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Il seminario


Lunedì 13 ottobre comincerà l’anno del pre-seminario San Giuseppe, con la consueta S. Messa de Spiritu Sancto per invocare l’aiuto celeste sui giovani  aspiranti al sacerdozio.


Mons. Marcel Lefebvre

 Il seminario

La formazione per diventare sacerdote dura sei anni nella Fraternità San Pio X. Inizia con un anno di spiritualità, seguito da due anni di studi di filosofia e tre di teologia. Mons. Lefebvre descrive lo spirito che deve animare i seminaristi durante tutta la loro formazione sacerdotale.

1. Lo scopo del seminario

Nei salmi scelti per la cerimonia della vestizione, è detto: “Felice chi non ha ricevuto invano la propria anima” (Sal 23, 4). Che parole profonde, come fanno riflettere! Se dei giovani vengono in seminario, è proprio per rispondere a questo invito di Dio e per dire: no, io non voglio aver ricevuto la mia anima invano 26.

I seminaristi cha hanno capito la natura della loro vocazione vanno in seminario come i monaci vanno in un monastero, per cercare Dio. Quando un giovane aspirante alla vita benedettina si presenta, il padre abate gli domanda: “Perché vieni27” in monastero? Quello risponde: “Per cercare Dio” . Allora l’abate prosegue: “Se veramente cerchi Dio28”, allora vieni, entra in monastero. Ebbene! Il seminario, è questo. I seminaristi devono applicarsi con cura ad avvicinare Dio, a conoscere Dio come può conoscerLo una creatura trasformata dalla grazia, la cui anima è diventata veramente divina per partecipazione. Possiamo dire veramente di conoscere Dio sufficientemente? Senza dubbio, i seminaristi credono in Dio. In genere, fin dal principio della loro esistenza, i loro genitori hanno parlato loro di Dio. Ma una cosa è sapere che Dio esiste, un’altra cosa è avvicinarsi davvero a Lui. Quindi, è questo che vengono a cercare in seminario ed è in questo che consiste la santità, la perfezione, la giustizia29.


Noi dobbiamo cercare Dio costantemente. Certo, noi non Lo cerchiamo come s’intende oggi. Noi conosciamo Dio. Noi sappiamo dov’è, noi crediamo nella Sua presenza ovunque, ma noi abbiamo bisogno di avvicinarci a Lui e possiamo così conoscere meglio noi stessi. Questo avvicinamento a Dio si fa con la scienza, con la fede, ma anche con l’amore di Dio. Voi mi direte che l’amore non è fonte di conoscenza. Invece sì, attraverso l’amore, c’è una conoscenza30. Colui che ama molto la madre, per esempio, ne indovina i pensieri; e la madre che ama suo figlio lo conosce forse meglio di chiunque altro, proprio a causa del suo amore materno. Ebbene! È lo stesso per l’anima riguardo a Dio. L’amore che l’anima nutre per Dio gli dà una conoscenza per connaturalità che gli fa conoscere Dio in un modo molto più perfetto che nei libri. Perciò è comprensibile che delle anime assai semplici, che non hanno mai studiato teologia né filosofia, abbiano una conoscenza di Dio più perfetta dei maggiori filosofi e teologi. Questo amore fa cogliere la grandezza di Dio. Fa considerare Dio come deve essere e rimette ogni cosa a suo posto. Dio dà le sue grazie di luce. Questo è molto importante per la nostra perfezione, per la nostra santità. Il seminarista deve chiedersi costantemente: “Davvero cerco Dio in seminario31?”

E’ gravissimo resistere alla chiamata di Dio quando si è in seminario. In effetti, nella misura in cui un seminarista si dà solo a metà e non vuole distaccarsi da se stesso, rischia di diventare un sacerdote mediocre. Ora, un sacerdote mediocre è un povero sacerdote, un sacerdote triste, perché in lui resta l’amore del mondo e vuole comunque l’amore di Dio. E’ sempre diviso tra questi due desideri. Non sa esattamente chi preferisce, se Dio o il mondo, se siano le sue soddisfazioni o quelle di Dio. E’ un povero sacerdote e un giorno, davanti alla tentazione, davanti alle difficoltà, rischia di crollare come hanno fatto tanti sacerdoti dopo il concilio Vaticano II32. Bisogna essere uomini di desiderio. Non si può rifiutare indefinitamente il richiamo di Dio senza mettersi in una situazione sempre vicina alla caduta, all’abbandono. Dalla qualità del dono di noi stessi dipende anche la salvezza di molte anime. Ditevi bene questo: “Se io non mi do interamente al buon Dio, se non ho veramente il desiderio di conoscerLo e amarLo, quante altre anime non Lo conosceranno33!”

