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Il Genocidio dei Cristiani in Iraq

Questa immagine, scattata da un giornalista tedesco e conservata
negli archivi del Vaticano,  documenta il massacro
delle donne cristiane armene nel deserto di Deir ez-Zor - Siria ,
il 24/04/1915 durante il genocidio da parte dei soldati turchi.



Patriarca di Baghdad: Mentre la politica discute, i cristiani irakeni continuano a soffrire e morire 
di Joseph Mahmoud


Visitando i campi profughi di Erbil e Dohok, Mar Sako parla di situazione “al di là di ogni immaginazione”. Egli si appella alla comunità internazionale e al mondo musulmano “che non hanno ancora compreso la gravità della situazione”. I miliziani sequestrano una bambina cristiana di tre anni, due uomini morti in casa di fame. Baghdad e Teheran per un piano congiunto di azione. 
Erbil (AsiaNews) - "Ho visitato i campi profughi nelle province di Erbil e Dohok e quello che è visto e quanto ho sentito vanno al di là di ogni più fervida immaginazione!"; i cristiani irakeni, e le altre minoranze del Paese, hanno ricevuto "un colpo terribile" al "cuore stesso della loro vita", privati di ogni bene, delle proprietà e persino dei documenti. È quanto afferma il Patriarca caldeo Louis Raphael I Sako, in un appello - inviato ad AsiaNews - in cui ricorda che dal 6 agosto non si sono ancora trovate "soluzioni concrete" alla "crisi", mentre continua inarrestabile "il flusso di denaro, armi e combattenti" per lo Stato islamico. Sua Beatitudine avverte che "a fronte di una campagna mirata" per eliminare cristiani e minoranze dall'Iraq, il mondo "non ha ancora compreso la gravità della situazione". Egli avverte che "è iniziata la seconda fase della calamità", ovvero "la migrazione di queste famiglie" in molte parti del mondo, causando "il dissolvimento della storia, del patrimonio e dell'identità di questo popolo". 


Il Patriarca caldeo e presidente della Conferenza episcopale irakena spiega che il fenomeno migratorio ha un "grande impatto" tanto sui cristiani, quanto sui musulmani stessi, perché "l'Iraq sta perdendo una componente insostituibile" della propria società. Egli punta il dito contro la comunità internazionale, in testa gli Stati Uniti e l'Unione europea, i quali pur ammettendo la necessità di una soluzione rapida, non hanno preso provvedimenti concreti "per alleviare la sorte" di una popolazione martoriata. 

Mar Sako non risparmia critiche anche alla comunità musulmana, le cui dichiarazioni in merito ai getti "barbari" delle milizie dello Stato islamico, perpetrate in nome della loro stessa religione, non hanno garantito il rispetto e la difesa della dignità dei cristiani. "Il fondamentalismo religioso - avverte il Patriarca - continua a crescere in forza e potenza, dando luogo a tragedie, mentre noi [cristiani] ci chiediamo sorpresi se i leader islamici e gli intellettuali musulmani hanno colto la gravità del problema". In Iraq serve promuovere, aggiunge, una cultura dell'incontro e del rispetto, che consideri "tutti cittadini aventi gli stessi diritti". 

Di fronte a eventi "terribili e orribili", egli auspica un intervento concreto di portata internazionale per salvare cristiani e yazidi, "componenti autentiche" della società irakena che rischiano di scomparire. Il silenzio e la passività "incoraggeranno i fondamentalisti dell'Is a commettere altre tragedie", avverte il Patriarca caldeo, e la domanda è "chi sarà il prossimo". 

Da ultimo, egli lancia un monito alla Chiesa mondiale perché di fronte a una testimonianza di fede forte dei cristiani irakeni, non servono "dichiarazioni continue" ma "una vera comunione", che abbiamo sperimentato con la visita dell'inviato personale di Papa Francesco e dei Patriarchi. "Rispettiamo le ragioni di quanti vogliono emigrare - conclude Mar Sako - ma a quanti desiderano restare, vogliamo ricordare le radici piantate in questa terra e la nostra lunga storia. Dio ha il suo piano per la nostra presenza in questa terra e ci invita a portare il messaggio di amore, fratellanza, dignità e coesistenza armoniosa". 

La drammatica situazione dei cristiani è confermata da fonti del Patriarcato caldeo, che parlano di "persecuzione continua" dei miliziani contro civili cristiani inermi, fra cui bambini. A Baghdida, una dalle città della piana di Ninive, elementi dell'Is hanno sequestrato Khader Ebada, una bambina di soli tre anni, "strappandola letteralmente dalle braccia della famiglia". I miliziani hanno rapito la bambina e costretto la famiglia ad andarsene dalla propria casa, spingendola in direzione del posto di controllo di Khazar. Fonti cristiane della città di Bashiqa, una delle cittadine a nord di Mosul, raccontano invece di aver trovato i cadaveri di due uomini cristiani, morti di fame e malnutrizione all'interno della propria abitazione. Si tratta di Georgis David e di suo figlio Saad e, secondo testimonianze locali, si tratterebbe di due persone sordomute che non hanno voluto abbandonare la cittadina da tre settimane nelle mani dei jihadisiti. 

