Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

sabato 25 febbraio 2017

Quando la correzione pubblica è urgente e necessaria

Pietro Lorenzetti Cristo tra i Santi Pietro e Paolo

(di Roberto de Mattei fonte corrispondenza romana)
Si può correggere pubblicamente un Papa per il suo comportamento riprovevole? Oppure l’atteggiamento di un fedele deve essere quello di un’obbedienza incondizionata, fino al punto di giustificare qualsiasi parola o gesto del Pontefice, anche se apertamente scandaloso? Secondo alcuni, come il vaticanista Andrea Tornielli, è possibile esprimere “a tu per tu”, il proprio dissenso al Papa, senza però manifestarlo pubblicamente.

Questa tesi contiene comunque un’importante ammissione. Il Papa non è infallibile, se non quando parla ex cathedra. Altrimenti non sarebbe lecito dissentire neanche in privato, ma la strada da seguire sarebbe solo quella del religioso silenzio. Invece, il Papa, che non è Cristo, ma solo un suo rappresentante sulla terra, può peccare e può errare.

Ma è vero che egli può essere corretto solo privatamente, e mai pubblicamente? Per rispondere è importante ricordare l’esempio storico per eccellenza, quello che ci offre la regola aurea del comportamento, il cosiddetto “incidente di Antiochia”.

San Paolo lo ricorda in questi termini nella Lettera ai Galati, scritta probabilmente tra il 54 e il 57: «(…) Visto che a me era stato affidato il Vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi – poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per le genti – e riconoscendo la grazia a me data, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Bàrnaba la destra in segno di comunione, perché noi andassimo tra le genti e loro tra i circoncisi. Ci pregarono soltanto di ricordarci dei poveri, ed è quello che mi sono preoccupato di fare. Ma quando Cefa (il nome aramaico con cui veniva chiamato Pietro) venne ad Antiòchia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma, dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, tanto che pure Bàrnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. Ma quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del Vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: “Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?”» (Gal 2, 7-14).

Pietro per timore di urtare la suscettibilità dei Giudei, favoriva con il suo comportamento la posizione dei “giudaizzanti”, i quali credevano che a tutti i cristiani convertiti si dovesse applicare la circoncisione e altre disposizioni della legge mosaica.

San Paolo dice che san Pietro aveva chiaramente torto e perciò gli “resistette in faccia”, cioè pubblicamente, affinché Pietro non fosse di scandalo nella Chiesa, su cui esercitava la suprema autorità. Pietro accettò la correzione di Paolo, riconoscendo con umiltà il suo errore. San Tommaso d’Aquino tratta questo episodio in molte sue opere.

Innanzitutto egli osserva che «l’Apostolo contrastò Pietro nell’esercizio dell’autorità e non nell’autorità di governo» (Super Epistolam ad Galatas lectura, n. 77, tr. it. ESD, Bologna 2006). Paolo riconosceva in Pietro il Capo della Chiesa, ma giudicava legittimo resistergli, data la gravità del problema, che toccava la salvezza delle anime. «Il modo del rimprovero fu conveniente perché fu pubblico e manifesto» (Super Epistolam ad Galatas, n. 84).

L’episodio, osserva ancora il Dottore Angelico, contiene insegnamenti tanto per i prelati quanto per i loro soggetti: «Ai prelati (fu dato esempio) di umiltà, perché non rifiutino di accettare richiami da parte dei loro inferiori e soggetti; e ai soggetti (fu dato) esempio di zelo e libertà, perché non temano di correggere i loro prelati, soprattutto quando la colpa è stata pubblica ed è ridondata in pericolo per molti» (Super Epistulam ad Galatas, n. 77).

Ad Antiochia, san Pietro mostrò profonda umiltà, san Paolo ardente carità. L’Apostolo delle Genti si mostrò non solo giusto, ma misericordioso. Tra le opere di misericordia spirituale c’è l’ammonizione dei peccatori, chiamata dai moralisti “correzione fraterna”. Essa è privata, se privato è il peccato, pubblica se il peccato è pubblico. Gesù stesso ne fissa le modalità. «Se tuo fratello ha mancato contro di te, va e riprendilo fra te e lui solo. Se ti ascolta hai guadagnato tuo fratello. Se poi non ti ascolta, prendi ancora con te una o due persone, affinché ogni cosa sia attestata per bocca di due o tre testimoni. Se non ascolterà neppure essi, fallo sapere alla Chiesa. Se poi non ascolterà la Chiesa tienilo come un pagano e un pubblicano. In verità vi dico: tutto ciò che voi legherete sulla terra sarà legato nel cielo e tutto ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto anche nel cielo» (Mt 19, 15-18). Si può immaginare che dopo aver tentato di convincere privatamente san Pietro, Paolo non esitò ad ammonirlo pubblicamente, ma – dice san Tommaso – «poiché san Pietro aveva peccato di fronte a tutti, doveva essere redarguito di fronte a tutti» (In 4 Sententiarum, Dist. 19, q. 2, a. 3, tr. it., ESD, Bologna 1999).