Dio non vi chiama solo per voi. Vi chiama per tutte le anime per le quali vi dovrete sacrificare, prima con la rinuncia alla vostra propria volontà, con le vostre preghiere, soprattutto il Santo Sacrificio della Messa, e poi con il vostro apostolato. Se le anime hanno a che fare con un sacerdote non zelante, che ha più voglia di passare il tempo a fare quello che gli pare piuttosto che l’apostolato, esse si perderanno. Dal momento in cui non avremo preso la ferma decisione di donarci completamente a Dio, senza limiti, senza misura, noi saremo responsabili di tutte le anime che, di conseguenza, non si convertiranno e non saranno attirate a Dio. “La misura dell’amore per Dio, è amarLo senza misura34.” Le virtù teologali, la virtù di fede, di speranza e di carità non hanno misura, a differenza delle virtù morali. “La virtù sta nel mezzo35”, questo è vero per le virtù morali, ma non per le teologali36. Non c’è misura nella fede, né nella speranza, né nella carità37.

Come si manifesta questa carità? Come possiamo individuarla un poco in noi? San Tommaso38, dopo san Benedetto, dice che la prontezza con cui noi apriamo il nostro cuore a Dio manifesta che Lo amiamo, che siamo pronti ad obbedire alla Sua volontà, a donarci a Lui.

Questa prontezza, san Benedetto la nomina soprattutto a proposito dell’obbedienza. Parla della spontaneità e della rapidità con cui il soggetto risponde alla voce del suo superiore. “Con passo vivo39”, con passo rapido, dice san Benedetto nella sua regola40, il soggetto obbedisce ai suoi superiori, per amore di Dio41. Ecco cosa manifesta la carità.

Ed è anche quello che dice san Paolo: “Dio ama colui che dà con gioia” (2 Cor 9,7). Sembra che il buon Dio non ami colui che dà con tristezza, come se rimpiangesse il dono che fa di se stesso per ricevere lo Spirito Santo, per ricevere l’amore e la carità di Dio in lui.

Ed è ancora san Paolo che dice ancora ai Corinti: “Vi parlo come a figli miei: anche voi, allargate i vostri cuori” (2 Cor 6,13). “La nostra bocca si è allargata per voi, o Corinti, il nostro cuore si è allargato” (2 Cor 6,11). Non abbiate dei cuori stretti, dei cuori chiusi, egoisti, che temono di donarsi a Dio.

Quindi allargate, aprite, dilatate i vostri cuori. Ecco le disposizioni che possono farci crescere nell’amore di Dio e farci ricevere le grazie dei sacramenti con abbondanza, e farci così crescere nell’unione con Dio, nell’intimità con Dio42.

Allora mi auguro che, mentre siete in seminario, perveniate ad un tale amore di Dio, ad una tale vicinanza a Dio, che vi dia un equilibrio, una pace, una solidità, una costanza in quest’attaccamento a Dio, tale che tutte le prove, tutte le difficoltà, tutte le contrarietà che potrete avere nel corso della vostra vita non intacchino mai più il vostro amore per il buon Dio43.

2. L’anno di spiritualità

Nel corso dell’anno di spiritualità, l’aspirante apprende i principi della vita interiore, la vita di unione a Dio ed i fondamenti del combattimento spirituale che essa implica. Quest’anno, compiuto coscienziosamente, deve avere una ripercussione su tutti gli anni successivi e perfino su tutta la vita del futuro sacerdote.

Perché cominciare con un anno di spiritualità?

Una delle ragioni per cui i seminaristi devono prendere sul serio la propria vita spirituale, è il fatto che vogliono diventare sacerdoti. Hanno dunque la grave responsabilità di ricercare la perfezione, la santità44. Le anime che li aspettano contano su questa preparazione, su questa serietà, perché i seminaristi non hanno solo la propria anima da salvare. Dio si aspetta da loro che, con la propria santificazione e più tardi con l’apostolato, salvino forse migliaia e migliaia di anime, non fosse altro che con la loro offerta, il loro sacrificio, forse con la malattia o la persecuzione; che tutta la loro vita sacerdotale sia unita all’offerta di Nostro Signore. Quindi lì hanno ancora un motivo particolare per cercare la propria perfezione in modo profondo e attivo45.

Ci si chiede perché ci siano tante defezioni nel sacerdozio. Forse quei sacerdoti non hanno saputo cosa fosse la preghiera. Hanno pregato superficialmente, per abitudine, per un certo dovere sociale, in qualche modo. Hanno assolto quel dovere nell’esercizio delle loro funzioni, ma non hanno pregato veramente. Non hanno imparato chi è Dio, né in cosa consista la nostra unione con Nostro Signore Gesù Cristo46.

Per questo credo che l’introduzione di un anno di spiritualità nel seminario sia una cosa molto importante. Negli ordini religiosi, c’è sempre stato il noviziato ma, nei seminari, in generale, ci si accontentava di conferenze spirituali la sera, come ne facciamo qui. Senza dubbio, il confessore ed il direttore di coscienza si sforzavano di fornire ai seminaristi dei principi di condotta spirituale, di sviluppo spirituale, ma ci è parso che non fosse sufficiente.