Intanto il governo di Baghdad e l'alleato iraniano lanciano un appello alla comunità internazionale, per un piano congiunto di azione contro le milizie dello Stato islamico, che hanno conquistato nelle ultime settimane ampie porzioni di territorio nel nord dell'Iraq. Ieri il ministro degli Esteri di Teheran Mohammad Javad Zarif ha compiuto una visita ufficiale nella capitale irakena, dove ha incontrato il premier uscente Nouri al Maliki, il Primo Ministro incaricato Haidar al-Abadi, il presidente del Parlamento Salim al-Juburi e l'omologo Hoshyar Zebari. Durante la conferenza stampa l'alto funzionario del governo di Teheran ha smentito la presenza sul campo di truppe iraniane nella guerra contro le milizie islamiste; egli auspica al contempo un'operazione internazionale congiunta contro l'Is, che "sta commettendo atti orrendi di genocidio e crimini contro l'umanità". L'appello è sostenuto e rilanciato anche dallo stesso governo di Baghdad, che chiede un "sostegno globale" nella lotta contro le milizie jihadiste.

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IRAQ-ITALIA
"Adotta un cristiano di Mosul": il grazie del Patriarca Louis Sako; le preoccupazioni del vescovo del Kurdistan
Bernardo Cervellera
Il capo della Chiesa caldea ringrazia per la campagna di AsiaNews e spera che "questa catena di solidarietà si allunghi". Aiutare i profughi a rimanere in Iraq. Ma molti vogliono fuggire all'estero. Il vescovo di Amadiyah, che ha accolto migliaia di sfollati nelle chiese e nelle case: Aiutiamo anche arabi (musulmani) e yazidi, in modo gratuito e senza guardare alle differenze confessionali.


Roma (AsiaNews) - "Adottare un cristiano perseguitato e cacciato dalla sua casa a causa di Cristo vale la pena": è quanto afferma il Patriarca caldeo di Baghdad, Louis Sako in un messaggio ad AsiaNews in occasione della campagna "Adotta un cristiano di Mosul", dopo le minacce e le uccisioni del Califfato islamico e la fuga dei cristiani del Nordest irakeno. "Con molta gratitudine e commozione - scrive il Patriarca - la ringrazio per la sua iniziativa insieme ad AsiaNews per l'aiuto e la solidarietà verso i cristiani dell'Iraq nella loro allarmante situazione".

E aggiunge: "Spero che questa catena di solidarietà si allunghi. Essi [i cristiani] hanno bisogno di tutto. Ci sono molti bambini, malati e vecchi. Il Signore Gesù vi benedica e vi colmi delle sue grazie".

Anche mons. Rabban Al-Qas, vescovo di Amadiyah, nel Kurdistan, che assieme ad altre diocesi sta accogliendo le decine di migliaia di fuggitivi da Mosul, Qaraqosh e Ankawa, ringrazia "quanti pensano a noi e cercano modi per aiutarci". "La campagna di AsiaNews - prosegue - è un'iniziativa positiva, perché vuole aiutare i cristiani sul posto e non a farli fuggire altrove. Purtroppo per molti la fuga resta la soluzione più attesa, fanno i documenti e se ne vanno. Ieri 150 persone sono partite per la Turchia, a bordo di tre autobus. Qual è il destino che ci aspetta e quale sarà il futuro per noi? La piana di Ninive è vuota e non ci sono più cristiani".

"Le persone - racconta mons. Rabban - sono andate via in preda alla paura; la forza dei terroristi è tanta, e loro avevano paura specialmente per le donne e le ragazze, date le voci che circolano sulle violenze degli islamisti. La diocesi si è organizzata con i preti e i sacerdoti mettendo a disposizione le case vuote per accogliere le famiglie di sfollati. Abbiamo messo in campo aiuti per queste persone, dando loro borse con viveri. Adesso gli sforzi sono concentrati nella distribuzione degli aiuti".

I profughi sono centinaia di migliaia e la sola diocesi di Amadiyah non basta a contenerli. Per questo nel Kurdistan irakeno si stanno allestendo altri punti di accoglienza. 

"Non abbiamo paura - continua il vescovo - e cerchiamo di fare del nostro meglio per dare conforto non solo ai cristiani, ma anche agli arabi in fuga da Tikrit, e agli Yazidi, senza fare distinzioni di natura religiosa. Ai sacerdoti ho anche dato indicazione di non guardare alle differenze confessionali e di non chiedere mai nulla in cambio per i loro sforzi. Deve essere un aiuto gratuito, secondo gli insegnamenti del Vangelo".

"La situazione - aggiunge - resta molto delicata, anche se lo sforzo profuso è grande e la Chiesa svolge il suo ruolo, con grande efficienza. La Chiesa caldea è viva, attiva, e testimoniamo la nostra presenza con amore. Anche i curdi portano aiuti senza fare differenze; i leader religiosi locali chiedono di favorire tolleranza e amore, e sono pronti ad aiutare".

"La maggioranza dei cristiani - confessa mons. Rabban - vuole fare i documenti per partire, andarsene via, perché hanno paura. Sono in migliaia i cristiani che vogliono fuggire. E il futuro della piana di Ninive sarà un futuro nero: non sarà più sicura, sarà invivibile. Il grosso problema è Baghdad, la mancanza di un governo, la crisi della sicurezza. E poi c'è il fanatismo dell'Arabia Saudita e del Qatar, che hanno preparato questa situazione: ciò che vediamo ora è l'esito delle loro manovre, prima in Siria e ora qui in Iraq. Per loro non esiste la strada della tolleranza".

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