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Lo strano pontificato di papa Francesco Parte I



Articolo di Alejandro Sosa Laprida 

Come cattolico, vedermi obbligato ad esprimere delle critiche nei confronti del Papa, mi risulta sommamente doloroso. La verità è che sarei molto felice se la situazione della Chiesa fosse normale e che quindi non ci sarebbe motivo alcuno per formularle.

Sfortunatamente, ci troviamo di fronte al fatto innegabile che Francesco, in un solo anno di pontificato, ha consumato innumerevoli gesti atipici e ha fatto una serie di dichiarazioni innovative e peraltro preoccupanti.


I fatti in questione sono talmente numerosi che diventa impossibile trattarli tutti nei limiti necessariamente ristretti di questo articolo. Al tempo stesso, non è facile limitarsi a considerarne solo alcuni, visto che sono tutti portatori di una carica simbolica che li rende inauditi agli occhi dell’osservatore attento, e sintomatici di una situazione ecclesiale senza precedenti nella storia.

Dopo una sofferta riflessione, ne ho scelti cinque che mi sembrano indicare meglio il tono generale che è possibile cogliere in questo nuovo pontificato.

Questi fatti attengono a cinque temi differenti: l’Islam, il giudaismo, la laicità, l’omosessualismo e la massoneria. Dopo averli esposti in quest’ordine, cercando di mostrare in che modo sono indicatori di un’inquietante anomalia nell’esercizio del magistero e della pastorale ecclesiali, esporrò in maniera molto succinta un’altra serie di detti e fatti che permetteranno di illustrare ulteriormente, se possibile, la radicale eterodossia che caratterizza i principii e la prassi bergogliane. Infine, fornirò un elenco di collegamenti ad articoli di stampa nei quali il lettore potrà verificare l’esattezza dei fatti riferiti nel corso dell’articolo.


I. La questione dell’Islam




Il 10 luglio del 2013, Francesco ha inviato ai musulmani di tutto il mondo un messaggio di felicitazioni per la fine del Ramadan. Dobbiamo precisare che si tratta di un gesto che non s’è mai verificato nella Chiesa Cattolica prima del concilio Vaticano II. La ragione è molto semplice, e sicuramente ben nota a qualsiasi cattolico che non abbia perso completamente il sensus fidei: gli atti delle altre religioni mancano di valore soprannaturale e, oggettivamente considerati, non possono che alienare ai suoi seguaci l’unica via di salvezza: Nostro Signore Gesù Cristo.


Come non rabbrividire di orrore nell’ascoltare Francesco che dice agli adoratori di “Allah” che «siamo chiamati a rispettare la religione dell’altro, i suoi insegnamenti, i suoi simboli e i suoi valori»?

È impossibile non vedere il divario incolmabile che esiste tra questa dichiarazione e quello che insegnano gli Atti degli Apostoli e le Epistole di San Paolo… Che si debbano rispettare le persone che praticano i falsi culti, è cosa scontata e che nessuno contesta, ma che si promuova il rispetto per le false credenze che negano la Santissima Trinità delle Persone Divine e l’Incarnazione del Verbo di Dio, è cosa del tutto insostenibile in base al magistero ecclesiastico e alla Rivelazione divina.


Tuttavia, si deve riconoscere che su questo punto non si può indicare Francesco come un innovatore, visto che non fa altro che proseguire sulla linea rivoluzionaria introdotta dal concilio Vaticano II, che pretende, nella dichiarazione Nostra Aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane (induismo, buddismo, islam e giudaismo), che «La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo [!!!] in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine […], perciò esorta i suoi figli affinché, […] per mezzo del dialogo e della collaborazione [!!!] con i seguaci delle altre religioni, […] riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in esse.»

Parole che suscitano stupore, visto che è palesemente assurdo che si debba “collaborare” con gente che lavora attivamente per instaurare credenze e costumi contrarii a quelle del Vangelo. Come non vedere in questo famigerato “dialogo” una profonda distorsione dell’unica attitudine del Vangelo, che è annunciare al mondo la Buona Novella di Gesù Cristo, che ci ha detto chiaramente quello che siamo tenuti a fare come discepoli: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt. 28, 18-20).