La correzione fraterna, come insegnano i teologi, è un precetto non opzionale, ma obbligatorio, soprattutto per chi ha incarichi di responsabilità nella Chiesa, perché discende dal diritto naturale e dal diritto positivo divino (Dictionnaire de Théologie Catholique, vol. III, col. 1908). L’ammonimento può essere rivolto anche dagli inferiori verso i superiori, e anche dai laici nei confronti dei prelati. Alla domanda se si è tenuti a riprendere pubblicamente il superiore, san Tommaso nel Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, risponde affermativamente, facendo notare però che bisogna agire sempre con estremo rispetto. Perciò, «i prelati non vanno corretti dai sudditi di fronte a tutti, ma umilmente, in privato, a meno che non incomba un pericolo per la fede; allora infatti il prelato diventerebbe minore, qualora scivolasse nell’infedeltà, e il suddito diventerebbe maggiore» (In 4 Sententiarum, Dist. 19, q. 2, a. 2).

Negli stessi termini il Dottore Angelico si esprime nella Summa Theologiae: «(…) essendovi un pericolo prossimo per la fede, i prelati devono essere ripresi, perfino pubblicamente, da parte dei loro soggetti. Così san Paolo, che era soggetto a san Pietro, lo riprese pubblicamente, in ragione di un pericolo imminente di scandalo in materia di fede. E, come dice il commento di sant’Agostino, “lo stesso san Pietro diede l’esempio a coloro che governano, affinché essi, allontanandosi qualche volta dalla buona strada, non rifiutino come indebita una correzione venuta anche dai loro soggetti” (ad Gal. 2, 14)» (Summa Theologiae, II-IIae, 33, 4, 2).

Cornelio a Lapide, riassumendo il pensiero dei Padri e dei Dottori della Chiesa, scrive: «(…) I superiori possono essere ripresi, con umiltà e carità, dagli inferiori, affinché la verità sia difesa, è quanto dichiarano, sulla base di questo passo (Gal. 2, 11), sant’Agostino (Epist. 19), san Cipriano, san Gregorio, san Tommaso e altri sopra citati. Essi insegnano chiaramente che san Pietro, pur essendo superiore, fu ripreso da san Paolo […]. A ragione, dunque, san Gregorio disse (Homil. 18 in Ezech.): “Pietro tacque affinché, essendo il primo nella gerarchia apostolica, fosse anche il primo nella umiltà”. E sant’Agostino affermò (Epis. 19 ad Hienonymum): “insegnando che i superiori non devono rifiutare di lasciarsi richiamare dagli inferiori, san Pietro ha dato alla posterità un esempio più eccezionale e più santo di quello di san Paolo insegnando che, nella difesa della verità, e con carità, ai minori è dato avere l’audacia di resistere senza timore ai maggiori”» (Ad Gal. 2, II, in Commentaria in Scripturam Sacram, Vivès, Parigi 1876, tomo XVII).

La correzione fraterna è un atto di carità. Tra i più gravi peccati contro la carità, c’è lo scisma, che è la separazione dall’autorità della Chiesa o dalle sue leggi, usi e costumi. Anche un Papa può cadere nello scisma, se divide la Chiesa, come spiega il teologo Suarez (De schismate in Opera omnia, vol. 12, pp. 733-734 e 736-737) e conferma il cardinale Journet (L’Eglise du Verbe Incarné, Desclée, Bruges 1962, vol. I, p. 596). Oggi nella Chiesa regna la confusione. Alcuni coraggiosi cardinali hanno annunciato una eventuale correzione pubblica nei confronti di papa Bergoglio, le cui iniziative diventano ogni giorno più inquietanti e divisive.

Il fatto che egli ometta di rispondere ai “dubia” dei cardinali sul capitolo 8 dell’Esortazione Amoris laetitia, accredita e incoraggia le interpretazioni eretiche o prossime all’eresia in tema di comunione ai divorziati risposati. La confusione, così favorita, produce tensioni e lotte interne, ovvero una situazione di contrapposizione religiosa che prelude allo scisma. L’atto di correzione pubblica si rende urgente e necessario. (Roberto de Mattei)

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