'obbedienza, alla quale con l'esempio e con la parola il nostro Redentore e Maestro ci chiama.
E perché, aspirando tu all'altezza di tanta perfezione, devi fare continua violenza a te stessa per espugnare generosamente e annullare tutte le voglie, grandi o piccole che siano, necessariamente conviene che con ogni prontezza d'animo ti prepari a questa battaglia: infatti la corona non si dà se non a quelli che combattono valorosamente.
Siccome tale battaglia è più di ogni altra difficile (poiché combattendo contro di noi, siamo insieme combattuti da noi stessi), così la vittoria ottenuta sarà più gloriosa di ogni altra e più cara a Dio.
Se tu attenderai a calpestare e a dar morte a tutti i tuoi disordinati appetiti, desideri e voglie ancorché minime, renderai maggior piacere e servizio a Dio che se, tenendo alcune di quelle volontariamente vive, ti flagellassi fino al sangue e digiunassi più degli antichi eremiti e anacoreti o convertissi al bene migliaia di anime.
Sebbene il Signore in sé gradisca più la conversione delle anime che la mortificazione di una voglietta, nondimeno tu non devi volere né operare altro se non quello che il medesimo Signore da te rigorosamente ricerca e vuole. Ed egli senza alcun dubbio si compiace di più che tu ti affatichi e attenda a mortificare le tue passioni che se tu, lasciandone anche una avvedutamente e volontariamente viva in te, lo servissi in qualunque cosa sia pure grande e di maggior importanza.
Ora che tu vedi, figliuola, in che consiste la perfezione cristiana e che per acquistarla devi intraprendere una continua e asprissima guerra contro te stessa, c'è bisogno che ti provveda di quattro cose, come di armi sicurissime e necessarissime, per riportare la palma e restare vincitrice in questa spirituale battaglia. Queste sono: la diffidenza di noi stessi, la confidenza in Dio, l'esercizio e l'orazione. Di tutte tratteremo con l'aiuto divino e con facile brevità.
La diffidenza di te stessa, figliuola, ti è talmente necessaria in questo combattimento che senza questa devi tenere per certo che non solamente non potrai conseguire la vittoria desiderata, ma neppure superare una ben piccola tua passioncella. E ciò ti s'imprima bene nella mente, perché noi siamo purtroppo facili e inclinati dalla natura corrotta verso una falsa stima di noi stessi: essendo veramente non altro che un bel nulla, ci convinciamo tuttavia di valere qualche cosa; e senza alcun fondamento, vanamente presumiamo delle nostre forze. Questo è difetto assai difficile a conoscersi e dispiace molto agli occhi di Dio, che ama e vuole in noi una leale cognizione di questa certissima verità che ogni grazia e virtù derivano in noi da lui solo, fonte di ogni bene; e che da noi non può venire nessuna cosa, neppure un buon pensiero che gli sia gradito (cfr. 2Cor 3,5).
E benché questa tanto importante diffidenza sia ben anche opera della sua divina mano che suole darla ai suoi cari amici ora con sante ispirazioni, ora con aspri flagelli e con violente e quasi insuperabili tentazioni, e con altri mezzi non intesi da noi medesimi, tuttavia, volendo egli che anche da parte nostra si faccia quello che tocca a noi, ti propongo quattro modi con i quali, aiutata principalmente dal supremo favore, tu possa conseguire tale diffidenza.
Il primo è che tu consideri e conosca la tua viltà e nullità e che da te non puoi fare alcun bene per il quale meriti di entrare nel regno dei cieli.
Il secondo è che con ferventi e umili preghiere la domandi spesso al Signore, poiché è dono suo. E per ottenerla prima ti devi mirare non solo priva di essa, ma del tutto impotente ad acquistarla da te. Così presentandoti più volte davanti alla divina Maestà con una fede certa che per sua bontà sia per concedertela, e aspettandola con perseveranza per tutto quel tempo disposto dalla sua provvidenza, non vi è dubbio che l'otterrai.
Il terzo modo è che ti abitui a temere te stessa, il tuo giudizio, la forte inclinazione al peccato, gli innumerevoli nemici ai quali non hai forza di fare una minima resistenza; la loro esperienza nel combattere, gli stratagemmi, le loro trasfigurazioni in angeli di luce; le innumerevoli arti e i tranelli, che nella via stessa della virtù nascostamente ci tendono.
Il quarto modo è che quando ti avviene di cadere in qualche difetto, allora tu penetri più dentro e più vivamente nella considerazione della tua somma debolezza: infatti per questo fine Dio ha permesso la tua caduta, affinché, avvisata dall'ispirazione con più chiaro lume di prima, conoscendoti bene impari a disprezzare te stessa come cosa purtroppo vile e per tale tu voglia anche dagli altri essere tenuta e parimenti disprezzata. Sappi che senza questa volontà non vi può essere virtuosa diffidenza, la quale ha il suo fondamento nell'umiltà vera e nella cognizione sperimentale.