Questa nozione di “dialogo” con le altre religioni è priva di qualsiasi fondamento biblico, patristico e magisteriale e di fatto non è altro che un’impostura volta a distorcere il vero spirito missionario, che è quello di annunciare agli uomini la salvezza in Gesù Cristo, e in nessun modo un utopico “dialogo” tra interlocutori posti su un piano di parità, che si arricchirebbero reciprocamente e pretenderebbero di cercare insieme la verità. Questa innovativa pastorale conciliare, fondata su un “dialogo” inscritto in un contesto di “legittimo pluralismo”, di “rispetto” per le false religioni e di “collaborazione” con gli infedeli, non è altro che una perfida trappola tesa dal nemico del genere umano per neutralizzare l’opera redentrice della Chiesa.

A questo proposito, basti citare l’unica situazione di autentico “dialogo” riportata dalle Scritture, per di più proprio all’inizio, per considerarsi definitivamente avvisati sul suo carattere intrinsecamente viziato: è il “dialogo” al quale si prestò Eva nel Giardino dell’Eden con il serpente e che ha portato alla caduta del genere umano (Gen. 3, 1-6). Si potrebbe fare un elenco interminabile di citazioni del Nuovo Testamento, dei Santi Padri e del magistero della Chiesa per confutare la bufala secondo cui i falsi culti dovrebbero essere oggetto di un «sincero rispetto» per i loro «modi di agire e di vivere», per i loro «precetti e … dottrine», e per dimostrare che, a differenza delle persone che le professano e che naturalmente debbono essere oggetto del nostro rispetto, della nostra carità e della nostra misericordia, tali false dottrine religiose non meritano alcun “rispetto” e che in esse non si incontra alcun elemento di “santità”, e che gli elementi di verità che possono contenere sono ordinati al servizio dell’errore.

Si deve riconoscere che, nel suo messaggio, Francesco è perfettamente coerente con quello che dice il documento conciliare nei confronti dei musulmani, e cioè che «La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l'unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio».

Ora, qualunque sia la sincerità dei maomettani nella credenza e nella pratica della loro religione, è del tutto falso sostenere che «adorano l’unico Dio … che ha parlato agli uomini» e che «cercano di sottomettersi… ai decreti di Dio», e questo per la semplice ragione che “Allah” non è il vero Dio, che Dio non ha parlato agli uomini attraverso il Corano e che i suoi decreti non sono l’Islam.

Si tratta di un linguaggio inedito nella storia della Chiesa, che contraddice venti secoli di magistero e di pastorale ecclesiali. Questa pratica eterodossa ha condotto ai molteplici incontri interreligiosi di Assisi, dove si sono incoraggiati i membri dei diversi culti idolatri a pregare le loro “divinità” per ottenere “la pace nel mondo”. Falsa pace, naturalmente, dal momento che si perseguirebbe ingiuriando l’unico Signore della Pace e Redentore del genere umano, nonché la Sua Chiesa, unica Arca di Salvezza. E questa ingannevole nozione di “dialogo”, ha condotto anche gli ultimi pontefici nelle moschee, nelle sinagoghe e nei templi protestanti, dove, con i gesti e le parole, hanno messo in risalto questi falsi culti e non hanno esitato a denigrare pubblicamente la Chiesa di Dio criticando l’attitudine “intollerante” che essa avrebbe tenuto nei loro confronti.



Ecco un esempio recente di questa nuova mentalità ecumenica malsana, sincretista e relativista, solennemente condannata da Pio XI nella sua enciclica Mortalium Animos del 1928.

Il 19 gennaio, in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, Francesco si è rivolto ad un centinaio di giovani rifugiati, in una sala della parrocchia del Sacro Cuore di Gesù, a Roma, dicendo che è necessario condividere l’esperienza della sofferenza e che «coloro che sono cristiani lo facciano con la Bibbia e coloro che sono musulmani lo facciano col Corano [!!!]. La fede che i vostri padri vi hanno inculcato vi aiuterà sempre ad andare avanti».

Questa nuova prassi conciliare è francamente scandalosa, per un duplice motivo: da un lato, mina la fede dei fedeli che devono confrontarsi che queste false religioni valorizzate dai loro pastori; dall’altro, vanifica le possibilità di conversione degli infedeli che si vedono confortati nei loro errori proprio da coloro che dovrebbero aiutarli a liberarsene con l’annuncio della Buona Novella della salvezza, ricevuta da Colui che dice: «Io sono la Via, la Verità, la Vita» (Gv. 14, 6).

II. La questione del giudaismo




La prima lettera ufficiale Francesco l’ha inviata, lo stesso giorno della sua elezione, al gran rabbino capo di Roma. Fatto quanto mai sorprendente. La prima lettera del suo pontificato inviata agli Ebrei!

