Quando un Postulante come direttore spirituale e a modelli da seguire ha dei santi non può che diventare Santo.
Altare che custodisce l'urna con il corpo incorrotto di S. Antonino, Basilica di S. Marco, Cappella Salviati o di S. Antonino, Firenze |
Nacque a Firenze nel 1389. Papa Eugenio IV, lo elesse Arcivescovo di Firenze. Non ebbe fama di grande predicatore, ma di ottimo confessore e direttore di spirito, tanto da meritare presto, tra i penitenti, il nome di "Antonino dei consigli". Da Vescovo si prodigò per l'istruzione del popolo e il miglioramento dei costumi. Nemico della tirannide, nel 1458 si oppose all'assolutismo mediceo. Diventò pure il consulente dei commercianti e dei banchieri non soltanto di Firenze, ma di ogni parte d'Italia che gli portavano scritture legali e contratti da esaminare alla luce della morale cristiana. Morì il 2-5-1459 nella villa arcivescovile di Montughi presso Firenze, e fu sepolto nella chiesa di S. Marco che lui aveva fatto costruire. Adriano VI lo canonizzò nel 1522.
Antonio, figlio del notaio Niccolo Pierozzi, detto comunemente Antonino a causa della minuta complessione, nacque a Firenze nel 1389. Sedicenne fu accolto tra i Frati Predicatori a S. Maria Novella dal B. Giovani Dominici (+1419), discepolo di S. Caterina da Siena (+1380) e maestro della riforma domenicana. Nel 1405 fu inviato a fare il noviziato a Cortona sotto la direzione del B. Lorenzo da Ripafratta (+1457), in attesa della fondazione, a Fiesole, del primo convento d'osservanza. Fu qui che nel 1407 s'incontrò con il B. Angelico (+1455). In seguito però ai rivolgimenti dello scisma pisano (1409) si rifugiò nell'Umbria, dove era riconosciuta l'autorità di Gregorio XII. Fino alla elezione di Martino V nel concilio di Costanza, egli sostò a Cortona, dove fu ordinato sacerdote nel 1413, e a Foligno dove fu nominato vicario l'anno successivo.
Mentre i suoi confratelli ritornavano a Fiesole, l'umile Antonio fu trattenuto come priore a Cortona nel 1418, a Fiesole nel 1421, nel convento riformato di S. Pietro Martire a Napoli nel 1424 e in quello della Minerva a Roma nel 1430. Egli sempre si preoccupò di estendere ovunque la riforma regolare con grande zelo e severità. Eugenio IV, eletto papa nel 1431, lo nominò uditore di Rota. Allora il santo si adoperò per fissare con equità gli onorari dei procuratori e dei notai. Nel 1437 fu nominato Vicario generale degli Osservanti dell'Italia centrale e meridionale e, due anni dopo, anche Priore di S. Marco in Firenze. La lucerna non poteva rimanere sotto il moggio.
Il figlio malaticcio del notaio Pierozzi, il gracile postulante che il Dominici aveva in un primo tempo giudicato inabile a sopportare i rigori della regola stretta, il tenace decretalista autodidatta, a 50 anni precisi, tornò nella sua città natale dove, con i 40.000 fiorini fornitigli da Cosimo de' Medici (1-1464) e l'ingegno di Michelozzo Michelozzi (+1472), fece ampliare in stile rinascimentale S. Marco, l'antico monastero dei vallombrosani e dei silvestrini passato nel 1436 ai Domenicani. Sotto la sua direzione il B. Angelico lo affrescò, e l'umanista Niccolò Niccoli lo dotò della prima biblioteca pubblica d'Europa, composta di 800 volumi. Benché S. Antonino non fosse un erudito, in quel tempo scrisse la Somma Morale e la Somma storica come già a Napoli aveva scritto loSpecchio di Coscienza, opere più voluminose che originali, ma che ebbero grande fortuna per oltre due secoli. Sospinto dalla carità di Cristo, nel 1442 istituì, senza capitali o rendite fisse, la Società dei Buonomini di S. Martino. Era formata da dodici cittadini di ogni classe sociale, estranei ai partiti, aventi il compito di aiutare segretamente le famiglie decadute e i poveri vergognosi.
Nel 1445, mentre Antonino visitava i conventi riformati della provincia di Napoli, venne a morire l'Arcivescovo di Firenze Mons. Bartolomeo Zabarella. Eugenio IV, forse per suggerimento del B. Angelico, pensò di eleggere il nostro santo al suo posto, ma egli, appena ne ebbe sentore, reputandosene indegno, corse a nascondersi nella macchia di Tarquinia. Costretto dalle Lettere Apostoliche a raggiungere S. Domenico di Fiesole, si lasciò ordinare vescovo il 12-3-1446 soltanto in seguito all'ordine formale del papa.
