“Quando siamo davanti al SS. mo Sacramento, invece di guardarci attorno, chiudiamo gli occhi e la bocca; apriamo il cuore; il nostro buon Dio aprirà il suo; noi andremo a Lui. Egli verrà a noi, l’uno chiede, l’altro riceve; sarà come un respiro che passa dall’uno all’altro”, queste erano le parole con le quali il curato d’Ars, San Giovanni Maria Vianney, cercava di spiegare l’adorazione (Il piccolo Catechismo del Curato d’Ars, Tan Books & Publishers, Inc. Rockford, Illinois, 1951, p.42).
Adorazione è stare dinanzi a Dio onnipotente in un atteggiamento di silenzio, potente espressione di fede: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta” (1 Sam.3,10). E’ davvero inspiegabile in termini umani. Papa Benedetto XVI ha spiegato il significato di adorazione come una proskynesis, “il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire”, e come ad – oratio “contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore” (Omelia del 21 agosto 2005 a Marienfeld, Colonia). E’ tale processo di presenza davanti a Dio che ci trasforma. San Paolo, parlando di coloro che si volgono verso il Signore come fece Mosè, dichiara: “quando ci volgeremo verso il Signore, il velo sarà tolto…e noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati (meta morfoumetha) in quella medesima immagine, di gloria in gloria” (2 Cor. 3,16.18). E’ interessante notare che il verbo usato qui è lo stesso usato per spiegare la trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor (metemorfothè).
La presenza dell’adorante dinanzi a Dio lo trasforma. Ciò è mirabilmente espresso in quelle parole del libro dell’Esodo: “quando Mosè scese dal monte Sinai con le due tavole della Testimonianza nelle mani, non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con Yahweh. Ma Aronne e tutti gli israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui” (Es. 34, 29-30). E’ come quando qualcuno si mette a fissare intensamente un tramonto; dopo un po’ di tempo, anche il suo volto assume un colorito dorato.
Il vescovo Fulton J. Sheen nota, nello spiegare tale esperienza, che quando guardiamo all’Eucaristia in un atteggiamento di adorazione, di profonda riverenza e amore “accade qualcosa in noi di molto simile a quanto accadde ai discepoli di Emmaus. Il pomeriggio della domenica di Pasqua, quando il Signore si fece loro incontro, domandò perché fossero così tristi. Trascorse alcune ore alla Sua presenza e ascoltando di nuovo il segreto della spiritualità – “il Figlio dell’Uomo deve soffrire per entrare nella Sua gloria” – finito il tempo di stare con Lui, i loro “cuori ardevano” (Un tesoro nell’argilla, Autobiografia). L’adorazione eucaristica è quindi un incontro profondamente personale e, in qualche misura, comunitario con il Signore. L’atteggiamento innato di riverenza non è dato da alcun senso di remissività, ma da un atteggiamento di fede profonda e dal grande desiderio di dialogo, o meglio, un atteggiamento di presenza e ascolto tra l’”Io” e il grande “Tu” – la ricerca della comunione.
E’ come quando Mosè guardava il roveto ardente. Il roveto continuava a bruciare, ma non si distruggeva. La nostra presenza davanti al Signore eucaristico non diminuisce la Sua gloria, ma parla a noi e noi dialoghiamo con Lui. E in tutto questo, veniamo trasformati. Non è Lui che cambia, ma noi. Eppure, lungo la storia della Chiesa, questa grande fede nella Presenza di Gesù in persona nella Santissima Eucaristia, ha avuto anche dei detrattori, soprattutto quelli che criticavano la pratica ecclesiale dell’adorazione eucaristica.
Non è un fantasma il Dio del tabernacolo!
In occasione della Solennità del Corpo e Sangue del Signore, pubblichiamo ampi stralci del bellissimo discorso pronunciato da Papa Pio XII, il 28 aprile 1939, ricevendo i partecipanti al Congresso Nazionale Italiano dei Sacerdoti Adoratori del Santissimo Sacramento.
Il Salvatore divino è con noi, non già come ombra fugace della fama e del nome che resta sulle tombe e sui monumenti dei grandi uomini che passano, ma quale Dio presente nella sua divinità e umanità, Dio nascosto nell’ombra dei pani mutati: ombra che Ci par di ravvisare in quelle tenebre del lago di Tiberiade, in quella notte che Cristo camminava sopra i marosi, e ai discepoli a fatica remiganti parve fantasma. No, non è un fantasma il Dio dei tabernacoli che adoriamo. É quel medesimo che allora disse ai pavidi discepoli: Abbiate fiducia; sono io, non temete. É quel medesimo che dice: Eccomi con voi tutti i giorni fino alla consumazione dei tempi.É quel medesimo che cammina sulle onde dei secoli, signore dei venti e delle procelle umane. Egli cammina sull’onde tempestose al fianco e innanzi alla sua Chiesa; risponde ai suoi ministri che lo chiamano con la voce sacra, a loro da lui largita; e ai suoi altari invita e aduna da venti secoli le nazioni e le genti, il popolo e i regnanti, i martiri e le vergini, i pontefici e i sacerdoti, prostrati nell’adorarlo presente, nell’amarlo nascosto, nell’invocarlo compagno nella gioia e nel dolore, nella vita e nella morte.
