Massimiliano Maria Kolbe Martire in un campo di sterminio nazista: chiede di morire al posto di un padre di famiglia
La “Resistenza” cattolica e cristiana contro il nazifascismo ma anche la lotta contro tutti i totalitarismi, anche quelli espressi dalle ronde vendicative comuniste nei paesi occidentali, rappresentano un esempio di testimonianza cristiana fino al martirio che ha coinvolto centinaia di religiosi, presbiteri e laici in Italia e in Europa. Nel giorno del ricordo della Liberazione è importante ricordare storie e di eroica cristianità di donne e uomini, alcuni già riconosciuti dalla Chiesa beati che hanno sacrificato la loro vita per le generazioni future.
Zdunska-Wola (Lodz, Polonia), 1894 – Auschwitz, 1941.
Prima di morire nel campo di concentramento nazista di Auschwitz, il francescano conventuale padre Massimiliano Maria Kolbe, uomo di fede e di cultura, è un punto di riferimento del cattolicesimo polacco. Fonda una associazione mariana, i “Cavalieri dell’Immacolata”, che conterà due milioni di aderenti. Crea centri di studio e di lavoro, case editrici, giornali. Padre Kolbe opera in Polonia e in Giappone. Ma quando il suo Paese viene invaso, egli, il 17 febbraio 1941, è catturato e condotto nel campo di concentramento. Diventa il deportato numero 16670.
Un deportato che “sconfigge” la macchina anti-uomo nazista.
Ecco i fatti.
Dal campo evade un detenuto, e per rappresaglia dieci altri vengono condannati a morte. Padre Kolbe non è tra quei dieci. Ma a un certo punto uno dei condannati urla disperato pensando alla moglie e ai figli. Allora padre Kolbe si fa avanti e chiede di morire al posto di quel papà di famiglia. Stranamente, gli aguzzini accettano lo scambio. La morte di Kolbe passa attraverso un'atroce agonia: la fame e la sete. Lo chiudono insieme agli altri nove nel “bunker della fame”, dove non gli danno più né cibo né acqua. E poi lo finiscono con un’iniezione tossica.
Padre Kolbe è proclamato beato da papa Paolo VI il 17 ottobre 1971. Per beatificare qualcuno servono le prove di qualche miracolo avvenuto per sua intercessione: ma per padre Kolbe non occorre cercare più di tanto: la testimonianza della sua santità eroica è presente quel giorno nella Basilica di San Pietro. Si chiama Francesco Gajownicek: è il papà di famiglia che padre Kolbe ha salvato morendo al suo posto. È giunto dalla Polonia accompagnato da Karol Wojtyla, arcivescovo di Cracovia, per dire al mondo: io sono vivo perché padre Kolbe ha preso il mio posto tra i condannati a morte. E undici anni dopo, il 10 ottobre 1982, Gajownicek torna nella Città del Vaticano, ed è in prima fila in piazza san Pietro davanti a Wojtyla, che, diventato nel frattempo papa Giovanni Paolo II, proclama santo padre Kolbe.
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