Da parte mia, all’epoca del mio seminario, ricordo che noi eravamo sovraccarichi di lezioni (non so le lo siate anche voi!) e che padre Guibert teneva un corso di spiritualità all’Università Gregoriana. Ci consigliavano vivamente di seguire quel corso, ma non era obbligatorio. Viste tutte le altre lezioni cui assistevamo, praticamente non ci andava nessuno. Allora non possiamo dire di aver ricevuto una formazione spirituale approfondita e, direi, un po’ scientifica. Che cos’è la vita spirituale? In che consiste? Che cos’è la vita interiore? Che significano queste parole per un cristiano, per un seminarista, per un futuro sacerdote? Sono delle cose importantissime, fondamentali. Si rischiava dunque di fare del seminario un luogo di studi puramente speculativi. Si formavano dei cervelli, ma non sempre dei cuori, dei cuori fatti per amare Dio ed il prossimo. Non dimentichiamo che i nostri cuori sono fatti per elevarsi alla santità, per vivere una vita interiore intensa ed in unione con Dio, con Nostro Signore, con tutti i santi del Cielo. Ecco perché dobbiamo cercare di acquisire le virtù necessarie che ci rendono più simili a Nostro Signore e c’identificano con Lui.

Non dico che tutto ciò ci fosse totalmente sconosciuto, ma insomma ci mancava quest’anno di preghiera, di riflessione, di studio, su cosa sia davvero la vita interiore, la vita di perfezione, la vita di santità47.

Una scuola di vita interiore

I seminaristi, per tutto l’anno di spiritualità, si applicano a vivere della vita dello spirito. Cercano di trovare Dio; ora Dio è Spirito. Nostro Signore lo dice alla Samaritana, “Dio è Spirito e vuole essere adorato in spirito e verità” (Gv 4,24). Il mondo che rimarrà, è il mondo spirituale. Il mondo materiale proviene dal mondo spirituale. E’ creato dallo spirito e non il contrario. Una volta distrutta la terra e caduti gli astri dal cielo alla fine dei tempi, questo mondo scomparirà. Ci sarà allora una terra nuova che sarà quasi spirituale, come il nostro “corpo resuscitato sarà un corpo spirituale” secondo l’espressione di san Paolo (1 Cor 15,44), perché il corpo sarà sottomesso alle virtù dello spirito. Il corpo non sarà più un ostacolo per le funzioni spirituali. Oggi, il nostro spirito è in qualche sorta imprigionato. Per spostare la nostra anima, bisogna spostare il nostro corpo. Lo spirito per natura è sottile, rapido. Basta che desideri trovarsi in un luogo per trovarcisi, mentre quaggiù è prigioniero. L’anima è dipendente dal corpo. E’ lo stesso nel campo della conoscenza. Come dice san Tommaso, “ogni conoscenza proviene dai sensi48”. E’ questo che rende la nostra conoscenza frazionaria e ridotta. La nostra intelligenza procede con modo di ragionare che trae tale conclusione da ciò che abbiamo visto qui, tal altra da un certo avvenimento, ed è concatenando i ragionamenti che finiamo per giungere alla scienza, ma è complicatissimo. Noi in questo modo approfittiamo dei ragionamenti di tutte le generazioni passate.

Per gli angeli, non è così. Gli angeli hanno naturalmente una scienza infinitamente maggiore della nostra. Il mondo degli spiriti senza dubbio ci meraviglierà quando moriremo. Davanti a Dio, resteremo ammutoliti, non dallo stupore e dallo spavento, ma di fronte al posto incredibile che occupa. Dio è uno Spirito infinito, che è ovunque. Si ha un bel tentare di comprendere, noi siamo di fronte ad un mistero che supera totalmente la nostra immaginazione. Come dice san Paolo, “noi siamo in Dio, noi viviamo in Dio, noi ci muoviamo in Dio” (dagli Atti 17,28). E’ vero, Dio è qui. Noi non saremmo qui se Dio non ci mantenesse in vita. Evidentemente noi non Lo vediamo, questo dunque ci rende molto difficile la conoscenza esatta della realtà.

Per questo viviamo in un certo accecamento, in una certa illusione continua. Se vivessimo nella realtà, se vedessimo Dio, non potremmo vivere, umanamente parlando. Prendete ad esempio quelli che hanno visto qualcosa del Cielo, come la piccola Bernadette. Erano in estasi, non si muovevano più. Si bruciavano loro le dita, e non lo sentivano, catturati dal Cielo, anche se non vedevano che una piccolissima luce, un piccolo raggio del Cielo. Guardate gli apostoli sul Tabor, “cadono a terra, spaventati davanti allo splendore di Nostro Signore” (Mt 17,6). Ora Dio non ha mostrato loro che una piccolissima luce del Suo splendore.

Ma, se non possiamo vedere Dio, dobbiamo credere in Lui perché infine vivere con Dio, è tutta la nostra vita presente e la nostra vita futura! Non è un’invenzione, non è fare del misticismo, dell’immaginazione, è la realtà. E’ triste pensare che noi viviamo sempre in una specie d’illusione, in questa cecità, quest’accecamento di cui parla l’orazione49.

Ma nella misura in cui noi sviluppiamo la nostra vita interiore, la vita spirituale, la vita con Dio, la vita del battesimo, sforzandoci di dare alla nostra anima il posto che le è dovuto nella nostra esistenza, scopriamo un mondo nuovo. E’ questo il mondo che scoprono i seminaristi, specialmente nel corso del loro anno di spiritualità, implorando spesso la luce dello Spirito Santo per vivere davvero spiritualmente50.

