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La Collegialità Episcopale di don Curzio Nitoglia PRIMA PARTE

La dottrina tradizionale

La dottrina cattolica tradizionale (costantemente e quindi infallibilmente insegnata dalla Chiesa) sui rapporti tra Papa e Vescovi, quanto al potere di magistero e di impero sulla Chiesa universale, è stata ribadita sino alla metà del 1958 da Pio XII.

Essa insegna che la giurisdizione giunge da Dio al Vescovo

1°) tramite il Papa e non direttamente da Dio; cioè il Sommo Pontefice dà al Vescovo il potere di giurisdizione, ma non contemporaneamente alla consacrazione episcopale, che può essere conferita, per delega del Papa, dal Vescovo consacrante al Vescovo consacrato;

2°) soltanto sulla sua singola diocesi (la quale gli è affidata dal Papa e non dal Vescovo consacrante) e non sul mondo intero; inoltre

3°) il Papa, se vuole, può far partecipare il Corpo dei Vescovi (non è esatto parlare in senso stretto di Collegio dei Vescovi, ma solo di Collegio degli Apostoli) alla sua suprema potestà di magistero e d’impero sulla Chiesa universale, sia
a) riunendoli in Concilio ecumenico, per il solo tempo della durata del Concilio; sia
b) sparsi nel mondo, ciascuno nella propria diocesi, ma solo durante il tempo in cui chiede loro di pronunciarsi assieme a lui su una questione di fede o di morale da definire come obbligatoria per la Chiesa universale.

Il potere d’ordine è finalizzato alla glorificazione di Dio (mediante il Sacrificio della Messa) e alla salvezza delle anime (mediante i Sacramenti).

Il potere di giurisdizione è diretto a governare i fedeli in ordine alla vita eterna; esso si suddivide in
a) magistero, che è il potere di insegnare la Verità rivelata senza errori o infallibilmente e in
b) legislazione, che è il potere di far leggi, di giudicare e di coercire.


I concili ecumenici sono convenienti e necessari al buon andamento della vita della Chiesa, ma “non si può dire vi siano prove sufficienti per arguire la loro istituzione divina. Tuttavia alcuni teologi, seguono la sentenza meno comune della istituzione divina dei concili ecumenici, appoggiandosi sull’autorità dell’unico Padre ecclesiastico che l’ha insegnata: S. Gregorio Magno, Epist. I, 1, 24”. (Cfr. Wernz-Vidal, II, p. 524, cit. in A. Piolanti, Enciclopedia Cattolica, 1950, vol. IV, coll., 167-173, voce “Concilio”; cfr. Id., Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 84, voce “Concilio”).

Certamente i concili ecumenici sono di istituzione apostolica. Infatti il primo concilio ecumenico fu convocato da San Pietro in Gerusalemme nel 50 e ad esso parteciparono tutti gli Apostoli, San Paolo compreso, per dirimere la controversia sorta tra i giudaizzanti (con San Giacomo a capo) e san Paolo. Ciò dimostra che se la Chiesa non fosse d’istituzione divina e assistita tutti i giorni sino alla fine del mondo da Gesù, sarebbe finita già nel I secolo nonostante la santità di vita degli Apostoli, che già 18 anni dopo la morte di Cristo disputavano su questioni di fede essenziali per la vita della Chiesa della Nuova ed Eterna Alleanza di Cristo essenzialmente diversa dall’economia della Vecchia Alleanza come la realtà è diversa dall’ombra (“umbram fugat Veritas / la Verità e la realtà cacciano l’ombra e la figura”, S. Tommaso d’Aquino, Pange lingua).

Inoltre i Vescovi riuniti in concilio sono veri giudici e veri maestri in materia di morale e fede sulla Chiesa universale, grazie al potere ricevuto da Dio tramite il Papa, che li ha convocati in concilio e li rende partecipi del suo potere supremo, assoluto e totale di magistero e imperio sulla Chiesa universale. Perciò le decisioni dei Vescovi in concilio, col Papa e sotto il Papa, sono vere definizioni e veri atti giuridici obbliganti, non sono semplici consigli. Essi infatti, subordinatamente al Papa, partecipano alla suprema potestà di Pietro e dei suoi successori. È importante specificare che i Vescovi sono maestri e giudici sulla Chiesa universale non in maniera totale e assoluta (ossia sciolta da ogni altro potere superiore), ma in maniera subordinata e dipendente da Pietro. Quindi il Papa è essenziale e non accidentale (come vorrebbe il conciliarismo o l’episcopalismo collegiale) al governo (di magistero e di giurisdizione) della Chiesa universale e dunque alla sua vita ed anche alla validità del concilio ecumenico come la testa è essenziale alla vita del corpo (cfr. S. Roberto Bellarmino, De Conciliis, cit., I, 18). Quindi non ci si può appellare alla sentenza dei Vescovi contro quella del Papa.

Anche quando il Papa riunisce i Vescovi in concilio (e li fa partecipare al suo supremo potere di magistero e di imperio) permane tra lui e i Vescovi un distinzione reale e non adeguata ossia non alla pari, perché il Papa è sempre il capo e i Vescovi sono sempre il corpo, che è inferiore al capo. Come la vita dell’uomo è una sola, che pur derivando dall’anima si diffonde per tutto il corpo il quale è diretto dalla testa, così l’infallibilità è diffusa in tutta la Chiesa (Vescovi e fedeli), ma dipendentemente dal Papa, che può esercitarla da solo, anche senza il consenso della Chiesa (Vescovi e fedeli).

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