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Giovedì 30 Maggio SOLENNITA' DELL'ASCENSIONE DEL SIGNORE!

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«Uomini di Galilea,
perché fissate nel cielo lo sguardo?
Come l'avete visto salire al cielo,
così il Signore ritornerà».

Carissimi Giovedì 30 maggio la chiesa celebra la solennità dell'ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo al cielo.Nella Cappella di Santa Caterina da Siena, in via Urbana 85 Roma, verrà celebrata la Santa Messa, alle ore !8:30, preceduta dal  Santo Rosario alle ore 18, il sacerdote resta disponibile per le confessioni già dalle ore 17:30.


Chi è colui che sale al cielo? È il Dio che ha preso per sé il patire per offrirmi in ogni mio pa­tire scintille di risurrezione, squarci di luce nel buio più nero, crepe nei muri delle prigioni: mio Dio, esperto di evasioni! (M. Marcolini). Che ha preso carne nel grembo di una donna rive­lando la segreta nostalgia di Dio di essere uomo. Che o­ra, salendo in cielo, porta con sé la nostra nostalgia di essere Dio. Li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benedi­ceva, si staccò da loro. Una lunga benedizione sospesa in eterno tra cielo e terra è l'ultima immagine di Gesù. Testimone che la maledi­zione non appartiene a Dio. Io non sono degno, eppure mi benedice. Dio dice be­ne di me! Io gli piaccio! Co­sì come sono, gli piaccio! Dice bene di me e mi au­gura il bene: nelle mie a­marezze e nelle mie povertà io sono benedetto, in tutti i miei dubbi benedetto, nel­le mie fatiche benedetto... 
Gesù lascia un dono e un compito: predicate la con­versione e il perdono. Con­versione: indica un movimento, un dinamismo, l'u­scire dalle paludi del cuore inventandosi un balzo. Si­gnifica il coraggio di anda­re controcorrente, contro la logica del mondo dove vin­cono sempre i più furbi i più ricchi i più violenti. Co­me fanno le beatitudini, conversione che ci mette in equilibrio, in bilico tra ter­ra e cielo. Annunciare il perdono: la freschezza di un cuore ri­fatto nuovo come nella pri­mavera della vita. La possibilità, per dono di Dio, di ri­partire sempre, di ricomin­ciare, di non arrendersi mai. Io so poche cose di Dio, ma una su tutte, e mi basta: che la sua misericor­dia è infinita! Dio è una pri­mavera infinita. E la nostra vita, per suo dono, un al­beggiare continuo. 
La conclusione del raccon­to è a sorpresa: i discepoli tornarono a Gerusalemme con grande gioia. Doveva­no essere tristi piuttosto, fi­niva la presenza, se ne an­dava il loro amore, il loro a­mico, il loro maestro. 
Invece no. E questo perché fino all'ultimo giorno Lui ha le mani che grondano doni. Perché non se ne va altrove, ma entra nel profondo di tutte le vite, per trasformarle. 
È la gioia di sapere che il no­stro amare non è inutile, ma sarà raccolto goccia a goccia e vissuto per sem­pre. È la gioia di vedere in Gesù che l'uomo non fini­sce con il suo corpo, che la nostra vita è più forte delle sue ferite, che la carne è fat­ta cielo. Che non esiste nel mondo solo la forza di gravità che pesa verso il basso, ma an­che una forza di gravità che punta verso l'alto, quella che ci fa eretti, che mette verticali la fiamma e gli al­beri e i fiori, che solleva ma­ree e vulcani. Ed è come u­na nostalgia di cielo. Cristo è asceso nell'intimo di ogni creatura, forza ascensiona­le verso più luminosa vita.






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