L’anno di spiritualità ha l’obiettivo d’insegnare a pregare affinché i seminaristi ricevano le grazie dello Spirito Santo. La preghiera non si limita alla preghiera vocale. I seminaristi imparano nuove preghiere, imparano a meditare ed a apprezzare le belle preghiere del breviario e degli uffici liturgici. Ma la preghiera è più di questo. Nella preghiera, i seminaristi imparano soprattutto, spero, ad unirsi a Nostro Signore Gesù Cristo. Nella loro preghiera, imparano a contemplare Nostro Signore Gesù Cristo, a contemplare Dio.

La contemplazione non è riservata alle anime particolarmente privilegiate da Dio. La contemplazione è offerta a tutte le anime che si aprono a Dio, che desiderano conoscerLo, che desiderano prendere coscienza che Dio è in esse. “Se voi mi amate, dice Nostro Signore, mio Padre e Me, Noi verremo e stabiliremo la nostra dimora in voi” (da Gv 14,23). Lo dice a tutti, ma lo dice in modo particolare ai seminaristi che si preparano al sacerdozio. Dio è venuto in noi e abita in noi. E’ questa coscienza della presenza di Dio in noi ed in tutte le cose che definisce, in qualche modo, la contemplazione.

Noi sfortunatamente siamo talmente lontani da Dio! I nostri spiriti ed i nostri cuori sono così attaccati alle cose di questo mondo! Quello che possediamo, tutto ciò che abbiamo, la nostra reputazione, quello che si pensa di noi, che si dice di noi, tutto questo ci preoccupa molto più di Dio. Se potessimo distaccarcene maggiormente!

Perché è lì che si trova forse il principale sforzo che devono fare i seminaristi durante l’anno di spiritualità: distaccarsi dai beni di questo mondo, distaccarsi dagli onori, dalla reputazione, dai loro propri pensieri, dai loro propri desideri, per non avere più che quelli di Dio, per non pensare più che a Dio, per donarsi interamente a Dio, abbandonarsi nelle mani di Dio, per non avere più che gli interessi di Nostro Signore Gesù Cristo nei propri cuori e nelle proprie anime.

Allora, quando vanno in cappella davanti a Nostro Signore Gesù Cristo nel Santo Sacramento, le loro anime si elevano veramente da sole verso Dio, si danno interamente a Dio. Se per disgrazia le loro anime restassero attaccate, legate a tutti questi beni effimeri, che non sono nulla rispetto a Dio, alla Santissima Trinità, a Nostro Signore Gesù Cristo, esse non potrebbero elevarsi 51.

Riassumendo, lo scopo della spiritualità dei seminaristi è l’imitazione di Nostro Signore Gesù Cristo. E’ quello di ogni spiritualità, ma a maggior ragione per dei futuri sacerdoti. Ecco perché Nostro Signore Gesù Cristo deve essere l’oggetto della loro conoscenza, del loro studio, della loro meditazione, della loro orazione52.

Una fonte di grazie per tutto il seminario

Credo che l’anno di spiritualità sia molto importante per quelli che lo seguono, ma anche per tutto il seminario. In effetti, là dove l’anno di spiritualità è incorporato agli altri anni di seminario, esso non è, credo, ininfluente sugli altri anni, perché sarebbe inverosimile che si facesse un anno di spiritualità e dopo si dicesse: Dopo tutto, adesso il mio anno di spiritualità è finito, ho altro da fare che ricercare la pratica delle virtù. Ora devo studiare la filosofia, la teologia, il diritto canonico, la Sacra Scrittura, ecc. Ho abbastanza materie da studiare senza occuparmi ancora di questioni spirituali.

Eppure, è proprio quello che ho sentito. Una volta terminato il noviziato, ricevevo i membri della mia congregazione dei Padri dello Spirito Santo come superiore del seminario di filosofia a Mortain. Venivano per due anni e si sentivano abbastanza spesso queste riflessioni: “Oh! Non siamo più al noviziato. Allora adesso possiamo prendercela un po’ più comoda. Il noviziato è passato, è finito! Adesso è tempo di cose davvero serie, la filosofia e la teologia”.

Allora, sfortunatamente, si vedeva diminuire progressivamente il desiderio della perfezione, delle virtù, della pietà, cioè tutta la formazione spirituale. Così, si era meno spirituali quando si andava in seminario di teologia che quando si usciva dal noviziato53!

Veramente , l’anno di spiritualità unito agli anni di formazione più speculativa, più intellettuale, fa bene e ricorda a tutti lo scopo del seminario. Negli studi di filosofia, di teologia e di tutte le altre discipline si dovrebbe trovare di che mettere in pratica tutte le fonti della vita spirituale. La filosofia e la teologia sono scienze meravigliose, che dovrebbero portarci alla contemplazione, alla lode di Dio ed all’umiltà54.