Forse che tale decisione avrà obbedito ad un lodevole imperativo evangelizzatore, e cioè alla chiara proclamazione del Vangelo, destinata a curarli della loro tremenda cecità spirituale; al solenne invito a riconoscere finalmente Gesù di Nazareth come il loro Messia e Salvatore?

Niente di tutto questo! Francesco evoca la «protezione dell’Altissimo», - formula convenzionale e priva di contenuto, destinata a occultare le insanabili divergenze teologiche che separano la Chiesa dalla Sinagoga -, per «poter contribuire al progresso» delle relazioni tra ebrei a cattolici «in uno spirito di rinnovata collaborazione e al servizio di un mondo che possa essere sempre più in armonia con la volontà del Creatore».

Ci sono due domande che un attento lettore non può evitare di porsi.

La prima è: come può concepirsi uno «spirito di rinnovata collaborazione» con un nemico che ha un solo obiettivo in mente: la scomparsa del cristianesimo, e questo per quasi duemila anni?

In quale cervello può albergare l’assurdità secondo cui gli Ebrei vorrebbero aiutare la Chiesa fondata, secondo loro, da un impostore, un falso messia, che rappresenta il principale ostacolo all’avvento di quello che essi attendono?

A proposito di quest’ultimo, Nostro Signore li avvertì: «Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste» (Gv. 5, 43). Terribile profezia che San Gerolamo commenta dicendo che «gli Ebrei, dopo aver disprezzato la verità in persona, accetteranno la menzogna accogliendo l’Anticristo» (Ep. 151, ad Algasiam, quest . II); e Sant’Ambrogio aggiunge: «questo mostra come gli Ebrei, che non vollero credere in Gesù Cristo, crederanno nell’Anticristo» (in Psalmo XLIII).

Ora che l’ostacolo politico rappresentato dalla Cristianità è stato rimosso dall’onda rivoluzionaria, assistiamo alla soppressione progressiva dell’ostacolo religioso, cioè del papato, aggredito da più di cinquant’anni dal virus della modernità rivoluzionaria: questo ostacolo alla manifestazione dell’«uomo dell’iniquità», questo misterioso katechon di cui parla San Paolo (2 Ts. 2, 7), che ne ritarda la venuta e che secondo la tradizione esegetica non è altro che il potere spirituale romano, il papato. Solo quando questo ostacolo sarà rimosso «sarà rivelato l’empio» (2 Ts. 2, 8).

La penetrazione delle idee rivoluzionarie a Roma non è affatto una questione di fantasie complottiste, né il risultato di una fervida immaginazione: quelli che lavorarono attivamente per realizzare l’aggiornamento della Chiesa, al fine di adattarla al mondo moderno, ammettono senza remore che fu questo l’obiettivo principale del concilio Vaticano II, la sua «linea direttiva» (Paolo VI,Ecclesiam suam, 1964, n° 52).

Così il cardinale Suenens non usava mezzi termini: «Il Vaticano II è 1789 nella Chiesa» (Citato da Mons. Lefebvre in Ils l’ont découronné, Clovis, 2009, p 10 [Lo hanno detronizzato, ed. Amicizia Cristiana, 2009]); sono le parole di una delle figure più rilevanti dell’ultimo Concilio: uno dei quattro moderatori nominati da Paolo VI.

Padre Yves Congar (o.p.), nominato da Giovanni XXIII, nel 1960, consultore della Commissione Teologica Preparatoria e nel 1962, esperto ufficiale in Concilio, dove fu anche membro della citataCommissione Teologica, è stato senza dubbio alcuno il teologo più influente dell’assemblea conciliare, insieme al gesuita Karl Rahner. Il famoso domenicano, riferendosi alla collegialità episcopale, dichiarò che nel Concilio, «la Chiesa aveva effettuato pacificamente la sua rivoluzione d’ottobre» (Vatican II. Le concile au jour le jour, deuxième session, Cerf, p. 115); riconobbe che la dichiarazione Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa dice «materialmente tutt’altro dalSyllabus del 1864, e anche quasi il contrario» (La crise dans l’Eglise et Mgr. Lefebvre, Cerf, 1976, p. 51); ammise che in questo testo, al quale aveva lavorato, «si trattava di dimostrare che il tema della libertà religiosa fosse presente nella Scrittura, e invece non lo era» (Eric Vatré, La droite du Père, ed. Guy Trédaniel, 1995, p. 118).