Il Dio dell’altare sta in mezzo a noi, invisibile, ma testimone fedele, primogenito tra i morti, principe dei re della terra, il quale ci ha amati e ci ha lavati dei nostri peccati col proprio sangue e ci ha fatti regno e sacerdoti a Dio suo Padre; il primo e l’ultimo, il vivente che fu morto ed è vivente pei secoli dei secoli. Ma è insieme in mezzo a noi, il Dio dell’arcano. Cadiamo ai suoi piedi, adoriamolo nel roveto ardente del suo amore per noi, se non ci è dato contemplarlo, come lo vide il rapito Evangelista. È il mistero della fede, centro dell’incruento divino sacrificio, geloso segreto della Sposa di Cristo, cui nei primi secoli della sua immutabile giovinezza amò celare sotto il velo dell’arcano anche i teneri suoi figli: arcano fatto mistero di un mistero, nascosto da secoli eterni in Dio e che nasconde un Dio. Davanti a questo mistero si chinarono nella polvere gli Apostoli e i martiri; nelle basiliche i pontefici; nei deserti e nei cenobi i monaci e gli anacoreti; nei chiostri le vergini; nei campi della lotta le schiere; nelle cattedre i dottori; nelle vie i popoli. Cristo era in mezzo a loro; ma chi lo vide? chi lo ravvisò? Beati quelli che non lo videro e credettero: «Beati qui non viderunt et crediderunt».
Ma Cristo non solo è presente in mezzo al mondo, bensì anche si accosta all’uomo e sta con lui, coi suoi apostoli, coi suoi fedeli, con tutte le genti, conquista del suo sangue. Duplice è la sua presenza. Ha una presenza divina, con la quale sostiene l’universo da lui creato, segue i passi degli uomini per le vie del bene e del male ed è loro testimone e giudice inclinatore al bene e punitore del male. Ha un’altra presenza umana e insieme divina, per la quale innalza i suoi padiglioni nelle catacombe, fra le dense case dei popoli, per le campagne, per le selve, nelle valli, sui monti, per i deserti, per le nevi, in mezzo ai ghiacci perpetui, dovunque un sacerdote con la onnipotente parola di Lui levi in alto un pane e un calice, adorando ciò che ha fatto in memoria di Lui. Là Egli sta col suo ministro, con lui cammina, si fa nostro cibo, viatico dei moribondi e degli infelici, fratello, sposo, padre, medico, conforto e vita delle anime, pane degli angeli, arra di gaudio immortale. Ecce ego vobiscum sum; Ecco, io sono con voi.
Finché sui campi del nostro globo spunterà una spiga di grano e penderà un grappolo d’uva, e un sacerdote salirà pensoso del sacrificio l’altare, l’Ospite divino sarà con noi; e il credente curverà nella fede la mente e il ginocchio innanzi a un’Ostia consacrata, come all’ultima cena gli apostoli nel pane e nel vino consacrato che il Salvatore dava loro dicendo: «Questo è il mio corpo; Questo è il mio sangue»; adorarono Cristo, il Maestro divino con quella pura e alta fede che crede ai portenti della sua parola, e di cui si sostanzia l’interna adorazione, fede senza la quale è vano segno il piegare di un ginocchio. Da quell’ora del Cenacolo cominciarono i secoli del Dio dell’Eucaristia; il giro del sole ne illuminò i passi con le sue aurore e i suoi tramonti; le scavate viscere della terra lo accolsero salmodiando; negli eremi, nei cenobii, nelle basiliche, sotto gli aerei pinnacoli s’inchinarono a lui pastori e popoli, principi ed eserciti. Nelle sue conquiste si avanzava coi suoi araldi e sacerdoti oltre í mari e gli oceani, e dall’Oriente all’Occidente, da un polo all’altro il Redentore ormai pianta ogni dì i suoi tabernacoli, perseverando contro l’ingratitudine degli uomini in trovare le sue delizie a stare con essi, solo bramoso di effondere a loro salvezza i tesori delle sue grazie e della sua magnificenza
Qui il testo integrale del discorso.
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