Conclusione: un anno trascorso accanto a Dio

Quest’anno di spiritualità aiuta i seminaristi ad avvicinarsi al buon Dio. Come dice la famosa frase di san Tommaso, “più s’impara a conoscere Dio e più ci si accorge che Lo si conosce poco55”. In effetti, a mano che ci si avvicina, per quanto poco sia, alla grandezza di Dio, ci si accorge che Dio ci supera infinitamente, e contemplarLo faccia a faccia costituirà la gioia dell’eternità. Noi abbiamo fin da quaggiù una certa conoscenza di Dio, una visione di Dio, ma tuttavia Dio è ancora più grande di quanto pensiamo e possiamo immaginare. L’anno di spiritualità ben compiuto deve dunque contrassegnare la vita intera del futuro sacerdote56.

3. La filosofia e la teologia

Dopo aver sviluppato la vita interiore durante l’anno di spiritualità, il seminarista si dedica soprattutto, per due anni, alla filosofia. Poi tre anni di teologia tendono a costruire in lui la saggezza cristiana. Oltre alla formazione dell’intelligenza tramite questo sapere soprannaturale, la volontà del giovane chierico è fortificata dalla vita di comunità, che non è altro che una vita di fede e carità. Mons. Lefebvre invita i seminaristi a sintetizzare i loro studi con uno sguardo contemplativo su Nostro Signore e sul Santo Sacrificio della Messa, e a dare a Nostro Signore tutto il posto che merita nella loro vita imitando le Sue virtù.

Nostro Signore al centro degli studi



Cosa può caratterizzare l’atmosfera del seminario? E’ lo spirito di adorazione, lo spirito di dipendenza. Un vero seminario ci dà un’idea di cosa sia il Cielo, in adorazione, davanti a Dio, davanti a Nostro Signore Gesù Cristo che è Dio. L’atmosfera del seminario ci porta a quell’obbedienza dello spirito, della volontà, del cuore, a quella docilità che consente ai nostri spiriti di ricevere la verità di Nostro Signore Gesù Cristo57.

Per sei anni, i seminaristi studiano la scienza di Nostro Signore Gesù Cristo, “il mistero di Cristo” di cui parla così spesso san Paolo, con il desiderio di comunicarlo58. Che si tratti di filosofia, di teologia, di diritto canonico, di liturgia, tutto è riconducibile a Nostro Signore Gesù Cristo. E’ Lui al centro di tutti gli studi del seminario59.

Gli anni di seminario sono forse un po’ lunghi per i seminaristi. Molti potrebbero desiderare di abbreviarli per arrivare più in fretta all’ordinazione sacerdotale. Tuttavia devono sapere che sono loro profondamente utili. Hanno bisogno di meditare la Sacra Scrittura. Hanno bisogno di conoscere la Rivelazione fatta alle nazioni, “la Luce che deve dissipare le tenebre delle nazioni” (Lc 2,32), come dice il vecchio Simeone, e di approfondire le verità che Gesù è venuto ad insegnarci, e sei anni non sono troppi per prepararsi a predicare Nostro Signore Gesù Cristo60.

Per tutta la durata del seminario, i seminaristi riflettono su cosa sia l’eternità in confronto al tempo, su cosa sia lo spirito in confronto alla materia, in definitiva su cosa sia Dio in confronto alle povere creature che siamo. Riflettono, come diceva così bene la grande santa Caterina da Siena, “ su Colui che è tutto, e su colui che non è niente61”.

Nostro Signore è il nostro tutto e noi, noi non siamo niente perché siamo solo delle creature, e delle creature peccatrici. I seminaristi contemplano il grande amore di Nostro Signore Gesù Cristo per loro, questo amore immenso che li prepara a ricevere il dono del sacerdozio grazie alla sua Croce, al suo Sangue che li ha riscattati ed è stato dato loro con il battesimo, con tutti i sacramenti che hanno ricevuto, grazie immense!

Nella solitudine del seminario ed anche, direi, in mezzo al mondo, ma separati dal mondo, riflettono su queste cose perché la luce scenda su di loro. E questa luce, che cos’è se non Nostro Signore Gesù Cristo stesso? “Io sono la Luce del mondo” (Gv 8,12), dice Nostro Signore Gesù Cristo. Egli è “la Luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo” (Gv 1,9), san Giovanni lo dice nel suo prologo.

Anche San Luigi Maria Grignion de Monfort ha detto delle parole molto semplici , ma così suggestive: “Colui che conosce Nostro Signore Gesù Cristo sa tutto, anche se non sa nient’altro”. In compenso, dice, “colui che non conosce Nostro Signore Gesù Cristo, anche se conosce tutte le altre cose, non sa niente62. I seminaristi, da parte loro, fanno di tutto per conoscere Gesù Cristo, per amarLo, per servirLo. E’ la loro consolazione, la loro felicità, la loro gioia63.