E secondo il cardinale Ratzinger «il problema degli anni sessanta era di acquisire i migliori valori dei due secoli di cultura liberale. Sono infatti dei valori che, anche se nati fuori dalla Chiesa, possono trovare il loro posto, epurati e corretti, nella sua visione del mondo. È quello che è stato fatto.» («Pourquoi la foi est en crise», entretien avec Vittorio Messori, Jesus, novembre 1984, p. 72. [Cfr: Rapporto sulla fede, Vittorio Messori a colloquio con Joseph Ratzinger, Ed. Paoline,1985, p. 34]). Lo stesso che, a proposito della Costituzione pastorale Gaudium et Spes sulle relazioni della Chiesa col mondo moderno, non ha esitato ad affermare che questo testo «giuoca il ruolo di contro-Syllabus, nella misura in cui rappresenta un tentativo di riconciliazione ufficiale della Chiesa col mondo com’era divenuto dopo il 1789» (Les Principes de la théologie catholique, Téqui, 1987, p. 427).

La seconda domanda che sorge a proposito della lettera inviata da Francesco al rabbino capo di Roma è la seguente: Come si può concepire che una falsa religione (il giudaismo talmudico, corruzione del giudaismo vetero-testamentario) strutturata in base al rifiuto, alla condanna e all’odio per Gesù Cristo, possa essere «al servizio di un mondo che possa essere sempre più in armonia con la volontà del Creatore»?

Presunzione assurda che non merita commento… Ma che naturalmente si trova in perfetta armonia con la modifica della preghiera del Venerdì Santo per gli Ebrei, che Giovanni XXIII si affrettò ad effettuare nel marzo 1959, appena quattro mesi dopo la sua elezione, sopprimendo i termini “perfidi” e “perfidia” applicati agli Ebrei; preghiera che Paolo VI soppresse definitivamente nel nuovo Messale approvato nell’aprile del 1969 e promulgato nel 1970.

Ecco la nuova preghiera che si trova oggi in questo Messale: «Preghiamo per gli Ebrei: il Signore Dio nostro, che li scelse primi fra tutti gli uomini ad accogliere la sua parola, li aiuti a progredire sempre nell’amore del suo nome e nella fedeltà alla sua alleanza».

Preghiera a proposito della quale si possono avanzare diverse osservazioni:

1. Non si menziona la necessità della loro conversione a Gesù Cristo;

2. La presenza del termine “alleanza” insinua che la “vecchia” alleanza sarebbe ancora in vigore;

3. Ogni “progresso” nell’amore per qualcuno implica che già l’amore ci sia; ma allora, come potrebbero “progredire” nell’amore per il Padre se negano il Figlio?

4. E come potrebbero “progredire” nella “fedeltà alla sua alleanza” se si ostinano a rifiutare Gesù Cristo, sacerdote perfetto e agnello senza macchia, che ha sigillato una Nuova Alleanza fra Dio e gli uomini, immolandosi sulla Croce?

La conclusione va da sé: siamo di fronte ad una nuova teologia che segna una rottura di fondo con quella che è stata in vigore nella Chiesa dalle sue origini al concilio Vaticano II, e che la vecchia preghiera per la conversione degli Ebrei, rimossa dalla liturgia latina, esprimeva in maniera luminosa: «Preghiamo anche per i perfidi Giudei affinché Dio nostro Signore tolga il velo dai loro cuori e riconoscano anch’essi Gesù Cristo, Signore nostro. (…) Dio onnipotente ed eterno, che non ricusi la tua misericordia neppure alla perfidia giudaica (judaicam perfidiam), degnati esaudire le preghiere che ti rivolgiamo per l’accecamento di questo popolo, affinché riconosciuta la luce della tua verità, che è Cristo, siano liberati dalle loro tenebre.»

Il contrasto con la nuova preghiera è sorprendente, tanto quanto lo è con il discorso di Giovanni Paolo II nella sinagoga di Roma nell’aprile del 1986, in cui elogiò la «legittima pluralità religiosa» e affermò che dobbiamo sforzarci «per rimuovere ogni forma di pregiudizio (...) al fine di presentare il vero volto degli Ebrei e dell’ebraismo.»

