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“La condizione è che Roma ci accetti così come siamo”


Otto anni dopo che Benedetto XVI ha rimesso la scomunica ai quattro vescovi ordinati, senza mandato da parte di Roma da Mons.M.Lefebvre, e che la prelatura personale sotto l’autorità del Papa sembra possa essere la soluzione, un accordo tra la Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX) e Roma appare sfuggente.

In questa intervista in esclusiva con Vida Nueva,Mons. Bernard Fellay, suo  Superiore Generale, riconosce che il cammino sta quasi per concludersi. Ma, a sua volta, dice chiaramente che “non cederemo” su quello che per loro sono le “linee rosse”, l’applicazione del Concilio Vaticano II nel dialogo ecumenico e interreligioso, nella relazione Chiesa-Stato o nella celebrazione della liturgia.


A che punto sono le conversazioni sulla comunione con Roma di una congregazione fiorente presente in 70 paesi, una casa Generalizia con sei seminari e e sei case di formazione  dove si formano 215 futuri sacerdoti, 14 distretti, 2 case autonome, 163 priorati, 

750 chiese, cappelle e centri di Messa, 

due istituti universitari, più di 100 scuole, sette case di riposo 

tre vescovi, 613 sacerdoti, 

215 seminaristi, quaranta pre-seminaristi,

117 frati, 195 suore, 79 oblati, 4 carmeli. e con 191 centri per un totale di 613 sacerdoti, 117 fratelli laici, 195 suore

La Fraternità è presente in 37 paesi e ne serve altri 33, 
in totale svolge il suo apostolato in 70 paesi nel mondo. 

Sono collegati alla Fraternità numerosi ordini di rito latino e di rito orientale.dati forniti dalla FSSPX al 15 dicembre 2016

Se c’è qualcuno che può saperlo bene è mons. Bernard Fellay, Superiore generale della FSSPX e principale interlocutore con la Santa Sede in questi otto anni di dialogo.

In questa intervista in esclusiva con Vida Nueva.Mons. Fellay riconosce che “ non c’è più alcun ostacolo insormontabile per un riconoscimento canonico della Fraternità” e che vede più che fattibile lo sbocco della prelatura personale. E così, nonostante sottolinei che Francesco è stato colui che ha dato l’impulso definitivo al procedimento e ammetta che ha incontrato in lui “un papa comprensivo e benevolo”, Fellay afferma chiaramente che vi sono delle “linee rosse sulle quali non cederemo”: 
“La condizione è che Roma ci accetti così come siamo”.

Giornalista: La Fraternità Sacerdotale San Pio X sta vivendo una primavera vocazionale, come dimostra il suo nuovo seminario in Virginia, negli Stati Uniti. Cos’ha il suo carisma per attrarre nuovi giovani al sacerdozio?

Mons. Fellay: In realtà, non possiamo parlare di “primavera vocazionale” nella Fraternità. Il numero di vocazioni è stato costante nel corso di questi ultimi decenni. Crediamo che l’elemento fondamentale che garantisce il rinnovo delle vocazioni è precisamente l’aspetto “tradizionale” della nostra congregazione. Fino agli anni 60, la Chiesa aveva una determinata disciplina, certi usi e costumi e, soprattutto, uno spirito sacerdotale chiaramente definito. Ma poi è cambiato tutto col Concilio Vaticano II, in particolare la concezione del sacerdozio.
La cosa più specifica della nostra congregazione è lo spirito del Sacrificio della Croce, del Sacrificio dell’Altare, che il sacerdote rinnova in intima unione con Nostro Signore e con cui deve identificarsi.

Giornalista: Quando uno naviga su Internet per cercare della documentazione sulla FSSPX, incontra due aggettivi che sogliono caratterizzare negaticamente la ricerca: “ultraconservatori” e “settari”. Che direbbe a coloro che vi classificano in questo modo?


Mons. Fellay: Se si vuole squalificare la Fraternità come “ultraconservatrice” e “settaria”, allora bisogna condannare tutta la Chiesa cattolica, per tutta la sua storia. Noi semplicemente seguiamo e applichiamo ciò che fu praticato dalla Chiesa in tutto il mondo nel corso dei secoli. 
Ora, negli anni cinquanta e dopo col Concilio si è voluta cambiare la Chiesa. Ma noi non abbandoniamo il ricco patrimonio della nostra Santa Madre Chiesa, e questo semplice fatto basta per conferirci un aspetto conservatore.
Quando, per certe attitudini o posizioni, ci si etichetta come “settari”, si interpretano malamente le nostre reazioni per difenderci e proteggerci dagli attacchi che ingiustamente abbiamo sofferto fin dagli anni ’70.


Formula adeguata

Giornalista: Proprio in Virginia, Lei assicurò che la nuova prelatura personale sarebbe “quasi pronta”. Considera la forma della prelatura la più adeguata?


Mons. Fellay: Crediamo che le autorità romane ritengano che la prelatura personale sia la struttura canonica che meglio rifletta la nostra situazione reale. E anche noi pensiamo che la prelatura personale sia il regime più adeguato alla Fraternità nelle attuali circostanze.