San Paolo cerca questa “scienza del mistero di Nostro Signore Gesù Cristo”. Domanda perfino ai suoi fedeli di pregare per lui: “Pregate per noi affinché il Signore ci dia la possibilità di parlare, di predicare il mistero di Cristo e che io lo manifesti come bisogna parlarne” (Col 4, 3-4). E’ certo che san Paolo era come ossessionato dal mistero di Nostro Signore Gesù Cristo, lui che ha avuto il vantaggio di essere non solo convertito da Nostro Signore stesso, ma anche istruito direttamente da Lui. E’ lui a dirlo. Durante gli anni che ha trascorso nel deserto, “la rivelazione gli è stata data da Nostro Signore stesso” (Gal 1, 12; Ef 3, 3). Perciò ha questo desiderio di comunicare agli altri il mistero di Cristo. Bisogna dunque tentare di comprendere meglio chi sia Nostro Signore e, a questo proposito, c’è un pericolo nel considerarLo soprattutto come uomo trascurando di considerarLo come Dio. Gesù Cristo è Dio. Di conseguenza, conoscere il vero Dio, è conoscere Nostro Signore Gesù Cristo. Non si dovrebbero separare. Il Verbo di Dio ha assunto un corpo ed un’anima simile ai nostri, ed è venuto tra noi, ma non c’è disuguaglianza nelle persone divine. Nostro Signore quindi è pienamente Dio. Certo, è un grande mistero! Ed è pericoloso fare questa distinzione tra Dio e Gesù Cristo. D’altra parte, questo mistero, lo dobbiamo studiare con devozione, con pietà, per attaccarci di più a Nostro Signore Gesù Cristo e vedere quali siano le relazioni che dobbiamo avere con Lui e quelle che Egli vuole mantenere con noi. E’ soprattutto questo che interessa. Che cosa si aspetta Nostro Signore da noi? Che cosa vuole fare di noi Dio, in definitiva, grazie a Nostro Signore Gesù Cristo, poiché è da Lui che riceviamo ogni grazia64?

Un insegnamento sotto l’egida di san Tommaso



Tutta la filosofia canta la gloria di Nostro Signore Gesù Cristo, che ha creato le cose di questo mondo. La filosofia non è altro che la scoperta delle meraviglie che Dio ha fatto nel mondo, nel mondo materiale, nel mondo spirituale e nel mondo celeste, perché l’apice della filosofia, è la teodicea, è lo studio di Dio, di tutti gli attributi meravigliosi di Dio65. La teodicea ci fa conoscere il Creatore, Colui che è per se stesso, mentre noi non siamo che per Lui66. Il tutto di Dio ed il niente dell’uomo, è un soggetto di meditazione che i seminaristi dovranno seguire per tutta la vita e che dovranno manifestare al tempo stesso nella loro predicazione e nel loro comportamento. La filosofia in definitiva è quella luce del Verbo di Dio che illumina i seminaristi durante i propri studi.

Bisogna studiare e meditare le verità della filosofia alla luce della fede. In effetti, anche delle verità naturali sono oggetto di fede67. Le prime parole del Credo sono proprio delle parole che affermano delle verità della filosofia e quindi della ragione naturale: “Io credo in Dio, Creatore del Cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili”. La filosofia si riassume in questo. In definitiva, è tutta la teodicea68.

Dopo gli studi di filosofia, la teologia69 ci fa scoprire la Santissima Trinità, Nostro Signore, l’Incarnazione, la Redenzione, la Chiesa, i sacramenti: delle meraviglie che dovrebbero catturarci sempre di più ed aumentare la nostra carità70.

Che cose grandi, che cose belle, dovranno insegnare ai bambini ed ai fedeli i seminaristi, una volta diventati sacerdoti, per tutta la vita, la grandezza, la magnificenza della misericordia del buon Dio, della bontà di Dio per noi!

I seminaristi che si avvantaggiano dell’insegnamento tradizionale devono ringraziare Dio di far compiere loro questi studi sotto l’egida di san Tommaso d’Aquino, quel gran dottore che è stato posto a modello di scienza e di saggezza per tutti quelli che fanno degli studi ecclesiastici 71. Quando pensiamo a cosa siano oggi gli studi in molti seminari e anche nelle università cattoliche…

Essi dunque devono approfittare di questi anni di studi perché, più tardi, in mezzo alle loro occupazioni pastorali, non sarà loro quasi più possibile dedicarsi a questi libri 72.

Possiamo dire che tutti gli studi del seminario fanno comprendere meglio ai seminaristi Dio e Nostro Signore Gesù Cristo, che è Dio, e tutta la Redenzione. Tutta la teologia ruota intorno a Nostro Signore Gesù Cristo, alla sua Messa ed alla sua Croce. Tutta la filosofia è in qualche sorta il sostrato, il piedistallo su cui è elevato il Sacrificio della Messa. Tutti gli studi sono orientati in questo senso. La sintesi della formazione dei seminaristi durante i loro anni di studio, è l’altare, è il Sacrificio della Messa 73.

Una vita con Nostro Signore ed una scuola di carità



Durante gli anni di seminario, i seminaristi hanno la grazia insigne di vivere sotto lo stesso tetto di Nostro Signore Gesù Cristo. Di conseguenza possono avvicinarlo come facevano Maria e Giuseppe, nel silenzio, nel raccoglimento, nello spirito di preghiera che deve regnare in seminario. Nelle loro orazioni, nei canti liturgici, in tutte le loro cerimonie, imparano a conoscerLo e ad amarLo sempre un po’ di più. Lo avvicinano in modo particolare anche tramite i sacramenti che ricevono, il sacramento della penitenza e quello dell’Eucaristia. Rispetto agli altri fedeli hanno anche il vantaggio di potersi dedicare più a lungo alle Scritture, a tutto l’insegnamento della Chiesa, per capire meglio il posto che Nostro Signore deve occupare nella loro vita74.Così devono ringraziare Dio che offra loro queste grazie e che li abbia scelti per essere suoi intimi amici75.