“Pregiudizio” che la vecchia preghiera del Venerdì Santo esprimeva in maniera globale, il che spiega certamente la sua scomparsa dalla nuova liturgia… Ma non si può negare che questo costituisca un enorme problema, perché, come recita il celebre adagio del V secolo attribuito a Papa San Celestino I: 
lex orandi, lex credendi, la legge della preghiera determina la legge della fede, vale a dire che modificando il contenuto dell’orazione, può modificarsi insieme il contenuto della Fede. E lo dimostra a sufficienza ciò che è accaduto nel XVI secolo in seguito delle innovazioni liturgiche di Lutero in Germania e di Cranmer in Inghilterra.
Disgraziatamente, l’episodio della lettera inviata da Francesco al rabbino di Roma nel giorno della sua elezione, non è finito lì: dodici giorni dopo Francesco ha inviato una seconda lettera al rabbino, questa volta in occasione della Pasqua giudaica: «Mi è particolarmente gradito estendere a Lei e a tutta la comunità di Roma gli auguri più fervidi per la grande festa di Pesach».

Cosa che non manca di suscitare una domanda inevitabile: secondo un’ottica cattolica, quale può essere la natura di questi “auguri” a proposito di una celebrazione nella quale si oltraggia Gesù Cristo, unico e vero Agnello Pasquale immolato sulla Croce in redenzione dei nostri peccati?

Perché tali “auguri” possono solo confermare gli Ebrei nella loro cecità spirituale, mantenendoli quindi lontani dal loro Messia e Salvatore, cosa questa che è quanto meno paradossale, provenendo da un Sommo Pontefice. Che prosegue dicendo: «La memoria della liberazione dall’oppressione per mezzo del braccio potente del Signore ispiri pensieri di misericordia, di riconciliazione e di fraterna vicinanza a tutti coloro che soffrono sotto il peso di nuove schiavitù. …mentre assicuro il mio ricordo, invocando dall’Altissimo copiose benedizioni.»

Parole estremamente imbarazzanti, visto che Dio non li ha liberati affatto da ogni male, poiché non esiste male più grande dell’essere considerati «nemici del Vangelo» (Rm. 11, 28) e del far parte della «Sinagoga di Satana» (Ap. 3, 9).

Come si può concepire che Dio possa concedere loro “copiose benedizioni” quando continuano a rigettare con ostinazione Colui che Egli ha inviato?

A questo punto, per evitare ogni tipo di fraintendimento, voglio precisare che non ce l’ho in alcun modo con gli Ebrei in maniera personale, dal momento che non dubito che ci sono delle eccellenti persone che professano le loro credenze in buona fede. Nel riferirmi agli Ebrei intendo pormi sul piano dei principii teologici, l’unico pertinente su questa questione. E su questo piano si verifica un’inimicizia irriducibile fra la Chiesa, che cerca di stabilire il Regno di Gesù Cristo nella società, e il giudaismo talmudico, il quale, essendosi strutturato in opposizione a Gesù Cristo e alla Chiesa, cerca di ostacolare la sua missione evangelizzatrice, in totale coerenza con la sua teologia che non gli permette di vedere in Gesù di Nazareth niente più che un impostore e un blasfemo, un falso messia che impedisce la venuta del vero messia, a cui esso guarda ansiosamente in vista della restaurazione del regno di Israele e del reggimento delle nazioni da Gerusalemme, convertita nella capitale del suo regno messianico mondiale.

Quindi non si tratta affatto di “razzismo”, né di un presunto “antisemitismo” concettualmente assurdo, secondo l’usurata cantilena che non smettono di intonare

all’unisono e ad alta voce i mediatici creatori d’opinione, quando qualcuno osa affrontare la questione; autentica polizia ideologica del sistema mondialista, dedita a distogliere l’attenzione dal vero problema costituito dal giudaismo talmudico e sionista la cui indole è strettamente teologica, anche se da questo conseguono necessariamente conseguenze politiche, economiche e culturali.

Fatta questa precisazione, torniamo alla lettera di Francesco che conclude dicendo: «La prego di pregare per me e le garantisco la mia preghiera, con la fiducia di poter approfondire i legami di stima e di amicizia reciproca.»

Siamo costretti a constatare che qui arriviamo al colmo dell’assurdo. Com’è possibile immaginare che la preghiera di coloro che, secondo San Giovanni, sono sotto l’imperio di Satana, possa essere accolta da Dio? Logicamente, se gli Ebrei accettassero di pregare per il Papa, cosa inimmaginabile considerando che la sua missione si oppone diametralmente alla loro, sarebbero obbligati a chiedere la sua apostasia dal cristianesimo e la sua conversione al giudaismo.