Chiara è questa cosa: a ognuno che vuol congiungersi con la luce suprema e con la verità increata è necessaria la conoscenza di se stesso, che la divina clemenza dà ordinariamente ai superbi e ai presuntuosi attraverso le cadute: essa li lascia giustamente incorrere in qualche mancanza dalla quale si persuadono di potersi difendere, affinché, venendosi così a conoscere, apprendano a diffidare in tutto di se medesimi.
Il Signore, però, non è solito servirsi di questo mezzo così miserabile se non quando gli altri più benigni, che abbiamo detto sopra, non hanno portato quel giovamento inteso dalla sua divina bontà. Essa permette che l'uomo cada più o meno tanto quanto maggiore o minore è la sua superbia e la propria reputazione; in maniera che dove non si ritrovasse la pur minima presunzione, come fu in Maria Vergine, similmente non vi sarebbe nemmeno la pur minima caduta. Dunque quando cadi, corri subito col pensiero all'umile conoscenza di te stessa e con preghiera insistente (cfr. Lc 11,5-13) domanda al Signore che ti doni il vero lume per conoscerti e la totale diffidenza di te stessa, se non vorrai cadere di nuovo e talvolta in più grave rovina.
CAPITOLO II
La diffidenza di noi stessi
E benché questa tanto importante diffidenza sia ben anche opera della sua divina mano che suole darla ai suoi cari amici ora con sante ispirazioni, ora con aspri flagelli e con violente e quasi insuperabili tentazioni, e con altri mezzi non intesi da noi medesimi, tuttavia, volendo egli che anche da parte nostra si faccia quello che tocca a noi, ti propongo quattro modi con i quali, aiutata principalmente dal supremo favore, tu possa conseguire tale diffidenza.
Il primo è che tu consideri e conosca la tua viltà e nullità e che da te non puoi fare alcun bene per il quale meriti di entrare nel regno dei cieli.
Il secondo è che con ferventi e umili preghiere la domandi spesso al Signore, poiché è dono suo. E per ottenerla prima ti devi mirare non solo priva di essa, ma del tutto impotente ad acquistarla da te. Così presentandoti più volte davanti alla divina Maestà con una fede certa che per sua bontà sia per concedertela, e aspettandola con perseveranza per tutto quel tempo disposto dalla sua provvidenza, non vi è dubbio che l'otterrai.
Il terzo modo è che ti abitui a temere te stessa, il tuo giudizio, la forte inclinazione al peccato, gli innumerevoli nemici ai quali non hai forza di fare una minima resistenza; la loro esperienza nel combattere, gli stratagemmi, le loro trasfigurazioni in angeli di luce; le innumerevoli arti e i tranelli, che nella via stessa della virtù nascostamente ci tendono.
Il quarto modo è che quando ti avviene di cadere in qualche difetto, allora tu penetri più dentro e più vivamente nella considerazione della tua somma debolezza: infatti per questo fine Dio ha permesso la tua caduta, affinché, avvisata dall'ispirazione con più chiaro lume di prima, conoscendoti bene impari a disprezzare te stessa come cosa purtroppo vile e per tale tu voglia anche dagli altri essere tenuta e parimenti disprezzata. Sappi che senza questa volontà non vi può essere virtuosa diffidenza, la quale ha il suo fondamento nell'umiltà vera e nella cognizione sperimentale.
Chiara è questa cosa: a ognuno che vuol congiungersi con la luce suprema e con la verità increata è necessaria la conoscenza di se stesso, che la divina clemenza dà ordinariamente ai superbi e ai presuntuosi attraverso le cadute: essa li lascia giustamente incorrere in qualche mancanza dalla quale si persuadono di potersi difendere, affinché, venendosi così a conoscere, apprendano a diffidare in tutto di se medesimi.
Il Signore, però, non è solito servirsi di questo mezzo così miserabile se non quando gli altri più benigni, che abbiamo detto sopra, non hanno portato quel giovamento inteso dalla sua divina bontà. Essa permette che l'uomo cada più o meno tanto quanto maggiore o minore è la sua superbia e la propria reputazione; in maniera che dove non si ritrovasse la pur minima presunzione, come fu in Maria Vergine, similmente non vi sarebbe nemmeno la pur minima caduta. Dunque quando cadi, corri subito col pensiero all'umile conoscenza di te stessa e con preghiera insistente (cfr. Lc 11,5-13) domanda al Signore che ti doni il vero lume per conoscerti e la totale diffidenza di te stessa, se non vorrai cadere di nuovo e talvolta in più grave rovina.
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