Se si avvicinano a Nostro Signore, è per portarLo al mondo. Sono chiamati ad essere missionari per natura, per essenza, perché il sacerdote porta Colui che è la luce delle nostre intelligenze, il calore dei nostri cuori ed il motore delle nostre volontà.

Questa luce, deve innanzitutto risiedere nella loro intelligenza con il sapere che acquisiscono in seminario. Tuttavia, hanno da acquisire non soltanto la scienza ed una fede profonda in Nostro Signore Gesù Cristo, unica salvezza del mondo (secondo Lc 2, 30-31), come ha proclamato il vecchio Simeone, ma hanno ugualmente bisogno di infiammare i loro cuori con la carità di Nostro Signore Gesù Cristo.

La carità si acquista con degli sforzi costanti e con una preghiera assidua rivolta a Nostro Signore. Noi non possiamo sperare di ricevere tutte le grazie che ci trasformano nella carità di Nostro Signore senza pregare, senza fare orazione, senza domandarle a Nostro Signore Gesù Cristo.

Ecco perché i seminaristi amano raccogliersi in cappella vicino a Nostro Signore, per domandarGli le grazie e tutte le virtù che sono espressione di carità. Così, saranno la luce del mondo, non solo con le parole, ma anche con l’esempio. E’ proprio quello che dicono le preghiere delle ordinazioni che li avvicinano poco a poco al sacerdozio.

Con il loro esempio devono essere la luce del mondo. Devono irradiare le virtù di Nostro Signore Gesù Cristo, mostrarle al mondo. Ora, per riuscirvi, il cammino è lungo e forse faticoso e difficile. I seminaristi devono allora ricordarsi quel capitolo di san Paolo ai Corinti che elogia la carità (1 Cor 13). Dovrebbero conoscere a memoria le caratteristiche della carità menzionate da san Paolo: la carità è paziente, la carità sopporta tutto, crede tutto, gioisce quando è proclamata la verità. Noi dobbiamo avere questa carità nei nostri cuori per rappresentare veramente ciò che Nostro Signore Gesù Cristo è venuto a portare al mondo76.

I seminaristi sono in seminario per preparare la loro vita eterna e quella di coloro ai quali saranno inviati. La vita eterna consiste nel conoscere Dio e Colui che Egli ha mandato, Nostro Signore Gesù Cristo (Gn 17,3). Ecco perché Nostro Signore Gesù Cristo è l’oggetto di tutti i loro studi, di tutti i loro sforzi in seminario. E’ tutto lì. Gesù Cristo è la grande rivelazione per noi, rivelazione cominciata quaggiù in terra con il catechismo, con i sacramenti, con la preghiera, e soprattutto con la santissima Messa, con la santa Comunione. La Rivelazione sarà al suo apice quando vedremo Dio in Cielo. Noi prepariamo quaggiù questa visione che ci renderà felici per l’eternità 77.

Santità e sacerdozio, p.18 e ss.





26 Omelia, Écône, 2 febbraio 1980.

27 Regola di san Benedetto, c. 60.

28 Dalla regola di san Benedetto, c. 58.

29 Conferenza spirituale, Écône, 27 gennaio 1975.

30 Somma teologica, I,q. 43,a. 5,ad 2; I,q.64,a.1.

31 Conferenza spirituale, Écône, 27 gennaio 1975.

32 Conferenza spirituale, Écône, 3 novembre 1977.

33 “Perciò la Chiesa ansiosamente e sopra ogni cosa vuole che nei Seminari si pongano solide fondamenta alla santità che il ministro di Dio dovrà poi sviluppare e praticare per tutta la vita” (Pio XII, Menti nostræ).

34 San Bernardo, Trattato dell’Amore di Dio, c.1.

35 In medio stat virus (Aristotele, 2 Ethic.6; Somma teologica, I-II, q.64,a.1).

36 “Non si può mai amare Dio quanto deve essere amato, né credere o sperare in lui quanto si deve” (Somma teologica, I-II, q.64, a.4).

37 Conferenza spirituale, Écône, 3 novembre 1977.

38 Somma teologica, II-II, q.82, a.2, ad 1.

39 Allegro pede.

40 Vedi la regola di san Benedetto, c.5.

41 Papa Pio XII insiste anch’egli sull’importanza della virtù d’obbedienza: “E' necessario che i giovani acquistino lo spirito di obbedienza abituandosi a sottomettere sinceramente la propria volontà a quella di Dio, manifestata attraverso la legittima autorità dei Superiori. Nulla mai si dovrà lamentare nella condotta del futuro Sacerdote che non sia conforme ai voleri divini. Questa obbedienza sia sempre ispirata al modello perfetto del Divino Maestro, che in terra ebbe un solo ed unico programma: " Fare, o Dio, la tua volontà " (Eb 10,7). Pio XII, Menti nostræ).