Giornalista: Crede possibile che si raggiunga una piena comunione con Roma in poco tempo? E’ azzardato porre una scadenza?


Mons. Fellay: Allo stato attuale, nella Chiesa vi è una profonda divisione tra conservatori e progressisti che arriva fino alle alte sfere. In certo modo, siamo vittime di questa disputa, così che la dichiarazione ufficiale della nostra comunione con la Sede di Pietro difficilmente soddisferà entrambe le posizioni. Tuttavia, credo che le autorità romane abbiano potuto accertare che in noi non ci sono dei problemi gravi che impediscano il pubblico riconoscimento della nostra condizione di cattolici. In più, la risposta sarà condizionata dalle circostanze, tale che è impossibile dare una scadenza.

Giornalista: Qual è stato il punto di riflessione perché si stabilisse il dialogo tra le parti? Benedetto XVI ha compiuto il primo passo significativo?


Mons. Fellay: Lungo questo cammino, che è iniziato già durante il pontificato di Giovanni Paolo II, ci sembra che Benedetto XVI abbia giuocato un ruolo molto importante; da una parte col riconoscere che il rito “antico” non era mai stato abrogato e dall’altra nel confermare l’assenza di scomunica dei quattro vescovi della Fraternità. Tuttavia, ci sembra che i passi più importanti si sono avuti col pontificato di Francesco.

Giornalista: Il Papa ha esteso al di là dell’Anno Giubilare della Misericordia e “fino a nuove disposizioni” la validità delle assoluzioni sacramentali dei sacerdoti della Fraternità San Pio X. Come valuta questo gesto?


Mons. Fellay: Il sacramento della penitenza è uno dei più importanti dopo il battesimo, per ottenere il perdono dei peccati e così accedere alla vita eterna. Il gesto del Santo Padre manifesta, da un lato la sua paterna preoccupazione per facilitare alle anime l’accesso ai sacramenti, dissipando al tempo stesso qualsiasi dubbio sulla validità del sacramento della penitenza amministrato dai nostri sacerdoti. Per altro verso, questo gesto dimostra che non c’è alcun ostacolo insormontabile per un riconoscimento canonico della Fraternità.


Una linea omogenea

Giornalista: Qual è, oggi come oggi, la principale insidia per dare l’ultimo impulso al procedimento?


Mons. Fellay: Tanto oggi, come ieri, la principale insidia è il grado di obbligo di adesione al Concilio Vaticano II. Si fece un passo molto importante quando Mons. Pozzo disse pubblicamente che certi testi del Concilio non costituiscono criteri di cattolicità; per esempio, quelli che si riferiscono alla libertà religiosa, alle relazioni con le religioni non cristiane, all’ecumenismo e anche, in parte, alla riforma liturgica. Se potessimo accertare che si tratta della linea di tutta la Chiesa e non di una persona, questo sarebbe decisivo.

Giornalista: Vi sono linee rosse per la Fraternità Sacerdotale San Pio X?


Mons. Fellay: Sì, ci sono: il modo in cui è praticato l’ecumenismo, incluse le affermazioni molto pericolose per la fede, che fanno pensare che tutti abbiano la stessa fede; la questione liturgica o la relazione fra la Chiesa e lo Stato. Tutti questi sono temi sui quali non cederemo.
Non si tratta di una posizione o di un punto di vista personale o solo proprio della nostra congregazione. Semplicemente, sosteniamo quello che la Chiesa ha sempre insegnato e definito su questi temi. Possiamo riassumere dicendo che la conditio sine qua non è che Roma ci accetti così come siamo.

Giornalista: L’interpretazione del Concilio Vaticano II è uno dei principali punti di divergenza. Quali sono i problemi che più la preoccupano a riguardo?


Mons. Fellay: La natura delle relazioni fra la Chiesa e le altre realtà come il mondo, lo Stato e le altre religioni, sono temi che esigono molti chiarimenti. Non si tratta di divergenze tra quello che sarebbe una posizione teologica della nostra congregazione e il magistero attuale della Chiesa, ma dell’opposizione tra ciò che la Chiesa ha insegnato e definito in precedenza e le novità del Concilio Vaticano II e successive.
Noi facciamo sentire la nostra voce perché risuoni nel presente quello che la Chiesa ha già insegnato e dichiarato e che sembra dimenticato da tutti. L’unica cosa che facciamo è rendere manifesta questa opposizione.

Giornalista: Lo scorso mese di aprile ha avuto l’opportunità di incontrarsi con Papa Francesco. Che impressione le ha fatto?


Mons. Fellay: Abbiamo incontrato un Sommo Pontefice comprensivo, che afferma chiaramente che siamo cattolici, che riconosce che non siamo scismatici. Ammette che rimangono questioni canoniche da risolvere, ma non per questo mette in dubbio la nostra condizione di cattolici. Abbiamo incontrato un Santo Padre benevolo, che cerca di facilitare il cammino, senza per questo imporre una determinata soluzione.







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