S. Antonio non cambiò in nulla il tenore di vita. Molti gli consigliarono "la cappa lunga con la coda", ma egli "andava vestito da semplice frate". Nessuno vide mai il suo stemma perché non volle che fosse fatto. I fiorentini rimasero sbalorditi dinanzi alla vita tanto povera e mortificata del loro arcivescovo. Pregava continuamente. Nessuna occupazione lo distraeva dalla meditazione delle verità eterne. All'ufficio divino aggiungeva tutti i giorni i salmi penitenziali, le litanie e l'ufficio della B. Vergine e, due volte la settimana, anche quello dei defunti con le nove lezioni.
Quando non era occupato nell'orazione e nello studio riceveva quanti a lui si rivolgevano per qualsiasi necessità. Se non ebbe fama di grande predicatore, divenne però un ottimo confessore e direttore di spirito, tanto da meritare presto, tra i penitenti, il nome di "Antonino dei consigli". Tipico riassunto dei suoi insegnamenti morali è l'Opera a ben vivere, che scrisse per Dianora Tornabuoni e la sorella Lucrezia, madre di Lorenzo il Magnifico. Essa presenta sorprendenti analogie con la Filotea di S. Francesco di Sales (+1622).
Sulla cattedra di S. Zenobio Antonino non si curò dei movimenti filosofici od umanistici del tempo. Fu semplicemente un perfetto modello di pastore e di riformatore. Riorganizzò la diocesi e visitò ad una ad una anche le parrocchie di Fiesole e Pistoia dipendenti dalla sua giurisdizione, tenne, come metropolita, il sinodo del 1451 e si prodigò per l'istruzione del popolo e il miglioramento dei costumi. Una delle prime sue azioni fu diretta alla riforma di quei sacerdoti che portavano zazzere e calze suolate, che partecipavano a festini, a giochi o che gestivano taverne. Ai renitenti alla disciplina, S. Antonino "fece dare la colla" nelle carceri del palazzo arcivescovile. Al doloroso castigo, che consisteva nel legare con una fune le mani dietro la schiena del paziente e, per mezzo dì una carrucola, alzare il disgraziato da terra per lo spazio di alcune Ave Maria, non sfuggì neppure il faceto pievano Arlotto (1396-1484), parroco di S. Cresci a Maciuoli. Il santo giungeva in visita pastorale a dorso di un ronzino, e senza preavviso, per impedire spese inutili.
Si assicurava che ogni prete avesse il breviario, che sapesse pronunciare correttamente le parole della consacrazione e istruisse convenientemente i chierici che, sotto la guida di lui, si preparavano al sacerdozio, non esistendo allora i seminari vescovili. Antonino, che cercava non la popolarità, ma il più scrupoloso adempimento del dovere, fu senza riguardi anche contro maestri vanitosi, gogliardi scioperati e medici superbi quali Giovanni de' Cani che condannò al rogo, nel 1450, alla sua presenza e del capitolo della cattedrale, perché professava con ostinazione l'eresia dei fraticelli.
Nelle pubbliche calamità faceva cuocere grandi quantità di pane da distribuire agl'indigenti e nelle pestilenze, frequenti a quei tempi, si recava al capezzale dei morenti, conducendo con sé un asinello carico di provviste e di medicamenti. Nell'opera caritatevole si faceva aiutare da bravi giovani che egli aveva allevato alla pietà cristiana in speciali compagnie dette "Dottrine". Ma oltre che padre dei poveri, S. Antonino fu pure nemico dell'usura e difensore del giusto salario all'operaio.
Nemico della tirannide, nel 1458 si mostrò di fronte all'assolutismo mediceo coraggioso fautore della libertà e della costituzione fiorentina. Versatissimo in diritto, dotato di sicuro giudizio e propenso a soluzioni moderate, "Antonino dei Consigli" diventò pure il consulente dei commercianti e dei banchieri non soltanto di Firenze, ma di ogni parte d'Italia che gli portavano scritture legali e contratti da esaminare alla luce della morale cristiana.
Verso la fine della sua vita, il santo fu incaricato da Firenze di parecchie missioni ufficiali presso Callisto III e Pio II e, a più riprese, specialmente a proposito della crociata progettata da Callisto III, fu investito dalla Corte romana di molto estese delegazioni che fecero di lui come una specie di patriarca di tutta la Toscana. Morì dopo lunga agonia il 2-5-1459 nella villa arcivescovile di Montughi presso Firenze, e fu sepolto nella chiesa di S. Marco che lui aveva fatto costruire. Adriano VI lo canonizzò nel 1522.
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