42 Omelia, Écône, 7 aprile 1984.

43 Conferenza spirituale, Écône, 27 gennaio 1975.

44 “Per esercitare convenientemente il ministero dell’Ordine, non è richiesta solamente una virtù qualunque, bensì una virtù eminente. Coloro che ricevono il sacramento dell’ordine sono, per questo, istituiti al di sopra del popolo; devono quindi anche essere i primi per merito e santità” (Somma teologica, Suppl. q.35, a.1, ad 3).

45 Conferenza spirituale, Écône, 25 gennaio 1982.

46 Omelia, Écône, Pentecoste, 1974.

47 Conferenza spirituale, Écône, 3 giugno 1980.

48 Somma teologica, I, q. 84,a.6.

49 “Preghiamo Nostro Signore Gesù Cristo per i suoi servitori (…); che doni loro il suo Santo Spirito, per far loro conservare sempre l’abito clericale e difendere il proprio cuore dalle preoccupazioni del secolo e dai desideri mondani; affinché con questo cambiamento esteriore la sua mano divina dia loro un aumento di virtù, conservi i loro occhi da ogni accecamento dello spirito e della carne, e conceda loro la luce dell’eterna grazia” (pontificale romano, prima orazione della tonsura).

50 Ritiro di tonsura, Ėcône, 1° febbraio 1984.

51 Omelia, Ėcône, Pentecoste 1974.

52 Conferenza spirituale, Ėcône, 30 novembre 1987.

53 Conferenza spirituale, Ėcône, 3 giugno 1980.

54 Conferenza spirituale, Ėcône, 3 novembre 1980.

55 “In questa vita, la nostra conoscenza di Dio è tanto più perfetta quanto più la nostra intelligenza capisce che Egli supera tutto ciò che l’intelligenza può comprendere” (Somma teologica, I,II, q. 8, a. 7). “La più elevata conoscenza che possiamo avere di Dio quaggiù consiste nel riconoscere che Egli è al di sopra di tutto quello che pensiamo di Lui” (De veritate, 2, 1, ad 9).

56 Omelia, Ėcône, Pentecoste 1974.

57 Omelia, Ėcône, 29 giugno 1988.

58 Vedi Rm 16,25; Ep 1,9; Col 1,27.

59 Omelia, Zaitzkofen, 7 luglio 1985.

60 Omelia, Ėcône, 2 febbraio 1976.

61 Raimondo di Capua, Vita di santa Caterina da Siena, c.10.

62 Qui scit Christum omnia scit etiam si cætera nescit. (…) Qui nescit Christum etiam si cætera scit nihil scit ( da sant’Agsotino, Confessioni, c.4, § 7, PL 32, col. 708-709, citato da san Luigi Maria Grignion de Monfort, L’amour de la sagesse éternelle, c.1, § 11, Ėditions du Seuil, 1966, p.20).

63 Omelia, Ėcône, 2 febbraio 1980.

64 Conferenza spirituale, Ėcône, 30 novembre 1987.

65 Omelia, Ėcône, 2 febbraio 1985.

66 Dio è l’Essere per sé, ens a se, l’Essere stesso sussistente, l’Essere in cui si confondono essenza ed esistenza, è l’atto di esistere assolutamente indipendente. L’uomo, essendo una creatura, è un ens ab alio, ha ricevuto la sua esistenza ed è mantenuto in esistenza solo da Dio.

67 L’esistenza di Dio così come i suoi attributi tali l’unità o la semplicità possono essere indotti a partire dalla ragione ma possono anche essere contemplati alla luce della fede.

68 Omelia, Ėcône, 15 marzo 1986.

69 “La teologia di san Tommaso tende a farci vivere intimamente in Dio” (Pio XI, Studiorum ducem, 29 giugno 1923).

70 Conferenza spirituale, Ėcône, 3 novembre 1980.

71 Leone XIII, Æterni patris, 4 agosto 1879; san Pio X, Pascendi, 8 settembre 1907 e Doctoris Angelici, 29 giugno 1914; Pio XI, Studiorum ducem: “La guida degli studi che deve seguire, nelle scienze più elevate, la gioventù clericale, è san Tommaso d’Aquino”; CIC, can. 1366.

72 Omelia, Ėcône, 15 marzo 1986.

73 Conferenza spirituale, Ėcône, 30 maggio 1971.

74 “Pertanto sia posta ogni cura nel formare i giovani alla vita interiore, che è la vita dello spirito e secondo lo spirito: che essi compiano tutto alla luce della fede ed in unione con Cristo, convinti che questo è un grave dovere di coscienza che incombe a chi un giorno dovrà ricevere il carattere sacerdotale e rappresentare il Divino Maestro nella Chiesa. La vita interiore sarà per i Seminaristi il mezzo più efficace per acquistare le virtù sacerdotali, la forza spontanea proveniente da intima persuasione che fa superare le difficoltà e spinge alla realizzazione dei santi propositi.” (Pio XII, Menti nostræ).

75 Omelia, Albano, 25 marzo 1980.

76 Omelia, Ėcône, 2 febbraio 1976.

77 Omelia, Ėcône, 2 febbraio 1985.

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