È come se Francesco stesse chiedendo implicitamente nientemeno che pregare perché egli possa rifiutare Cristo, esattamente come fanno loro!

In verità, se non si trattasse di una questione di una gravità inaudita, per le sue incongruenze e le sue grottesche implicazioni ci troveremmo al cospetto di una gag esilarante.

E questo senza considerare i legami di «amicizia reciproca», la cui incoerenza non è meno evidente della prima. Ci spieghiamo: un amico è un alter ego, un altro me stesso, tale che la vera amicizia non è praticabile se gli amici non possiedono una corrispondenza di pensiero, di sentimento e di obiettivi che renda possibile la comunione degli spiriti. Ebbene, i pensieri e le azioni della Chiesa e della Sinagoga, come già detto, sono diametralmente opposti, i loro progetti sono incompatibili, e l’opposizione esistente tra di essi è radicale, tale che fino a quando gli Ebrei non avranno accettato Cristo come loro Messia e Salvatore, l’inimicizia tra le due parti perdurerà irriducibile, per evidenti motivi teologici, della stessa irriducibilità che esiste fra la luce e le tenebre, fra Dio e Santana, fra Cristo e l’Anticristo…

Con questo genere di desiderii entriamo tranquillamente nel campo dell’utopia, della sentimentalità umanistica, della negazione della realtà e, soprattutto, nella falsificazione del linguaggio e nella perversione dei concetti: piombiamo in pieno nell’ambito dell’illusione, della manipolazione intellettuale e della menzogna. Menzogna di cui sappiamo infallibilmente chi è il padre…


Monsignor Jorge Mario Bergoglio, quand’era arcivescovo di Buenos Aires e cardinale primate dell’Argentina, aveva già la particolarissima abitudine di accedere regolarmente alle sinagoghe per partecipare ad incontri ecumenici, l’ultimo dei quali risale solo al 12 dicembre 2012, appena tre mesi prima della sua elezione, in occasione della celebrazione dell’Hanukkah, la festa delle luci, dove ogni sera, per otto giorni consecutivi, si accende una candela di un candelabro a nove braccia; liturgia il cui significato, da un punto di vista spirituale, è l’espansione del culto ebraico. Il cardinale Bergoglio partecipò attivamente alla cerimonia del quinto giorno, accendendo la candela corrispondente.

Inutile dire che un evento simile non si era mai verificato nella storia della Chiesa e costituisce un fatto estremamente inquietante. Anche se non meno inquietante è il fatto che questo tipo di gesti scandalosi passano del tutto inosservati per la stragrande maggioranza dei cattolici, profondamente dormiente, imbevuta com’è del pensiero rivoluzionario che mina la Fede e indebolisce il sensus fidei dei credenti, ormai assuefatti all’ideologia pluralista, umanista, ecumenica, democratica e diritto-umanista che i pastori inculcano loro senza sosta da oltre mezzo secolo; ideologia che è totalmente estranea al deposito della Rivelazione e che è diventata il leitmotiv dei discorsi ufficiali della gerarchia ecclesiastica a partire dal Vaticano II.

Per concludere con questo punto, ecco un piccolo estratto di ciò che Francesco ha detto agli Ebrei in un’altra sinagoga di Buenos Aires, Bnei Tikva Slijot, nel settembre 2007, durante la sua partecipazione alla cerimonia del Rosh Hashanah, il capodanno ebraico: «oggi, in questa sinagoga, prendiamo nuovamente coscienza di essere popolo in cammino (???) e ci poniamo alla presenza di Dio. Arrestiamo il nostro cammino per guardare a Dio e contemplarLo».

Quale interpretazione si potrà mai dare al “noi” usato da Francesco?

Quale realtà ha inteso indicare usando la parola “Dio”?

In ogni caso, tenuto conto del contesto, non poteva designare Dio Padre, perché è risaputo che gli Ebrei rifiutano il Figlio; e come ha detto Nostro Signore: «Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; … voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. … Chi è da Dio ascolta le parole di Dio: per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio» (Gv. 8, 42-47).

Fatto ancora più sorprendente: in tutto il suo ampio discorso pronunciato in questa sinagoga della capitale argentina, Mons. Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, cardinale primate argentino, non si è degnato di pronunciare una sola volta il Santo Nome di Gesù…


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